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Full text of "Opere di Torquato Tasso"

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OPERE 


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TORQUATO    TASSO 


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VOL.  JV. 


♦    • 


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V 


L'AMINTA 


» . 


RIME    SCELTE 


DI 


TORQUATO  TASSO 


■+. 


MILANO 

DAIXA  SOdBrX  TIPOGRAFICA  DE'  CLASSiU  tXALlANI 


MDCCCXXIV 


'   \ 


THE  NEW  YORK 

PflBLIC  LIBRARY 

STffO  6  28  A 


1 


1 


ASTOR.  LENOX  AND 
TIU>£M  FOUJ 
H  1930 


NOX  AND 
INDATIOM8  I 

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*     »    • 


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«•  * 


A'    LETTORI 


k^eguendo  Y  ordine  tenuto  nella  nostra 
prima  edizione,  ma  rallargandoci  notabil- 
mente nella  quantità  delle  materie ,  ab- 
biamo  stampato  in  questo  Volume  VAmiri'- 
ta^  preceduto  dalla  Prefazione  dell'abate 
Serassi  e  dalla  Lettera  dedicQ,toria  del 
cavalier  Vincenzo  Monti  (*),  —  Y Amore 
fiiggidi?o  9  --^  e  una  dilìgente  trascelta  di 
Bime  pastorali  e  Uriche. 

La  Lettera  dedicatoria  del  cav.  Vincenzo 
Monti  è  stata  riveduta  dall'autore  mede* 
Simo  per  compiacere  alle  nostre  istanze; 
giaccbè,  essendoci  abbattuti  a  quel  verso 
dell'edizione  bodoniana  che  dice: 

Chiusi  a  pietade  trovato  avrei  i  petti  ^ 

h  giudicammo  subitamente  per  una  stor- 

{*)  Questa  Lettera  (la  quale  comparve  la  prima 
volta  in  fronte  alf  edizione  bodoniana  dei  1 789  )  » 
mercè  delle  più  squisite  bellezze  che  tutta  la  infiorano^ 
ha  sì  strettamente  associato  il  nome  dei  cavalier  Monti 
con  quello  deir  autor  dellVmvi/a,  che  pare  oramai 
stabilito  per  universale  consenso  non  dover  Tun  com- 
ponimento andar  piii  scompagnato  dall'*  altro. 


^10 

(0 


TI 


piatura  del  tipografo;  e  benché  ne  fosse 
agevolissima  e  pronta  T emendazione,  tras- 
portando avrei  nella  sede  di  trovato  ^ 
nondimeno  bastò  quel  verso  a  fame  an- 
cor diffidenti  della  sincerità  degli  altri  : 
la  qual  diffidenza  ha  prodotto  quest'ot- 
timo effetto,  ch'essa  Lettera  verrà  pre- 
sentemente in  pubblico  sì  perfetta ,  come 
desidera  il  sonuno  poeta  che  sia  traman- 
data a'  posteri,  e  come  non  si  trova  in 
nessuna  delle  stampe  anteriori. 

Quanto  al  testo  da  valerci  per  la  Pre- 
fazione del  Serassi,  non  ci  potea  nascer 
dubbiò  veruno  ;  poiché ,  avendola  egli 
distesa  per  Y  edizione  del  Bodqni ,  e , 
com'è  verisimile,  riveduta  e  corretta  di 
proprio  pugno  sulle  bozze,  a  quella  si 
dee  ricorrere,  omettendo  però  le  poche 
cose  che  all'edizione  medesin[ia  si  riferi- 
scono. 

Per  ciò  che  risguarda  VAminta^  abbiam 
tpjto  ad  esemplare  la  suddetta  stampa  bo- 
doniana del  1789,  come  quella  che  fu 
dal  Serassi  emendata  col  riscontro  dell'o- 
riginate del  Tasso  e  delle  prime  e  più 
stimate  edizioni  {*).  Ma,  in  quella  guisa 

•(*)  a  Non  dovrà riuscir   che  molto  gradevole 

H  ad  ogni  persona  di   buon   gusto  il  nobile  pensiero 


vn 


che  siam  proceduti  nell' attendere  alla  im«' 
pressione  della  GerusàCèmme  ^  abbiamo 
voluto  parimente  certificarci  dell'operato 
dal  Serassi  nell'emendazione  dell'^minto, 
collazionando  ancora  noi  verso  per  %^so 
r  edizioni  da  esso  accennate  (  *  )  :  e  me- 
diante questa  fatica  e  diligenza  n'è  riu* 
scito  di  correggere  alcuni  errori  che  scap- 
parono dall'occhio  del  celebre  tipografo, 
e  di  ridurre  certi  luoghi  a  miglior  lezione 
che  non  è  quella,  al  parer  nostro,  ac- 
cettata dal  Serassi.  Eccone  un  saggio. 

Jtto  /,  se.  /,  y.  36. 
Che  si  poteano  impiegar  in  quest^uso. 

Cosi  leggono  pure  unitamente  le  aldine 
del  i58i  —  8iì  ~  83  e  la  cominiana  del 
1 7aa.  Tuttavia  nessuno  ci  persuaderà  mai 


«  che  si  è  preso  T  incomparabile  Direttore  della  R.  ti- 
«  pografia  parmense  signor  Giambatista  Bodoni  ..... 

tt  di  riprodurre questa  maravigliosa  Pastorale; 

tt  tanto  più  avendo  procurato  non  solo  di  darla  emen- 
«  data  e  corretta,  ma  eziandio  ridotta  alla  sua  vera 
«  lezione  ;  il  che  si  è  fatto  col  riscontro  delP  originale 
tt  del  Tasso  e  delle  prime  e  più  stimate  edizioni,  che 
tt  tutte  si  trovano  presso  T  autore  della  Prefazione  pre- 
tt  sente,  n  (  Serassi  nella  Prefazione  deWAmr'nta,  ) 

(*)  Le  più  antiche  e  più  rare  edizioni  òeWAminta 
ci  furono  liberalmente<  proflèrte  dal  signor  avvocato 
Francesco  Reina,  letterato  di  chiarissimo  nome,  ed  a 
cui  professiamo,  oltre  a  questo,  altri  obblighi  infiniti. 


TflI 

che  dalla  penna  del  Tasso  uscisse  un  verso 
cosi  sgraziato.  Nelle  varianti  cavate  dal 
codice  Barufifaldi,  e  pubblicate  la  prima 
volta  da  monsignor  Fontaninì  insieme  col- 
Y Aminta  difeso ^  si  trova  quest'altra  le- 
zione : 

Che  poteansi  impiegare  in  cotest'  uso  ; 

la  qual  leeone  fu  poi  seguita  nella  stampa 
de^  Tartini  e  Franchi;  ma,  benché  meno 
infelice  della  prima ,  non  ci  lascia  né  pur 
essa  pienamente  soddisfatti;  ed  anzi  siam 
più  presto  inclinati  a  reputarla  un  capric- 
cioso rassettamento  del  possessore  di  quel 
codice,  che  legittima  scrittura  del  Tasso. 
Nell'edizione  romana  del  1700,  ordinata 
dal  suddetto  Fontanini,  il  verso  medesimo 
pigUa  quest'  altra  forma  : 

Che  si  poteano  spendere  in  quest^uso; 

assai  buona  lezione,  e  che  avremmo  an- 
cora noi  accettata,  s'ella  non  fosse  arbi- 
traria (*).  Noi  dunque  pensiamo  che  nella 


('*)  Che  sia  arbitraria  la  soprarrecata  lesione  si  prova 
da  ciò,  ch^ella  non  trovasi  neir  aldina  del  i583^  alla 
quale  protesta  il  Fontanini  d*  èssersi  strettamente  ed 
unicamente  attenuto.  A  malgrado  però  di  tale  prote- 
stazione, altri  cambiamenti  parecctii  ei  fece  ai  suo 
capo  nella  stampa  deW j^minta  ;  il  che  gioverà  per  av- 
ventura d^aver  qui  notato. 


IX 

leeone  delle  aldine  si  contengano  tutti  gli 
elementi  del  verso  dettato  dal  Tasso,  ma, 
per  inavvertenza  del  copista  o  deff  im- 
pressore ,  tramutati  dal  proprio  luogo ,  in 
quella  stessa  guisa  che  avvenne  nel  vei^so 
del.  Monti  accennato  più  sopra  ;  e  per-* 
ciò,  rimettendoli  nella  lor  sede,  abbiamo 
stampato  : 

Che  impiegar  si  potevano  in  quest^uso. 

La  quale  emendazione  è  si  ovvia,  che  la 
potea  chicchessia  ritrovare  da  sé;  e  di 
iatlo,  prima  di  noi,  la  vide  e  la  intro- 
dusse l'anonimo  Letterato  a  cui  fu  com- 
messo il  vegliar  ¥  edizione  che  n'  usci 
in  Orleans  l'anno  1785  dall'officina  dì 
G.  A.  L  Jacob. 

Jtto  ly  se.  ly  r.  69. 

Del  vincitore  umiltà,  e  sofferenza , 
d,  sospiri,  e  dimandar  ^mercede. 


L'inutilità,  anzi  la  disutilità  della  co- 
pula e  nel  primo  de'  versi  citati  è  si 
mamTesta,  che  non  accade  fermarci  a 
giustificar  con  ragionamenti  l'aver  noi 
seguito  le  tre  aldme  e  la  cominiana,  le 
qastVi  .ne  son  prive. 


i 


Atto  /,  ConOy  y.  5. 

Non  perchè  i  frutti  loro 
Dièr  €Ìie/r  aratro  intatte 
Le  terre,  ec. 

Le  terre  inlatte  dell' aratro  è  errore  di 
stampa  che  non  si  trova  in  nessun'  altra 
edizione:  tutte  leggono  unitamente  dal^ 
r  aratro  intatte. 

Atto  II  ^  se.  I^  v.  3g  e  seg. 

Questa  mìa  faccia  di  color  sanguigno^ 
Queste  mie  spalle  larghe;  e  queste  braccia 
Torose  e  nerborute ,  e  questo  petto 
SetosO;  queste  mie  vellute  coscie 
Son  di  virilità  y  di  robustezza 
Indicio  :  ec. 

Le  tre  aldine ,  la  oomìniana  e  la  ro- 
mana del  Fontanini,  in  vece  di  vellute 
coscie y  leggono  velate  coscie;  e  questa 
infelice  lezione,  si  saria  forse  perpetuata , 
se  non  veniano  ad  esploderla  le  varianti 
del  codice  BarufFaldi:  ma^  prescindendo 
da  tale  errore,  in  quelle  vecchie  stampe 
il  verso  è  più  pieno,  e  diremo  ancora 
più  conforme  alla  buona  sintassi,  che  non 
apparisce  nella  bodoniana,  trovandosi  quivi 
repetuta  la  congiunzione  e  fra  setoso  e 
queste   mie ,    ec.   Noi   dunque   abbiamo 


\ 


^^^      ^^z — i 


restituita  a  quel  verso  la  detta  congianzìo* 
ne;  e  chi  s'intende  d'armonia  poetica  ne 
saprà  grado  che  ancora  alle  sì  fatte  mi- 
nute avessimo  l'occhio  nella  nostra  im- 
pressione. 

Atto  11^  se.  II,  r.  34  e  seg. 

Io  la  trovai 

Là  presso  la  cittade  in  quei  gran  prati  ^ 
Ove  fra  stagni  giace  un^ isoletta, 
Sovra  essa  un  lago  limpido  e  tranquillo , 
Tutta  pendente  in  atto,  che  parea 
Vagheggiar  sé  medesma,  ec. 

Tutte  le  vecchie  stampe,  non   che  la 
bodoniana,  leggono  concordemente  Sovra 
essa   un  lago   limpido  e  tranquillo  :    se 
non  che  l'edizione  fiorentina  pe'  Tartini 
e  Franchi,  la  quale,   come  è  noto,  fu 
condotta  da  monsignor  Bottari,  in  cam- 
bio di  Sovra  essa  un  lago^  ha  Sovr^  essa 
un  stagno;  leadone  ancor  più  torta,  che 
monsignore  accettò  senza  disamina  dalle 
varianti  del  codice  Baruffaldi.   Non   era 
per  altro  diflScile  a  comprendere  che  quel 
Sovra  essa  o  Sovr^essa  non  ha  senso  al- 
cuno e  conturba  tutto  il  periodo,  e  che 
in  quella  vece  s'ha  a  leggere  Sov/esso  o 
Sùvresso ;   dove  esso  sta  per  ripieno,  ed 
è  mamersL  elegantissima  di  nostra  lingua. 


Questa  correzione  fu  già  da  noi  introdotta 
nella  edizione  del  Teatro  scelto  ^  e  oppor- 
tunamente se  n'è  valuto  chi  ristampò,  a  * 
questi  ultimi  giorni,  sopra  dì  essa  VAmin^ 
ta:  ma ,  siccome  per  inavvertenza  non 
fu  d'ivi  levata  la  virgola  dopo  tranquillo 
(la  quale  è  ben  vero  che  sì  trova  in  tutte 
l'altre  stampe,  ma  si  rompe  a  sproposito 
la  continuità  del  concetto),  ancor  egli 
queir  accurato  editore  la  ritenne.  Né  qui 
si  ristette  la  sua  buona  fede;  perocché, 
essendo  scorsi  nella  medesima  edizione  due 
altri  errori,  cioè  quel  incantato  (At.  I, 
se.  II,  V.  a47  )  in  luogo  di  quelV  incan- 
tato ,  —  e  mai  povertà  (  At.  II ,  se.  I , 
V.  3a)  in  luogo  di  mia  povertà  y  egli  ne 
fece  la  cortesia  di  ricopiarli  ambedue  re- 
ligiosamente {*).  Il  che  ci  è  stato  cagione 
di  rìso;  e  in  grazia  di  quel  ridere  abbiam 
voluto  perdonargli  Tessersi  il  medesimo 
editore  fatto  bello  dell'^^/gome^ito  che  per 
la  prima  volta  fu  da  noi  posto  innanzi 
alla  Favola,  e  che  perciò  essendo  nostra 
proprietà,  nessuno'  ha  diritto  di  porvi  so- 
pra le  mani. 


(*)  Noi  però,  appena  accortici  di  tali  errori,  ab- 
biamo ristampate  le  carte  che  li  contenevano;  sicché 
la  nostra  edizione  al  presente  ne  va  pui*gata. 


Xllf 


Atto  II,  se.  Ili,  r.  67  e  seg. 


Perchè  dunque  non  osi  oitra  sua  voglia 
Prenderne  quel,  che;  se  ben  gra\^a  in  prima, 
Atfin  alfin  le  'sarà  caro  e  dolce 
Qìe  rabbi  preso? 

Nel  luogo  del  verbo  grava  pareva  a 
noi  che  saiia  stato  meglio  l'aggettivo  gra^ 
ve^  messo  in  opposizione  al  caro  e  dolce 
del  verso  che  siegue;  tuttavia,  tra  per- 
chè quel  verho  non  lascia  in  qualche 
modo  di  farvi  il  medesimo  officio,  e  per- 
chè tutte  quante  le  stampe  di  pregio  con- 
cordano in  questo  passo,  abniam  fatto 
tacere  l'opinion  postra,  e  lasciato  correre 
la  le2done  comune. 

Atto  //,  se.  IIIj  r.  Qi  e  seg. 

AmL  E  .chi  m'accerta 

Che  il  suo  desir  sia  tale? 
Tir,  Oh  mentecatto! 

Ecco,  tu  chiedi  pur  quella  certezza , 

Ch'a  lei  dispiace ,  e  che  spiacer  le  deve 

Dirittamente  ;  e  tu  cercar  non  dei. 

Ma  chi  t'accerta  ancor  che  non  sia  tale? 

Or  ^ ella  fosse  tale^  e  non  v'andassi? 

Eguale  è  il  dubbio  e  '1  rischio. 

L'errore  che  vogliamo  notare  è  nel  pen- 
ultimo verso  del  passo  allegato,    dove  si 


XIT 


/  ' 


trova  un  élla  che  a  nostro  giudizio  si  con* 
viene  cambiare  in  egli.  Di  fatto.  Aminta 
vuol  sapere  chi  mai  lo  accerta  che  il  de- 
sire di  Silvia  sia  tale,  cioè- d'essere  sor- 
presa da  lui  mentre  ch'ella  si  bagna  nel 
fonte  di  Diana:  e  Tirsi  gli  risponde,  bef-* 
fandolo,  ch'egli  non  dee  cercare  quella 
certezza  che  dirittamente  spiace  a  Silvia; 
tuttavia  soggiugne:  Ma  chi  t'accerta  art-- 
cor  che  non  sia  tale?y  cioè  che  tale  non 
sia  il  desiderio  di  lei?  e  poi  concfaiude 
dicendo  :  Ora  se  tale  fosse  (  cioè ,  se  tal 
fosse  il  suo  desiderio)^  e  tu  non  andarsi 
a  sorprenderla,  non  vedi  tu  che  saresti 
il  più  sciocco  uomo  del  mondo?  ~  Se 
questo  adunque  è  il  piano  discorso  di 
Tirsi,  si  fa  manifesto  che  l'aggettivo  tale 
del  penultimo  verso  si  riferisce  a  desire, 
come  vi  si  riferisce  pur  quello  del  verso 
avanti;  e  quindi  il  pronome  che  lo  pre- 
cede, stando  in  vece  di  de  sire  ^  vuol  esser 
egfi  e  non  élla.  Ritenendo  il  pronome 
ella^  non  veggiamo  che  ad  altro  e'  po- 
tesse riferirsi,  che  a  Silvia;  ma,  ne'  versi 
arrecati,  qual  diritto  sentimento  si  po- 
trebbe cavar  mai  dalle  parole  =  Or  s'ella 
fosse  tale?  «■,  cioè,  ^e  Silvia  fosse  tale? 
Laonde,  non  ostante  che  tutte  le  stampe  da 
noi  vedute  si  riscontrino  colla  bodoniana 


nel  leggere  eUay  ci  siamo  risoluti  alla  le- 
zione che  ne  venia  mostrata  dalla  Crìtica, 

Atto  JII,  se,  /,  r.  21  — aa, 

,  Noi  visto  non  Fabbiaoiy  da  poi  che  teco^ 
Buona  pezz*  ha ,  partì  : 

Buona  pezz^ìia  è  lessione  comparsa  la 
prima  volta  nella  cominiana  del  17^2.129 
ed  ignoriamo  con  quale  autorità  ve  la 
introducessero  que'  per  altro  dilìgenti  edi- 
tori. Tutte  le  stampe  antecedenti  hanno 
huoTia  pezza:  onde  noi  ci  siam  volentieri 
ad  esse  attenuti;  che  buona  pezza  è 
forma  ellittica  non  pure  usatissima  da^ 
Classici,  ma  d'assai  più  leggiadra  che 
r  altra ,  e  di  suono  sì  migliore ,  che  ha 
orecchio  ben  duro  clii  indugiasse  a  seb- 
tirlo. 

Jtto  /II,  se.  II,  r.  89. 
Oh  velo!  ho  sangue! 


Atto  III,  se.  II,  y.  109. 
Ta  mal  negasti^  ec. 

Notiamo  queste  due  mende  òx  ho  ^ 
Ferbo,  in  cambio  di  oh  interiezione,  —  e 
di  mal  n^asA  in  cambio  di  77^2  negasti , 


XVI 


acciocché  si  vegsa  da  coloro  i  quali,  per 
non  essere  pratichi  di  tali  faccende,  ad 
ogni  minima  inesattezza  levano  le  grida , 
per  quante  vie  possano  entrare  infiniti 
errori  nelle  stampe,  ingannando  ancor  gli 
occhi  più  acuti  e  più  esperti. 

« 

Atto  IV^  se.  /,  r.  70  —  71. 

.  .  .  .  ^ elle  y  se  creduto 

V asbesti,  avresti  amato  chi  t'amava,  ec. 

God  pur  tutte  quante  Fedisdoni  più 
stimate.  E  come  mai  ninno  si  fu  accorto 
che  non  (wesli  (seconda  persona  del  pas- 
sato perfetto  delP indicativo),  ma  è  forza 
leggere  avessi  (seconda  persona  del  pas- 
sato imperfetto  del  soggiuntivo  condizio- 
nale), cosi  richiedendo  il  sentimento  de^ 
terminato  dall' apre^fo  che  sìegue?  Questo 
errore  fu  schivato  per  la  prima  volta  nel 
nostro  Teatro  scelto  già  citato,  e  quindi 
ne  va  netta  ancor  qualche  altra  stampa 
condotta  sopra  di  esso. 

Atto  IV,  se.  I,  r.  73. 
n  credo  io  ben^  anzi  Fho  visto ^  e  solo: 

Si  riscontri  il  luogo,  e  di  sùbito  si 
parrà  che  non  solo  ^   ma  sòUo  ^  cioè  lo 


xvri 

SO,  si  vuol  leggere  con  tutte  l'altre  edi- 
zioni. 

j4tto  IP^,  se.  /,  r.  i44  — '45. 


e  s^era 


Tao  de$tin  che  tu  fosti  in  morte  amato;  ec. 

Qui  pure  è  scorso  fosti  in  luogo  di 
fossi;  della  qual  macchia  van  lorde  tutte 
le  stampe  anteriori  al  nostro  Teatro  scelto. 

Atto  V,  y,  53. 
Si  che  sarà  del  lor  volere  il  suo. 

Sarà  per  farà  e  errore  tutto  proprio 
della  bodoniana. 

Atto  V^  v.  6i  e  seg. 

Quivi  con  Tirsi  ragionando  andava 
Pur  di  colei  y  che  nelFistessa  rete 
Lui  prima,  e  me  dappoi  ravvolse,  e  strinse} 
£  preponendo  alla  sua  fuga,  al  suo 
Libero  slato  il  mio  dolce  servìgio  ;  ec. 

Da'  versi  allegati  si  comprende  che 
£lpino  (è  questi  che  park)  prepone  al 
Ubero  slato  di  Tirsi  lo  stato  suo  di  dolce 
serpftò.  Or  pare  a  noi  che  la  voce  servi'^ 
gio  contenga  un  significato  attivo,  se  cosi 
può  dirsi  gramaticalmente,  e  importi  ciò 
che  altri  fa  seivendo^   non   già  lo  slato 

Tasso,  Fai  IV.  b 


XYIII 

in  che  è  ridotto  chi  serve  ^  il  quale  è  stato 
passivo  9  — e  che  il  proprio  vocabolo  espri- 
mente questa  seconda  idèa  sìa  servaggio. 
Anche  al  Petrarca  (Capit.  iV,  verso  la 
fine)  si  fece  dire  negli  stampati: 

E  vidi  a  quel  servigio,  ed  a  qual  morte , 
Ed  a  che  strazio  va  chi  s'innamora; 

ma  ne'  migliori  testi  a  penna  si  legge  ^er- 
poggio;  e  servalo  ha  quivi  novellamente 
restituito  l'ottima  edizione  del  professore 
Marsand.  Noi  dunque  pensiamo  che  F  e- 
guale  alterazione  succedesse  nel  copiare  il 
testo  del  Tasso;  e  quindi,  benché  in  tutte 
le  stampe  si  trovi  servigio^  v'abbiamo 
francamente  sostituito  servalo  (che  è 
voce  usata  pur  altrove  dal  nostro  poeta  ), 
presagendone  il  cuore  che  buoni  codici 
giustificheranno  il  nostro  ardire. 

Jtto  V.  r.  139. 

# 

Aminta  è  sano  si;  ch'egli^fa  fuori 
Siel  rischio  della  vita? 

A  questo  istesso  modo  leggono  le  tre 
aldine,  la  cominìana,  ec«  ec«;  ma  l'ordine 
del  discorso  richiede  che  nella  sede  di  fia 
si  ponga  sia^  e  noi  ve  l'abbiam  posto. 

Tali   sono    i    più   notabili   difetti    che 


XIX 


scemano  il  pregio  dell' edizione  da  noi  presa 
per  testo,  e  che  abbiamo  fuggiti.  Oltre- 
diche  ce  ne  siamo  assai  volte  scostati 
in  quanto  alla  puntatura,  riducendola  a 
queUa  esattezza  che  per  noi  si  poteva 
madore;  tantoché  varj  passi,  che  in  essa 
e  nell'altre  sUmpe  riescono  a  prima  giunta 
oscuri,  si  presentano  subito  chiarissimi  in 
questa  nostra,  senz'ajuto  d'altra  cosa,  che 
d'una  più  ragionata  distribuzione  delle 
pause  e  degli  accenti.  Non  diremo  per 
questo  d'aver  finalmente  ridotto  Y Aminta 
alla  vera  lezione  :  ciò  disse  il  Serassi  in 
fronte  all'edizione  bodoniana  (*)!;  e  le  no- 
stre postille  dimostrano  abbastanza  quanto 
fosse  immodesta  quell'asserzione:  l'esem- 
pio suo  pertanto,  s'^ altro  non  fosse,  ci 
dee  far  mettere  in  guardia  a  non  ci  la- 
sciar levare  in  simili  borie.  Ma,  dawan- 
tag^o,  noi  medesimi  stiamo  tuttora  in 
forse  della  sincerità  d'alcuni  passi,  i  quali 
nondimeno  non  abbiam  voluto  toccare, 
non  tanto  rattenuti  dalla  concorde  lezione 
delle  stampe  migliori,  quanto  perchè  ben 
vedevamo  che  a  un  bisogno  non  potreb- 
bero mancar  ragioni  per  difenderli;  e  né 
pur  ci  parve  d'avvertirli,  fatti  accorti  dal 


(*)  Vedi  indieti*o  la  nota  a  car.  vi. 


Tasso  medesimo,  il  qual  s'ebbe  gi-andc 
mente  a  pentire  d'aver  comunicato  co' 
Letterati  di  Siena  certi  suoi  dubbj  intorno 
ad  alcune  parole  e  cose  della  Gerusalein" 
me;  perocché  di  poi  si  fece  di  esse  infinito 
remore,  laddove  ninno  per  avventura  vi 
^  avrebbe  mai  rivolta  l' attenzione  s'  egli  si 
fosse  taciuto. 

JJAmor  fugff^dvo  è  correttissimo  nella 
suddetta  edizione  bodoniana  ;  onde  V  ab- 
biamo fedelmente  seguita. 

Le  Poesie  pastorali  da  noi  raccolte  si 
ristringono  a  sei  componimenti,  fra'  quali 
ne  parve  di  non  dover  omettere  quella 
graziosissima  egloga  che  fu  la  prima  volta 
data  a  luce  in  sull'  occasione  delle  nozze 
del  conte  Giulio  Perticari,  e  che  noi  in- 
titoliamo La  Festa  campestre.  Ma  ridurre 
questi  sei  componimenti  a  ragionevole  le- 
zione fu  certo  non  lieve  fatica;  e  special- 
mente il  Rogo  di  Corinna  è  così  guasto 
nell'edizioni  e  vecchie  e  recenti  da  noi 
esaminate,  che  troppo  lunghi  saremmo 
a  voler  tutti  indicare  i  difetti  che  abbiam 
procacciato  di  medicarvi.  A  fine  però  di 
dare  a'  Lettori  alcuna  testimonianza  delle 
cure  da  noi  impiegate   per  meritarci  qui 


XXI 


pure  il  loro  aggradimento,  abbiamo  di 
quando  in  (piando  (nel  jRogo  di  Corinna) 
notalo  a  pie  di  pagina  gli  errori  più  mas- 
sicci da  noi  rimossi,'  o  le  magagne  che 
hanno  bisogno  di  maggiore  industria  che 
non  è  la  nostra,  ad  essere  sanate.     \ 

4 

Resta  ora  che  diciamo  delle  Poesie  li- 
riche. E  primamente  9  vedendo  che  il  Mu- 
ratori, il  Salvini,  il  Parini  ed  altri  insigni 
Letterati  s'accordano  in  affermare  che  il 
Tasso  riusci  incomparabile  nelle  canzoni^ 
le  abbiamo  tutte  ristampate,  fuor  sola- 
mente d'alcune  poche  le  quali  ci  hanno 
viso  d' essere  de'  primi  sperimenti  giovenili, 
o  che  lasciano  molto  aubitare  della  loro 
legittimità.  Non  vorremmo  però  cha  ta- 
luno si  credesse  che  noi  le  avessimo  tutte 
quante  in  egual  pregio  :  certo  che  noi 
non  ci  teniamo  da  tanto  da  farci  giudici 
di  quel  grand' uomo;  pur  conosciamo  che 
alcune,  colpa  forse  de'  testi  alterati,  rie- 
scono qua  e  là  più  oscure,  che  sublimi, 
o  per  altre  cagioni  assai  pèrdono  dalle 
compagne;  ma,  che  si  sia,  non  dubi- 
tiamo di  dire  ninna  avercene  dove  non 
si  manifesti  in  qualche  tratto  il  sovrano 
maestro,  e  dove  non  si  trovino  più  cose 
da  poter  imparare. 


xxn 


Quanto  poi  a'  sònetd  ed  a*  madrigali^ 
il  Tasso  ne  compose  tante  e  tante  cen- 
tìnaja,  che  per  necessità  ve  ne  doveano 
esser  parecchi  (come  già  disse  giudizio- 
samente il  Serassi)  da  non  conìspondere 
all'usato  suo  valore.  E  però,  dopo  rac- 
colti tutti  quelli  che  meritamente  sono 
lodati  da'  più  sottili  Critici,  e  aggiùn- 
tivi tutti  quelli  che  furono  dal  Tasso 
medesimo  cementati  (parendoci  che  l'a- 
versi tolta  si  gran  fatica  sia  probabilis- 
simo indizio  della  stima  ch'ei  ne  facea), 
ci  siamo  ristretti  a  scegliere  fra  i  rima- 
nenti que'  soli  che  maggiore  impressione 
ci  fecero  al  cuore  od  alla  fantasia,  avendo 
inoltre  avuto  riguardo  a  dare  a  quelli  la 
preferenza ,  i  cui  concetti  racchiudono 
una  bellezza  assoluta  e  da  piacere  in  ogni 
tempo,  non  già  relativa  alla  difficoltà  del 
tema,  o  risultante  dal  confronto  fra  l'oc- 
casione che  li  fé'  nascere  e  l'artifizio  im- 
piegato a  significarli.  Laonde  pare  a  noi, 
che,  posto  per  fondamento  di  non  ri- 
stampare ogni  verso  che  fu  dettato  dal 
Tasso,  ma  quelli  soltanto  che  sono  pro- 
porzionati all'espettazione  che  ha  il  mondo 
di  quel  maraviglioso  ingegno,  non  ci  fosse 
miglior  via  da  conseguire  un  tal  fine.  A. 
ogni  modo,    la  si  fatta    trascelta  otterrà 


XXIIl 

ella  r approvazione  del  Pubblico?  Lecito 
è  sperarlo;  tenersene  certi  sarebbe  teme- 
rità: che  dove  entrano  a  dar  sentenza  i 
gusti  degli  uomini  9  il  trovare  concordia 
è  quasi  una  impossibile  cosa.  Quello  per 
altro  che  possiamo  asseverare^  si  è  che 
non  perdonammo  a  fatica  ed  a  medita- 
zione per  ottener  d'uscire  con  qualche 
onore  dalla  nostra  impresa.  Non  c'intrat- 
terremo però  a  cavare  in  mostra  gl'in- 
finiti racconciamenti  d'ogni  maniera  da 
noi  fatti  comparando  insieme  le  differenti 
stampe  che  potemmo  consultare ,  ed  aju- 
tandoci  co'  lumi  della  critica ,  >  si  perchè 
il  recare  in  mezzo  anco  i  soli  principali 
saria  troppo  maggior  fascio  che  si  possa 
stringere  fra  i  brevi  termini  d' una  Pre- 
{azione,  e  né  tampoco  si  saria  potuto 
farlo  di  mano  in  mano  per  via  di  note 
a  pie  di  pgina,  che  troppo  spesso  avreb- 
bere  turbato  l'ordine  del  testo,  —  e  si 
ancora  perchè  ne  giova  sperare  che  i  di- 
screti Lettori,  avendo  avuto  neUe  com- 
posizioni antecedenti  non  picciola  caparra 
della  minuta  diligenza  e  delle  gelose  caur 
tele  con  che  seghamo  condurre  simili  la- 
vori, non  isdegneranno  un  tratto  d'aveif 
fede  nella  nostra  parola  (*).  E  questo  sia 

{*)  In  qualche  luogo  per  altro,  e  specialmente   in 


XXIV 


brevemente  detto  per  una  cotal  giustifi- 
cazione de'  mentovati  racòbnciamentì ,  i 
quali  sarebbero  stati  ancora  in  numero 
più  spessi ,  se  dall'  una  parte  la  nostra 
grande  venerazione  al  Tasso,  e  dall'  altra 
la  poca  fidanza  nel  nostro  parere  non  ci 
avessero  astretti  parecchie  volte  a  passar 
oltre  a  più  cose  di  che  il  nostro  intimo 
senso  non  si  appagava  pienamente.  Sic- 
ché, mentre  abbiam  qualche  cagione  di 
credere  che  questa  nostra  ristampa  del 
Canzoniere  del  Tasso  sarà  sottosopra  giu- 
dicata migliore  dell'edizioni  che  ne  gira- 
vano intorno  da  prima ,  la  reputiamo 
tuttavia  ancor  essa  lontana  da  quell'ul- 
tima perfezione  che  avremmo  desiderata; 
né  ciò  (lo  diciam  ^ul  sicuro)  sarà  pxM 
conseguito  infino  a  tanto  che  non  ven- 
gano in  abile  mano  così  le  proprie  corre- 
zioni di  Torquato  già  possedute  o  vedute 
dal  Serassi  (*),  come  i  diversi  autografi 
che  si  conservano  in  varie  librerie. 


fine  di  questo  volume,  a  car.  607  e  seg.,  abbiamo  avver- 
tite alcune  poche  cose,  le  quali  o  non  ci  parevano  da 
potersi  passare  in  silenzio,  o  giovava  che  fosser  note 
al  Lettore,  acciò  ei  possa,  piacendogli ,  esercitarvi  an- 
cor egli  il  proprio  ingegno. 

(*)  Alcune  di  tali  correzioni  sono  riportate  dal  Se- 
rassi nella  Vita  del  Tasso,  e  noi  ne  abbiamo  a  suo 
luogo  fatto  uso. 


XXV 

Da  ultimo,   per  non  lasciare  indietro, 
quanto  era  a  noi,   cosa  alcuna  da  poter 
rendere  più  accetta  al  Pid>blico   la   pre- 
sente edizione,  a  ciascuna  poesia  abbiam 
posto  un  poco  d'argomento,  sempre  di- 
steso con  succosa  brevità;  nella  quale  ope* 
razione  ci  è  stato   forza    dipartirci  il  più 
delle  volte  da  ciò  che  fecero  i  precedenti 
editori  (*),   i  quali   o   non    ispecificano 
cosa  alcuna,  —  o,   coli' accennar  troppo 
poco,   lasciano   il   lettore  così  al   bujo,  * 
come  se  niente  accennassero,  —  o,   che 
è  peggio,  interpretano   talvolta  inesatta- 
mente ed  anche   a   rovescio  i  sentimenti 
del  poeta.  Gonvien  però  confessare  che  il 
Tasso  nelle  Rime   liriche  usa  benespesso 
una  tessitura   di   concetti  si   artifizìati  e 
misteriosi,  che  a  trame  il  sugo  è  uopo 
di  molta  considerazione. 

Milano,  il  i5  di  giugno  i8a4« 


(*)  Tra  redizioni  da  noi  vedute,  gli  argomenti  di 
quella  del  Marchetti  (Brescia,  1592  —  98)  sono  i  mi- 
gliori; tuttay/a  non  li  stimiamo  dettali  dal  Tasso  me- 
desimo, come  taluno  suppose;  che  la  qualità  dello  stile 
e  alcuna  volta  la  loro  inesattezza  assai  li  accusa  per 
iattura  d^  altra  mano. 


PREFAZIONE 


DELL'ABATE 


PIERANTONIO    SERASSI 


LjAnunia  dì  Torquato  Tasso  è  componi- 
mento cosi  leggiadro^  elegante  e  perfetto  in 
ogni  sua  parte  ,  ch^  ei  viene  meritamente  ripu- 
tato per  uno  de^  più  cari  giojeifi  che  abbia 
Fitaliana  poesia.  La  gloria  di  questo  nuovo  ge^ 
nere  di  dramma,  affatto  incognito  a'  Greci  ed 
ai  Latini ,  egli  è  fuor  di  dubbio  che  tutta  è  do- 
vuta alla  nostra  Italia.  Perciocché  e  gP Italiani  ne 
furono  gf  inventori^  ed  essi  soli  lo  nobilitarono 
e  rìdusserlo  a  quel  sublime  grado  di  perfezione 
a  cui  si  vide  salire  in  poco  tempo ,  mercè  T  in- 
dustria e  il  fine  e  delicato  gusto  de^  nostri  va- 
lorosi poeti. 

Agostino  Beccari  ferrarese ^  uomo,  a  dir  ve- 
ro, di  non  esquisite  lettere,  ma  di  fecondo  e 
felicissimo  ingegno,  fu  il  primo  ad  introdurre 
sulle  scene  i  pastori ,  e  formarne  col  suo  dramma 
intitolato  //  Sacrificio  una  regolata  e  compiuta 
azione;  mentre  prima  di  lui  non  s'erano  vedute 
che  nude  e  semplici  egloghe,  senza  favola^  senza 
intreccio  e  senza  ver  un  convenevole  scioglimento. 
Questa  Pastorale  iìi  per  ben  due  volte  rappre- 
sentata   con   grandissimo   applauso    in  Ferrara 


xxviii 

Tanno  i554;  e  nel  i555  fu  data  in  luce  sotto 
la  protezione  delle  due  principesse  estensi  Lu- 
crezia e  Lionora  ^  in  quel  tempo  assai  giova- 
nette. 

L'esito  felice  di  questa  Favola  del  Beccarì  non 
potè  non  destare  dell'emulazione  ne'  Letterati 
ferraresi  j  onde  Alberto  Lollio^  oratore  e  poeta 
illustre;  si  diede  quasi  sùbito  a  comporre  an- 
ch' esso  una  commedia  pastorale ,  che  intitolò 
YAretusa;  la  quale  essendo  scritta  con  artificio 
e  politezza  maggiore  dell' altra  ^  posta  poi  sulle 
scene  l'anno  i563;  riusci  cosa  molto  dilettevole, 
e  venne  perciò  a  vie  più  nobilitarsi  questa  nuova 
maniera  di.  poesia  boschereccia.  Ne  passarono 
quattro  anni ,  che  se  he  vide  comparire  una  ter- 
za, e  questa  fu  Lo  Sfortunato  ^  Favola  pasto- 
rale di  Agostino  Argenti,  anch^esso  gentiluomo 
ferrarese ,  la  cui  rappresentazione  segui  con 
molta  pompa  nel  maggio  del  1 567  alla  presenza 
del  duca  Alfonso  II,  del  cardinal  Luigi  suo  fra- 
tello, e  del  principe  Francesco  loro  zio,  essendone 
prìncipal  attore  quel  celebre  Verato  (*)  che  fu 
comunemente  riputato  il  Roscio  de'  tempi  suoi. 

Il  Tasso,  che  non  guari  innanzi  era  venuto  in 
Ferrara  a'  servigi  del  cardinal  d'Este,  intervemie 
fortunatamente  a  questo  spettacolo;  né  si  po- 
trebbe esprimere  il  diletto  cli^  egli  ne  provò ,  e 
quanto  perciò  s'invaghisse  di  questo  bellissimo 
genere  di  dramma.  Vide  bensì  che  in  mano  di 
più  abile  artefice  poteva  migliorarsi  di  Uiolto,  e 
riuscir  cosa  esquisita;  ond^è  credibile  che  insin 


(*)  V.  il  son.  XIV  a  car.  374.  —  (Gli  Edit.  ) 


XlIX 


da  questo  punto  ei  concepisse  il  disegno  di  scri- 
vere il  suo  Aminta ,  al  quale  per  altro  non  pose 
mano  che  parecchi  anni  dappoi. 

Era  in  quel  tempo  il  Tasso  tutto  occupato 
intorno  al  lavoro  del  suo  poema  ^  ripigliato  da 
lai  con  molto  impegno  per  compiacere  il  duca 
Alfonso  che  se  ne  mostrava  invogliatissimo,  e 
gli  facea  perciò  infiniti  favorì:  sicché  gli  con- 
venne per  allora  metter  da  parte  questa  idea  y 
e  rìserbarlasi  a  tempo  migliore.  Non  lasciò  per 
altro,  nella  lettura  che  egU  andava  facendo  de^ 
Greci  e  de^  Latini,  di  notare  a  questo  efietta 
e  di  far  conserva  delle  forme  e  de  concetti  più 
leggiadri  e  gentili  per  adornarne  a  tempo  de* 
bito  la  sua  Favola  ;  di  che  può  essere  buon  te- 
stimonio un  Teocrito  che  io  posseggo,  tutto 
segnato  e  postillato  da  lui. 

Una  scorsa  però  che  il  duca  ebbe  a  fare  in* 
sino  a  Roma  nel  gennajo  del  iSyS,  porse  final- 
mente al  nostro  poeta  f  opportunità  di  eseguir 
r ideato  disegno^  onde,  trovandosi  più  libero  del 
solito ,  e ,  ciò  che  più  importa ,  coW  animo  ri- 
posato e  tranquillo ,  si  mise  a  stendere  il  suo 
Aminùij  e  vi  lavorò  intomo  con  tanto  genio  e 
con  si  fortunata  facilità  (  *  ) ,  che  in  meno  di  due 
mesi  Tebbe  ridotto  a  compimento;  e  cosi  venne 
a  formar  questo  perfettissimo  dramma,  che  sarà 
sempre  riguardato  per  il  modello  più  nobile  che 
abbia  la  lingua  e  la  poesia  italiana,  della  purità, 
deir eleganza  e  del  vezzo-,  e  pari  a  cui,  per  giudi- 
zio degl'  intendenti ,  non  s'è  per  anco  veduto  altro 

(*)  La  bodoniana  in  vece    di  fiicililà   ìe^^e.  felicità  ^ 
ma,  crediam  noi*  erroneamente.  —  (Gli  Edit  ) 


XXX 

componimento  in  qualunque  altro  linguaggio^ 
o  vogliasi  risguardare  la  gentilezza  e  proprietà 
de^  concetti  adattati  al  costume  delle  persone 
introdotte^  o  considerar  le  natie  grazie  e  la  ve- 
ramente attica  venustà  dell'espressione. 

È  poi  cosa  degna  di  meraviglia  il  vedere  eoa 
quanta  eccellenza  abbia  il  Tasso  saputo  confor- 
mare il  proprio  stile  ai  varj  generi,  cioè  al  su- 
blime, al  mezzano  e  all'umile,  non  punto  dis- 
somigliante anche  in  questo  dal  suo  Virgilio^ 
ch'egli  s'avea  proposto  per  esemplare.  In  fatti 
quanto  egli  si  mostra  grande,  sollevato  ed  eroico 
nel  suo  maggior  poema ,  altrettanto  è  sedato , 
gentile  e  semplice  in  questo  boschereccio  com- 
ponimento. Perciocché  convenendogh  d'accomo^ 
darsi  interamente  al  costume  ch'avea  tolto  ad 
imitare,  non  gli  fu  mestiero  d'andar  in  traccia 
di  parole,  frasi  o  giri  che  avessero  del  pelle- 
grino, o  si  scostassero  punto  dal  comune  lin- 
guaggio poetico  3  ma  solo  dovette  scegliere  nella 
nostra  lingua  le  voci  più  pure  e  più  leggiadre, 
e  le  maniere  di  favellare  più  gentili,  e  queste 
accozzare  insieme  in  guisa,  che  nel  verso  venis*- 
sero  a  formare  un  suono  tutto  semplice  nello 
stesso  tempo  e  tutto  grazioso. 

Più  d'ogn'  altra  cosa  però  si  vede  ch'ei  pose 
cura  di  andar  imitando  negli  eccellenti  Greci  e 
massimamente  in  Ànacreonte,  in  Mosco,  e,  come 
detto  abbiamo,  in  Teocrito,  certe  figure,  certi 
traslati,  certe  immaginette,  certi  vezzi  in  somma 
che  sembrano  affatto  naturali,  e  pur  sono  arti- 
ficiosissimi e  sommamente  delicati  :  nella  quale 
imitazione  il  Tasso  si  contenne  veramente  da 
quel  grand^uomo  ch'egli  era;  perciocché  non 


XXXI 

ricopiò  già  egli  9  né  troppo  da  vicino  imitò  ^  ma 
sol  tronco  delle  greche  bellezze  innestò^  per  così 
dire  j  le  sue  proprie  e  quelle  della  sua  lingua  ^ 
di  modo  che  uè  venne  a  produrre  un  frutto 
nostrale  assai  piacevole^  e  per  avventura  anche 
più  saporoso  del  piimo  ed  originario. 

Né  meno  riguardevoli  e  sorprendenti  sono  i 
pregi  interiori  di  questa  incomparabile  Pastorale. 
La  favola  v'è  benissimo  intessuta ,  eccellente*- 
mente  condotta  e  sciolta  con  nuovo  ed  inaspet- 
tato artificio.  U azione  è  una  sola,  accompagnata 
da'  suoi  verisimili  episodj^  e  i  varj  accidenti 
che  vi  8^  incontrano ,  si  veggono  prodotti  con 
molta  naturalezza  Funo  dall'altro,  senza  biso- 
gno d*  ajuti  esteriori  j  e  cosi  viensi  a  sciogliere 
felicemente  il  viluppo  del  dramma  con  la  peri- 
pezia e  con  una  spezie  di  riconoscimento,  il 
quale,  tuttoché  non  sia  come  quello  deìVEdipo 
tiranno,  tanto  lodato  da  Aristotile,  né  di  quella 
perfezione  che  si  richiede  nelle  tragedie,  é  tut- 
tavia molto  appropriato  alla  quahtà  de'  perso- 
naggi e  dell'azione,  e  genera  perciò  la  meravi- 
gtia  accompagnata  dal  credibile  e  dal  verisimile, 
che  sono  li  due  cardini  principali  deli'  arte  poetica. 
•  Al  ritomo  del  duca  a  Ferrara  furon  sùbito 
fatti  i  debiti  preparamenti  per  la  rappresenta- 
zione deìTyinUnta,  la  quale  fu  appunto  eseguita 
noUlissimamente  nella  primavera  dello  stesso 
anno  1573  con  quel  diletto  degli  spettatori  ed 
applauso  del  poeta  che  ognuno  si  può  immagi- 
nare. Madama  Lucrezia  da  Este,  principessa  di 
Urbino^  al  cui  orecchio  erano  giunte  ben  pre- 
sto le  meraviglie  che  si  dicevano  di  questo  ga- 
lantissimo componimento,  s'invogliò  oltra  misura 


di  sentirlo:  e  com^ella  era  padrona  confidentis- 
sima deir  autore y  fece  opera  elisegli  con  buona 
grazia  del  duca  se  ne  venisse  a  Pesaro^  e  quivi 
glielo  leggesse,  come  fu  fatto.  Piacque  maravi- 
gliosamente a  tutta  la  corte  ;  onde  la  prìnci- 
?essa^  avutane  con  bel  modo  una  copia  dal 
asso ,  volle  che  nel  seguente  carnovale  da  al- 
cuni giovani  cavalieri  si  recitasse. 

Come  poi  riuscisse  nuovo  questo  spettacolo  ^ 
e  quanto  piacere  apportasse   a   cliiunque   vi  si 
trovò  presente,  si  ha  da  una  lettera  inedita  di 
Tiberio  Àlmerici,  comunicatami  cortesemente  dal 
dottissimo  signor  Annibale  degli  Abati  Olivieri. 
In  questa ,  ch^  è   scrìtta  da  Pesaro  V  ultimo  di 
febbrajo  del  1674  a  Virginio  Almerìci,    che  si 
trovava   allo  Studio   di  Padova ,  dopo   d' aver 
parlato  d'un    bellissimo    tomeamento    che    fu 
fatto  in  quel  carnovale^  e   della  recita  di  una 
commedia  di  Sforza  degli  Oddi  perugino,  inti- 
tolata V  Erqfilomachia ,  owero  Duello  d Amore 
e  d Amicizia ,  soggiunge  :   «  li  terzo  spettacolo 
<f  che  si   è   goduto  questo  carnovale,   è   stato 
«f  un*'  egloga  del  Tasso  ^  che  fu  recitata  questo 
«  giovedì  passato   da   alcuni   giovani  d^  Urbino 
«  nella  sala  che  fu  fatta   per  la   venuta  della 
u  principessa}  ed  è  stata  tenuta  per  una  delle 
•I  vaghe    composizioni  che  siano   finora  uscite 
«  in  iscena  in  tal  genere;  perchè  ci  erano  bel- 
«  fissimi  e  piacevolissimi  concetti  ;   e  V  azione , 
u  ancoraché  semplice,  è  molto  piacevole  ed  af- 
«  fettuosa.   È  ben   vero  che  per  venta   non  è 
Ci  stata  in  alcune  parti ,  e  principali ,  cosi  ben 
(•  rappresentata,  come  meritava^  massime  negli 
«  aftctli,  da'  quaU  nasceva  il  principale  diletto 


XXXIII 

«  deir egloga.  Pure  da  quelli  che  ne  hanno  gu- 
«  sto,  è  stata  giudicata  per  cosa  rara;  e  quello 
«  che  di  grana  s^è  aggiunto  a  quest^  egloga,  e 
«  e*  ha  piaciuto  più  che  mediocremente ,  è  la 
«  novità  del  coro  fra  ciascuno  atto,  che  ren- 
«  deva  maestà  mirabile,  e  recava  con  piacevo* 
«  fissimi  concetti  infinito  diletto  agli  spettatori 
«  ed  ascoltatori,  n  Passa  poi  a  dire  come  que^ 
recitanti  erano  partiti  per  Fossombrone,  a  fine 
di  rappresentarla  al  cardinal  della  Rovere  che 
n^  era  desiderosissimo. 

Dopo  alquanti  anni  fu  pure  questa  Favola  rap- 
presentata in  Mantova  con  quella,  magnificenza 
ch'era  propria  del  duca  Guglielmo;  e  il  Tasso 
medesimo  V invitò  diversi  signori,  e  tra  gli  al- 
tri il  principe  di  Molfetta,  e  Ranuccio  Farnese 
principe  di  Parma.  Ma  con  molto  maggior  ma* 
gnificenza  d^  apparato  fu  circa  il  iSqo  fatta  re- 
citare in  Firenze  dal  granduca  Ferdinando,  il 
quale  essendosi*  per  le  macchine  e  per  le  pro- 
spettive valuto  dell^  opera  di  Bernardo  Buonta* 
lenti,  celebre  ed  ingegnosissimo  dipintore,  riuscì 
perciò  fazione  si  fattamente  applaudita,  e  con 
tanta  meraviglia  degli  spettatori,  che  è  fama 
che  Torquato  medesimo  si  movesse  a  portarsi 
nascostamente  a  Firenze  per  conoscere  il  Buon- 
talenti,  ed  appena  salutato  e  baciatolo  in  fron- 
te, se  ne  partisse,  senza  altrimenti  presentarsi 
al  granduca,  che  molto  desiderava  di  vederlo 
e  &  onorarlo  (*). 

{*)  Merita  d^ esser  qui  notato  che  YAnunta  fu  pure 
Tasso,  F"oL  IV,  e 


XXXIV 

Non  sì  tosto  poi  usci  alla  luce  questa  vaghis- 
sima Pastorale  (il  che  fu  Fanno  iS8i  per  le 
stampe  di  Aldo  il  giovine  ),  eh'  ella  accese  della 
sua  bellezza  non  pur  la  nostra  Italia ,  ma  tutte 
le  nazioni  più  colte  j  sì  ch^  elle  fecero  a  gara 
nel  ristamparla  e  nel  volerla  eziandio  traslatata 
nel  proprio  Unguaggio.  Tra  queste  la  lettera- 
tissima  nazione  francese  fu^  com'era  ben  da 
credersi^  la  prima  a  mostrarsene  altamente  in- 
vaghita; giacché  nel  ì584>  oltre  all'averla  ri- 
prodotta in  Parigi  secondo  F  originale  per  Abel 
r  Angelier  ^  in  - 1  a  ^  la  vide  altresì  tradotta  lo 
stesso  anno  in  versi  francesi  da  Pietro  de  Brach 
consigliere  del  re^  ed  impressa  in  Bordeaux  sotto 
gli  auspicj  di  madama  Margherita  di  Francia  ^ 
reina  di  Navarra  :  e  questa  traduzione  fu  poi 
seguita  in  appresso  da  altre  quattro,  due  delle 
quali  in  versi  j  la  prima  del  sig.  di  Raissìguier, 
1  altra  dell'  abate  de  Torclies  ;  e  due  in  prosa , 
l'una  di  Mr.  Pecquet,  e  l'ultima  di  Mr.  1  Esca- 
lopier. 

Quasi  contemporaneamente  alla  prima  ver- 
sione francese  ne  comparve  una  in  lingua  illi- 
rica, fatta  da  Domenico  Slaturichia,  celebre  in 


i*appresentato  il  i°  di  maggio  del  i58i  nel P  Accademia 
di  Verona  da  alcmii  di  que'  giovanetti.  Avendo  essi 
invitati  gli  Accademici  a  ridursi  air  ombra  de^  lauri 
vicini,  senza  accennar  loro  a  qual  fine  il  facessero,  al- 
r improvviso  si  scoperse  quivi  una  scena  pastorale,  o ve ^ 
con  gran  piacere  degli  ascoltanti,  e^  recitarono  la  detta 
Favola.  (Let.  d'Alberto  Lavezzola,  riportata  dal  dottor 
Pietro  Mazzticchelli  dopo  le  Lettere  ed  altre  prose  di 
Torquato  Tasso  da  lui  pubblicate  in  Milano  il  1822  co' 
tipi  del  Pogliani.  )  —  (  GU  Edit.  ) 


XXXV 

Dalniazia  per  allre  simili  traduzioni.  Poco  di 
poi;  doè  nel  1607 ,  anche  la  Spagna  n^ebbe 
una  bellissima ,  ingegnoso  lavoro  di  don  Gio- 
Tamii  di  Jauregui,  della  quale  Don  Michele  di 
Cervantes,  quel  grande  scrittore  spagnuolo,  non 
<faibiiò  di  pronunziare,  essere  cosi  felice  e  leg- 
giadra ,  che  mal  si  potrebbe  distinguere  qual  sia 
la  tradazione  e  qual  F  originale. 

Nel  161 5  ne  fu  altresì  fatta  in  Gei^nania 
im^  elegante  versione  latina  in  versi  senarj ,  fa- 
tica di  Andrea  Hdebrando  Pomerano,  che  la 
pubblicò  in  Francfort  per  le  stampe  dei  Vecheli, 
in  8.^;  e  nel  1628  se  ne  vide  comparir  alla  luce 
una  inglese  del  sig.  Oldmixon,  assai  pregiata,  e 
impressa  in  Londra ,  dove  sino  dal  1  Sg  1  erasi  già 
stampato  l'originale  italiano  da  Giovanni  Volfeo 
a  spese  di  Jacopo  Castelvetro.  Nel  1 642  &  que- 
sta Pastorale  tradotta  parimente  in  lingua  tede^ 
sca  da  Michele  Schneidem,  e  stampata  in  Am- 
borgo^  in  12.^;  nel  1715,  nell'idioma  olandese 
da  G.  B.  Dellekens ,  impressa  in  Amsterdamo  y 
e  finalmente  nel  in4^^  in  greco  volgare  da  in- 
certo ,  e  stampata  m  Venezia  per  Niccolò  Glica 
de*  Giovannini,  in  8.^ 

Più  di  tutte  r  altre  provincie  però  la  nostra 
Italia  corse  appresso  perdutamente  a  questo  bel- 
lissimo genere  di  dramma;  né  vi  fu  quasi  rima- 
tore, verso  la  fine  del  sedicesimo  secolo  e  sul 
principio  del  diciassettesimo,  che  non  impren- 
desse a  scrìvere  una  Favola  boschereccia,  o  una 
tragicommedia  pastorale  -,  cosicché  nel  161 4 
Clemente  Bartoli,  gentiluomo  urbinate,  secon- 
dochè   racconta    Lodovico   Zuccolo  ,    ne ,  avea 


\ 


XXTVI 

raccolte  insino  a  ottanta;  e  Tanno  1700,  tempo 
in  cui  nions.  Fontanini  pubblicò  il  suo  Aminta 
difeso  9  Giannantonio  Moraldi  ne  mostrava  in 
Roma  sopra  dugento.  Tuttavolta,  trattene  alcune 
poche  che  sono  belle  veramepte  e  degne  di 
molta  laude  9  come  la  Filli  di  Sciro  del  conte 
Guidobaldo  Bonarelli^  le  Pompe  funebri  di  Ce- 
sare Cremonino ,  il  Postar  fido  del  Guarìni , 
\  AmariìU  di  Cristoforo  Castelletti ,  e  la  Fiorì 
di  Maddalena  Campiglia ,  quasi  tutte  le  altre 
vaglion  pochissimo  )  e  sono  perciò  meritamente 
andate  in  dimenticanza. 

E  per  altro  osservabile  che  cosi  nelle  buone , 
come  nelle  mediocri,,  se  vi  sMncontra  qualche 
bel  tratto  ;  o  alcun  gentile  e  delicato  pensiero,  si 
riconosce  o  tolto  quasi  di  peso ,  o  per  lo  meno 
imitato  dvSÌ^Amintat  cui  gli  autori  si  proposero 
per  norma  e  per  '  supremo  ed  unico  modello 
della  boschereccia  poesia;  onde  P arguto  Bocca- 
lini ebbe  tutta  la  ragione  di  fingere  nel  cinquan- 
tottesimo  de'  suoi  Radiagli  di  Parnaso^  che 
certi  poeti  ladroncelli,  rotto  lo  scrigno  più  se- 
greto del  Tasso ,  dove  conservava  le  compo- 
sizioni sue  più  stimate ,  ne  rubassono  YAminta, 
e  questa  poi  fra  loro  si  dividessero:  ma  scoperti 
gli  autori  del  furto,  e  data  perciò  loro  la  cac- 
cia dal  bargello,  benché  si  riparassero,  come 
in  luogo  di  franchigia,  nella  casa  dell^ Imitazione , 
furpno  tuttavia  estratti  d'ordine  di  Apollo,  e 
condotti  vergognosamente  prigioni. 

Da  tutto  ciò  si  rende  cosa  incontrastabile 
che  il  Tasso ,  come  giunse  ad  occupar  con  la 
sua  Gerusalemme  il  primo   seggio   nell'epopèa 


XXXVII 

italiana  y  così  con  la  squisitezza  del  suo  AnUnta 
recò  la  Favola  boschereccia  ad  un  si  alto  grado 
di  bellezza  e  di  perfezione ,  che  nelF  un  genere 
e  nell'altro  rìman  tolta  ad  altrui  ogni  speranza 
di  poterlo  raggìugnere^  non  che  di  avanzarlo 
giammai. 


Tasso,  Voi  IV.  e 


^ 


VERSI 

DEL 

CAV.    VINCENZO    MONTI 

ALLA.      MARCHESA 

ANNA  MALASPIPfA  DELLA  BASTIA 

1   QVAU  SUYOVO   DI  DEDICATORIA  VELL' BDIZIOIB   PAftlfBBSB 

BELlJ  jÌMINTjì 
A  lOMB  DBL  TIPOGRAFO  CIO.   BATTISTA  BODOBI 


I 


bei  carmi  divini,  onde  i  sospiri 
In  tanto  grido  si  levar  d**  Aminta , 
Sì  che  parve  minor  della  zampogna 
L* epica  tromba,  e  al  paragon  geloso 
Dei  primi  onori  dubitò  Gofifredo, 
Non  è,  Donna  immortala  senza  consiglio 
Che  al  tuo  nome  li  sacro,  e  della  tua 
Per  senno  e  per  beltate  inclita  figlia 
L'orecchio  e  il  core  a  lusingar  li  reco. 
Or  che  di  prode  giovinetto  in  braccio 
Amor  la  guida.  Amor  più  che  le  Muse 
A  Torquato  dettò  questo  gentile 
Ascréo  lavoro;  e  infino  allor  pili  dolce 
Linguaggio  non  avea  posto  quel  Dio 
Su  mortai  labbro,  benché  assai  di  Grecia 
Erudito  r  avessero  i  maestri , 


Et  quel  dì  Siracusa,  e  T  infelice  :>'  < 

Esul  di  Ponto.  Or  qual  v*  ha  cosa  in  pregio  v.: 

Che  ai  misteri  d^Amor  più  si  convenga  z.^i 

D^  amoroso  volume?  E  qual  può  dono 

Al  Genio  Malaspino  esser  più  grato,  .j 

Che  il  canto  d^  Elicona?  Ai  suo  favore  vis 

Più  che  air  ombre  cirfÉe  crebber  mai  sempre  .^ 

Famose  e  verdi  TapoUmee  frondi,  ^;y 

c<  Onor  d^  imperatori  e  di  poeti,  n  .  j. 

Del  gran  padre  Alighier  ti  risovvenga ,  .j 

Quando  ramingo  dalla  patria,  e  caldo  ,^ 

DMra  e  di  bile  ghibellina  il  petto,  .^^ 

Per  ritale  vagò  guaste  contrade^ 

Fuggendo  il  vincitor  Guelfo  crudele , 

Simile  ad  uom  che  va  di  porta  in  porta 

Accattando  la  vita.  Il  fato  avverso 

Stette  contra  il  gran  vate>  e  contra  il  fato 

Morello  Malaspina.  Egli  air  illustre 

Esul  fu  scudo:  liberal  raccolse 

L^ amistà  sulle  soglie;  e  il  venerando 

Ghibellino  parca  Giove  nascoso 

Nella  casa  di  Pelope.  Venute 

Le  fanciulle  di  Pindo  eran  con  esso, 

Lutala  Poesia  bambina  ancora  ' 

Seco  traendo^  che  gigante  e  diva 

Si  fe^  di  tanto  precettore  al  fianco  ;  ^ 

Poiché  un  Nume  gli  avea  fra  le  tempeste 

Fatto  quest^  ozio.  Risonò  il  castello  ^ 

Dei  cantici  divini,  e  il  nome  ancora  ' 

Del  sublime  cantor  serba  la  torre. 

Fama  è  ch^  ivi  talor  melodioso 

Errar  s^oda  uno  spirto,  ed  empia  tutto 

Di  riverenza  e  d'horror  sacro  il  loco. 


/ 


tu 
Del  vate  è  quella  la  mugnaaiin*  Ombra, 
Che  tratta  dal  desio  del  nido  antico 
Viene  i  silenzi  a  visitarne,  e,  grata 
Beir  ospite  pietoso  alla  memoria. 
De**  nipoti  nel  cor  dolce  e  segreto 
L*  amor  tramanda  delle  sante  Muse. 
E  per  Gimante  già  tutto  Tavea, 
Eccelsa  Donna^  in  te  trasfuso:  ed  egli 
Lieto  air  ombra  de^  tuoi  possenti  auspicj  » 
Trattando  la  maggior  lira  di  Tebe , 
Emulò  quella  di  Venosa,  e  fece 
Parer  raen  dolci  i  Savonesi  accenti; 
Padre  incorrotto  di  corrotti  figli, 
Cbe  prodighi  d'ampolle  e  di  parole 
Tutto  contaminar  d'Apollo  il  regno. 
Erano  d'ogni  cor  tormento  allora 
Della  vezzosa  Malaspina  i  neri 
Occhi  hicentì,  e  corse  grido  in  Pindo 
Che  a  lei  tu  stesso,  Amor,  cedesti  un  giorno 
Le  tue  saette;  né  s^ accorse  l'arco 
Del  già  mutato  ^rciero  :  e  se  il  destino 
Non  s**  opponeva,  nel  tuo  cor  s^apria 
Da  mortai  mano  la  seconda  piaga. 
Tutte  allor  di  Mnemdsine  le  figlie 
Fur  viste  abbandonar  Parnaso  e  Gira, 
E  calar  sulla  Panna;  e  le  seguia 
PaUa  Minerva,  con  dolor  fuggendo 
Le  cecropie  mine.  E  qui,  siccome 
Di  Giove  era  il  voler,  composto  ai  santi 
Suoi  studi  il  seggio,  e  degli  spenti  altari 
Ridestate  le  fiamme,  d^Academo 
Fé*  riviver  le  selve,  e  di  sublimi 
Ragionamenti  risonar  le  volte 


XLII 

D'un  altro  Peripato,  che  di  gravi 
Salde  dottrine  j  dagli  eterni  fonti 
Scaturite  del  Ver,  vincea  Y  antico  : 
Perocché  9  duce  ed  auspice  Fernando, 
D^un  Pericle  novel  Topra  e  il  consiglio, 
E  la  beltate,  1* eloquenza,  il  senno 
D*  un* Aspasia  miglior,  sciéhxe  ed  arti. 
Che  le  città  fan  belle  e  chiari  i  regni. 
Suscitando^  allegrar  Febo  e  Sofia. 
Tu  fulgid* astro  dell* ausonio  cielo. 
Pieno  d*alto  saver,  splendesti  allora. 
Dotto  Paciaudi  mio;  nome  che  dolce 
NelP anima  mi  suona ^  e  sempre  acerba. 
Così  piacque  agli  Dei,  sempre  onorata 
Rimembranza  sarammi.  Ombra  diletta. 
Che  sei  sovente  di  mie  notti  il  sogno, 
£  pietosa  a  posarti  in  su  la  sponda 
Vieni  del  letto  ov^io  sospiro,  e  vedi 
Di  che  lagrime  amare  io  pianga  ancora 
La  tua  partita;  se  laggiù  ne*  campi 
Del  pacifico  Eliso,  ove  tranquillo 
Godi  il  piacer  della  seconda  vita. 
Se  colà  giunge  il  mio  pregar,  né  troppo 
Sbalza  su  l^ali  il  buon  desio ^  Torquato 
Per  me  saluta,  e  digli  il  lungo  amore 
Con  che  sculsi  per  lui  questa  novella 
Di  tipi  leggiadrìa;  digli  in  che  scelte 
Forine  più  care  al  cupid*  occhio  offerti 
I  lai  del  suo  pastor  fan  dolce  invito; 
Digli  il  bel  nome  che  gli  adoma,  e  cresce 
Alle  carte  splendor.  Certo  di  gioja 
A  quel  divino  rideran  le  luci^ 
Ed  Anna  Maiaspina  andrà  per  T  ombre 


11 


XLIIt 

Ripetendo  d* Eliso,  e  fia  che  dica: 
Perchè  non  Tebbe  il  secol  mio!  memoria 
Non  sonerebbe  sì  dolente  al  mondo 
Di  mie  tante  sventure.  E  se  domato 
Non  avessi  il  livor  (che  tal  nemico 
Mai  non  si  doma,  né  Maron  lo  vinse. 
Né  il  Meonio  cantor),  non  tutti  almeno 
Chiusi  a  pietade  avrei  trovato  i  petti  : 
Stata  ella  fòra  tutelar  mio  Nume 
La  Parmense  Eroina;  e  di  mia  vita. 
Ch'ebbe  dalPopre  del  felice  ingegno 
Sì  lieta  aurora  e  splendido  merìggio. 
Non  ibrse  avrebbe  la  crudel  Fortuna 
Né  Amor  tiranno  in  negre  ombre  ravvolto 
L*"  inonorato  e  torbido  tramonto. 


AMINT  A 


T4SSO,  f^ol.  ly, 


INTERLOCUTORI 


AMORE,  in  abito  pastorale. 
PAFNE,  compagna  di  Silvia. 
SILVIA,  amata  da  Aminta. 
AMINTA,  innamorato  di  Silvia. 
TIRSI,  compagno  d*  Aminta. 
SATIRO ,  innamorato  di  Silvia. 
NERINA,  messaggiera. 
ERGASTO ,  nunzio. 
ELPINO ,  pastore, 
CoEO  di  pastori* 


\ 


AMINTA 


FAVOLA    BOSCHERECCIA 


PROLOGO 


AMORE 

VJhi  credeila  che  sotto  ornane  forme 

E  sotto  queste  pastorali  spoglie 

Fosse  nascosto  un  Dio?  non  mica  un  Dio 

Selvaggio,  o  della  plebe  degli  Dei, 

Ma  tra'  grandi  e  celesti  il  più  potente, 

Che  fa  spesso  cader  di  mano  a  Marte 

La  sanguinosa  spada,  ed  a  Nettuno, 

Scotitor  della  terra,  il  gran  tridente, 

£  le  folgori  eterne  al  sommo  Giove. 

In  questo  aspetto,  certo,  e  in  questi  panni 

Non  riconoscerà  sì  di  leggiero 

Venere  madre  me  suo  figlio  Amore. 

Io  da  lei  son  costretto  di  fuggire, 

E  celarmi  da  lei,  perdi* ella  vuole 

ChMo  di  me  stesso  e  delle  mie  saette 

Faccia  a  suo  senno;  e  qual  femmina,  e  quale 

Vana  ed  ambùaosa,  mi  rispinge 

Pur  tra  le  corti  e  tra  corone  e  scettri, 

E  quivi  vuol  che  impieghi  ogni  mia  prova} 


4  ÀMINTA 

£  solo  al  volgo  de*  loinistrì  mìei; 

Miei  minori  fratelli,  ella  consente 

U albergar  tra  le  selve ,  ed  oprar  Farmi 

Ne^  rozzi  petti.  Io,  che  non  son  fanciullo 

(Sebben  ho  volto  fanciullesco  ed  atti), 

Voglio  dispor  di  me  come  a  me  piace; 

Che  a  me  fu ,  non  a  lei ,  concessa  in  sorte 

La  face  onnipotente  e  Farco  d^oro. 

Però  spesso  celandomi,  e  fuggendo 

liMmperìo  no,  che  in  me  non  ha,  ma  i  preghi, 

Chan  forza,  porti  da  importuna  madre, 

Ricovero  ne*  bo^hi  e  nelle  case 

Della  gente  minuta.  Ella  mi  segue. 

Dar  promettendo  a  chi  mMnsegna'a  lei 

O  dolci  baci,  o  cosa  altra  più  cara; 

Quasi  io  di  dare  in  cambio  non  sia  buono 

A  chi  mi  tace,  o  mi  nasconde  a  lei, 

O  dolci  baci,  o  cosa  altra  più  cara. 

Questo  io  so  certo  almen,  che  i  baci  miei 

Saran  sempre  più  cari  alle  fanciulle. 

Se  io,  che  son  FAmor,  d'amor  m'intendo. 

Onde  sovente  ella  mi  cerca  invano, 

Che  rivdarmi  altri  non  vuole,  e  tace. 

Ma  per  istame  anco  più  occulto,  ond'ella 

Ritrovar  non  mi  possa  ai  contrassegni. 

Deposto  ho  Fali,  la  faretra  e  Farco. 

Non  però  disarmato  io  qui  ne  vengo; 

Che  questa,  che  par  verga,  è  la  mia  face 

(Così  Fho  trasformata),  e  tutta  spira 

P* invisibili  fiamme:  e  questo  dardo, 

Sebbene  egli  non  ha  la  punta  d^oro, 

È  di  tempre  divine,  e  imprime  amore 

Povunque  fiede.  Io  voglio  oggi  con  questo 


PROLOGO  5 

Far  cupa  e  immedicabile  feritil 

Nel  duro  sen  della  più  cruda  ninfa 

Che  mai  aeguiase  il  coro  di  Diana. 

Né  la  piaga  di  Silvia  fia  minore 

(Che  questo  èl  nome  deir alpestre  ninfa )^ 

Che  fosse  quella  che  pur  feci  io  stesso 

Nel  molle  sen  d' Aminta ,  or  son  molf  anni^ 

Qnando  lei  tenerella  ei  tenerello 

Seguiva  nelle  cacce  e  nei  diporti. 

E^  perchè  il  colpo  mio^più  in  lei  sMnterui^, 

Aspetterò  che  la  pietà  moUisca 

Quel  duro  gelo  che  dintorno  al  core 

Le  ha  ristretto  il  rigor  delT  onestate 

£  del  virginal  fasto;  ed  in  quel  punto 

Ch^^  fia  più  moUe^  lancerogli  il  dardo. 

£^  per  far  sì  belFopra  a  mio  grand^agio^ 

Io  ne  vo  a  mescolarmi  infra  la  turba 

De'  pastori  festanti  e  coronati 

Che  già  qui  s^è  inviata,  ove  a  diporto 

Si  sta  ne  dì  solenni  y  esser  fingendo 

Uno  di  loro  schiera;  e  in  questo  modo, 

E  in  questo  luogo  appunto  io  farò  il  colpo, 

Che  veder  non  potrallo  occhio  mortale. 

Queste  selve  oggi  ragionar  d^  Amore 

S'udranno  in  nova  guisa;  e  ben  parrassi 

Che  la  mia  deità  sia  qui  presente 

In  sé  medesma,  e  non  ne   suoi  ministri. 

Spirerò  nobU  sensi  a^  rozzi  petti  ; 

Raddolcirò  nelle  lor  lingue  il  suono.' 

Perchè,  ovunque  T  mi  sia,  io  sono  Amore ^ 

Ne'  pastori  non  men,  che  negli  eroi; 

E  la  dìsagguaglianza  de'  soggetti. 

Come  a  me  piace,  agguaglio.  E  questa  è  pure 


àmenta  proloqo 

Suprema  gloria  e  gran  miracol  mio^ 
Rènder  simili  alle  più  dotte  cetre  * 

Le  rustiche  sampogne.  £  se  mia  tnadre^ 
Che  si  sdegna  vedermi  errar  fra'  boschi, 
Ciò  non  conosce  y  è  cieca  eUa,  e  non  io^ 
Cui  cieco  a  torto  il  cieco  volgo  appella. 


ATTO     PfllMO 


SCENA  PRIMA 

V 

DAFNE,  SILVI! 

Daf  V  orrai  dunque  pur  y  Silvia  ^ 
Dai  piaceri  di  Venere  lontana 
Menarne  tu  questa  tua  giovanezza? 
Né  1  dolce  nome  di  madre  udirai? 
N&  intomo  ti  vedrai  vezzosamente 
S«:herzar  i  figli  pargoletti?  Ahi  cangia ^ 
Cangia,  prego ^  consiglio, 
Pazzerdla  che  sei. 

SU  Altri  segua  i  diletti  delT  amore 

(Se  pur  v^è  nell^amor  alcun  diletto): 
Me  questa  vita  giova  j  el  mio  trastullo 
È  la  cura  dell^arco  e  degli  straU, 
Seguir  le  fere  fugaci,  e  le  forti 
Atterrar  combattendo:  e  se  non  mancano 
Saette  alla  faretra,  o  fere  al  bosco,  • 
Non  tempio  cfa^a  me  manchino  diporti. 

Z)^ Insipidi  diporti  veramente, 

.  Ed  insipida  vita:  e,  s^a  te  piace, 
È  sol  perchè  non  hai  provata  F  altra. 
Co^  la  gente  prima,  che  già  visse 
Nel  mondo  ancora  semplice  ed  infante, 
Stimò  dolce  bevanda  e  dolce  cibo 
L'acqua  e  le  ehiande;  ed  or  F acqua  e  le  ghiande 
Sono  cibo  e  bevanda  d' ammali , 
Poi  che  s'è  posto  in  uso  il  grano  e  Fava. 


8  ABnNTA 

Forse  ^  se  tu  gustassi  anco  una  volta 

La  millesima  parte  delle  gioje 

Che  gusta  un  cor  amato  riamando  ^ 

Diresti y  ripentita,  sospirando: 

Perduto  è  tutto  il  tempo 

Che  in  amar  non  si  spende: 

Oh  mia  fuegita  etate , 

Quante  vedove  notti, 

Quanti  dì  solitarj 

Ho  consumato  indamo, 

Che  impiegar  si  potevano  in  quest'uso, 

B  qual  più  replicato  è  più  soave! 

Cangia,  cangia  consiglio, 

Pazzerella  che  sei; 

Che  1  pentirsi  da  sezzo  nulla  giova. 

Sii   Quando  io  dirò,  pentita,  sospirando, 
Queste  parole  eh*  or  tu  fingi  ed  orni 
Come  a  te  piace,  torneranno  i  fiumi 
Alle  lor  fonti,  e  i  lupi  fuggiranno 
Dagli  ami,  el  veltro  le  timide  lepri, 
Amerà  i  orso  il  mare ,  e  1  delfin  1  alpi. 

Z^éj^ Conosco  la  ritrosa  fanciullezza: 

Qual  tu  sd,  tal  io  fui;  cosi  portava 

La  vita  e  '1  volto,  e  così  biondo  il  crine, 

E  così  vermigUuzza  avea  la  bocca, 

£  cosi  mista  col  candor  la  rosa 

Nelle  guance  pienotte  e  delicate. 

Era  il  mio  sommo  gusto  (or  me  n^aweggio, 

Gusto  da  sciocca  )  sol  tender  le  reti , 

Ed  invescar  le  panie,  ed  aguzzare 

n  dardo  ad  una  cote ,  e  spiar  V  orme 

E  '1  covil  ddle  fere  :  e  se  talora 

Vedea  guatarmi  da  cupido  amante. 

Chinava  gli  occhi,  rustica  e  selvaggia, 


ATTO  PRIMO  9 

Piena  di  sàBgpo  e  di  vergogna;  e  m*era 
Mal  grata  la  mia  grazia,  e  dispiacente 
Quanto  di  me  piaceva  altrui ,  pur  come 
Fosse  mìa  colpa  e  mia  onta  e  mio  scoma 
V esser  guardata,  amata,  e  desiata. 
Ma  che  non  può  te  il  tempo?  E  che  non  puote, 
Servendo,  meritando,  supplicando, 
Fare  un  fedele  ed  importuno  amante? 
Fui  vinta;  io  tei  confesso:  e  furon  Fanm 
Del  vincitore  umiltà,  soflferenza, 
Kantì,  sospiri,  e  dimandar  mercede. 
Mostrommi  r  ombra  d^una  breve  notte 
Allora  quel  che  '1  lungo  corso  e  1  lume 
Di  mille  ciomi  non  m'avea  mostrato. 
Ripresi  alior  me  stessa  e  la  mia  cieca 
Sònplicitate ,  e  dissi  sospirando: 
Eccoti,  Cintia,  il  corno;  eccoti  Farco: 
ChMo  rinunziò  i  tuoi  studi  e  la  tua  vita. 
Così  spero  veder  eh' anco  il  tuo  Amiota 
Par  un  giorno  domestichi  la  tua 
Rozza  salvatìchezza ,  ed  ammollisca 
Questo  tuo  cor  di  ferro  e  di  macigno. 
Forse  ch'ei  non  è  bello?  o  ch'ei  non  t'ama? 
O  ch'altri  lui  non  ama?  o  ch'ei  si  cambia 
Per  Famor  d'altri,  ovver  per  Fodio  tuo? 
Forse  ch'in  gentilezza  egli  ti  cede? 
Se  tu  sei  figha  di  Qdippe  a  cui 
Fu  padre  il  Dio  di  onesto  nobil  fiume, 
Ed  egli  è  figlio  di  Silvano  a  cui 
Pane  fu  padre,  il  gran  Dio  de'  pastori. 
Non  è  men  di  te  beUa  (se  ti  guardi 
Dentro  lo  specchio  mai  d'alcuna  fonte) 
La  candida  Amarilli;  e  pur  ei  sprezza 
Le  sue  dolci  lusinghe,  e  segue  i  tuoi 


to  AMINTA 

Dispettosi  fastidi.  Or  fingi  (e  vogCa 
Pur  Dio  che  questo  fingere  sia  vano!) 
Ch^egU,  teco  sdegnato  ^  alfin  procuri 
Ch?a  lui  piaccia  colei  cui  tanto  ei  piace: 
Qnal  animo  fia  i^  tuO;  o  con  quali  occhi 
n  vedrai  fatto  altrui?  fatto  fdice 
Neil*  altrui  braccia ^  e  te  schernir  ridendo? 

SU.  Faccia  Aminta  di  sé  e  de'  suoi  amori 
Quel  eh' a  lui  piace:  a  me  nulla  ne  cale; 
E  pur  che  non  sia  mio^  sia  di  chi  vuole: 
Ma  esser  non  può  mio;  s'io  lui  non  voglio; 
Né  y  s*  anco  egu  mio  fosse  y  io  sarei  sua. 

Do^Onde  nasce  il  tuo  odio? 

Sii  Dal  suo  amore. 

jD^Piacevol  padre  di  figlio  crudele. 

Ma  quando  mai  da'  mansueti  agnelli 
Nacquer  le  tigri ^  o  da'  bei  cigni  i  corvi? 
0  me  inganni,  o  te  stessa. 

SiL  Odio  il  suo  amore 

Ch'odia  la  mia  onestate;  ed  amai  lui 
Mentirei  volle  di  me  quel  ch'io  voleva. 

Dq^Tn  volevi  il  tuo  peggio:  egli  a  te  brama 
Quel  eh' a  sé  brama. 

SiL  Dafiie,  o  taci,  o  parla 

D'altro,  se  vuoi  risposta. 

Dq/1  Or  guata  modi: 

Guata  che  dispettosa  giovinetta. 
Or  rispondimi  almen:  S'altri  t'amasse, 
Gradiresti  il  suo  amore  in  questa  guisa? 

SiL  hi  questa  guisa  gradirei  ciascuno 
Insidiator  di  mia  virginitate, 
Che  tu  dimandi  amante,  ed  io  nemico. 

Daf.  Stimi  dunque  nemico 
n  monton  dell' agnella? 


ATTO  PRIMO  II 

Della  giovenca  il  toro? 

Slinù  dunque  nemico 

n  tortore  alla  fida  tortorella? 

Stimi  dunque  stagione 

Di  mmicizia  e  d'ira 

La  dolce  primavera, 

Ch'or  allegra  e  rìdente 

Biconsiglia  ad  amare 

n  mondo  e  gli  animali, 

£  gli  uomini  e  le  donne?  E  non  t^ accorgi 

Ck>me  tutte  le  cose 

Or  sono  innamorate 

Fun  amor  pien  di  gioja  e  di  salute? 

Mira  là  quel  colombo 

Con  che  dolce  susurro  lusingando 

Bacia  la  sua  compagna  j 

Odi  queir  usignuolo 

Che  va  di  ramo  in  ramo 

Cantando:  Io  amo,  io  amo:  e,  se  noi  sai, 

La  biscia  or  lascia  il  suo  veleno,  e  corre 

Cupida  al  suo  amatore} 

Yan  le  tigrì  in  amore  j 

Ama  il  leon  superbo:  e  tu  sol y  fiera 

Più  che  tntte  le  fere. 

Albergo  gli  dineghi  nel  tuo  petto. 

Ma  che  dico  .leoni  e  tigrì  e  serpi. 

Che  pur  han  sentimento  ?  Amano  ancora 

Gli  alberì:  veder  puoi  con  quanto  affetto 

£  con  quanto  iterati  abbracciamenti 

La  vite  s'avviticchia  al  suo  nìarìto; 

L^ abete  ama  F abete,  il  pino  il  pino; 

L'omo  per  l'omo,  e  per  la  salce  il  salce, 

E  l'un  per  l'altro  faggio  arde  e  sospira. 

Quella  quercia,  che  pare 


s 


19         -  AMINTA 

Si  ruvida  e  selvaggia, 
Sente  anch' ella  il  potere 
Dell'amoroso  foco:  e,  se  tu  avessi  . 
Spirto  e  senso  d'amore,  intenderesti 
I  suoi  muti  sospiri.  Or  tu  da  meno. 
Esser  vuoi  deUe  piante, 
Per  non  esser  amante? 
Cangia,  cangia  consiglio, 
PazzereUa  che  sei. 

SU.   Orsù,  Quando  i  sospiri 
Udirò  delle  piante. 
Io  son  contenta  allor  d' esser  amante. 

Daf.Tn  prendi  a  gabbo  i  miei  fidi  consigli, 
E  burli  mie  ragioni.  Oh  in  amore 
Sorda  non  nien,  che  sciocca!  Ma  va  pure, 
Che  verrà  tempo  che  ti  pentirai 
Non  averli  seguiti.  E  già  non  dico 
Allor  che  fuggirai  le  fonti  ov'  ora 
Spesso  ti  specchi,  e  forse  ti  vagheggi^ 
AJlor  che  fuggirai  le  fonti,  solo 
Per  tema  di  vederli  crespa  e  brutta , 
Questo  avverratti  ben:  ma  non  t'annunzio 
GAk  questo  solo ,  che ,  bendi'  è  gran  male , 
E  però  mal  comune.  Or  non  rammenti 
Ciò  che  r  altr^  ieri  Elpino  raccontava  , 
n  saggio  Elpino  alla  beila  Licori, 
Licori  che  m  Elpin  punte  con  gli  occhi 
Quel  ch'ei  potere  in  lei  dovria  col  canto, 
Se  '1  dovere  in  amor  si  ritrovasse  ) 
E  '1  racconteva  udendo  Batto  e  Tirsi , 
Gran  maestri  d' amore  ;  e  '1  raccontava 
Nell'antro  dell'Aurora,  ove  sull'uscio 
È  scritto:  Lwigi,  ah  lungi  ite,  pn^ani. 
Diceva  egli  (e  diceva  die  gliel  disse 


y 


^ 


ATTO  PRIMO  i3 

Quel  grande  die  cantò  Famii  e  gli  amori  ^ 

Ch'a  lui  lasciò  la  fistola  morendo) 

Che  laggiù  nello  Werno  è  un  nero  speco  y 

Là  dove  esala  un  fumo  pien  di  puzza 

Dalle  triste  fornaci  d^Acuerontej 

£  che  quivi  punite  eternamente 

In  tormenti  di  tenebre  e  di  pianto 

Son  le  femmine  ingrate  e  sconoscenti. 

Quivi  aspetta  ch^  albergo  s^  apparecchi 

Alla  tua  ferìtate: 

E  dritto  è  ben  ch^  il  fumo 

Tragga  maisempre  il  pianto  da  quegh  occhi, 

Onde  trarlo  giammai 

Non  potè  la  pietate. 

Segui  y  segui  tuo  stile  y 

Ostinata  che  sei. 

SU,  Ma  che  fé'  allor  Licori?  e  com'  rispose 
A  queste  cose? 

Daf  Tu  de*  fatti  propri 

Nulla  ti  curi,  e  vuoi  saper  gli  altrui? 
Con  gli  occhi  gli  rispose.     . 

SiL    Come  risponder  sol  puote  x^on  gh  occhi  ? 

Z^i;^  Bisposer  questi  con  dolce  sorriso 

Vòlti  ad  Èlpino:  Il  core  e  noi  siam  tuoi; 
Tu  bramar  più  non  dei;  costei  non  puote 
Più  darti.  —  E  tanto  solo  basterebbe 
Per  intera  mercede  al  casto  amante , 
Se  stimasse  veraci,  come  belli, 
Quegli  occhi,  e  lor  prestasse  intera  fede, 

iSil   E  perchè  lor  non  crede? 

Dqf  Or  tu  non  sài 

Gò  che  Tirsi  ne  scrisse  allor  ch'ardendo 
Forsennato  egli  errò  per  le  foreste. 
Si  ch'insieme  movea  pietate  e  riso 


t4  AMINTA 

Nelle  veszose  ninfe  e  ne^  pastori? 

Né  già  cose  scrìvea  degne  di  rìso, 

Sebben  cose  facea  degne  di  riso. 

Lo  scrisse  in  mille  piante,  e  con  le  piante 

Crebbero  i  versi  ;  e  cosi  lessi  in  una: 

/       Specchj  del  cor,  follaci  infidi  lumi, 
Éen  riconosco  in  wi  ^  ingamni  wstri; 
Ma  che  prò,  se  schivarli  Amor  mi  to^? 

Sii  Io  qui  trapasso  il  tempo  ragionando, 
Né  mi  sovviene  ch^  oggi  é  1  di  prescritto 
Ch'andar  si  deve  alla  caccia  ordinata 
NelTeliceto.  Or,  se  ti  pare,  aspetta 
Ch^io  pria  deponga  nel  soUto  fonte 
n  sudore  e  la  polve  onJier  mi  sparsi. 
Seguendo  in  caccia  una  damma  veloce, 
Clvalfin  giunsi  ed  uccisi. 

Dq^  Aspetterotti  ; 

E  forse  anch'io  mi  bagnerò  nel  fonte. 
Ma  sino  alle  mie  case  ir  prima  voglio. 
Che  Fora  non  é  tarda,  come  pare. 
Tu  nelle  tue  m^ aspetta  eh' a  te  venga; 
E  pensa  intanto  pur  quel  che  più  importa 
Della  caccia  e  dei  fonte:  e,  se  non  sai, 
Credi  di  non  saper,  e  credi  a'  savj. 


SCENA    IL 

AMINTA,    TIRSI. 

JmiMo  visto  al  pianto  mio 

Risponder  per  pietàte  i  sassi  e  Fonde; 
E  sospirar  le  fronde 
Ho  visto  al  {Hanto  mio  : 


ATTO  PRIMO  15 

Ma  non  ho  visto  mai^ 

JHè  spero  di  vedere 

Compassion  nella  crudele  e  bella  ^ 

Che  non  so  s^io  mi  chiami  o  donna  o  feraj 

Ma  niega  d'esser  donna, 

Poiché  niega  pietate     «  ^ 

A  chi  non  la  negaro 

Le  cose  inanimate. 
Ut.  Pasce  Fagna  T  erbette ,  il  lapo  Fagne; 

Ma  il  crudo  Amor  di  lagrime  si  pasce  ^ 

Né  se  ne  mostra  mai  satollo. 
JmL  Ahi  lasso! 

Ch'Amor  satollo  é  del  mio  piauto  omai, 

E  solo  ha  sete  del  mio  sangue;  e  tosto 

Voglio  ch'egli  e  quest'empia  il  sangue  mio 

Be?an  con  gu  occhi. 
Tir.  Ahi,  Aminta,  ahi,  Aminta , 

Che  parli,  o  che  vaneggi?  Or  ti  conforta 3 

Ch'  un'  altra  troverai ,  se  ti  disprezza 

Questa  crudele. 
Ami.  Oimé!  come  possMo 

Altri  trovar,  se  me  trovar  non  posso? 

Se  perduto  ho  me  stesso,  quale  acquisto 

Faro  mai  che  mi  piaccia/ 
Tir.  O  miserelio, 

Non  disperar,  ch'acquisterai  costei 

La  lunga  etate  ^insegna  all'  uom  di  porre 

Freno  ai  leoni  ed  alle  tigri  ircane. 
^milMa  il  misero  non  puote  alla  sua  morte 

^Indugio  sostener  di  lungo  tempo. 
Tir.  Sarà  corto  l'indugio:  in  breve  spazio 

S'adira,  e  in  breve  spazio  anco  si  placa 

Femmina,  cosa  mobil  per  natura 

Più  che  fraschetta  al  vento,  e  più  che  cima 


i6  AMIKTA 

Di  pieghevole  spica.  Ma,  ti  prego ^ 
Fa  chMo  sappia  più  addentro  della  tua 
Dura  condizione  e  deir amore: 
Che  9  sebben  confessato  mMiai  più  volte 
D^ amare,  mi  tacesti  però  dove 
Fosse  posto  r amore:  ed  è  ben  degna 
La  fedele  amicizia  ed  il  comune 
Istudio  delle  Muse ,  eh'  a  me  scuopi^ 
Qò  ch'agli  altri  si  cela. 

Ami.  Io  son  contento, 

Tirsi,  a  te  dir  ciò  che  le  selve  e  i  monti 
£  i  fiumi  sanno,  e  gli  uomini  non  sanno: 
Ch'io  sono  ornai  si  presso  alla  mia  morte, 
Ch'  è  ben  ragion  eh'  io  lasci  chi  ridica 
La  cagion  del  morire,  e  che  F  incida 
Nella  scorza  d'un  faggio,  presso  il  luogo 
Dove  sarà  sepolto  il  corpo  esangue; 
Si  che  talor  passandovi  quell'empia 
Si  goda  di  calcar  l'ossa  infelici 
Col  pie  superbo,  e  tra  sé  dica:  È  questo 
Pur  mio  trionfo  j  —  e  goda  di  vedere 
Che  nota  sia  la  sua  vittoria  a  Xntti 
Li  pastor  paesani  e  pellegrini 
Che  quivi  il  caso  guidi:  e  forse  (ahi,  spero 
Troppo  alte  cose)  un  giorno  esser  potrebbe 
Ch'  ella ,  commossa  da  tarda  pietate  , 
Piangesse  morto  chi  già  vivo  uccise, 
Dicendo  :  Oh  pur  qui  fosse ,  e  fosse  mio  !  — 
Or  odi. 

Tir.  Segui  pur,  ch'io  l>en  t'ascolto, 

E  forse  a  miglior  fin,  che  tu  non  pensi. 
^/Tij.  Essendo  io  fanciulietlo,  si  che  a  pena 
Giunger  potea  con  la  man  pargoletta 
A  córre  i  frutti  dai  piegati  rami 


ATTO  PRIMO         '  17 

Tìedì  arboscelli,  intrinseco  divenni 

Ddla  più  vaga  e  cara  verginella 

Che  mai  spiegasse  al  vento  chioma  cToro. 

Lia  figliuola  conosci  di  Cidippe 

£  di  Montan  ricchissimo  d'armenti^ 

Silvia,  onor  delle  selve,  ardpr  dell'alme?  ...  : 

Di  qaesta  parlo,  ahi  lasso!  vissi  a  questa 

Co^  avvinto  alcun  tempo,  che  fra  due 

Tortorelle  {hù  fida  compagnia 

Non  sarà  mai,  liè  fiie. 

G>ngìunti  eran  gli  alberghi, 

Ma  più  congiunti  i  corìj 

Gonlorme  era  T etate, 

Ma  H  pensier  più  conforme  : 

Seco  tendeva  insidie  con  le  reti 

Ai  pesci  ed  agli  augelli,  e  seguitava 

I  cervi  seco  e  le  vdoci  damme; 

E  1  diletto  e  la  preda  era  comune. 

Ma ,  mentre  io  fba  rapina  d*  animali , 

Fui,  non  so  come ,  a  me  stesso  rapito: 

A  poco  a  poco  nacque  nel  mio  petto , 

Non  so  da  qual  radice, 

Com'erba  suol  che  per  sé  stessa  germini, 

Un  incognito  affistto 

Che  mi  fea  desiare 

D'esser  sempre  presente 

Alla  mia  bella  SÙvia; 

E  bevea  da*  suoi  lumi 

Un'  estranea  dolcezza 

Che  lasciava  nel  fine 

Un  non  so  che  d'amaro; 

Sospirava  sovente,  e  non  sapeva 

La  cagion  de'  sospiri. 

G)sl  mi  prima  amante,  ch'intendessi 


i8  AMUTTA 

Che  cosa  fosse  amore. 

Ben  me  n^  accorsi  alfin;  e  con  qaal  modo^ 

Ora  m'ascolta,  e  nota. 

Tir.  È  da  notare. 

^m.ÀlF  ombra  d'mi  bd  faggio  Silvia  e  Filli 
Sedean  un  giorno ,  ed  io  con  loro  insieme* 
Quando  un'  ape  ing^osa,  che  cogliendo 
Sen  giva  il  mei  per  que'  prati  fioriti  ^ 
Alle  guance  di  Fillide  volando, 
Alle  guance  vermiglie  come  rosa. 
Le  morse  e  le  rimorse  avidamente; 
Ch'alia  similitudine  ingannata 
Forse  un  fior  le  credette.  Allora  Filli 
Cominciò  lamentarsi,  impaziente 
Deir acuto  dolor  della  puntura: 
Ma  la  mia  bella  Silvia  disse:  Taci, 
Taci,  non  ti  lagnar,  Filli;  perch'io 
Con  parole  d'incanti  leverotti 
n  dolor  della  picdola  ferita. 
A  me  insegnò  già  questo  secreto 
La  saggia  Artesìa,  e  n'ebbe  per  mercede 
Quel  mio  corno  d'avorio  ornato  d^oro. 
Cosi  dicendo,  avvicinò  le  labbra 
Della  sua  bella  e  dolcissima  bocca 
Alla  guancia  rimorsa,  e  con  soave 
Susurro  mormorò  non  so  che  versi. 
Oh  mirabili  effetti!  sentì  tosto 
Cessar  la  doglia,  o  fosse  la  virtute 
Di  que'  magici  aetti,  o,  com'io  credo. 
La  virtù  della  bocca 
Che  sana  ciò  che  tocca. 
Io,  che  sino  a  quel  punto  altro  non  volli 
Che  1  soave  splendor  degli  occhi  belli, 
£  le  dolci  parole,  assai  più  dolci 


•1 


ATTO  PRIMO  19 

C3ie  1  mormorar  d^  un  lento  fiumicello 
Che  rompa  '1  corso  fra  minati  sassi  y    • 
O  che  U  garrir  dell'  aara  infra  le  firondi  ^ 
AUor  sentii  nel  cor  novo  desire 
D'appressar  alla  sua  questa  mia  bocca; 
E  fatto,  non  so  come,  astuto  e  scaltro 
Più  deir usato  (guarda  quanto  Amore 
Aguzza  FintdUetto),  mi  sovvenne 
D'un  inganno  gentile,  col  qual  io 
Recar  potessi  a  fine  il  mio  talento: 
Che  y  fingendo  eh'  un'  ape  avesse  morso 
n  mio  Iwbro  di  sotto,  incominciai 
A  lamentarmi  di  cotal  maniera  ^ 
•Che  quella  medicina  che  la  lingua 
Non  richiedeva,  il  volto  richiedeva. 
La  semplicetta  Silvia^ 
Pietosa  del  mio  male, 
S'offrì  di  dar  aita 
Alla  finta  ferita  ;  ahi  lasso!  e  fece 
Più  cupa  e  più  mortale 
La  mia  piaga  verace 
Quando  le  labbra  sue 
Giunse  alle  labbra  mie. 
Né  Fajn  d'alcun  fiore 
Colgon  SI  dolce  il  sugo, 
Come  fu  dolce  il  mei  eh*  allora  io  colsi 
Da  quelle  fresche  rose; 
Sebben  gli  ardenti  baci^ 
Che  spingeva  il  denre  a  inumidirsi, 
Rafl&cnò  la  temenza 
E  la  YergoguBy  o  felli 
Più  lenti  e  meno  audaci. 
Ma,  mentre  al  cor  scendeva 
Quella  dolcezza  mista 


f^ 


90  AMINTA 

D^uD  àecreto  veleao^ 
Tal  diletto  n'ayea, 

Che,  fingendo  ch^ ancor  non  mi  passasse 
Il  dolor  di  quel  morso , 
Fei  sì  ch^  ella  più  volte 
Yi  replicò  F  incanto. 
Da  indi  in  qua  andò  in  guisa  crescendo 
n  desire  e  1  affiamo  impaziente, 
Che,  non  potendo  più  ca|Hr  nel  petto, 
Fu  forza  cne  n^ uscisse:  ed  una  volta 
Che  in  oeroliio  sedevam  ninfe  e  pastori, 
E  facevamo  alcuni  nostri  giuochi, 
Che  ciascun  nell^  orecchio  del  vicino 
Mormorando  diceva  un  suo  secreto. 
Silvia,  le  dissi,  io  per  te  ardo,  e  certo 
Morrò,  se  non  m'aiti.  -^  A  quel  parlare 
Chinò  ella  il  bel  volto,  e  fiior  le  venne 
Un  improvviso  insolito  rossore 
Che  diede  segno  di  vergogna  e  d^  ira  : 
Né  ebbi  altra  risposta  che  un  silenzio, 
Un  silenzio  turbato  e  pien  di  dure 
Minacce.  Indi  si  tolse,  e  più  non  volle 
Né  vedermi,  né  udirmi.  £  già  tre  volte 
Ha  il  nudo  mietitor  tronche  le  spighe , 
Ed  altrettante  il  verno  ha  scossi  i  boschi 
Delle  lor  verdi  chiome  j  ed  ogni  cosa 
Tentata  ho  per  placarla,  fuor  che  morte. 
Mi  resta  sol  che  per  placarla  io  mora: 
Y*  morrò  volentier,  pur  chMo  sia  certo 
Ch^lla  o  se  ne  compiaccia,  o  se  ne  doglia} 
Né  so  di  tai  due  cose  qual  più  brami. 
Ben  fórn  la  pietà  premio  maggiore 
Alla  mia  fede,  e  maggior  ricompensa 
Alla  mia  morie  j  ma  bramar  non  deggio 


ATTO  PRIMO  at 

Cosa  che  torbi  il  bel  lume  sereno 
Agli  occhi  cari,  e  affiinm  quei  bel  petto^ 
Sr.  È  possibil  però ,  che  j^  s' ella  un  giorno 
Udisse  lai  parole,  non  tramasse? 

AmL^on  so,  né  '1  credo;  ma  fugge  i  miei  detti, 
G)me  Faspe  P  incanto. 

Tir.  Or  ti  confida, 

CVa  me  dà  il  cor  di  far  ch^ella  t^  ascolti. 

^lnii.0  nulla  impetrerai,  o,  se  tu  impetri 
Ch'io  parli,  io  nulla  impetrerò  parlando. 

Tir.  Perchè  disperi  A 1 

JmL  Giusta  cagione 

Ho  del  mio  disperar;  che  il  saggio  Mopso 
Mi  predisse  la  mia  cruda  ventura: 
Mopso,  ch'intende  il  parlar  degli  augelli 
£  m  virtù  dell'erbe  e  delle  fonti. 

Tir.  Di  qnal  Mopso  tu  dici  7  di  quel  Mopso 
Cha  nella  lingua  melate  parole, 
E  nelle  labbra  un  amichevol  ghigno, 
E  la  fraude  nel  seno ,  ed  il  rasoio 
Tien  sotto  il  manto?  Orsù,  sta  ai  buon  core; 
Che  i  sdanrati  pronostici  infelici, 
Ch'ei  vende  a'  malaccorti  con  quel  grave 
Suo  soperciUo,  non  han  mai  erotto; 
E  per  prova  so  io  ciò  che  ti  dico  : 
Anzi  da  questo  sol  eh'  ei  t'  ha  predetto 
Mi  giova  di  sperar  felice  fine 
Air  amor  tuo. 
AmL  Se  sai  cosa  per  prova 

Che  conforti  mia  speme,  non  tacerla. 

7Vr.  Dirolla  volentieri.  AUor  che  prima 

Mia  sorte  mi  condusse  in  queste  selve. 
Costui  conobbi;  e  lo  stimava  io  tale 
Qual  tu  lo  stimi  :  intanto  un  di  mi  venne 


da  AMUfTA 

E  bisogno  e  talento  d'ime  dorè 
Siede  la  gran  Ciltade  in  ripa  al  fiume  ^ 
Ed  a  costui  ne  feci  motto}  ed  egli 
Così  mi  disse:  Andrai  nella  gran  Terra 
Ove  gli  astuti  e  scaltrì  dttadim 
E  i  cortigian  malvagi  molte  volte 
Prendonsi  a  gabbo  e  fanno  brutti  schemi 
Di  noi  rustici  incauti:  però,  figlio, 
Va  su  P avviso,  e  non  t'appressar  troppo 
Ove  sian  drappi  colorati  e  d^oro, 
E  pennacchi  e  divise  e  fogge  nove; 
Ma  sopra  tutto  guarda  che  mal  fato 

0  giovenil  vaghezza  non  ti  meni 

Al  magazzino  delle  ciance:  ah!  fuggi, 

Fuggi  quell^  incantato  alloggiamento.  — 

Che  luogo  è  questo?  io  chiesi;  ed  ei  soggiunse: 

Quivi  abitan  le  maghe ,  che  incantando 

Fan  traveder  e  traudir  ciascuno. 

Gò  che  diamante  sembra  ed  oro  fino, 

È  vetro  e  rame;  e  quelle  arche  d'argento, 

Che  stimeresti  piene  di  tesoro, 

Sporte  son  piene  di  vesciche  buge. 

Quivi  le  mura  son  fatte  con  arte, 

Che  parlano  e  rispondono  ai  parLintì; 

Né  eia  rispondon  la  parola  mozza, 

ConrEco  suole  nelle  nostre  selve. 

Ma  la  repUcan  tutta  intera  intera. 

Con  giunta  anco  di  quel  ch'altri  non  disse. 

1  tréspidi,  le  tavole  e  le  panche, 
Le  scranne,  le  lettiere,  le  cortine, 
E  gli  arnesi  di  camera  e  di  sala 

Han  tutti  lingua  e  voce,  e  grìdan  sempre. 
Quivi  le  ciance  in  forma  di  bambine 
Vanno  trescando;  e  se  un  muto  v'entrasse, 


^'^ 


ATTO  PRIMO  a3 

Un  muto  ciancerebbe  a  suo  dispetto. 

Ma  questo  è  U  minor  mal  che  ti  potesse 

Incontrar:  tu  potresti  indi  restarne 

Converso  in  salce^  in  fera^  in  acqua ,  o  in  foco; 

Acqua  di  pianto ,  e  foco  di  sospiri.  — 

Coà  diss'egli:  ed  io  n*  andai  con  questo 

Fallace  antiveder  nella  Gttade; 

Ey  come  volse  il  Ciel  benigno,  a  caso 

Passai  per  là  dov'  è  '1  felice  albergo. 

Quindi  uscian  fuor  voci  canore  e  «dolci 

E  di  cigni  e  di  ninfe  e  di  sirene  j 

Di  sirene  celesti  j  e  n^  uscian  suoni 

Soavi  e  chiarì,  e  tanto  altro  diletto, 

Ch*  attonito ,  godendo  ed  ammirando , 

Mi  fermai  buona  pezza.  Era  su  F uscio, 

Quasi  per  guardia  delle  cose  belle, 

Uom  a  aspetto  magnanimo  e  robusto, 

Di  cui,  per  quanto  intesi,  in  dubbio  stassi 

S'egli  sia  miglior  duce  o  cavaliere; 

Che,  con  fronte  benigna  insieme  e  grave, 

Con  regal  cortesia  invitò  dentro, 

Ei  grande  e  'n  pregio ,  me  negletto  e  bassa 

Oh  che  senili!  che  vidi  allora!  T  vidi 

Cdesti  Dee,  ninfe  leggiadre  e  belle; 

Novi  Lini  ed  Orfei;  ed  altre  ancora 

Senza  vel,  senza  nube,  e,  quale  e  quanta 

Agl'Immortali  appar  vergine  Aurora, 

&>arger  d'argento  e  d'or  rugiade  e  n^gi} 

E  fecondando  illuminar  d'intorno 

Vidi  Febo  e  le  Muse;  e  fra  le  Muse 

Elinn  seder  accolto:  ed  in  quel  punto. 

Sentii  me  iar  di  me  .tesso  maggiore, 

Pien  di  nova  virtù,  pieno  di  nova 

Dèitade;  e  cantai  guerre  ed  eroi. 


AmNTA 

Sd^ando  pastoral  ruvido  carme. 
E,  fiebben  poi  (come  altrui  piacque)  feci 
Ritorno  a  queste  selve ,  io  pur  rìtemii 
Parte  di  quello  spirto;  né  già  suona 
La  mia  samposna  umil  come  soleva  ^ 
Ma  di  voce  più  altera  e  più  sonora , 
Emula  delle  trombe,  empie  le  selve. 
Udimmi  Mopso  poscia,  e  coti  maligno 
Guardo  mirando  àfiàscinommi  ;  ond'io 
Roco  divenni,  e  poi  gran  tempo  tacqui, 
Quando  i  pastor  oredean  chMo  fossi  stato 
Yìsto  dal  lupo ,  e  1  lupo  era  costui* 
Questo  t^ho  detto,  acciò  che  sappi  quanto 
Il  parlar  di  costui  di  fede  è  degno: 
E  dei  bene  sperar,  sol  perch'ei  vuole 
Che  nulla  speri. 

jtmi.  Piacemi  d'udire 

Quanto  mi  narri.  A  te  dunque  rimetto 
La  cura  di  mia  vita. 

Tir.  Io  n'avrò  cura. 

Tu  fra  mezz'ora  qui  trovar  ti  lassa. 

CORO 

O  bella  età  dell^oro. 
Non  già.  perchè  di  latte 
Sen  corse  il  fiume,  e  stillò  mele  il  bosco; 
Non  perchè  i  frutti  loro 
Dièr  dall'aratro  intatte 
Le  terre,  e  gli  angui  errar  senz'irà  o  tosco; 
Non  perchè  nuvol  fosco 
Non  spiegò  allor  suo  velo; 
Ma  in  primavera  etema, 
•  Ch'ora  s'accende  e  verna, 


ATTO  PRIMO  »5 

Bue  di  loee  e  di  sereno  il  cielo  ^ 

Né  portò  peregrino 

O  guerra  o  merce  agli  altrui  lìdi  il  pino: 

Ma  sol  perchè -quel  vano 
Notne  senza  soggetto, 
Queir  idolo  d'errori,  idol  J  inganno  ^ 
Quel  che  dal  volgo  insano 
Qnor  poscia  fu  detto 
(  Che  di  nostra  natura  il  feo  tiranno  )| 
Non  mischiava  il  suo  aflbnno 
Fra  le  Bete  dolcezze 
Beir  amoroso  gregge^ 
Né  fu  sua  dura  legge 
Nota  a  qudTalme  in  iibertate  avvezze  j 
Bla  legge  aurea  e  felice 
Che  iNatura  scolpì  :  S"  ei  piace ,  ei  Uce* 

Allor  tra  fiorì  e  linfe 
Traean  dolci  carole 
Gli  Amoretti  senz'archi  e  senza  faci; 
Sedean  pastorì  e  ninfe 
Heschiando  alle  parole 
Vezzi  e  susurri,  ed  ai  susurri  i  bad 
Strettamente  tenaci} 
La  verginella  ignude 
Scopila  sue  fresche  rose, 
Ch'or  tien  nel  velo  ascose, 
£  le  poma  del  seno  acerbe  e  crude; 
£  spesso  in  fonte  o  in  lago 
Schenar  si  vide  con  l'amata  i}  vago. 

Tu  prima,  Onor,  velasti 
La  fonte  dei  diletti, 
Negando  l'onde  all'amorosa  sete; 
Tu  a'  begli  occhi  insegnasti 
Di  stame  in  sé  rìstretti 


a6  AMDfTA  ATTO  PHIMO 

E  tener  lor  bellesEse  altrui -«ecrete  ; 

Ta  raccogliesti  in  rete 

Le  chiome  alTaara  sparte; 

Tu  i  dolci  atti  lascivi 

Pèsti  ritrosi  e  schivi; 

Ai  delti  il  firen  ponesti;  ai  pasrà  Parte: 

Opra  è  tua  sola^  o  Onore; 

Che  furto  sia  aud  che  fu  dpn  J  Amore. 

E  son  tuoi  nitd  egregi 
Le  pene  e  i  pianti  nostri. 
Ma  tU;  d'Amorfe  e  di  natura  donno  ^ 
Tu  domator  de*  regi; 
Che  fai  tra  questi  chiostri 
Che  la. grandezza  tua  capir  non  ponno? 
Vattene;  e  turba  il  sonno 
AgF illustri  e  potenti: 
Noi  qui;  negletta  e  bassa 
Turba;  senza  te  lassa 
Viver  ndTuso  delF  antiche  genti. 
Amiam;  che  non  ha  tregua 
Con  gli  anni  umana  vita;  e  si  dilegua. 

Amiam;  che  1  Sol  si  muore;  e  poi  rinasce 
A  noi  sua  breve  luce 
S'asconde;  e'I  sonno  etema  notte  adduce. 


ATTO     SECONDO 


SCENA   PRIMA 

SATIRO,  solo. 

JT  icdola  è  Fape^  e  fa  col  picciol  morso 

Pur  fjrvn  e  pur  moleste  le  ferite: 

Bla  <pial  cosa  è  più  picdola  d'Amore, 

Se  in  ogni  breve  spazio  entra,  e  s^ asconde 

In  ogni  breve  spazio?  or  sotto  all'ombra 

Delle  i>alpd>re^  or  tra'  minuti  rivi 

D'un  Diondo  crine,  or  dentro  le  pozzette 

Che  forma  un  dolce  riso  in  bella  guancia; 

E  pur  fa  tanto  crandi  e  A  mortali 

E  cosi  immedicabili  le  piaghe. 

Oiinèl  che  tutto  piaga  e  tutto  sàngue 

Son  le  viscere  mie;  e  mille  spiedi 

Ha  negli  occhi  di  Silvia  il  crudo  Amore. 

Crudel  Amor!  Silvia  crudele  ed  empia 

Più  che  le  selve!  Oh  come  a  te  confassi 

Tal  nome!  e  quanto  vide  chi  tei  pose! 

Celan  le  selve  angui,  leoni  ed  orsi 

Dentro  il  lor  verde:  e  tu  dentro  al  bel  petto 

Nascondi  odio,  disdegno  ed  impietate, 

Fere  peggior  ch'angui,  leoni  ed  orsi; 

Che  SI  placano  quei,  questi  placarsi 

Non  possono  per  prego,  né  per  dono. 

Oimè!  quando  ti  porto  i  fior  novelli, 

Tu  li  ricusi  ritrosetta,  forse 

Perchè  fioi^  via  più  belli  hai  nel  bel  volto. 


a8  AMINTA 

OimèJ  quandMo  ti  porgo  i  vaghi  pouà^ 
Tu  li  rifiuti  disdegnosa^  forse 
Percliè  pomi  più  vaglii  bai  nel  bel  seno. 
Lasso!  quandUo  t^offrisco  il  dolce  mele| 
Tu  lo  disprezzi  dispettosa,  forse 
Perchè  mei  via  più  dolce  hai  delle  labbra. 
Ma  se  mia  povertà  non  può  donarti 
Cosa  chMn  te  non  sìa  più  bella  e  dolce  ; 
Me  medesmo  ti  dono.  Òr  perchè;  iniqua , 
Scherni  ed  abborri  il  dono?  Non  son  io 
Da  disprezzar  y  se  ben  me  stesso  vidi 
Nel  liquido  dd  mar  quando  F  altrieri 
'Taceano  i  venti ,  ed  d  giacca  senz'onda. 
Questa  mia  faccia  di  color  sanguigno , 
Queste  mie  spalle  larghe ,  e  queste  braccia 
Torose  e  nerborute,  e  questo  petto 
Setoso,  e  queste  mie  vellute  cosce 
Son  di  virilità,  di  robustezza 
Indido;  e,  se  noi  credi,  fanne  prova. 
Che  vuoi  tu  far  di  questi  tenerelii 
€he  di  molle  lanugine  fiorite 
Hanno  appena  le  euance,  e  che  con  arte 
Dispongono  i  capelli  in  ordinanza? 
Femmine  nel  sembiante  e  nelle  forze 
Sono  costoro.  Or  di'  ch'alcun  ti  segua 
Per  le  selve  e  pei  monti,  e  ^ncontra  gli  orsi 
Ed  incontra  i  cinghiai  per  te  combatta.  ' 
Non  sono  io  brutto,  no;  né  tu  mi  sprezzi 
Perchè  si  fatto  io  sia ,  ma  solamente 
Perchè  povero  sono.  Ahi,  che  le  ville 
Seguon  r  esempio  delle  gran  cittadi! 
E  veramente  il  secol  d'oro  è  questo. 
Poiché  sol  vince  l'oro,  e  i*egna  l'oro. 
O  chiunque  tu  fosti  che  insegnasti 


/ 


^ 


ATTO  SECONDO 

Primo  a  vender  Famor^  aa  maledetto 

n  tuo  cener  sepolto  e  Fossa  fredde; 

E  non  si  trovi  mai  pastore  o  niofa 

Che  lor  dica  passando:  «  Abbiale  pace  »; 

Ma  le  bagni  la  pioggia  y  e  mova  il  vento , 

E  con  pie  immondo  la  greggia  il  calpesti 

£  1  peregrin.  Tu  prima  svergognasti 

La  nobiltà  d^amor;  tu  le  sue  bete 

Dolcezze  inamaristi.  Amor  venale. 

Amor  servo  delibero  è  il  maggior  mostro 

£d  il  più  abbominabile  e  il  più  sozzo 

Che  produca  la  terra  o  1  mar  fra  F  onde. 

Ma  perchè  invan  mi  lagno?  Usa  ciascuno 

QuelFarmi  che  gli  ha  d^ite  la  natura 

Per  sua  salute:  u  cervo  adopra  il  corso , 

B  leone  gli  artigli,  ed  il  bavoso 

Gnghiale  il  dente  3  e  son  potenza  ed  aimi 

Della  donna  bellezza  e  leggiadrìa. 

Io,  perchè  non  per  mia  salute  adopro 

La  violenza,  se  mi  fe^  natura  * 

Atto  a  far  violenza  ed  a  rapire? 

Sforzerò,  rapirò  quél  che  costei 

Mi  niega,  ingrata,  in  merto  delF amore: 

Che,  per  quanto  un  oaprar  testé  mi  ha  dettO| 

Ch'osservato  ha  suo  stile,  ella  ha  per  uso 

D^ andar  sovente  a  rinfrescarsi  a  un  fonte; 

E  mostrato  m^ha  il  loco.  Ivi  io  disegno 

Tra  i  cespugli  appiattarmi  e  tra  gli  arbusti. 

Ed  aspettar  sin  che  vi  venga:  e,  come 

Vegda  Foccasion,  correrle  aadossOf 

Qua!  contrasto  col  corso  o  con  le  braccia 

Potrà  fare  una  tenera  fanciulla 

Contra  me,  si  veloce  e  sì  possente? 

Piaiifa  ^  sospiri  pure^  usi  ogni  sform 


9 


3o  AMINTA 

Dt  pietài  di  bellezza:  che,  sUo  posso 
Questa  mano  ravvoguerle  nel  crine  ^ 
Indi  non  partirà ^  elisio  pria  non  tinga 
L'armi  noe  per  yendelta  od  suo  sanen 


SGENA   IL 
DAFNE,  TIRSI. 

DqflTiniy  compio  t'ho  detto |  io  m'era  accorta 
Ch'Ajninta  amava  Silvia:  e  Dio  sa  quanti 
Baoni  offici  n*  ho  (atti  j  e  son  per  farli 
Tanto  più  volentier,  quant'or  vi  aggiungi 
Le  tne  preghiere:  ma  torrei  pia  tosto 
A  domar  un  giovenco |  un  orso,  un  tigre ^ 
Che  a  domar  una  semplice  fanauUa; 
Fanciulla  tanto  sciocca  ^  quanto  bella , 
Che  non  s'avveggìa  ancor  come  sian  calde 
L'armi  di  sua  bellezza,  e  come  acute; 
Ma.  ridendo  e  piangendo ^  uccida  altrui, 
£  l'uccida  e  non  sappia  di  ferire. 

Tir.  Ma  quale  è  coA  semplice  fanciulla , . 
Che,  uscita  dalle  fasce,  non  apprenda 
L'arte  del  parer  bella  e  dd  piacere 7 
Deir uccider  piacendo,  e  del  sapere 
Qual  arme  fera,  e  qual  dia  morte,  e  quale 
Sani  e  ritomi  in  vita? 

Daf.  Chi  è  '1  mastro 

Di  cotant'arte? 

Tir.  Tu  iBngi,  e  mi  tenti: 

Quel  che  insegna  agli  augelli  il  canto  e  1  volo, 
A'  pesci  il  nuoto,  ed  a'  montoni  il  cozzo. 
Al  toro  usar  il  corno,  ed  al  pavone   ' 


ATTO  SECONDO  3t 

Sjùegar  la  pompa  delT  occhiute  piume. 
Du^.  Come  ha  nome  1  gran  mastro? 
Tir.  Dafne  ha  nome. 

jD^  lingua  bugiarda. 

Tir.  E  perchè?  Tu  non  aei 

Atta  a  tener  mille  fanciulle  a  acuoia? 
£enchè|  per  dir  il  ver,  non  han  Inaogno 
IK  maestro:  maestra  ò  la  natura; 
Ma  la  madre  e  la  balia  anco  Vhan  parte. 
Daf.  In  somma  tu  sei  goflb  insieme  e  trista 
Ora 9  per  dirti  il  ver,  non  mi  risolvo 
Se  Slvia  è  semplicetta,  come  pare 
Alle  parole,  agh  atti.  ler  vidi  un  segno 
Che  me  ne  détte  dubbio,  fo  la  trovai 
Là  presso  la  Cittade  in  quei  gran  prati 
Ove  fra  stagni  giace  un^  isoletta , 
Sovi'esso  un  hgo  limpido  e  tranquillo 
Tutta  pendente  in  atto  che  parca 
Vagheggiar  sé  medesma  |  e  'nneme  inaeme 
Chieder  consiglio  alT acque,  in  qual  maniem 
Dispor  dovesse  in  su  la  fronte  i  crini, 
£  sovra  i  crini  il  velo  ^  e  sovra  '1  velo 
I  fior  che  tenea  in  grembo;  e  spesso  spesso 
Or  prendeva  un  ligustro,  or  una  rosa, 
E  raccostava  al  bel  candido  collo, 
Alle  guance  vermiglie,  e  de*  colori 
Fea  paragone;  e  poi,  d  come  lieta 
Ddla  vittoria,  lampeggiava  un  riso 
Che  parca  che  dicesse:  Io  pur  vi  vinco. 
Né  porto  voi  per  ornamento  mio. 
Ma  porto  voi  sol  per  vergogna  vostra, 
Perché  si  veggia  quanto  mi  cedete.  — 
Ma,  mentre  ella  s  ornava  e  vagheggiava. 
Rivolse  gli  occhi  a  caso,  e  si  fu  accorta 


3a  AMINT^ 

Ch'io  di  lei  m'era  accorta ^  e  vergognando 
RÌZ20S8Ì  tosto;  e  i  fior  lasciò  cadere. 
Intanto  io  più  ridea  del  suo  rossore  ^ 
Ella  più  s^arrossia  del  riso  mio. 
Ma,  perchè  accolta  una  parte  de'  crini , 
E  F  altra  aveva  sparsa  ^  una  o  due  volte 
Con  gli  occhi  al  fonte  consiglier  ricorse  ^ 
E  si  mirò  quasi  di  furto,  pure 
^  Temendo  caio  nel  suo  guatar  guatassi} 
Ed  incolta  si  vide,  e  si  compiacque, 
Perchè  bella  si  vide  ancor  che  incolta. 
Io  me  n'avvidi;  e  tacqui 

77r.  Tu  mi  narri 

Quel  ch'io  credeva  appunto.  Or  non  m' apposi? 

Daf.Bea  t^ apponesti:  ma  pur  odo  dire 
Che  non  erano  pria  le  pastorelle    ' 
Né  le  ninfe  si  accorte;  né  io  tale 
Fui  in  mia  fanduUeiza.  U  mondo  invecchia, 
E  invecchiando  intristisce. 

Tir.  Forse  allora 

Non  usavan  si  spesso  i  cittadini 
Nelle  selve  e  nei  campi,  né  si  spesso 
Le  nostre  fbrosette  aveano  in  uso 
D^  andare  alla  cittade.  Or  son  mischiate 
Schiatte  e  costomi.  Ma  lasciam  da  parte 
Questi  disoorsL  Or  non  farai  eh' un  giorno 
Silvia  contenta  sia  che  le  ragioni 
Aminta,  o  solo,  o  almeno  in  tua  presenta? 

Dn^.lSon  so:  Silvia  è  ritrosa  fiior  di  modo. 

Tir.  E  costui  rispettoso  è  fuor  di  modo. 

JPi^È  spacciato  un  amante  rispettoso. 

Consigliai  pur  che  faccia  altro  mestiere, 
Poich  egli  è  tal.  Chi  imparar  vuol  d'amare, 
Pisimpaii  il  rispetto:  osi,  domandi| 


ATTO  SECONDO  33 

SoUeciti  y  importuni  y  alfine  invoH  ; 
E^  se  questo  non  basta  ^  anco  rapisca. 
Or  non  sai  tu  com'è  fetta  la  donna? 
Fugge I  e  fuggendo  vuol  ch'altri  la  giunga } 
Miega^  e  negando  vuol  ch'altri  si  togliaj 
Pugna,  e  pugnando  vuol  ch'altri  la  vinca. 
\^y  Tirsi;  io  parlo  teco  in  confidenza: 
Non  ridir  ch'io  ciò  dìcaj  e  sovra  tutto 
Non  porlo  in  rime.  Tu  sai  s'io  saprei 
Renderti  poi  per  versi  altro  che  versi. 

T'ir.  Non  hai  cagìon  di  sospettar  ch'io  dica 
Cosa  giammai  che  aa  contra  tuo  grado. 
Ma  ti  prego  ;  o  mia  Dafiie,  per  la  dolce 
Memona  m  tua  fresca  giovanezza , 
Che  tu  m'aiti  ad  aitar  Aminta 
IMiserel  che  si  muore. 

Daf  Oh  che  gentile 

Scongiuro  ha  ritrovato  questo  sciocco 
Di  rammentarmi  la  mia  giovanezza , 
Il  ben  passato  e  la  presente  noja! 
Ma  che  vuoi  tu  ch'io  faccia? 

Tir.  A  te  non  manca 

Né  saper  ;  né  consiglio:  basta  sol  che 
Ti  di^nga  a  voler. 

Drf.  Otsvlj  dirotti: 

Debbiamo  in  breve  andare  Silvia  ed  io 
Al  fonte  che  s'appella  di  Diana, 
Là  dove  alle  dolci  acque  fa  dolce  ombra 
Quel  platano  ch'invita  al  fresco  seggio 
Le  ninfe  cacdatrici  :  ivi  so  certo 
Che  tufferà  le  beUe  membra  ignudo. 

Tir.  Ma  che  però? 

Dqf  Ma  che  però?  Da  poco 

Intenditori  s'hai  senno ^  tanto  basti. 
Ta««o,  roL  IF.  ^  3 


34  AMINTA 

Tir.  Intendo;  ma  non  so  àe^  avrà  tanto 

D'ardir. 
Drf,  S^ei  non  Favrìi^  stiasi;  ed  aspetti 

Ch'altri  lui  cerchi. 
Tir.  Egli  è  ben  tal  che  U  merta. 

Daf.ìlLh  non  yogliamo  noi  parlar  alquanto 
Di  te  medesmo?  Orsù,  Tirsi;  non  vuoi 
Tu  innamorarti?  Sei  giovane  ancora, 
Né  passi  di  quattr'anni  il  quinto  lustro , 
Se  ben  sovviemmi  quando  eri  fanciullo. 
Yum  vìver  neghittoso  e  senza  gioja? 
Che,  sol  amando  ;  uom  sa  che  sia  diletto. 
Tir.  I  diletti  di  Venere  non  lascia 

L'uom  che  schiva  Pamor;  ma  coglie  e  gusta 
Le  dolcezze  d' amor  senza  F  amaro. 
i7ij^  InsijMdo  è  quel  dolce  che  condito 

Non  è  di  qualche  amaro ,  e  tosto  sazia. 
Tir.  È  meglio  saziarsi  y  eh*  esser  sempre 

Fameuco  nel  cibo  e  dopo  1  cibo. 
Pq^M^  non,  se  '1  cibo  si  possedè  e  piace, 
E  gustato  a  gustar  sempre  n'invoglia. 
Jìr.  Ma  ohi  possedè  si  quel  che  gli  piace, 

Che  l'abbia  sempre  presto  alla  sua  fame? 
PafMvi  chi  ritrova  il  ben,  s'^  noi  cerca? 
77n  Periglioso  è  cercar  quel  che  trovato 
Trastulla  si,  ma  più  tormenta  assai 
Non  ritrovato.  Allor  vedrassi  amante 
Tirsi  mai  più,  ch'Amor  nel  regno  suo 
Non  avrà  più  né  pianti,  né  sospiri. 
Abbastanza  ho  già  pianto  e  sospirato: 
Faccia  altri  or  la  sua  parte. 
Dqf.  Ma  non  bai 

Già  goduto  abbastanza. 
Tir.  Né  desio 


ATTO  SECONDO  M 

Goder,  se  con  caro  egli  si  compra. 

/X^Sarà  forza  Tamar,  se  non  fia  voglia. 

TV.  Bla  non  si  può  sforzar  chi  sta  lontano. 

Z)^  Ha  chi  kmg'  è  d'Amor? 

Tir.  Chi  teme  e  fugge. 

DtjfE  che  giova  fuggir  da  lui  e* ha  Tali? 

T'ir.  Amor  nascente  ìia  corte  T  ali  ;  a  pena 
Può  su  tenerle,  e  non  le  apiega  a  volo. 

Drf.'Pnr  non  8*30001^  fuom  quand'egli  nasce; 
E,  quando  uom  se  n'accorge,  è  grande  e  vola. 

Tir.  Non  «'altra  volta  nascer  non  Fha  visto. 

D^Vedrem,  Tirsi,  s'avrai  la  fuga  agli  occhi, 
Come  tu  dici.  Io  ti  protesto,  poi 
Qie  fai  del  corridore  e  del  cerviero, 
Che,  quando  ti  vedrò  chieder  aita, 
I4on  moverei-,  per  ajutartì,  un  passo, 
Un  dito,  un  detto,  una  palpebra  sola. 

Tir,  Cnidel,  ti  darìi  il  cor  vedermi  morto? 
Se  vuoi  pur  ch'ami,  ama  tu  me;  facciamo 
L'amor  d'accordo. 

D<^.  Tu  mi  schemi;  e  forse 

Non  merti  amante  cosi  fatta.  Ahi  quanti 
N'inganna  il  viso  colorito  e  liscio! 

Tir.  Non  burlo  io ,  no  ;  ma  tu  con  tal  pretesto 
Non  accetti  il  mio  amor,  por  come  è  l'uso 


I)i  tulle  quante.  M; 
Viverò  senza  amor. 

Più  cba^Bfossi,j 

Che  nJ 

V'^i 

Tir.  0  dJI 

Hme  iJ 

m 

ij 

36  AMINTA. 

Còlti  di  fecondissime  campagne^ 
E  per  gli  alpestri  dossi  d'Appennino. 
Egu  mi  disse  y  allor  che  suo  mi  fece: 
Tirsi^  altri  scacci  i  lupi  e  i  ladri,  e  guardi 
I  miei  murati  ovili;  altri  comparta 
Le  pene  e  i  premj  a'  miei  ministri;  ed  altri 
Pasca  e  curile  greggie:  altri  conservi 
La  lane  e  1  latte ,  ed  altri  le  dispensi  : 
Tu  canta,  or  che  se'  'n  ozio.  —  Ond'è  ben  giusto 
Che  non  gli  scherzi  di  terreno  amore, 
Ma  canti  gli  avi  del  mio  vivo  e  vero 
Non  so  s'io  lui  mi  chiami  Apollo  o  Giove; 
Che  nelPopre  e  nel  volto  ambi  somiglia 
Gli  avi  più  degni  di  Saturno  o  Celo: 
Agreste  Musa  a  regal  merto;  e  pure, 
Cniara  o  roca  che  suoni,  ei  non  la  sprezza. 
Non  canto  lui,  però  che  lui  non  posso 
Degnamente  onorar,  se  non  tacendo 
£  riverendo:  ma  non  fian  giammai 
Gli  altari  suoi  senza  i  miei  fiori  e  senza 
Soave  fumo  d'odorati  incensi; 
Ed  allor  questa  semplice  e  devota 
Religion  mi  si  torrà  dal  core. 
Che  d'aria  pasceransi  in  aria  i  cervi, 
E  che,  mutando  i  fiumi  e  letto  e  corso, 
n  Perso  bea  la  Sona,  il  Gallo  il  Tigre. 
i7^0hl  tu  vai  alto.  Orsù,  discendi  un  poco 

Al  proposito  nostro. 
Tir.  n  punto  è  questo. 

Che  tu,  in  andando  al  fonte  con  colei, 
Cerchi  d'intenerirla;  ed  io  frattanto 
Procurerò  eh' Aminta  là  ne  venga: 
Né  la  mia  forse  men  difficil  cura 
Sarà  di  questa  tua.  Or  vanne. 
Dqfi  Io  vado; 


ATTO  SECONDO  S7 

Bla  il  proposto  nostro  altro  intendeva. 
Tir.  Se  ben  ravviso  di  lontan  la  faccia, 

Aminta  è  qael  che  di  là  spunta^  È  desso. 


SGENA    IIL 
AMINTA»  TIRSI. 

^mi Vorrò  veder  ciò  che  Tirsi  avrìi  fatto: 

E ,  s^avrìi  fatto  nulla  y 

Prima  ch'io  vada  in  nulla ^ 

Uccider  vo*  me  stesso  innanzi  agli  occhi 

Della  crude!  fanciulla. 

A  lei  9  cui  tanto  spiace 

La  piaga  del  mio  cprC; 

Colpo  de'  suoi  begh  occhi, 

Altrettanto  piacer  dovrà  per  certo 

La  piaga  del  mio  petto, 

Colpo  della  mia  mano. 
Tir.  Nove,  Aminta,  t'annunzio  di  conforto: 

Lascia  ornai  cruesto  tanto  lamentarti. 
JmLOimèl  che  di  ?  che  porte? 

O  la  vita,  o  la  morte? 
Tir.  Porto  salute  e  vita,  s'ardirai 

Di  farti  loro  incontra:  ma  fa  d'uopo 

D'essere  un  uom.  Aminta,  un  uoin  ardito. 
^m^Qual  ardir  mi  bisogna,  e 'ncontra  a  cui? 
Tir.  Se  la  tua  donna  fosse  in  mezz'  un  bosco , 

Che,  cinto  intomo  d'altissime  rupi. 

Desse  albergo  alle  tigri  ed  a'  leoni,. 

^.andresti  tu? 
JmL  V  andrei  sicuro  e  baldo 

Hù  che  di  festa  villanella  al  ballo. 


38  AMINTA 

Tir.  E  j  s'ella  fosse  tra  ladroni  ed  amii^ 

V'andresti  tu? 
Ami.  V  andrei  più  lieto  e  pronto 

Che  l'assetato  cervo  alla  fontana. 
Tir.  Bisogna  a  maggior  prova  ardir  più  grande. 
Ami.hnàiò  per  mezzo  i  rapidi  torrenti 

Quando  la  neve  si  discioglie,  e  gonfi 

la  manda  al  mare  )  andrò  per  mezzo  '1  foco 

E  nell'inferno,  quando  ella  vi  sia, 

S'esser  può  inferno  ov'è  cosa  ù  bella. 

Orsù,  scuoprìmi  il  tutto. 
Tir.  Odi. 

And.  Di/  tosto. 

Tir.  Silvia  t'attende  a  un  fonte,  ignuda  e  sola. 

Ardirai  tu  d'  andarvi  ? 
AmL  Oh,  che  mi  dici! 

Silvia  m'attende  ignuda  e  sola? 
Tir.  Sola} 

Se  non  quanto  v'  è  Dafne ,  eh'  è  per  noi. 
^/7i£. Ignuda  ella  m'aspetta? 
Tir.  Ignuda:  ma... 

Ami.Oìnìhl  che  ma?  Tu  taci;  tu  n|! uccidi. 
Tir.  Ma  non  sa  già  che  tu  v'abbi  d'andare. 
^iiii.Dura  conclusìòn  che  tutte  attosca 

Le  dolcezze  passate!  Or  con  qual  arte, 

Crudel,  tu  mi  tormenti? 

Poco  dunque  ti  pare 

Che  infelice  io  sia , 

Che  a  crescer  vieni  la  miseria  mia? 
Tir.  S'a  mio  senno  farai,  sarai  felice. 
AmL'Eé  che  consigli? 
Tir.  Che  tu  prenda  quello 

Che  la  fortuna  amica  t'appresenta. 
^/lu.  Tolga  Dio  che  mai  faccia 


ATTO  SECONDO  Jg 

Cosa  che  le  dispiaccia. 
Cosa  io  non  feci  mai  che  le  spiacesse  ^ 
Foor  che  Pamaria:  e  questo  a  me  fu  forza, 
Forza  di  sua  bellezza ,  e  non  mia  colpa. 
Non  sarh  dunque  ver  chMn  quanto  io  posso 
Non  cerchi  compiacerla. 
T?r.  Or  mi  rispondi: 

Se  fosse  in  tuo  poter  di  non  amarla , 
Lasceresti  d' amarla  per  piacerle  ? 
^m£.Nè  questo  mi  consente  Amor  chMo  dica, 
Ne  ch^mmagini  pur  d^aver  giammai 
A  lasciar  il  suo  amor,  bendilo  potessi. 
J^r.  Dunque  tu  V  ameresti  al  suo  dispetto  j 

Quando  potessi  far  di  non  amarla. 
j4mi. Ai  suo  dispetto,  no;  ma  P amerei.    . 
Tir.  Dunque  fuor  di  sua  voglia. 
j4mL  Sìy  per  certo. 

Tir.  Perchè  dunque  non  osi  oltra  sua  voglia 

Prenderne  quel,  che,  sebben  grava  in  prima, 
Alfin  alfin  le  sarà  caro  e  dolce 
Che  Pabbi  preso? 
AmL  Ahi,  Tirsi,  Amor  risponda 

Per  me  j  che  quanto  a  mezz'  il  cor  mi  parla 
Non  so  ridir.  Tu  troppo  scaltro  sei 
Già  per  lungo  uso  a  ragionar  d'amore; 
A  me  lega  la  lingua 
Quel  che  mi  lega  il  core. 
Tir.  Dunque  andar  non  vogliamo? 
Jmi.  Andare  io  voglio. 

Ma  non  dove  tu  stimi. 
Tir.  E  dove? 

jénU.  A  morte. 

S'altro  in  mìo  prò  non  hai  fatto  che  quanto 
Tasso,  FoL    JF.  3* 


4o  AMINTà 

Ora  mi  narri. 

Tir.  £  poco  pftrti  questo? 

Credi  tu  dunque ,  sciocco  ^  cne  mai  Dafiie 

Consigiiasae  Tandìar,  se  non  vedesse 

In  parte  il  cor  di  Silvia?  E  forse  cb'ella 

li  sa,  né  però  vuol  ch'altri  risappia 

Cb'ella  ciò  sappia.  Or  se  '1  consenso  espresso 

Cerchi  di  lei,  non  vedi  che  tu  cerchi 

Quel  che  più  le  dispiace  7'  Or  dov'  è  dunque 

Questo  tuo  desiderio  di  piacerle? 

E  s'ella  vuol  che  1  tuo  diletto  sia 

Tuo  furto  o  tua  rapina,  e  non  suo  dono, 

Né  sua  mercede,  a  te,  folle,  che  importa 

Più  Tun  modo  che  F altro? 

And.  E  chi  m'accerta 

Che  il  suo  desir  sia  tale? 

Tir.  Oh  mentecatto! 

Ecco,  tu  cliiedi  pur  quella  certezza 
Ch'a  lei  dispiace,  e  cne  spiacer  le  deve 
Dirittamente,  e  tu  cercar  non  dei. 
Ma  chi  t'accerta  ancor  che  non  sia  tale? 
Or  s'egli  fosse  tale,  e  non  v'andassi?.... 
Eguale  é  il  dubbio  e  '1  rischio.  Ahi ,  j/or  é  meglio 
Come  ardito  morir,  che  come  vile. 
Tu  taci:  tu  sei  vinto.  Ora  confessa 
Questa  perdita  tua,  che  fia  cagione 
Di  vittoria  maggiore.  Andianne. 

Aììii.  Aspetta. 

THr.  Che  aspetta?  non  sai  ben  che  1  tempo  fugge? 

AmLJyehl  pensiam  pria  se  ciò  dee  farsi,  e  coinè. 

Tir.  Per  strada  penserem  ciò  che  vi  resta  : 
Ma  nulla  fa  clii  troppe  cose  pensa. 


) 


ATTO  SECONDO  4i 

CORO 

Amore  ^  in  quale  scucia , 
Da  qual  mastro  s^  apprende 
La  tua  si  lunga  e  dubbia  arte  (T amare? 
Chi  n'insegna  a  spiegare 
Ciò  che  la  mente  intende 
Mentre  con  Tali  tue  sovra  il  cìel  vola? 
Non  già  la  dotta  Atene, 
Né  1  Liceo  nel  dimostra  j 
Non  Febo  in  Elicona, 
Che  si  d^Amor  ragiona, 
Come  colui  chMmpara: 
Freddo  ne  parla,  e  poco; 
Non  ha  voce  di  foco, 
Come  a  te  si  conviene; 
Non  alza  i  suoi  pensieri 
A  par  de*  tuoi  misteri. 

Amor,  degno  maestro 
Sol  tu  sei  di  te  stesso, 
E  sol  tu  sei  da  te  medesmo  espresso. 
Tu  di  legger  insegni 
Ai  più  rustici  ingegni 
Quelle  mirabil  cose 
Che  con  lettre  amorose 
Scrivi  dì  propria  man  negli  occhi  altrui  ; 
Tu  in  bei  facondi  detti 
Sciogli  la  lingua  de*  fedeli  tui: 
E  spesso  (oh  strana  e  nova 
Eloquenza  J  Amore  !  ) ,  * 

Spesso  in  un  dir  confuso 
E  *n  parole  interrotte 
Meglio  si  esprìme  il  core, 


43  AMINTA  ATTO  SECONDO 

E  più  par  che  si  mova, 

Che  don  si  fa  con  voci  adorne  e  dotte  : 

£  '1  silenzio  ancor  suole 

Aver  prieshi  e  parole* 

Amor,  leggan  pur  gli  altri 
Le  socratiche  carte, 

ChMo  in  due  begli  occhi  apprenderò  quest'arte: 
E  perderan  le  rime 
Ddile  penne  pm  sagge 
Appo  le  mie  selvagge , 
Che  rozza  mano  in  rozza  scorza  imprime. 


/ 


ATTO    TERZO 


SGENA   PRIMA 

TIRSI,  CORO 

É 

Tir.  xjh  cmdeltate  estrema!  oh  ingrato  corei 
Oh  donna  ingrata!  oh  tre  fiate  e  quattro 
Ingratissimo  sesso!  £  tu.  Natura, 
Negligente  maestra  ^  perone  solo 
Alle  donne  nel  volto*  e  in  quel  di  fupri 
Ponesti  quanto  in  loro  è  di  gentile, 
Di  mamsueto  e  di  cortese,  e  tutte 
L'altre  parti  obbiiastì?  Ahi,  misereUo! 
Forse  ha  sé  stesso  ucciso:  ei  non  appare: 
Io  Fbo  cerco  e  ricerco  ornai  tre  ore 
Nel  loco  ov'io  il  lasciai,  e  nei  contomi; 
Né  trovo  lui,  né  orme  de'  suoi  passi. 
Ahi,  che  8^ è  certo  ucciso!  Io  vo^  novella 
Chiederne  a  que'  pastor  che  colà  veggio.  *— 
Amici,  avete  visto  Aminta,  o  inteso 
Novella  di  lui  forse? 

Cot.  Tu  mi  pari 

Cod  turbato:  e  qual  cagion  t'aflanna? 
Ond^è  questo  sudor  e  questo  ansare? 
Avvi  nulla  di  mal  7  fa  che  1  sappiamo. 

Tir.  Temo  del  mal  d^  Aminta:  avete!  visto? 

Cor.  Noi  visto  non  V  abbiam  da  poi  che  teco , 
Buona  pezza,  parti:  ma  che  ne  temi? 

Tir.  Ch^  egli  non  s' abbia  ucciso  di  sua  mano. 

Con  Ucciso  di  sua  mano  !  Or  perchè  questo  ì 


44  AMIIfTA 

Che  ne  atimi  cacone? 

Tir.  Odio  ed  amore. 

Cor.  Duo  potenti  inimici .  insieme  aggiunta , 
Che  mr  non  ponno/  Ma  parla  più  chiaro. 

7Vr.  Uamar  troppo  una  ninfa  ^  e  f  esser  troppo 
0(&ato  da  lei. 

Cor.  Deh!  narra  il  tutto. 

Questo  è  luogo  .di  passo ,  e  forse  intanto 
^cun  verrìi  die  nova  di  lui  rechi  j 
Forse  arrivar  potrebbe  anch'  egli  istesso. 

Tir.  Dirotto  yolentier;  che  non  è  giusto 
Che  tanta  ingratitucUne  e  à  strana 
Senza  F  infamia  debita  si  resti. 
Presentito  avea  Aminta  (ed  io  fui,  lasso! 
Colui  che  riferillo,  e  che  1  condussi: 
Or  me  ne  pento)  che  Silvia  dovea 
Con  Dafne  ire  a  lavarsi  ad  una  fonte. 
Là  dunque  sMnviò  dubbio  ed  incerto, 
Mosso  non  dal  suo.  cor,  ma  sol  dal  mio 
Stimolar  importuno;  e  spesso  in  forse 
Fu  di  tornar  indietro  :  ed  io  '1  sospinsi , 
Pur  mal  suo  grado,  innanzi.  Or,  quando  ornai 
Cera  il  fonte  vicino,  ecco  sentiamo 
Un  femminil  lamento,  e  quasi  a  un  tempo 
Dafoe  yeggiam  che  battea  palma  a  palma; 
La  qual,  come  ci  vide,  alzò  la  voce: 
Ali  correte,  gridò  :  Silvia  è  sforzata.  — 
LMnnamorato  Aminta,  che  ciò  intese, 
Si  spiccò  com^  un  pardo  ;  ed  io  seguillo. 
Ecco  miriamo  a  un  arbore  legata 
La  giovinetta  ignuda  come  nacque. 
Ed  a  legarla  fune  era  il  suo  enne: 
11  suo  crine  medesmo  in  mille  nodi 
Alla  pianta  era  avvolto;  e  '1  suo  bel  cinto ^ 


ATTO  TERZO  45 

Che  dd  aen  virginal  fii  pria  custode^ 
Di  quello  stupro  era  ministro^  ed  ambe 
Le  mani  al  duro  tronco  le  strìngea^ 
E  la  pianta  ìnedesma  avea  prestati 
Legami  contra  lei  3  oh*  una  ritorta 

'    D'un  pieghevole  ramo  avea  a  ciascuna 
Delle  tenere  eambe.  A  fronte  a  fronte 
Un  Satiro  viUan  noi  le  vedeqimo^ 
Che  dì  legarla  pur  allor  finia. 
Ella,  quanto  potea,  faceva  schermo: 
Ma  che  potuto  avrebbe  a  lungo  andare? 
Aminta  con  un  dardo ,  che  tenea 
Nella  man  destra,  al  Satiro  avventossi 
Come  un  leone  3  ed  io  frattanto  [ùeno 
M'avea  di  sassi  il  grembo:  onde  fuggissi. 
Come  la  fuga  dell'altro  concesse 
Spazio  a  lui  di  mirare,  egh  rivolse 
I  cupidi  occhi  in  quelle  membra  belle, 
Che,  come  suole  tremolare  il  latte 
Ne'  giunchi,  si  parean  morbide  e  bianclie^ 
E  tutto  1  vidi  sfavillar  nel  viso. 

'    Poscia  accostossi  pianamente  a  lei. 
Tutto  modesto,  e  disse:  O  bella  Silvia, 
Perdona  a  queste  man,  se  troppo  ardire 
È  r appressarsi  alle  tue  dolci  membra. 
Perchè  necessità  dura  le  sforza: 
Necessità  di  scioglier  questi  nooi: 
Né  questa  grazia,  che  fortuna  vuole 
Conceder  loro,  tuo  malgrado  sia. 
Cor.  Parole  da  ammollir  un  cor  di  sasso! 
Ma  che  rispose  allor? 

Nulla  rispose; 
Ma  disdegnosa  e  vergognosa  a  terra 
Chinava  u  viso;  e  1  delicato  seno, 


J 


46  ÀMINTÀ 

Quanto  potea  ^  torcendosi  edava. 
Egli ,  fattosi  innanzi ,  il  biondo  crine 
G>niinciò  a  sviluppare,  e  disse  intanto: 
Già  di  nodi  d  bei  non  era  degno 
Cosi  ruvido  tronco:  or  che  vantaggio 
Hanno  i  servi  d'Amor,  se  lor  comune 
È  con  le  piante  il  prezioso  laccio? 
Pianta  crudel,  potesti  quel  bel  crine 
Offender  tu,  eh  a  te  feo  tanto  onore?  — 
Quinci  con  le  sue  man  le  man  le  sciolse 
In  modo  tal,  che  parca  che  temesse 
Pur  di  toccarle  e  desiasse  insieme: 
Si  chinò  poi  per  islegarle  i  piedi. 
Ma,  come  Silvia  in  libertà  le  mam 
Si  vide,  disse  in  atto  dispettoso  : 
Pastor,  non  mi  toccar:  son  di  Diana; 
Per  me  stessa  saprò  sciogliermi  i  piedi. 

Cor.  Or  tanto  orgoglio  alberga  in  cor  di  ninfa  ? 
Ahi  d'opra  graziosa  ingrato  mertol 

Tir.  Ei  si  trasse  in  disparte  riverente , 

Non  alzando  pur  gli  occhi  per  mirarla  ; 
Negando  a  sé  medesmo  il  suo  piacere, 
Per  tórre  a  Id  fatica  di  negarlo. 
Io,  che  m'era  nascoso,  e  vedea  il  tutto, 
Ea  udia  il  tutto ,  allor  fui  per  gridare  ; 
Pur  mi  ritenni.  Ór  odi  strana  cosa. 
Dopo  molta  fatica  ella  si  sciolse  ; 
E,  sciolta  appena,  senza  dire  addio, 
A  fuggir  cominciò  com'  una  cerva  ; 
E  pur  nulla  cagione  avea  di  tema, 
Ch^è  Fera  noto  il  rispetto  d*  Aminta. 

Cor.  Perchè  dunque  fuggissi? 

Tir.  Alla  sua  fuga 

Volse  P obbligo  aver,  non  all'altrui 


ATTO  TEBZO  47 

Modesto  amore. 
Cor.  Ed  in  quest^anco  è  ingrata* 

Ma  che  &?  1  miserello  allor?  che  disse? 
Tir.  Noi  so  ;  chMo  pien  di  mal  talento  corsi  / 

Per  arrivarla  e  ritenerla  j  e  'nvano^  .    . 

Ch'io  la  smarru:  e  poi^  tornando  dove 

Lasciai  Aminta  al  fonte,  noi  trovai. 

Ma  presaeo  è  il  mio  cor  di  qualche  male  i 

So  ch'e^h  era  disposto  dì  morire 

Prima  che  ciò  avvedisse* 
Cor.  È  uso  ed  arte 

Di  ciascnn  ch'ama  minacciarsi  morte j 

Bla  rade  volte  poi  segue  F  effetto. 
Tir.  Dio  faccia  eh'  A  non  aa'  tra  questi  rari  ! 
Cor.  Non  sarà,  no. 
Tir.  Io  voglio  irmene  alT  antro 

Del  saggio  Elpino:  ivi,  s^è  vivo,  forse 

Sarà  nootto.  ove  movente  suole 

Raddolcir  gh  amarìssimi  martìri 

Al  dolce  suon  della  sampogna  chiara,    ' 

Ch'  ad  udir  trae  dagli  alti  monti  i  sassi , 

E  correr  fa  di  puro  latte  i  fiumi, 

£  stillar  mde  dalle  dure  scorze. 


SGENA    IL 

AMINTA»  DAFNE ,  HEEINA, 

^mt  Dispietata  pietate 

Fu  la  tua  veramente ,  0  Dafiie  j  allora 
Che  ritenesti  il  dardo  3 
Però  che  1  mio  morire 

amaro  sarii,  quanto  più  tardo. 


ff  % 


48  AMINTA 

Ed  or  perchè  m'  avvolgi 

Per  A  diverse  strade,  e  per  si  vari 

Raeionamenti  invano?  di  che  temif 

Ch  io  non  m!  uccida  ?  Temi  del  nùo  bene. 

Aj/TNon  disperar,  Amiata} 
Che  io  lei  bea  conosco: 
Sola  vergogna  fu,  non  cmdeltate, 
Quella  che  mosse  Silvia  a  fuggir  via* 

jimLOimèì  che  mia  salute* 
Sarebbe  il  disperare, 
Poiché  sol  la  speranza 
È  stata  mia  rovina^  ed  anco,  ahi  lasso! 
Tenta  di  germogliar  denti^  al  mio  petto, 
Sol  perchè  io  viva:  e  quale  è  maggior  male 
Della  vita  d*un  misero  compio? 

JRj^Vivi,  misero^  vivi 

Nella  miseria  tua;  e  questo  stato 
Sopporta  sol  per  divenir  felice 
Quando  che  sia«  Fia  premio  della  speme 
(Se  vivendo  ^  speranno  ti  mantieni) 
Quel  che  vedesti  nella  bella  ignuda. 

jind^^on  pareva  ad  Amor  e  a  mia  Fortuna 
Ch^  appien  misero  fossi  |  s^  anco  appieno 
Non  m^era  dimostrato 
Quel  che  m'era  negato. 

JVen  Dunque  a  me  pur  convien  esser  sinistra 
Cormce  Jamarìssima  novella. 
O  per  maisempre  misero  Montano, 
Qual  animo  fia  '1  tuo  quando  udirai 
DelT  unica  tua  Silvia  il  duro  ca^o? 
Padre  vecchio,  orbo  padre {  ahi,  non  più  padre! 

Daf.Odo  una  mesta  voce. 

Ami.  Io  odo  1  nome 

Silvia ,  che  gli  orecchi  e  '1  cor  mi  fere. 


I 


ATTO  TERZO  49 

Ma  chi  è  che  la  noma? 
Ik^.  Ella  è  Nerina, 

Ninfii  gentil,  che  tanto  a  Cintia  è  cara^ 
C'ha  a  begli  occhi  e  cod  belle  mani , 
£  modi  n  ayrenenti  e  graziosi. 
Ner.  E  por  voglio  che  '1  sappi ,  e  che  procuri 
Di  ritrovar  le  reliquie  infelici  • 
Se  nulla  ve  ne  resta.  Ahi,  Silvia!  ahi  dura 
Infelice  tua  sorte! 
^jiu.Oimè!  che  fia  che  costei  dice? 
Ner.  Oh  Dafne!... 

Pliche  parli  fra  te  stessa?  e  perchè  nomi 

lu  Sìlvia,  e  poi  sospmi 
Ner.  Ahi,  ch^a  ragione 

Sospiro  Faspro  caso! 
AmL  Ahi!  di  qual  caso 

Può  ragionar  costei?  Io  sento,  io  sento 
Che  mi  s* agghiaccia  il  core,  e  mi  si  chiude 
Lo  spirta  —  È  viva?  ' 

/)i;^  Narra  qual  aspro  caso  è  quel  che  dici. 
Ner.  Oh  dio  !  perchè  son  io 

La  messaggiera?  E  pur  convien  narrarlo. 
Venne  Silvia  al  mio  albergo  ignuda;  e  quale 
Fosse  Foccasion,  saper  la  dei. 
Poi,  rivestita,  mi  pregò  che  seco 
Ir  volessi  alla  caccia,  che  ordinata 
Era  nel  bosco  e* ha  nome  dall'elei. 
Io  la  compiacqui:  andammo j  e  ritrovammo 
Molte  ninfe  ridotte:  e  indi  a  poco 
Ecco,  di  non  so  donde,  un  lupo  sbuca. 
Grande  fuor  di  misura,  e  dalle  labbra 
Gocciolava  una  bava  sanguinosa. 
Silvia  un  quadrdlo  adatta  su  la  corda. 
D'un  arco  ch'io  le  diedi,  e  tira,  e '1  coglie 
Tasso,  Voi  IF.  4 


5o  AMINTA 

A  sommo  1  capo:  ei  si  rìnselva;  ed  ella, 
Vibrando  un  dardo,  dentro  '1  bosco  il  segue. 

jimi Oh  dolente  principio!  oimè!  qual  fine 
Già  mi  s  annunzia. 

Ner.  Io  con  un  altro  dardo 

Seguo  lor  traccia,  ma  lontana  assai, 
Che  più  tarda  mi  mossi.  Come  fòro 
Dentro  alla  selva,  più  non  la  rividi* 
Ma  pur  per  Torme  lor  tanto  m'avvolsi, 
Che  giunsi  nel  più  folto  e  più  deserto. 
Quivi  il  dardo  di  Silvia  in  terra  scòrsi, 
Né  molto  indi  lontano  un  bianco  velo 
ChMo  stessa  le  ravvolsi  al  orine;  e,  mentre 
Mi  guardo  intomo,  vidi  sette  lupi 
Che  leccavan  di  terra  alquanto  sangue 
Sparto  intomo  a  cert'ossa  afl&lto  nude; 
E  fu  mia  sorte  chMo  non  fui  veduta 
Da  loro;  tanto  intenti  erano  al  pasto: 
Tal  che,  piena  di  tema  e  di  pietate. 
Indietro  ritornai.  E  questo  è  quanto 
Posso  dirvi  di  Silvia;  ed  ecco  1  velo. 

^mi, Poco  parti  aver  detto?  Oh  velo!  oh  sangue! 
Oh  Silvia,  tu  se^  morta! 

Pqf.  Oh  miserello! 

Tramortito  è  d* affanno,  e  forse  morto. 

iVer. Egli  rìspira  pure:  questo  fia 

Un  breve  svenimento  ....  Ecco,  riviene. 

y^iTi^'. Dolor,  che  si  mi  omci. 

Che  non  m'uccidi  ornai?  Tu  sei  pur  lento! 

Forse  lasci  T  officio  alla  mia  mano. 

Io  son,  io  son  contento 

Ch'  ella  prenda  tal  cura , 

Poi  che  tu  la  ricua,  o  che  non  puoi, 

Oimè!  se  nulla  manca 


ATTO  TERZO  -  5i 

Alia  certezza  amai, 

£  nulla  manca  al  colmo  '  ' 

Della  miseria  mia, 

Che  bado?  che  più  aspetto?  — O  Dafne,  o  Dafiie, 

A  questo  amaro  fin  ta  mi  salvasti? 

A  questo  fine  amaro? 

Belio  e  dolce  morir  fu  certo  allora 

Che  uccidere  io  mi  volli. 

Tu  mei  negasti^  el  Ciel,  a  cui  parca 

Ch'io  precorressi  col  morir  la  noja 

Ch'apprestata  m'avea, 

Or,  cne  fatt'hst  F  estremo 

Della  sua  cmdeltate , 

Ben  sofiiirà  ch'io  moja} 

£  tu  soffrir  lo  dei. 
D^  Aspetta  alla  tua  morte 

Sin  che  1  ver  meglio  intenda. 
^mi.Qimèl  che  vuoi  ch'attenda? 

Oimèl.  che  troppo  ho  atteso,  e  troppo  inteso. 
iVer. Deh,  foss'io  stata  muta! 
^iTiL  Ninfa,  dammi,  ti  prego. 

Quel  velo  ch'è  di  lei 

Solo  e  misero  avanzo. 

Sì  ch'egli  m'accompagne 

Per  questo  breve  spazio 

E  di  via  e  di  vita  che  mi  resta} 

£  .con  la  sua  presenza 

Accresca  quel  martire, 

Ch'è  ben  picciol  martire, 

S' ho  bisogno  d' ajuto  al  mio  morire. 
iVer. Debbo  darlo,  o  negarlo? 

La  cagion  perchè  '1  chiedi , 

Fa  ch'io  debba  negarlo. 
«.Crudeli  sì  picciol  dono 


5«  AMINTA  ATTO  TERZO 

Mi  nieghi  al  punto  estremo? 

E  'n  questo  anco  maUgno 

Mi  si  mostra  il  mio  fato.  Io  cedo,  io  cedo: 

A  te  si  resti;  —  e  voi  restate  ancora, 

ChMo  TO  per  non  tornare. 
Daf.kmmtà^  aspetta,  ametta.  -^ 

Girne,  con  quanta  furia  egli  si  parte! 
iVer.  E^li  ya  sì  veloce, 

Che  fia  vano  il  seguirlo  ;  end' è  pur  meglio 

Ch^  io  segua  il  mio  viag^o  :  e  forse  ò  meglio 

ChMo  taccia,  e  nulla  conti 

Al  mìsero  Montano.  , 

OOEO 

Non  bisogna  la  morte} 
Ch^a  stringer  nobil  core 
Prima  basta  la  fede,  e  poi  F  amore. 
Né  quella  che  si  cerca 
È  si  difficil  fama, 
Seguendo  chi  ben  amaj 
Ch'amore  è  merce,  e,  con  araar  si  merca; 
£^  cercando  F  amor ,  si  trova  spesso 
Giona  immortai  appresso. 


ATTO     QUARTO 


SCENA  PRIMA 

DAFNE,  SILVIA,  CORO 

Daf.  J\ie  porti  il  vento)  con  la  ria  novella 
Che  s'era  di  te  sparta,  ogni  tuo  male 
E  presente  e  futuro.  Tu  sei  viva 
E  sana,  Dio  lodato;  ed  io  per  morta 
Pur  ora  ti  tenea:  in  tal  maniera 
M'avea  Nerìna  il  tuo  caso  dipinto. 
Ahi  fosse  stata  muta,  ed  altn  sordo I 

SiL  Certo  1  rischio  fu  grande;  ed  ella  avea 
Giusta  cagion  di  sospettarmi  morta.^ 

Z>ij^Ma  non  giusta  cagion  avea  di  dirlo. 

Or  narra  tu  qual  fosse  1  rischio ,  e  come 
Tu  Io  fuggbti. 

Io,  seguitando  un  lupo, 
Ili  rinselvai  nel  più  profondo  bosco  ^ 
Tanto  chMo  ne  perdei  la  traccia*  Or  mentre 
Cerco  di  ritornare  onde  mi  tolsi, 
n  vidi,  e  riconobbi  a  un  strai  che  fitto 
Gli  aveva  di  mìa  man  press^  un  orecchio, 
n  vidi  con  moie  altri  intorno  a  un  corpo 
D'un  animai  eh' avea  di  fresco  ucciso; 
Ma  non  distinsi  ben  la  forma.  H  lupo 
Ferito ,  credo ,  mi  conobbe ,  e  'ncontro 
Ifi  venne  con  la  bocca  sanguinosa. 
Io  rispettava  ardita,  e  con  la  destra 
Vibrava  un  dardo.  Tu  sai  ben  s'io  sono 


54  AMINTA . 

Maestra  di  ferire^  e  se  mai  soglio 

Far  colpo  in  fallo.  Or^  quando  il  vidi  tanto 

\ic]n^  che  giusto  spazio  mi  parea 

Alla  percossa .  lanciai  mi  dardo ,  e  'nvano  j 

Chè^  colpa  di  fortuna  o  pur  mia  colpa; 

In  vece  sua  colsi  una  pianta.  Allora 

Più  ingordo  incontro  ei  mi  venia;  ed  io 

Chel  vidi  sì  vìcin^  che  stimai  vano 

L'uso  dell'arco,  non  avendo  altr'armi; 

Alla  fuga  ricorsi.  Io  fuggo  ^  ed  egU 

Non  resta  di  seguirmi.  Or  odi  caso: 

Un  vek);  ch'avea  avvolto  intomo  al  crine, 

Si  spiegò  in  parte,  e  giva  ventilando 

Si  ch'ad  un  ramo  awiluppossi.  Io  sento 

Che  non  so  che  mi  tien  e  mi  ritarda. 

Io,  per  la  tema  del  morir,  raddoppio 

La  forza  al  corso,  e  d'altra  parte  il  ramo 

Non  cede,  e  non  mi  lascia:  alfin  mi  svolgo 

Del  velo,  e  alquanto  de'  miei  crini  ancora 

Lascio  svelti  col  v^lo  ;  e  cotant'  ali 

M' impennò  la  paura  ai  pie  fugaci , 

Ch'ei  non  mi  giunse,  e  salva  uscii  del  bosco. 

Poi,  tornando  al  mio  albergo,  io  t'incontrai 

Tutta  turbata,  e  mi  stupii  vedendo 

Stupirti  al  mio  apparir. 

Daf.  OimèI  tu  vivi; 

Altri  non  già. 

Sii.  Che  dici?  ti  rincresce 

Forse  eh'  io  viva  sia  ?  m'  odii  tu  tanto  ? 

Def.ìliì  piace  di  tua  vita,  ma  mi  duole 
Dell'altrui  morte. 

SiL  E  di  qual  morte  intendi? 

/7ii^  Della  morte  d' Aminta. 

SiL  Ahi!  come  è  morto? 


I 


ATTO  QUARTO  55 

/>d^  Il  come  non  so  dir;  né  so  dir  anco 

S*  è  ver  V  effetto  :  ma  per  certo  il  credo. 

53.    Ch^è  ciò  che  tu  mi  dici?  ed  a  chi  rechi 
La  cagion  di  sua  morte? 

Di^  Alla  tua  morte. 

Sili    Io  non  tMntendo. 

Do/T  La  dura  novella 

Della  tua  morte ^  ch'egli  udì  e  credette ^ 
Avià  porto  al  meschino  il  laccio  o  U  ferro  j 
Od  altra  cosa  tal^  che  Favrà  ucciso. 

SiL    Vano  il  sospetto  in  te  delk  sua  morte 
Sarà,  come  fu  van  della  mia  morte j 
Ch'ognuno  a  suo  .poter  salva  la  vita. 

Daf.Q  Silvia )  Silvia^  tu  non  sai,  né  credi 

Quanto  '1  foco  a  Amor  possa  in  un  petto  ^ 
Che  petto  sia  di  carne ,  e  non  di  pietra  ^ 
Com'è  cotesto  tuo:  che,  se  creduto 
L'avessi,  avresti  amato  chi  t'amava 
Pili  che  le  care  pupille  degli  occhi, 
Piìì  che  lo  sprto  oella  vita  sua. 
n  credo  io  ben,  anzi  flio  visto,  e  sóllo: 
Il  vidi,  quando  tt|  fuggisti  (oh  fera 
Più  che  tigre  crudeli)  ed  in  quel  punto 
Ch'abbracciar  lo  dovevi,  il  vicU  un  dardo 
Rivolgere  in  sé  stesso,  e  quello  al  petto 
Premersi  disperato,  né  pentirsi 
Poscia  nel  fatto;  che  le  vesti  ed  anco 
La  pelle  trapassossi  ^  e  nel-  suo  sangue 
Lo  tinse  3  e  1  ferro  sana  giunto  addentro , 
E  passato  quel  cor  che  tu  passasti 
Più  duramente,  se  non  ch'io  gli  tenni 
H  braccio,  e  l'impedii  ch'altro  non  fésse. 
Ahi  lassa!  e  forse  quella  breve  piaga 
Solo  una  prova  fii  del  suo  furore 


/ 


56  AMINTA 

E  della  disperata  sua  costanza; 

E  mostrò  quella  strada  al  ferro  audace  ^ 

Che  correr  poi  dovea  liberamente. 

SiL   Oh^I  che  mi  narri? 

Daf.  n  vidi  poscia,  allora 

Ch'intese  Famarissima  novdla 
Della  tua  morte,  tramortir  d* affanno, 
E  poi  partirsi  furioso  in  fretta 
PeV  uccider  sé  stesso;  e  s*  avrà  ucciso 
Veracemente. 

SiL  £  ciò  per.  fermo  tieni? 

Daf.  lo  non  v'ho  dubbio. 

SiL  '    Oimè!  tu  noi  seguisti 

Per  impedirlo?  Oimè!  cerchiamlo,  andiamo; 
Che,  poi  ch'egli  morìa  per  la  mia  morte. 
Dee  per  la  vita  mìa  restar  in  vita. 

Daf  lì  seguii  ben;  ma  correa  sì  veloce^ 
Che  mi  ^ari  tosto  dinanzi,  e  'ndamo 
Poi  mi  girai  per  le  sue  orme.  Or  dove 
Vuoi  tu  cercar,  se  non  n'hai  traccia  alcuna? 

SiL   Egli  morrà,  se  noi  troviamo,  ahi  lassa! 
E  sarà  l'omicida  ei  di  sé  stesso. 

Z'^Crudel!  forse  t' incresce  eh' a  te  tolga 
La  gloria  di  quest'atto?  esser  tu  dunque 
L'omicida  vorresti?  e  non  ti  pare 
Che  la  sua  cruda  morte  esser  debb'opra 
D'altri,  che  di  tua  mano?  Or  ti  consola. 
Che ,  comunque  egli  muoja ,  per  te  muore , 
E  tu  sei  che  l'uccidi. 

SìL   Oimél  che  tu  m'accori;  e  quel  cordoglio. 
Ch'io  sento  del  suo  caso,  inacerbisci 
Con  l'acerba  memoria 
Della  mia  crudeltate^ 
^Ch'io  chiamava  onestate:  e  ben  fu  tale; 


ATTO  QUARTO  «7 

Ma  fu  troppo  severa  e  rigorosa: 
Or  me  n'  accorgo  e  p0pto. 

A^  Oh,  quel  chUo  odo! 

Tu  sei  pietosa,  tu?  tu  senti  al  core 
Spirto  aicuo  di  pietatel  Oh,  che  veggio? 
Tu  piangi^  tu,  superba?  Oh  maravigliai 
Che  pianto  è  questo  tuo?  pianto  cT amore 7 

SiL  Pianto  cTamor  non  già,  ma  di  pietate. 

DqflA  jHetà  messaggera  è  dell^ amore, 
Come  1  lampo  del  tuono. 

Cor.  Anzi  sovente, 

Quando  egU  vuol  ne^  petti  verginelli 
Occulto  entrare  y  onde  fu  prima  escluso 
Da  severa  onestà,  F abito  prende, 
Prende  T  aspetto  della  sua  ministra 
E  sua  nunzia  pietate;  e ,  con  tai  larve 
Le  semplici  ingannando,  è  dentro  accollo. 

Daf  Questo  è  pianto  d^amor;  che  tro]^  abbonda. 
Tu  taci?  Anii  tu,  Silvia?  Ami,  ma  invano. 
Oh  potenza  d^  Amor  I  giusto  castigo 
Mandi  sovra  costei.  Misero  Aminta  I 
Tu,  in  guisa  d^ape  che  ferendo  muore | 
£  nelle  piaghe  altrui  lascia  la  vita, 
G>n  la  tua  morte  hai  pur  trafitto  al  fine 
Quel  duro  cor  che  non  potesti  mai 
Punger  vivendo.  Or  ^  se  tu  spirto  errante 
(  Si  come  io  credo  )  e  delle  membra  ignudo 
Qui  intorno. .sei,  mira  il  suo  pianto,  e  godi| 
Amante  in  vita ,  amato  in  morte  :  e  s^  era 
Tuo  destin  che  tu  fossi  in  morte  amato, 
E  se  questa  crudel  volea  F  amore 
Venderti  sol  con  prezzo  così  caro^ 
Désti  quel  prezzo  tu  ch'ella  richiese, 
£  r  amor  suo  col  tuo  morir  comprasti. 


8B  AMINTA 

Cor.  Caro  prafaso  a  chi  1  diedej  a  chi  *1  riceve^ 

Prezzo  mutile  e  infSune. 
iSiJL  Oh  potess'  io 

Con  r  amor  mio  comprar  la  vita  sua  ^ 

Anzi  pur  con  la  mia  la  vita  sua^ 

Scegli  è  pur  morto! 
Daf  Oh  tardi  saggia^  e  tardi 

Pietosa I  <{uando  dò  nulla  rilevai 


SCENA    IL 

EEGASTO,  CORO,  SILVIA,  DAFNE. 

Erg.  Io  ho  A  {neno  il  petto  di  pietate  | 
£  ai  pieno  d^orror^  che  non  rimiro , 
Né  odo  alcuna  cosa^  ond'io  mi  volga  , 
La  qual  non  mi  spaventi  e  non  m*  affanni. 

Cor.  Or  ch^  apporta  costui , 

Ch'  è  si  turbato  in  vista  ed  in  £iveUa  ? 

Erg.  Porto  F  aspra  novella 
Della  morte  d^  Aminta. 

Sii  Oimè  !  che  dice? 

Ejg.  n  più  nobil  pastor  di  queste  selve  ^ 
Che  fìi  cosi  gentil .  cosi  leggiadro  , 
CoA  caro  alle  ninie  ed  alle  Muse^ 
Ed  è  morto  fanciullo  y  ahi  di  che  morte  ! 

Cor.  Contane  ^  prego  ^  il  tutto ,  acciò  che  teco 
Pianger  possiam  la  sua  sciagura  e  nostra. 

Sii  OimèI  cnMo  non  ardisco 
Appressarmi  ad  udire 

Quel  eh' è  pur  forza  udire.  Empio  mio  core, 
Mio  dmt>  alpestrcj  core, 
Di  che,  di  che  paventi? 


f 


ATTO  QDAATO  S9 

Yattene  incontra  pure 

A  qua  coltei  pungenti 

Che  costui  porta  nella  lingua,  e  quivi 

Mostra  la  tua  fierezza.  — 

Pastore,  io  vengo  a  parte 

Di  quel  dolor  che  tu  prométti  altrui; 

Che  a  me  ben  si  conviene 

Più  che  forse  non  pensi;  ed  io  U  ricevo 

Come  dovuta  cosa.  Or  tu  di  lui 

Non  mi  sii  dunque  scarsOi 

Er^.  Ninfa,  io  ti  credo  benej 

ChMo  sentu  quel  meschmo  in  su  la  morte 

Finir  la  vita  sua 

Col  chiamar  il  tuo  nome. 

Dqf.On  comincia  ornai 
Questa  dolente  istoria. 

Erg.  Io  era  a  mezzo  1  colle,  ove  avea  tese 
Certe  mie  reti,  quando  assai  vicino 
Vidi  passar  Aminta ,  in  volto  e  in  atti 
Troppo  mutato  da  quel  ch'ei  soleva. 
Troppo  turbato  e  scuro.  Io  corsi,  e  cor» 
Tanto,  che  '1  giunsi  e  lo  fermai;  ed  egli 
Mi  disse:  Ergasto,  io  vo^  che  tu  mi  laccia 
Un  gran  piacer:  quest'è,  che  tu  ne  venga 
Meco  per  testimonio  d'un  mio  fatto: 
Ma  pria  vo^o  da  te,  che  tu  mi  leghi 
Di  stretto  giuramento  la  tua  fede 
Di  startene  in  disparte,  e  non  por  mano 
Per  impedirmi  in  quel  che  son  per  fare.  — 
Io  (chi  pensato  avrìa  caso  sì  strano. 
Né  A  pazzo  furor  7  ),  com'  egli  volle ,  . 
Feci  scongiuri  orrìbili ,  chiamando 
E  Pane,  e  Pale,  e  Priapo,  e  Pomona, 
Ed  Ecate  notturna.  Indi. si  mosse. 


I 


■» 


6o  AMINTA 

E  mi  condusse  ov^è  iscosoeso  il  colle, 

E  giù  per  balzi  e  per  dirapi  incolti, 

Strada  non  già,  che  non  rè  strada  alcuna, 

Ma  cala  un  precipizio  in  una  valle. 

Qui  ci  fermammo.  Io  ,•  rimirando  a  basso , 

Tutto  sentii  raccapricciarmi,  e  'ndietro 

Tosto  mi  trassi:  ed  egli  un  cotal  poco 

Parve  ridesse,  e  serenossi  in  viso; 

Onde  quell^atto  più  rassicurommi. 

Indi  parlommi  si:  Fa  che  tu  conti 

Alle  ninfe  e  ai  pastor  ciò  che  vedrai»  -^ 

Poi  disse,  in  ffa  guardando: 

Se  presti  a  mio  volere 

Cosi  aver  io  potessi 

La  gola  e  i  denti  degli  avidi  lujn, 

Cott^ho  questi  dirupi. 

Sol  vorrei  far  la  morte 

Che  fece  la  mìa  vita: 

Vorrei  che  queste  mie  membra  meschine 

Si  fosser  lacerate, 

Qimè  I  come  eia  fòro 

Quelle  sue  delicate. 

Poi  che  non  posso ,  e  U  Gdo 

Dinega  al  mio  desire 

Gli  animali  voraci 

Che  ben  vernano  a  tetnpo,  io  prender  voglio 

Altra  strada  al  morire: 

Prenderò  queUa  via 

Che,  se  non  la  dovuta, 

Almen  fia  la  più  breve. 

Silvia ,  io  ti  seguo;  io  tengo 

A  farti  compagnia. 

Se  non  la  sdegnerai: 

*E  morirei  contento, 


ATTO  QUARTO  6f 

S^ìo  fossi  certo  almeDO 
Cbel  mio  venirti  dietro 
Tuibar  non  ti  dovesse  ^ 

£  che  fosse  finita 

L'ira  toa  con  la  vita: 

Silvia^  io  ti  semo}  io  vengo.  —  CoA  detto| 

Predpitossi  d'iuto 

Gol  capo  in  ^usoj  ed  io  restai  di  buaccio. 
D^Bfisero  Anùnta! 
SiL  Oimè! 

Cor.  Perchè  non  Pimpedisti? 

Forse  ti  fii  ritegno  a  ritenerlo 

n  fatto  Muramento? 
Erg.  Questo  no;  che  sprezsando  i  giniamenti 

(Vani  forse  in  tal  caso)^ 

Quand^io  m'accorsi  del  suo  pano  ed  empio 

Àoponimentoy  con  la  man  vi  oorsi^ 

£9  come  volle  la  sua  dura  sorta. 

Lo  prea  in  questa  fascia  di  zendado 

Che  lo  cingeva  y  la  qual,  non  potendo 

L'impeto  e  '1  peso  sostener  del  corpo . 

Che  s'era  tutto  abbandonato ,  in  mano 

Spezzata  mi  rimase* 
Cor.  E  che  divenne 

DelPinfelice  corpo? 
EFg,  Io  noi  so  dire; 

Ch'era  A  pien  d'orrore  e  di  pietate, 

Che  non  mi  diede  il  cor  di  nmirarvi. 


Per  non  vederio  in  pezzL 
Cor.  Oh  strano  caso! 

SiL  Oimè!  ben  son  di  sasso. 

Poiché  questa  novella  non  m'uccide. 

Ahi!  se  la  falsa  morte 

Di  chi  tanto  F  odiava 


s 


fo  AMIIf  TA 

A  lai  tolse  la  vita, 
Bea  sarebbe  ragioae 

Che  la  verace  morte 

Di  chi  tanto  m^  amava 

Togliesse  a  me  la  vita: 

E  vo'  che  la  mi  tolga. 

Se  non  potrà  col  duol,  almen  col  ferro  j 

O  pur  con  questa  fascia, 

Che  non  senza  cagione 

Non  segui  le  ruine 

Del  suo  dolce  signore, 

Ma  restò  sol  per  fare  in  me  vendetta 

DelF  empio  mio  rigore 

£  del  sua  amaro  fine. 

Cinto  infelice,  cinto 

Di  signor  più  infelice. 

Non  ti  spkiccia  restare 

In  sì  odioso  albergo  ^ 

Che  tu  vi  resti  sol  per  instrumento 

Di  vendetta  e  di  pena. 

Dovea  corto,  io  dovea 

Esser  compagna  uì  mondo 

Dell' felice  Aminta. 

Poscia  ch'aUcNT  non  volli. 

Sarò  per  opra  tua 

Sua  compagna  alP  inferno. 
Cor.  Consolati ,  meschina , 

Che  questo  è  di  fortuna,  e  non  tua,  colpa. 
Sii   Pastor^,  di  che  piangete? 

Se  piangete  il  mio  aìS&nno, 

Io  non  metto  pietate, 

Che  non  la  seppi  usare: 

Se  piangete  il  morire 

Del  misero  innocente, 


f 


ATTO  QUARTO  63 

Questo  è  picciolo  Begao 

A  A  alta  cagione.  —  £  tu  rasciuga , 

Dafne ^  queste  tue  lagrime^  per  diol 

Se  cagion  ne  son  io^  • 

Hen  ti  voglio  pregare , 

Non  per  pietà  di  me^  ma  par  pieUte 

Di  chi  degno  ne  fue^ 

Che  m'ajuti  a  cercare 

L' infelici  sue  membra  e  a  aeppelliile. 

Questo  sol  mi  ritiene 

Ch'or  ora  non  m'uccida: 

Pagar  vo^  questa  ufficio  ^ 

Poi  ch'tiltro  non  m' avanza  ^ 

AlPamor  ch'ei  portommi:  ^ 

£y  sebbene  quest'empia 

Mano  contaminare 

Potesse  la  pietà  ddl'opra^  poro 

So  che  gli  sai^  cara 

L'opra  di  questa  mano^ 

Che  so  certo  eh'  ei  m' ama , 

Come  mostrò  morendo. 
/>a^Son  contenta  ajutarti  in  questo  ufficio: 

Ma  tu  già  non  pensare 

D'aver  poscia  a  morire. 
Sii  Sin  qui  vissi  a  me  stessa , 

Alla  mia  feritale:  or  quel  eh' avanza  ; 

Viver  voglio  ad  Aminta} 

£,  se  non  posso  a  lui^ 

Vivere  al  freddo  suo 

Cadavero  infelice. 

Tanto,  e  non  più  mi  lice 

Restar  nel  mondo,  e  poi  finir  a  un  punto 

£  r  esequie  e  la  vita.  — 

Pastor,  ma  quale  strada 


64    I  AMINTA 

G  conduce  alla  valle  ^  ove  il  dirupo 

Va  a  terminare? 
Ei^  Questa  tì  conduce  ; 

E  ouind  poco  spazio  ella  è  lontana. 
j9ij^  Anoiam,  che  verrò  teco^  e  guiderottì^ 

Che  ben  ranunento  il  luogo. 
SiL  Addio,  pastori;  — 

Piafi^,  addio;  —  addio,  selve:  —  e  fiumi,  addio  ! 
JSrg:  Costei  parla  di  modo ,  che  oimostra 

D'esser  disposta  all' ultima  partita. 

coao 

Gò  che  Morte  rallenta,  Amor,  restrìngi; 
tu  di  pace,  ella  di  guerra; 
£  dd  suo  trionfar  trionfi  e  regni: 
E  mentre  due  belFalme  annodi  e  cingi. 
Cosi  rendi  sembiante  al  cid  la  terra, 
Che  d'abitarla  tu  non  fuggi  o  sdegni 
Non  son  ire  là  su:  gli  umani  ingegni 
Tu  placidi  ne  rendi,  e  Podio  intemo 
Sgombri,  ngnor,  da'  mansueti  cori; 
Sgombri  mille  furori, 
E  quasi  fai  col  tuo  valor  superno 
DeUe  cose  mortali  un  giro  etema 


ATTO     QUINTO 


SCENA   UNICA 
ELPrao,  CORO 

Elp.    V  eramente  la  legge  ^  con  che  Amore 
n  suo  imperio  governa  eternamente^ 
Non  è  dura,  né  obbliqua;  e  Fopre  sue. 
Piene  di  provvidenza  e  di  mistero  ^ 
Altri  a  torto  condanna.  Oh  con  ouant'arte 
£  per  che  ignote  strade  egli  conduce 
I?uomo  ad  esser  beato,  e  fra  le  gioje 
Del  suo  amoroso  paraduo  il  pone, 
Quando  à  più  crede  al  fondo  esser  de^  mali! 
•  ''EccOy  precipitando,  Aminta  ascende 
Al  colmo,  al  sommo  d^ogni  contentezza; 
Oh  fortunato  Aminta  1  oh  te  felice 
Tanto  più ,  quanto  misero  più  fosti  ! 
Or  col  tuo  esempio  a  me  uce  sperare, 
Quando  che  sia,  che  quella  bella  ed  empia, 
Che  sojLto  il  riso  di  pietà  ricopre 
n  mortai  ferro  di  sua  ferìtate, 
Sani  le  piaghe  mie  con  pietà  vera. 
Che  con  finta  pietate  al  cor  mi  fece. 

Cor.  Quel  che  qui  viene,  è  il  saggio  Elpinoj  e  parla 
Cosi  d^Aminta,  come  vivo  ei  fosse, 
Chiamandolo  felice  e  fortunato. 
Dura  conditone  degli  amanti  1 
Forse  egU  stima  fortunato  amante 
dìi  muore,  e  morto  al  fin  pietà  ritrova 
Taìso»  FoL  ir.  5 


\ 


66  AMINTA 

Nd  cor  delb  ma  niofiei;  e  questo  chiama 
Paradiso  cF Amore,  e  ouesto  spera. 
Di  che  lieve  mercè  l'alato  Dìo 
I  suoi  serri  contentai  —  Elpin,  tu  dunque 
In  si  misero  .^tato  sei,  che  chiami 
Fortunata  la  morte  miserabile 
Delf  infielice  Aminta?  e  un  simil  fine 
Sortir  vorresti? 

Elp.  Amici,  state  allegri; 

Che  fiJso  è  quel  romor  che  a  voi  pervenne 
Della  sua  morte. 

Cor.  Oh  che  ci  nani  !  e  quanto 

Ci  racconsoli!  £^  non  è  dunque  il  vero 
Che  si  precipitasse? 

EIp.  Anzi  è  pur  vero; 

Ma  fii  felice  il  precipizio,  e  sotto 
Una  dolente  immagine  di  morte 
Gli  recò  vita  e  gioja.  Egli  or  si  giace 
Nel  seno  accolto  delT amata  ninfa, 
Quanto  spietata  eia,  tanto  or  pietosa; 
E  le  rasciuga  da^  begli  occhi  il  pianto 
Con  la  sua  bocca.  Io  a  trovar  ne  vado 
Montano,  di  lei  padre,  ed  a  condurlo 
Colà  dov^essi  stamio;  e  solo  il  suo 
Volere  è  quel  che  manca,  e  che  prolunga 
U  concorde  voler  d^ambidue  loro. 

Cor.  Pari  è  T  età ,  la  gentilezza  è  pari , 

E  concorde  il  desio:  el  buon  Montano* 

Vago  è  d^aver  nipoti,  e  di  munire 

Di  si  dolce  presidio  la  vecchiezza, 

Si  che  farà  del  lor  volere  il  suo. 

Ma  tu,  deh,  Elpin,  narra  qual  Dio,  qual  sorte 

Nel  periglioso  precipìzio  Aminta 

Abbia  Slavato. 

Elp,  Io  son  contento:  udite. 


ATTO  QUINTO  67 

Udite  qael  ehe  con  quest'  occhi  ho  visto. 
Io.  era  anzi  il  mio  speco  che  si  giace 
Presso  la  vaHe  e  quasi  a  pie  del  colle, 
Dove  la  costa  face  di  sé  grembo: 
Quivi  con  Tirsi  ragionando  andava 
Pur  di  colei  che  neii^  istessa  rete 
Lui  prima  è  me  dappoi  ravvolse  e  strìnse, 
E  preponendo  alla  sua  Alga,  al  suo 
Libero  stato  il  mìo  dolce  servaggio, 
Quando  ci  trasse  gli  occhi  ad  alto  un  grido  ^ 
E  '1  veder  rovinar  un  uom  dal  sommo,* 
E  1  vederio  cader  sovra  una  macchia , 
Fu  tutto  un  punto.  Sporgea  fuor  del  colle, 
Poco  di  sopra  a  noi,  d^erbe  e  di  spini 
E  d'altri  rami  strettamente  giunti 
E  quasi  in  un  tessuti  un  fescio  grande. 
Quivi,  prima  che  urtasse  in  altro  luogo, 
A  Caller  v^Mie:  e,  ben  ch'egli  col  peso 
Lo  sfondasse",  e  più  in  giuso  indi  cadesse 
Quasi  su^  nostri /piedi,  quel  ritegno 
Tanto  d'impeto  toke  alla  caduta, 
Ch'dla  non  fu  mortai;  fu  nondimeno 
Grave  così,  ch'ei  giacque  un'ora  e  piiìe 
Stordito  affatto  e  di  sé  stesso  fuori. 
Noi  muti  di  pietate  e  di  stupore 
Restammo  aUo  spettacolo  improvviso , 
Riconoscendo  lui:  ma,  conoscendo 
Ch'  egli  morto  non  era ,  e  che  non  era 
Per  morir  forse,  mitighiam  F affanno. 
Allor  Tirsi  mi  die  notizia  intera 
De'  suoi  secreti  ed  angosciosi  gmori. 
Ma^  mentre  procuriam  di  ravvivarlo 
Con  diversi  argomenti ,  avendo  intanto 
Già  mandato  a  chiamar  Alfesìbéo, 

Tasso,  FoL  JK  5* 


68  AMINTA. 

A  cui  Febo  insegnò  la  medica  arte 
Allor  che  diede  a  me  ia  cetra  e  '1  plettro  ^ 
Sopraggiunsero  insieme  Dafne  e  Silvia/ 
Che,  come  intesi  poi,  givan  cercando 
Quel  corpo  che  credean  di  vita  privo. 
Ma  come  Silvia  il  riconobbe ,  e  vide 
Le  belle  guance  tenere  d^  Aminta 
Iscolorìte  in  si  leggiadri  modi , 
Che  viola  non  è  che  idapallidisca 
Si  dolcemente,  e  lui  languir  si  fatto, 
Che  parca  già  negli  ultimi  sospiri 
Esalar  Palma,  in  guisa  di  Baccante 
Gridando ,  e  percotendosi  il  bel  petto , 
Lasciò  cadérsi  in  sul  giacente  corpo, 
E  giunse  viso  a  viso,  e  bocca  a  bocca. 

Cor.  Or  non  ritenne  adunque  la  vergogna 
Lei  ch^  è  tento  severa  e  schiva  tento  ? 

Eìp.  La  vergogna  ritien  debile  amore, 
Ma  debil  freno  è  di  potente  amore. 
Poi,  si  come  negli  ocelli  avesse  un  fonte. 
Innaffiar  cominciò  col  pianto  suo 
Il  colui  freddo  viso;  t  fu  qudl^ acqua 
Di  cotante  virtù,  ch'egli  rivenne, 
E,  gli  occhi  aprendo,  un  doloroso  oimè 
Spinse  dal  petto  intemo. 
Ma  quetf  oimè,  ch'amaro 
Cosi  dal  cor  partissi, 
SMncontrò  nello  spirto 
Della  sua  cara  Silvia,  e  fu  raccolto 
Dalla  soave  bocca;  e  tutto  quivi 
Sùbito  raddolcissi. 

Or  clii  potrebbe  dir  come  in  quel  punto 
Rimanessero  entrambi,  fatto  certo 
Ciascun  delf  altrui  vite^  e  latto  certo 


ATTO  QUINTO  69 

Aminta  dell'amor  della  sua  ninfa, 
E  lotosi  con  lei  congiunto  e  stretto? 
Chi  è  servo  d'Amor,  per  sé  lo  stimi: 
Ma  non  si  può  stimar,. non  che  ridire. 

Cor.  Aminta  è  sano  si ,  eh'  egli  sia  fuori 
Del  rischio  della  vita? 

E^.  Aminta  è  sano, 

Se  non  eh'  alquanto  pur  graffiat'  ha  '1  viso , 
Ed  alquanto  dirotta  la  persona; 
Ma  sarìi  nulla,  ed  di  per  nulla  il  tiene. 
Felice  lui,  che  sì  gran  segno  ha  dato 
D'amore,  e  delTamor  il  dolce  or  gusta, 
A  cui  gli  aflfanni  scorsi  ed  i  perigU 
Fanno  soave  e  caro  condimento! 
Ma  restate  con  Dio,  ch^io  vo'  seguire 
n  mio  viaggio,  e  ritrovar  Montano. 


ì 


CORO 


Non  so  se  il  molto  amaro 
Che  provato  ha  costui  servendo,  amando, 
Piangendo  e  disperando. 
Raddolcito  moV  esser  pienamente 
D'alcun  dolce  presente: 
Ma,  se  più  caro  viene 
E  più  si  gusta  dopo  '1  male  il  bene, 
Io  non  ti  chieggio,  Amore, 
Questa  beatitudine  maggiore. 
Bea  pur  gli  altri  in  tal  guisa; 
Me  la  mia  ninfa  accoglia 
Dopo  brevi  preghiere  e  servir  breve: 
E  siano  i  condimenti 
Delle  nostre  dolcezze 


70  AMINTA  ATTO  QUINTO 

Non  A  gravi  tonnenti,      n 

Ma  soavi  disdegni 

E  soavi  ripulse; 

Risse  e  guerre  a  cui  segua  ^ 

Reintegrando  i  cori,  o  pace  o  tregua. 


INTERMEDI 


INTERMEDIO   PRIMO. 


Jt^roteo  8on  io,  che  trasmutar  scuunduu ^ 

E  forme  soglio  variar  sì  spesso; 

£  trovai  Parte  onde  notturna  scena 

Cangia  F  aspetto  j  e  quinci  Amore  istesso 

Trasforma  in  tante  guise  i  vagiii  amanti^ 

Com^ogni  carme  ed  ogni  storia  è  piena. 

Nella  notte  serena, 

NdP  amico  silenzio  e  nelP  orrore , 

Sacro  marin  pastore 

Vi  mostra  questo  coro  e  questa  pompa) 

Né  vien  'Chi  V  interrompa , 

O  turbi  i  nostri  giochi  e  i  nostri  canti. 

BSTERMEMO  H. 

i^ante  leggi  d^  Amore  e  di  Natura  9 

Sacro  laccio  ch'ordio 

Fede  sì  para  di  sì  bel  desìo; 

Tenace  nodo,  e  forti  e  cari  stami ^ 

Soave  giogo  "e  dilettevol  salma, 

Che  fai  Fumana  compagm'a  gradita , 

Per  cui  regge  due  corpi  un  core,  un^alma, 

E  per  cui  sempre  si  gioisca  ed  ami 

Sino  alF  amara  ed  ultima  partita  ^ 

Gioia  y  conforto  e  pace  , 

Della  vita  fugace; 

Del  mal  dolce  ristoro  ed  alto  obblioj 

Chi  più  di  voi  ne  riconduce  a  Dio? 


7a  ABHNTA  INTEHMEDJ 

INTERMEDIO  m. 

xJìn  noi  siam,  che  nd  sereno  etemo 

Fra  celesti  zaffiri  e  bei  cristalli 

Meniam  perpetui  balli  ^ 

Dove  non  è  giammai  state,  né  vemo^ 

Ed  or  grazia  immortale,  alta  ventura 

Qua  giù  ne  tragge,  in  questa  beUa  immago 

Del  teatro  del  mondo; 

Dove  facciamo  a  tondo 

Un  ballo  novo  e  dilettoso  e'^vagOy 

Fra  tanti  lumi  della  notte  oscura, 

AUa  chiara  armonia  del  suono  alterno. 

INTERMEDIO  IV. 

Jtene,  o  mesti  amanti,  o  donne  liete, 

Ch'è  tempo  omai  dì  placida  quiete: 

Itene  col  silensdo,  ite  col  sonno. 

Mentre  versa  papaveri  e  viole 

La  Notte,  e  fugge  il  Sole; 

E  s^  i  pensieri  in  voi  dormir  non  povmo , 

Sian  gU  affiinni  amorosi 

In  vece  a  voi  di  placidi  riposi  ; 

Né  miri  il  vostro  pianto  Aurora  o  Luna: 

n  gran  Pan  vi  licenzia;  omai  tacete. 

Alme  serve  d'Amor  fide  e  scerete. 


i^^U 


y 


AMORE   FUGGITIVO 


Ocesa  dal  terso  cielo  ^ 
Io  che  sono  di  lui  regina  e  dea 
Cerco  il  mio  figlio  fuggitivo  Amore. 
QoestMer,  mentre  sedea 
Nel  mio  mmbo  scherzando^ 
O  fosse  c»iezione ,  o  fosse  errore  y 
Con  un  suo  strale  aurato 
Mi  punse  il  manco  lato, 
E  poi  fuggì  da  me,  ratto  volando, 
Per  non  esser  punito; 
Né  so  dove  na  gito. 

Io  che  madre  pur  sono , 
E  son  tenera  e  molle, 
Usaf  ho  per  trovarlo  ed  uso  ogn'  arte  : 
Cere' ho  tutto  il  mio  cid  di  parte  in  parte, 
E  la  sfera  di  Marte,  e  Faltre  rote 
£  correnti  ed  immote; 
Né  là  suso  ne'  cidi 

È  luogo  alcuno  oVei  s'asconda  o  cehj 
Tal  ch'or  tra  voi  discendo. 
Mansueti  mortali. 

Dove  so  che  sovente  ei  &  soggiorno, 
Per  aver  da  yoi  nova 
Se  1  Fuggitivo  mio  qua  giù  si  trova. 

Né  già  trovar  lo  spero 
Tra  voi,  donne  leggiadre; 
Perché,  sehben  d'mtomo 
Al  volto  ed  alle  chiome 


\ 


74  AMORE  FUGGITIVO 

Spesso  vi  scherza  e  vola , 

E  sebben  spesso  fiede 

Le  porte  di  pietate. 

Ed  albergo  vi  chiede^ 

Non  è  alcuna  di  voi  che  nd  suo  petto 

Dar  gli  voglia  ricetto  j 

Ove  sol  ferìtate  é  sd^no  siede. 

Ma  ben  averlo  spero 
Negli  uomini  cortesi^ 
M  quai  nessun  si  sdegna 
Raccorlo  in  sua  magione; 
Ed  a  voi  mi  rivolgo  y  amica  acliìera  : 
Ditemi^  ov'è  il  imo  figlio? 
Chi  di  voi  me  T  insegna  ^ 
Yo*  che  per  guiderdone 
Da  queste  labbra  prenda 
Un  Dacio  quanto  posso 
Condirlo  più  soave. 
Ma  chi  mei  riconduce 
Dal  volontario  esiglio. 
Altro  premio  n^  attenda  ^ 
Di  cui  non  può  maggiore 
Darlo  la  mia  potenza , 
Sebbeq  in-  don  eli  desse 
Tutto  il  regno  dr Amore: 
£  per  Istige  t  giuro 
Che  ferme  serverò  Falte  promesse. 
Ditemi,  ov'è  mio  fighoj 
Ma  non  risponde  alcmi?  oìaBcon  si  taoe? 
Non  P avete  veduto? 
Forategli  qui  tra  voi 
Dimora  sconosciuto} 
^  E  dagU  QXDBn  suoi 
Spiccata  aver  de^  "* 


\ 


ilMORE  FUGGITIVO  75 

E  deposto  gli  strali, 

£  la  faretra  ancor  deposto  e  Parco 

Onde  sempre  va  carco , 

E  gli  altri  arnesi  alteri  e  trionfici. 

Ma  vi  darò  tai  segni , 

Che  conoscere  ad  essi 

Facilmente  il  potrete  ^ 

Ancor  che  di  celarsi  a  voi  s'ingegni. 

Egli,  benché  sia  vecchio 
E  d^astuzia  e  d^etade. 
Picciolo  è  ày  che  ancor  iSuidullo  sembra 
Al  volto  ed  alle  membra; 
E  Vi  guisa  di  fanciullo 
Sempre  instabil  ai  move. 
Né  par  che  luogo  trave  in  cut  s' appaglii  ; 
Ed  ha  gioja  e  trastullo 
IV  puerili  scherzi; 
Ma  u  suo  scherzar  è  pienO^ 
Di  perìglio  e  di  danno: 
Facdmente  s'adira, 
Facilmente  si  ]Jaca;  e  nd  ano  viso 
Vedi  quasi  in  un  punto 
E  le  lacrime  e  ^  riso. 
Crespe  ha  le  chiome  e  d*  oro  ; 
E  'n  quella  guisa  appunto  "^ 

Che  Fortuna  si  pinge, 
Ha  lonehi  e  folti  in  su  la  Ironie  i  èrini; 
Ma  nuda  ha  poi  la  testa 
Agli  opposti  confini, 
n  color  del  suo  volto 
Più  che  foco  è  vivace  j 
Nella  fronte  dimostra  * 
Una  lascivia  audace} 
Gli  ocelli  infiammati  e  pieni 


\ 


76  AMORE  FUGGITIVO 

IVun  ingannevol  rìso 

Volge  sovente  in  biechi^  e  pur  sott' occhio 

Quasi  di  furto  mira^ 

Né  mai  con  dritto  guardo  i  lumi  gira. 

Con  lingua  che  dal  latte 

Par  che  si  discompagni , 

Dolcemente  favella ,  ed  i  suoi  detti 

Forma  tronchi  e  imperfetti: 

Di  lusinghe  e  di  vezzi 

È  pieno  il  suo  parlare; 

E  son  le  voci  sue  sottUi  e  chiare. 

Ha  sempre  in  bocca  il  ghigno} 

E  gF  inganni  e  la  frode 

Sotto  ^el  ghigno  asconde* 

Come  tra  fiorì  e  fronde  angue  maUgno. 

Questi  da  prima  altrui 

Tutto  cortese  e  umile 

Ai  sembianti  ed  al  volto. 

Qual  pover  peregrino^  aloergo  cliiede 

Per  grazia  e  per  mercede; 

Ma^  poi  che  dentro  è  accolto, 

A  poco  a  poco  insuperbisce ,  e  ùìbìì 

Oltra  modo  insolente. 

Egli  sol  vuol  le  chiavi 

Tener  deir altrui  core; 

Egli  scacciarne  fuore 

Gu  antichi  albergatori,  e  'n  quella  vece 

Ricever  nuova  gente  ; 

Ei  far  la  ragion  serva, 

E  dar  legge  alla  mente. 

Con  divien  tiranno 

D^ ospite  mansueto: 

E  persegue  ed  ancide 

Chi  gli  s^  oppone  e  chi  gli  fa  divieto. 


AMORE  FUGGITIVO  77 

Or  ch^io  v'ho  dato  i  segni 
E  degli  atti  e  del  viso 
E  de'  costumi  suoi, 
S'egli  è  pur  qui  fra  voi, 
Datemi ,  prego ,  del  mio  figlio  avviso. 
Ma  voi  non  rispondete? 
Forse  tenerlo'  ascoso  a  me  volete? 
Volete  (  ah  foDi  I  ah  sciocchi  I  ) 
Tenere  ascoso  Amore? 
Ma  tosto  uscirà  fuore 
Dalla  lingua  e  dagli  occhi 
Per  mille  indizi  aperti:  ^ 

Tal  io  vi  rendo  certi 

Ch'avverrà  quello  a  voi,  ch'avvenir  suole 
A  colui  che  nel  seno 
Crede  nasconder  l'angue, 
Che  co'  gridi  e  col  sangue  alfin  lo  scopre. 

Ma  poi  che  cui  noi  trovo. 
Prima  ch'ai  ciel  ritorni. 
Andrò  cercando  in  terra  altri  soggiorni. 


POESIE  PASTORALI 


N 


IL   ROGO   DI   CORINNA 

i 

IN  MORTB  DELLA  MOGLIE 
DI 

D.    FiLBIO    ORSINO 


TIBSI,  AMINTA,  AMORE,  FAMA,  PAIfE.ESCUL APIO, 
BACCO,  CERERE,  MERCURIO,  DIOSCURI  (♦),  ER- 
COLE,  VENERE,  GRAZIE,  VIRTÙ,  DIANA,  APOLLO, 
MUSE,  VULCANO,  MINERVA,  NETTUNO,  GIUNONE, 
GIOVE ,  SATURNO ,  CIBELE ,  AMORI. 

JT  iangea  dolente  e  sospiroso  Aminta 
Lungo  le  rive  del  famoso  fiume  ^ 
Che,  dividendo  la  città  di  Marte, 
Già  sen  portò  nel  suo  profondo  seno 
Uume  e  i  sepolcri  degb  antichi  regi, 
Ma  bagna  ancor  quella  marmorea  tomba 
Che  Fossa  ascose  del  romàno  Augusto, 
MeravigUa  del  mondo ,  anzi  di  Roma 
Che  i  miracoli  tutti  in  sé  raccolse, 
£  fe^  sparir  le  meravigtie  altrui: 
Fiangea  Corinna  in  lagrimoso  canto  j 
<  E  nd  pianto  canoro  i  sette  colli 

Rìsponoevan  Corinna)  e  '1  Tosco  fiume 

« 

(^  Tutte  Taltre  ttamue  e  rìstamp|e  da  noi  vedute  leffgono 
/>B  atcuri  in  yeoe  di  bioscurL  V.  ii  Dizionario  mitologico 
ia  Castore  ^  Polluce.  —  (  Gii  Edit) 

Tatto,  Voi  JF.  6 


89  POESIE  PASTORALI 

Risonava  Corinna,  e  i  chiari  fonti; 
Corinna  più  lontano  i  verdi  bosclii, 
Corinna  mormorar  F  ombrose ,  valli  : 
Talché  Ninfe  e  pastori,  al  suon  delusi, 
Giojosa  no,  ma  dolorosa  imago 
Trasse,  e  fra  gli  altri  alle  soavi  note 
Tirsi  pastor,  cne,  sovra  il  mar  Tirreno 
Nato  tra  le  Sirene  in  mezzo  ai  cigni. 
Visse  là  dove  il  Mincio  al  Po  discende; 
E  disse: 

Tir*  Non  perturbi  il  mio  venire 

Le  dolcissime  tue  voci  canore. 

Anu.S^  fu  mai  dolce  il  nostro  canto  e  1  suono, 
Or  amaro  è  vieppiù  d'onda  marina. 
Più  di  fely  più  (Massenzio  e  più  di  tosco: 
Non  è  più  dolce  no,  non  è  più  canto. 
Ma  pianto  miserabile  e  dolente, 
Come  morte  clie  1  fa.  Corinna  è  morta  : 
Morta  è  Corinna.  Ahi  lagrìinoso  fato! 
Di  queste  selve  il  più  bel  ramo  è  svelto; 
Reciso  è  1  più  bel  fior  di  queste  piagge; 
Di  questi  giorni  il  più  bel  raggio  e  spento. 
Pianser  le  Ninfe  la  sua  acerba  morte: 
Testimoni  voi  sete,  abeti  e  faggi. 
Che  udiste  il  pianto  ;  e  voi ,  fontane  e  rivi , 
Che  più  cresceste  al  lagrimoso  umore. 
Nìuno  allor  condusse  a  ber  gli  armenti; 
Non  gustò  fera  le  turbate  fonti. 
Né  toccò  per  dolor  T  erba:  del  prato. 
Gemeva  ancora  al  tuo  morir,  Corinna, 
L*a£fricano  leon,  la  tigre  ircana. 
Come  dicon  le  selve  e  i  feri  monti. 
Corinna  dimostrò  ne'  rozzi  boschi 
Qual  fòbe  gentilezza  e  cortesia; 
E  insegnò  prima  alle  selvagge  Ninfe 


POESIE  PASTORALI  83 

A  figurar  coli' ago  i^orì^  e  Terbe^ 

E  i  dipinti  augellettiy  e  i  vaghi  cervi 

Colle  ramose  coma,  e  i  capri ,  e  i  pardi j 

Talché  le  sue  vittorie  ella  dipìnse , 

E  i  suoi  proprj  trofei  spiegò  nelTora; 

Cara  a  Diana ,  e  cara  anco  a  Minerva. 

Come  ad  arbor  la  vite,  a  vite  Puva, 

Tauro  agU  armenti,  e  biada  ai  grassi  campi, 

Qo^  tu  fosti  ai  tuoi,  Corinna,  onore. 

Poscìachè  tMnvolò  T  acerba  morte. 

Pale  medesma  abbandonò  piangendo 

Le  Sue  nude  campagne,  e  seco  Apollo 3 

E  nei  solchi,  in  cui  già  fu  sparso  il  grano. 

Vi  signoreggia  F infelice  loglio, 

£  la  stenle  avena,  o  felce  appresso 

Sventurata  che  frutto  non  produce  : 

£  in  vece  pur  di  videtta  molle, 

Di  purpureo  narciso  e  di  giacinto, 

Il  cardo  sorge  ^  e  colle  spine  acute 

no 

Di  verdi  fronde  voi  P arida  terra, 
O  pastori,  spargete}  e  i  chiarì  fonti 


(^  Questa  lacuna  è  in  tutte  le  stampe  per  noi  vedute. 
Il  Tasso  imitò  nella  presente  composizione^  o  piuttosto  tra- 
dusse molti  versi  dell*  egloga  Y  di  Virgilio ,  dove  trovasi 
pure  questo  passo;  ma  ken  si  vede  eh* egli  voleva  amplifi- 
carlo, poiché  il  poeta  latino  dice  semplicemente  Carduus , 
et  spinb  surgii  pitUunu  acuds;  donde  non  si  potrebbe  cavar 
altro  che  la  voce  paìiùro,  colla  quale  non  si  arriva  tam-> 
poco  a  riempiere  la  metà  del  verso  che  si  desidera.  I7n*ag« 
giunta  del  Tasso  è  altresì  ,^  o  felce  appresso  Sventurata 
che  fruito  non  produce  ^^;  e  pero  non  possiamo  decìdere 
della  sincerità  di  tale  lezione,  di  cui,  a  aire  il  vero,  dubi^ 
tiamo  alcun  poco  per  cagione  principalmente  di  quella  voce 
appresso  y  che ,  sebbene  si  possa  difendere ,  non  finisce  di 
soddisfiurne  ^  parendoci  oziosa.  ^-  (  Gli  Edit.  ) 


84  POESIE  PilSTO&ALl 

Coprite  Intorno  pur  coff  ombra  fosca  ^ 
Che  ristessa  Corinna  il  vi  comanda. 
Fate  il  sepolcro,  e  nel  sepolcro  il  carme 
Aggiungete  piangendo  ai  bianchi  marmi  : 
<*  Giaccio  io  Corinna  qui,  da  terra  al  cielo, 
«  £  dalle  verdi  selve  alF  auree  stelle 
-  «  Nota  per  fama  di  beltà  pudica.  • 

Tir.  Di  bello  armento  guardìan  più  bello, 
Tal  è  il  tuo  canto  a  noi,  divin  poeta, 
Qual  sopra  Terba  verde  il  dolce  sonno 
AU^uom  già  stanco,  e,  nelT estivo  ardore, 
Dolce  rivo  ch'estingua  ardente  sete; 
.Me  colle  canne  solo  il  mastro  agguagli, 
Ma  colla  voce  e  coi  soavi  accenti. 
Fanciullo  avventurosa,  or  tu  sarai 
Secondo  a  lui,  ma  sol  d^età  secondo. 
Noi  canteremo  i  nostri  versi  a  prova, 
Qualunque  paja  il  nostro  modo  e  Parte, 
E  Corinna  alzerem  fino  alle  stelle. 
Fino  alle  stelle  innalzerem  Corinna; 
ChMo  non  fui  d^o  di  vederla  in  terra. 
Ma  spero  forse  di  vederla  in  cielo. 

^iiiJ.Qual  fu  di  questo  mai  più  caro  dono? 
Ella  fu  degna  del  tuo  cniaro  canto, 
E  1  tuo  canto  lodar  Batto  e  Menalca, 

Tir.  La  candida  Corinna  il  bianco  cerchio 
£  1  candor  non  usato  in  ciel  rimira, 
E  vede  sotto  i  pie  le  vaghe  nut» 
In  mille  forme j  e  P  argentata  luna, 
E  F altre  stelle,  el  lor  viaggio  torto: 
Però  del  suo  piacer  s^  allegra  il  bosco, 
E  si  riveste  ornai  la  verde  spoglia, 
Di  Pan  albergo,  di  pastori  e  Ninfe; 
Né  lupo  insidia  alle  lanose  gregge , 
Né  tendono  le  reti  inganno  a^  cervi. 


POESIE  t>ASTO&AU  SU 

Ama  Corinna  Fozio,  e  Fosio  è  in  cielo; 

Ma  la  fatica  s^ange  su  le  porte 

Del  tenebroso  inferno,  ove  dolente 

Sta  fira  la  schiera  dMn6niti  malL 

I  monti  adomi  di  fiorite  chiome 

Alzano  nel  piacer  le  voci  al  cielo; 

Snonan  Pitìculte  rupi  i  vaghi  carmi; 

Dei  vaghi  carmi  ancor,  suonano  i  boschi: 

Diva  fu,  Diva  fu  Corinna,  o  parve; 

£  se  in  tern  fu  Dea,  che  fia  nel  cielo? 

Ecco  (se  a  te  non  basta,  o  Dea,  la  tomba) 

Quattro  alziam  qui  bianchi  e  politi  altari^ 

Duo,  o  Corinna,  a  te,  duo  a  Diana: 

E  d^anno  in  anno  spargererùo  intòmo 

Tazze  spumanti  pur  di  novo  latte. 

A  te  duo ^ vasi  di  liquor  decliva 

Porrò,  Corinna;  e  le  più  adorne  mense 

Farà  Bacco  più  liete,  in  ampio  vetro 

Versando  il  pretioso  e  tiobil  vino  ^ 

E  canteranno  a  te  Lizio  ed  Egone; 

I  satiri  saltanti  Alfesibéo 

Imiterìi  (*).  O  Dea,  riguarda  i  giuochi, 

E  avrai  peipetui  questi  onori  in  terra. 

E  quando  renderem  solenni  i  voti 

Alle  Ninfe  de'  fiumi  e  delle  selve, 

E  quando  purgheremo  i  nostri  campi. 

Mentre  il  cinghiai  de'  monti  i  duri  gioghi, 

Mentre  il  pesce  amer^  gli  ondosi  fiumi, 

Mentre  si  pasceran  Tapi  de'  fiori, 

(*)  Tutte  le  $tampe  da  noi  vedute»  anco  le  recentissime  « 
lendtto  tnntieranno  in  luogo  di  Imiterà,  Noi  siam  debitori 
deua  nostra  emendazione  a  Virgilio,  il  qual  dice  nelP  egloga 
^  citata  :  SalUmtes  Satyro»  imitabiiur  JlphtsUfoem*  '^ 
<  Gli  Edit  ) 


M>  POESIE  PASTO&ALI 

E  di  rugiada  avran  celeste  cibo 
Le  canore  cicale ,  in  terra  sempre 
Più  saldo  rimarrà y  che  in  salda  pietra^ 
L' onor  tuo ,  la  tua  laude  e  1  chiaro  nome. 
/Come  a  Cerere  e  a  Bacco,  a  te/  Corinna , 
I  doni  porterà  da'  'verdi  campi 
U  tuo  rozzo  coltor  con  larga  mano, 
E  tu  condannerai  con  voti,  o  Diva  0* 

^nu. Quali  ai  te,  quali  per  si  colti  versi 
Render  doni  potrò  degni  de)  canto? 
Perchè  non  tanto  il  sibilar  detf  austro, 
Né  d'onda  che  si  rompa  al  saldo  lido 
Udir  mi  giova  il  suono ,  o  quel  d' un  fiume 
Precipitante  per  sassose  valli. 
Ma  prendo  questo  yaso,  in  cui  soleva 
Corinna  a  mezzo-  di  spegner  la  sete, 
Stanca  delle  vittorie  e  delle  prede, 
Ch^ella  cohnò  già  d^ acque,  io  poi  di  pianto 
Due  volte  il  giorno;  e  spargeroilo  intomo 
Al  sepolcro  ca alzar  dobbiamo,  a  gara, 
Quando  si  leva  e  quando  inchina  il  sole. 
Ma  se  non  tanto  il  pianger  mio  gradisce. 
Quanto  le  rime  tue,  prendi,  pastore. 
In  sua  memoria  etema  il  caro  dono. 

77r.  Prendi  alP incontro  tu,  cortese  Aminta, 
Questa  siringa  mia  di ^ sette  canne. 
Onde  già  ragionar  gli  elei  e  T  arene 
Che  percuote  il  mar  d'Adria  e  fiede  il  vento.  — 
Ma  quale  odo  io  più  che  d'umana  voce 

(*)  Condannar  co*  voti  è  frase  prettamente  latina,  la 
quale  significa  Obbligare  a  sciogliere  il  voto  promesso  ;  e  il 
Tasso  la  tolse  letteralmente  da  Virgilio,  che  nelP egloga 
preallegata  disse:  Damnabis  tu  quoque -vods,  — ^  (Gli  bditj 


POESIE  PASTORALI  87  \ 

Dolcissimo  concento?  e  quali  io  veggio  ' 

E  luci  e  lampi?  Oh  dolce  lume,  oh  suono] 
Ecco  Febo,  ecco  Amor  con  mille  Ancori.  ^ 

AmoJL  voi  non  si  conviene,  , 

O  dolenti  pastori, 

Alzare  il  tempio,  o  pure  alzar  la  tomba 
Di  questa  che  volò  quasi  colomba 
Colle  sue  candide  ali: 
E,  bench^ella  non  sdegni  il  dolce  suono 
Deir umile  siringa, 
Ama  più  chiara  tromba, 
£  più  nobili  esequie  e  più  gradite; 
£  d^  altro,  che  di  bianchi  e  tersi  marmi  ^ 
Ama  il  sepolcro  e  i  carmi. 
Opra  è  solo  d^  Amore 
Farle  cotanto  onore. 
Incontro  a  quel  superbo, 

Che  là  s'innalza  con  terribil  fronte  ' 

In  guisa  tal  che  agguaglia  orrido  monte, 

L'alzerò  di  mia  mano  { 

D'altra  materia  pur,  che  di  terrena,  * 
S  che  r argento  e  Foro 
Perderà  dal  lavoro* 
Dirà  il  Franco  e  Tlspano 
£  chiunque  passando  il  mare  e  TAlpe 
Giungerà  stanco  alfine  in  vai  di  Tebro 
Là  dove  io  la  celebro: 
Ecco  due  gran  sepolcri. 
Ecco  due  meraviglie 
Del  mondo  e  di  natura; 
Ma  quella,  se  ben  miro, 
Fecer  gli  uomini  già,  questa  gli  Dei.  — 
Che  non  pur  io  son  Divo, 
Ma  son  IMvi  ed  eroi  fra  questi  colli) 


88  POESIE  PASTORALI 

Per  cui^  se  dritto  estima  Amore  e  Marte^ 
Ami  giudice  Alcide  e  Giove  istesso, 
Men  gloriosa  è  del  Leon  la  spoglia  ^ 
/       Cbb  delTOrsa  famosa  il  nobil  vello  ^ 
E  men  degna  del  cielo  e  di  sue  stdle. 
Dunque  •  .  •  .  <*)  terrena  è  queUa, 
Fia  onesta  Ojpra  divina; 
Che  1  Gel  m,  alta  gloria  a  lei  destina. 
Voi  frattanto  volando^ 
O  pargoletti  miei^  spogliate  intorno 
E  monti  e  prati  e  valli 
Di  fior  vermigli  e  gialli^ 
Aedo  che  sparga  odore  il  rogo  ardente 
Di  questa  mia  fenice  ^ 
Come  fa  quel  dell'altra  in  Oriente. 
Altri  tagli  il  ginepro; 
Altri  F  arbore  incida  ^ 
Che,  troncato;  ^ammai  ramo  né  foglia 
fii  .novo  non  germoglia; 
Altri  sostegno  al  rogo 
Faccia  statue  spiranti , 
E  nel  cipresso  incida 
Le  sue  palme  e  i  trofei^ 
Teste  di  fere  e  spoglie, 
Reti,  dardi,  faretre,  archi,  quadrella; 
Altri  vittorie  tolo 
Avute  nelle  selve 
Contra  l'erranti  belve, 

(*)  Questa  lacuna  è  segnala  in  tutte  T  edizioni.  Tuttavia 
pare  a  noi  che  senza  nuocere  al  sentimento  si  potrebbe  leg- 
gere così: 

Danqae  terrfiia  (jaella, 
Fia  questa  opra  diruia.  te. 

(  Gli  Edit.  ) 


POESIE  PASTORALI  89 

E  qadBa.  onde  dia  yiwse  uomini  e  Dei  ; 
Altri  le  noba  membn  alnobil  rogo 
Imponga .  e  le  rìcqpra  il  puro  Telo; 
Altri  le  taci  accendali  e 'L foco  desti 
Ecco  arde  il  rogo,  ecco  la  fiamma  ai  cielQ. 
Deh  1  cessi  il  flebii  suono; 
Deh!  cessino  i  lamenti: 
Dien  luogo  ad  alte  lodi  alti  sospiri , 
E  à  rasciughi  il  pianto  y 
Che  al  pai'lar  della  Fama 
Par  che  la  terra  e  1  ciel  risilou  intanto. 
jPoniLDolore  annunzio  e  lutlo^ 
Pastoi^^  bifolchi  e  Ninfe; 
Fauni,  Sileni  e  Pani; 
£  Satiri  e  iSilvani; 

L*  annunzio  a  voi  che  nelT  alpestri  dme 
Abitate  de*  monti  o  presso  ronde 
Deir arenoso  lido; 
A  voi  che  1  mar  circonda  ; 
A  voi  che  cinge  la  palude  e  7  fiume; 
A  voi;  dicO;  del  mare,  a  voi  del  odo 
Dive  e  Divi  io  ragiono: 
Ma  solo  annunzio  a  voi  diletto  e  pace 
DelFalma  che  sen  vola  a'  vostri  cori. 
Morta  è  Corinna  ;  anzi  è  tra  voi  salita  ;   * 
Lasciando  il  mondo  in  lagrimoso  orrore'; 
Scuro  ;  dolente  e  fosco. 
Qual  senza  fronde  il  bosco  ; 
E  senza  fiori  il  prato  ; 
E  senza  Tacque  il  fonte, 
E  senza  stelle  il  cielo, 
Tale  è  senza  i  suoi  pregi 
La  terra,  e,  senza  il  suo  lucente  raggio  ; 
D*  alpestre  e  di  selvaggio 


\ 


go  K>ESIE  PASTORALI 

E  (P  orrido  deserto  ha  faccia  oscura. 
Piange  il  mondo  e  natura: 
Qual  meraviglia  è  poi, 
Se  piange  ancor  la  Fama, 
Che  dovrebbe  lodarla, 
,    E  per  miUe  occhi  lagrime  distilla? 
Ma  tu  non  piangi,  Amore, 
Perchè  speri  goderne,  e  goder  solo 
Non  in  Pafo  od  in  Guido, 
Ma  su  nel  terzo  cielo  j 
Ed  a  noi  sol  qui  lasci  il  nome  e  1  grido. 
SMo  tante  lingue  avessi  e  tante  penne, 
Quant'  ella  ebbe  virtù ,  quanta  bellezia , 
Sarebbe  etemo  il  suono,  etemo  il  volo. 
Onde  il  suo  nome  porterei  cantando 
DalTuno  all^  altro  polo: 
Ma  non  basta  a^  suoi  merti  ogni  fiivella. 

Però  taccio,  piangendo, 
Quanto  leggiadra  fosse  e  quanto  accorta: 
Taccio  che  nel  fiorir  de^  suoi  verdi  anni 
Vinse  di  senno  i  saggi, 
Di  fede  i  più  fedeli^ 
Vinse  di  gravitìi  matura  etade, 
Non  pur  di  leggiadria  la  più  leggiadra. 
Solo  dirò  che  a  là  cotanto  piacque 
L'esser  casta  e  pudica. 
Che  le  spiacque  esser  bella  ^ 
E  le  spiacque  il  bel  nome 
Che  le  acquistò  cantando  il  suo  fedele. 

Io  medesma  le  spiacqui, 
Io  che  tanto  la  lodo,  e  lodo  il  vero. 
Fama  certa,  e  verace 
Messaggiera  quaggiù  della  sua  morte. 
Anzi  della  sua  pace 


I 


POESIE  PASTORALI  91 

£  della  sua  virtù  che  in  del  consorte 

La  fa  degli  altri  Divi: 

Ella  fra  loro  avrà  perpetua  vila^ 

Quant^ esser  dee,  gradita. 

Voi,  voi  non  sete  vivi, 

Yoi,  che  allor  n(Hi  moriste, 

Impallidir  veggendo  il  chiaro  viso, 

£  morte  ricoprir  d*  etemo  gelo 

Le  sue  purpuree  rose , 

£  d'ombra  etema  i  duo  lucenti  lumi,. 

Gloria  di  questa  etadè. 

O  tenebrosi  Numi, 

Qual  più  lucido  raggio 

Ne  scopre  in  queste  selve  alto  viaggio, 

Senza  la  bella  e  graidfosa  luce 

Che  vi  fu  scorta  e  4uce7 

Oh  dolore,  oh  jùetadel 

Oh  miseria  del  mondo  I 

Come  passa  repente  e  come  fugge 

Virtù,  grazia,  nellezza  e  leggiadna! 

Bla  già  la  Fama  è  stanca , 
A  cui  subietto  avanza,  e  voce  manca} 
Muta  la  Fama  istessa  omai  diviene. 
Che  fu  tanto  canora: 
Pur  se  più  non  la  loda,  almen  F adora, 
£  qui  consacra  Fali,  e  qui  le  trombe  ^ 
£  ben  mille  virtù  d^un  cor  pudico 
Tacita  involve  in  un  sil^izio  amico. 
jimi.Tsice  la  vaea  Fama; 

Ma  viene  al  suo  rimbombo 

Ogni  più  scelto  Dio  e  più  sublime: 

Vengono  anco  i  minon 

Ad  onorar  questa  notturna  pompa 

Coi  doni  lor  fonebrì. 


gì  POESIE  PASTORALI 

Pan.QaealbBi  A  preaost  e  Uanca  lana. 
Che  già  yestìva  il  manstteto  agnolo  | 
Veslita  ancor  n^  boschi  avria  Diana. 
Tu  spressasti  oi^ogliosa  il  bianco  veUo; 
Né  quei  di  Frìsso  a*  mie*  amorosi  inoendi 
Fatto  pietoso  avrebbe  il  cor  mb^. 
S*  ardesti  il  donator,  il  dono  moendi^ 
E,  rifiutato  in  vita  y  in  morte  il  prendL 

Esc*  Quest'  erbe  e  questi  fiori  y 

C  hanno  virtùi  di  richiamare  in  vitai* 

Porgo  alle  fiamme  colla  mano  ardita; 

Ma  dia  ritornar  forse  non  vliofe: 

Io  troppo  ardisco  ed  oso, 

E  non  mi  rende  accorto  antìea  pena- 

Or  mentre  ^ria  in  luce  pia  serenai 

Non  fulmini  sdegnoso 

Sovra  me  Giove ^  come  Irato  suole; 

Ma  fulmini  amoroso  ^ 

Sia  temer  debbo  sì  cocenti  ardori. 

Fulmini  dolcemente  i  nostri  cori. 

Bac.  Mentre  non  arde  ancor  chiome  A  bdle 
L'odorifera  fiamma  e  non  circondai 
Io  la  porono  di  mia  verde  fronda , 
Per  coronarla  poscia  in  del  di  stelle 
Degno  è  sol  deUe  fad  alme  e  «fiume 
E  di  celesti  raggi  il  biondo  crine , 
Di  cuifaran  le  fiamme  empie  rapfaie: 
Se  questo  è  d^oro.  il  foco  alFór  perdonai 
E  splenda  in  ciel  la  chioma  e  la  corona. 

Cer*  A  te  le  bianche  spidie 

Cerere  accendo:  e  tanto  ora  mi  doglio , 
ChMo  mi  rinnovo  il  mio  primo  cwdogha 
Esser  potei  di  Proserpma  in  "vece 
Qui  nd  sereno  giorno 


I 


POESIE  PASTORALI  '  g3 

Blenti^  ella  albergò  già  odr ombra  oscura; 

Ma  crude!  nolte  mi  tMnvola  e  fura: 

£  aaria  U  tuo  rìtono 

Come  quel  di  mia  figlia  e  d'Euridice  0- 

Ahi  Fati 9  abi  Parche  a  tanti  OBOr  nemiche! 

itfer.  Messaggier  del  gran  Giove  io  doqo  Tali 
Al  rogo  tuo,  per  non  volar  giamniai^ 
Questo  è.  Tcwcio  tuò|  chinai  potrai , 
Malgrado  della  morte  e  de*  mortali , 
Vincer  Ffaifemo  e  sue  leggi  fatati. 
Iride  ceda  ;  e  ^  se  pietà  ti  move  j 
Sii  messaggera  tu  del  sommo  Giove: 
Prendi  la  vein^i  e.ne^  celesti  regni 
Snrti  richiama  chfi  di  lor  sian  degni. 

2>jlM.Noi  portiamo  al  tuo  rogo^  anima  illustre. 
Queste  candide  penne, 
Come  il  caniior  che  a  tua  viftù  convenne: 
E  se  tu  brami  scintillar  fra  noi 
D'altra  fiamma  più  bella, 
£  rotar  per  gU  obliqui  alti  viaggi, 
\leui  lassù  fra  i  duo  cortesi  eroi. 
Contenta  di  tua  stella  : 
Partiamo  il  tèmpo,  e  raddoppiamo  i  raggi, 
Noi  dd  tuo  bme ,  e  tu  del  nostro  ornata. 

(*)  Cosi  tutte  FedizioDi.  Ma,  vedendo  noi  che  il  Tasso  suole 
pdomar  della  rima  le  chiuse  di  queste  strofe,  sospettiamo 
ch'egli  dettasse  Ewidichef  conservando  a  questo  nome  il  suono 
greco;  che  É»/v/nb«  in  ^reco  si  scrìve.  Fors*anco  si  po- 
trebbe leggere  nemke  in  cambio  di  nemiche^  a  quella  giusa, 
e  esempio,  che  in  Dante  si  trova  hiece  in  cambio  di 
he;  ma  sarebbe  q[uetta  per  avventura  troppo  ardita  li- 
cpiia.  — '  Anche  nel  primo  verso  della  stro&  de  bioscurì  ,  in 
vece  di  anima  mastre^  leggeremmo  volentieri  abna  ben  nata^ 
ovvero  abna  beata;  poiane  in  tal  modo  il  detto  verso  e 
rnltìmo  della  strofa  medesima  non  resterebbero  privi  della 
riRM.-- (GliEdit)     , 


9i  POESIE  PASTORALI 

Ere.  L'abito  eletto  e  i  preziosi  fregi 

Prendete 9  fiamme,  onde  me  stesso  avvolsi: 
Dolci  miei  scorni,  anzi  miei  dolci  pregi. 
Se  quel  che  volse  Amor,  ancor  io  volsi, 
Abbial  Ck)rìnna:  e  poi  de^  fatti  egregi  (i) 
Colga  ouel  frutto  in  del,  che  in  cielo  io  colsi: 
Simile  è  1  rogo  e  '1  fine,  anzi  la  meta, 
E  splenda  Val  di  Tebro  in  guisa  d'Età. 

(2)  L'armi  ch^ uscir  dal  foco,  al  foco  ancora 
Bender  dovrei,  e  gir  inerme  e  umile, 
Non  potendo  costei  rìtorre  a  morte, 
Come  ritolse  Alcide  alma  gentile, 
Aldde  che  nel  ciel  meco  Buonora, 
Nato  immortai,  ma  non  di  me  più  forte. 
Ma  che?  prenda  lo  speccliio,  e  incenda  or  seca 
U  dono  della  Dea  cne  Amor  fe^  cieco. 

F^en.Ed  io,  bssa!  dolente  e  lagrimósa 
Piilr  che  d' Adone  estinto , 
Dono  il  mio  caro  cinto: 
Né  mai  sar&  nel  mio  dolor  vezzosa. 
Arda  il  mio  nobil  cinto,  ardan  con  lei 
Le  mie  lusinghe  e  i  miei  susunri  insieme, 
Cosi  graditi  e  care  j 
Ardan  seco  le  grazie  e  i  vezzi  miei  ] 
E,  spento  il  foco  clie  sospira  e  geme. 
Sarò  fredda  in  Aisare, 
Se  non  raccende  pur  face  amorosa 
Del  cener  joo  qualche  favilla  ascosa. 

Gai.  Questo  I  questo  fu  il  pomo 

(i)  in  Tece  di  egregi  F altre  stampe  hanno  chi  1  prpgi ,  e 
chi  e  pre^* ,'  lezioni  condannate  dalla  ragione  e  dalle  leggi 
d«Ue  rima.  —  (  Gli  £dit.  ) 

(3)  Dubitiam  forte  che  questi  versi  non  abbiano  ad  es^ 
sere  pronunziati  piuttosto  che  da  Ercole ,  da  altro  perso- 
naggio  9  e  forse  da  Marte.  «-*  (  Gli  Edit  ) 


I 


POjBSIE  PASTOBAU  gS 

QniTaTse  Troja  alfine, 

£  cadde  sparsa  in  cenere  e  mine: 

Àrda^  Corinna  0>  &rda  in  più  giuste  faoi, 

Per  te  ch^  avesti  il  vanto 

Di  grazia  e  d^ onestate; 

£  non  sian  guerre  più,  ma  sante  paci 

Lassù  nel  regno  santo 

Fra  r anime  beate: 

Arda  e  vinca  d'onor  croco  ed  amomo. 

Fin  Gò  che  figlia  del  Sol  piangendo  instilla  ^ 
Ciò  che  lagrima  mirra  e  nardo  e  incenso, 
Corinna,  or  sia  di  nostra  mano  accenso 
Nel  rogo  che  per  te  splende  e  sfavilla. 
Quel  due  resta  d^odor,  alma  tranquilla, 
Di  tua  virtute,  onde  quetasti  il  senso. 
Lo  sparga  aura  di  fama,  e  intomo  il  porte, 
Perchè  spiri  immortai  dopo  la  morte. 
Strali,  faretra  ed  arco. 
Armi  mie,  lucide  aimi, 
Qual  duro  fato  vuol  chMo  mi  disarmi? 
Erri  sicuro  omai  per  Talte  selve 
Timido  cervo  con  ramose  corna; 
Vada  sicura  omai  la  damma  al  fonte  ; 
Corran  senza  timore  antiche  belve 
Quando  più  imbruna  il  cielo,  e  quando  aggiorna; 
Ch'io  non  cingo  di  reti  il  bosco  e  H  monte, 
£  non  le  attendo  al  varco: 
Tu  va  nel  foco,  o  mio  gradito  incarcon 

^po.  Sacro  alle  fiamme  la  corona  anchMo, 

f)  L* altre  stampe,  in  luogo  di  Corinna^  leggono  s* accese. 
La  nostra  emendazione,  il  confessiamo,  è  arbitraria,  ma 
certo  sarà  volentieri  preferita  alla  lezione  preallegata  che 
non  ba  senso  alcuno;  —  (Gli  Edit ) 


96  POESIE  PASTOBALI 

Che  mi  verdeggia  alT onorata  fronte; 
Per  dolor  fatto  tenebroso  Dio:  ^ 
Altra  di  raggi  e  di  serena  luce  " 
Avrò  nel  cielo  onde  cadéo  Fetonte; 
L*avrò  sul  carro,  e  ne  fia  scorta  e  duce. 
Gema  frattanto  il  mio  vivace  alloro  ; 
£i  in  vece  di  sospiri  ^  a  miHe  a  mille 
Sparga  nel  foco  fuor  le  sue  faville , 
Mentre  io  la  pianeo^  e  1  mio  dolente  coro. 

MusXé  noi  dichiamo  al  foco,  anzi  alla  tomba ^ 
Questo  bel  plettro  ebumo  e  questa  lira  ^ 
Per  cui  la  fama  spira  ^ 
Che  porta  il  nome  a  guisa  di  colomba  : 
£  se  d'Orfeo  la  cetra  intomo  alTEbro 
Solo  Euridice  mormorar  studio ^ 
Seco  agitando  il  fiume  e  Tonde  e  i  venti , 
.  Risuoni  questa  nella  iamma  viva 
Del  cipresso  odorato  e  del  cinebro, 
£  faccia  ardendo  a^  suoi  dolci  lamenti 
Sonar  Corinna  in  più  dogliosi  accenti  : 
£  Corinna  risponda  il  vento  e  P  aura , 
Mentre  il  foco  ristaura: 
£  se  lira  non  basta  ^  arda  la  tromba. 

/^ii/.Che  donar  posso  al  foco,  anzi  a  me  stesso 
(Perchè  donando  al  foco,  altrui  non  dono). 
Se  non  questo  monile  e  questa  rete? 
Ardete  voi,  fiamme  lucenti,  ardete 
Questa,  per  cui  mal  vendicato  io  sono,'^ 
Benché  Venere  presi  e  Marte  appresso; 
Poiché  a  lei  non  s* avvolse  il  crine  adomo, 
Arda  la  sua  catena,  arda  il  mio  scomo. 

illiin.Dono  io  candida  tela  a  questo  foco, 
Anzi  ben  mille  palme  a  questa  fiamma  ^ 
E  mille  gloriosi  alti  trofei. 


\ 


POESIE  PASTORALI  97 

Che  posso  io  più  donar  ;  se  questo  è  poco, 

In  cui  fulmina  Giove  ^  e  i  monti  infiamiaal   ' 

Qui  le  vittorie  son  de*  nostri  Dei; 

Qui  me  vittoriosa  ancor  dipinsi 

G)ntra  i  giganti  il  di  ch'Aracne  io  vinsi. 

Più,  Queste  più  care  gemme, 

E  questo  lucid^ór  porto  dal  seno 
Del  tenebroso  mio  regno  terreno, 
Perchè  il  rogo  ne  sia  lucente  e  chiaro. 
Ecco,  io  lo  verso  (1),  e  spailo 
Sovra  le  fiamme  in  dolce  seno  apprese  ; 
Ma  son  sdegnoso  e  largo 
Di  tutti  altri  tesori,  alma  cortese, 
Se  non  delle  tue  spoglie  incenerite , 
Già  povero  Plutone,  or  ricco  Dite/ 

NeL  Dal  mar  questi  coralli, 

E  queste  gemme  porto  ancor  dalTonde: 

Fiammeggin  qui  colle  tue  chiome  bionde, 

Ardano  i  miei  tesori, 

Poiché  fiamma  crudel ,  fiamma  rapace 

Le  tue  vere  bellezze  arde  e  consuma, 

O  d^  immortali  onori 

Anima  degna,  e  di  celeste  pace. 

Non  men  di  lei  consci  di  bianca  spuma. 

Giù.  £  tu  prendi ,  sublime  ed  alto  rogo , 
E  voi ,  fiamme  fiineste , 
Questo  scettro  reale,  anzi  fraterno  (p): 

(i)  Tutte  le  precedenti  ediùoni  leggono  io  h  vesto  in 
luogo  òk  io  lo  verso,  —  (  Gli  Edit.  ) 

ip)  In  luogo  dì  fraterno  tutte  T  altre  stampe  leggono  Ju- 

neste ,  né  sapremmo  con  qual  fondamento.    Pare  a  noi  che 

Jhaiemo  dovesse  essere  T epiteto  dettato  dal  Tasso,  sì  perché 

non  troviamo  altra  voce  a  proposito  da  far  rima  con  m^ 

femo9  e  ti  ancóra  perchè,  essendo  Giunone  sorella  di  Giove, 

Tasso,  Fok  ir.  7 


98  POESIE  PASTORALI 

Mentre  more  il  suo  fral,  vive  il  cdesie: 

L* anima  che  si  rìede^ 

E  fu  dxf  sensi  al  mondo  alma  regina, 

Se  1  porta  ornai  laggiù  nel  basso  inferno  ; 

Ma  non  là  dove  siede 

Nelle  tenebre  Fiuto  e  Proserpina: 

Regni  in  più  lieta  e  più  felice  sede 

Libera  e  senza  giogo  | 

Né  turU  il  nostro  amore  il  vostro  luogo. 

Oio.  Questa  tazza  di  fino  e  lucid^  auro  y 
Ond^io  nettare  bevo  alla  gran  mensa, 
Fece  Yulcan  prima  che  in  cigno  o  in  taura 
Io  mi  volgessi,  o  in  pioggia  a  ór  condensa. 
Con  questa  Ebe  mi  die  dolce  rìstauro 
Delle  fatiche  nella  sete  accensa: 
Poi  Febbe  Ganimede j  or  ^u  F avrai: 
A  te,  Corinna,  tanto  onor  serbai. 

Sol  Questo,  onde  si  misura  e  si  distingue 
U  ratto  trapassar  d'ore  veloci. 
Dono  alle  fiamme  io  veccliio  pigro  e  tardo, 
A  cui  potrebber  con  sonore  voci 
Di  costei  ragionar  faconde  lingue. 
Che  veloce  sen  aio  qual  tigre  o  pardo. 
Bella  cosa  mortai  passa  e  non  dura; 
E  '1  pianto  a  questa  fiamma  altri  misura. 

db.  lo  de^  celesti  Dei  terrena  madre 

Piango  Corinna:  ahi  lutto  amaro,  alii  doglia! 
Piango  le  membra  sue  care  e  leggiadre 
Che  pasce  il  foco,  quasi  arìda  foglia: 

ella  può  ragionevolmente  chiamar  /interno  il  suo  scettro 
per  magnificarlo.  A  ogni  modo  non  ci  dorrebbe  che  altri 
K>sse  di  noi  migliore  indovino.  Ma  cosi  in  questa  stanza, 
come  in  alcune  altre,  sono  altre  cose  assai  dubbie.  —  (Gli 
Edit.  ) 


POESIE  PASTORALI  99 

Fato  cnidel  /  fiamoie  crudeli  ed  àdre. 

Ardete  insieme  questa  orrida  spoglia: 

Cosi  Alcide  toIò  fatto  più  bello  ^ 

Mentre  arse  di  leone  irsuto  vello. 
JmorLK  noi  versiamo  i  fiorì 

Dalle  colme  faretre 

NelTalto  rogo,  e  i  più  soavi  odori. 

O  pargoletti  miei  cari  a^uaci, 

Faci  giungete  a  faci, 

S  che  la  fiamma  illustri 

L* oscura  notte,  e  giunga  infino  al  cielo. 

Io  di  farfalla  in  guisa 

N*  andrò  volando  intorno  al  caro  foco^ 

O  pur  quasi  fenice 

Raccenderò  vermiglie  ed  auree  piume, 

E  con  etema  vita 

Lieto  risorgerò  dal  vivo  lume  ; 

Io,  che  d* antica  etade  e  di  novella 

Vecchio  sono  e  fanciullo, 

Son  torm^to  e  trastullo 
\  Di  questa*"  etade  e  quella. 
And.  Cade  il  bianco  ligustro ,  e  poi  risorge , 

E  di  nuovo  germoglia; 

E  dalle  spine  ancor  purpurea  rosa 

Cólta  rinasce,  e  spiega 

U  odorato  suo  grembo  ai  dolci  raggi  j 

Spargono  i  pim  e  i  faggi 

Le  frondi  a  terra,  e  di  lor  verde  spoglia 

Poi  rivestono  i  rami; 

Cade  e  risorge  F  amorosa  stella  : 

Tu  cadesti,  Corinna  (ahi  doro  caso!), 

Per  non  risolver  mai; 

Né  JHÙ  spero  veder  tra  Ferbe  e  i  fiorì 

Le  tue  vestigia  impresse. 


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loo  POESIE  PASTORALI 

*Tu  chiudesti y  Corinna^  i  dolci  lumi 
In  sempiterno  sonno , 
Né  gli  aprirai  di  novo  in  questa  luce 
Per  fare  i  miei  contenti; 
Tu  ponesti  silenzio  ai  dolci  accenti^ 
E  non  sarà  chMo  mai 
Cosa  veggia  ed  ascolti 
Che  mi  conforti  ad  altro,  che  a  trar  guai. 
Tu  moristi,  Corinna:  io  vivo  e  spiro? 

10  vivo,  e  tu  sei  morta?  Alù  morte,  ahi  vita 
Egualmente  odiosa! 

Stelle,  stelle  crudeli, 

Perchè  non  mi  celate  il  vostro  lume. 

Poi  che  il  suo  m^  ascondeste  ? 

Perchè  non  volgi,  o  Luna,  addietro'!  corso? 

Perchè  non  copre  intorno  orrido  nembo 

11  tuo  dolce  sereno? 
Perchè  il  ciel  non  si  tigne 

Tutto  di  nere  macchie  e  di  sanguigne? 
Tenebre,  o  voi  che  le  serene  luci 
M4ngombraste  repente, 
Copnte  il  cielo  e  i  suoi  spietati  lumi, 
E  minaccino  sol  baleni  e  lampi  - 
D'ardere  il  mondo  e  le  celesti  spere. 
Stiasi  dolente  ascoso  il  Sol  nell'onde; 
Tema  natura  di  perpetua  notte; 
Tremi  la  terra;  ed  aquilone  ed  austro 
Facciano  insieme  impetuosa  guerra. 
Crollando  i  boschi,  e  le  robuste  piante 
Svelte  a  terra  spargendo;  il  mar  si  gonfi, 
E  con  onde  spumanti  il  lido  ingombri; 
Volgano  i  fiumi  incontro  ai  fonti  il  corso. 
Voi,  fiere  belve,  in  queste  stanche  membra 
Saziate  la  fame  e  in  questo  sangue,  ' 


— -^ 


POESIE  PASTORALI  lor 

PerchMo  non  vìva  un  infelice  esempio 

Di  fortuna  e  d^  amore 

Con  perpetuo  dolore. 
^mcFoUe^  ah  folle I  che  pensi^  o  che  ragioni? 

Colei 9  che  piangi,  è  viva^  e  su  nel  cielo 

Attende  il  tuo  ritorno: 

Ivi  spera  vederla:  io  sarò  duce 

Per  vie  subUmi. 
AmL  Ah ,  mentitor  faUaoe , 

Tue  promesse  di, fé  come  son  vote! 

Questa  forse  è  la  prima ,  onde  schernito 

£  deluso  io  rimango? 

Lasso!  molti  anni  m^ ingannasti  in  vita, 

E  m^ aggirasti  d^uno  in  altro  errore, 

D^uo  male  in  altro,  e  d^uno  in  altro  a(&inno. 

Pur,  mentre  visse,  io  m-avvolgea  contento 

Nell^ amoroso  laberinto  errando: 

Or  che  lece  sperar  dopo  la  morte. 

Se  colla  morte  ha  fine  ogni  speranza? 
^mo.Yaneggi  per  dolore  e  per  disdegno; 

E  1  tuo  sperar  è  come  il  veder  corto. 
Ptm.  Tempra ,  Aminta ,  il  dolore  : 

AnchMo  Siringa  piansi; 

E  risonar  de'  miei  dogliosi  accenti 

Feci  sovente  Menalo  e  Liceo. 

Pianse  Aldide  il  fanciullo 

Che  gP involar  le  Ninfe  al  chiaro  fonte;  . 

Orfeo  pianse  Euridice, 

E  pianse  Apollo  Dafne  e  Ciparisso  ; 

Pianse  Giove  medesmo 

Per  Calisto  e  per  Io, 

Ed  asciugò  dopo  il  dolore  il  pianto: 

Tu  ti  condanni  a  sempiterno  lutto. 
j.Sia,  come  il  danno,  etemo  anco  il  dolore. 


ira  POESIE  PASTORALI 

illm.  Folle I  troppo  vaneggi^  e  poco  sperì; 
Né  di  Tirsi  il  cantar  rammenti,  o  <}ueUo 
Che  di  Sileno  udisti  in  verde  speco. 

And.0  Dea,  quel  di  di^ Amore 
Mi  tolse  3  cor  dal  petto, 
£  poi  mi  disse  «  Non  ne  far  parola  », 
Mi  tolse  insieme  il  senno: 
Qual  meraviglia  y  à  io  piango  e  vaneggio  ? 

^y90. Tempra,  Aminta,  il  dolor;  che  in  questo  monte 
(Della  cui  fama  il  mondo  anco  rìmbomba) 
E  in  questi  verdi  bosclu  e  in  queste  valli 
La  tua  Corinna  avrà  perpetui  onori: 
E  tu  con  lei  di  gloriosa  fama 
Degno  sarai;  che  lodeì'ansi  insieme 
La  sua  vera  onestade  6  la  tua  fede. 
La  sua  beltado  e  la  tua  stirpe  antica. 
Che  vento  dì  fortuna  a  pena  crolla, 
Ma  non  dibarba,  Anunta,  e  non  atterra 
Si  che  non  spieghi  i  gloriosi  rami 
Che  ricoprono  il  Tebro  e  i  sette  colli 
Coli' ombra  antica  e  tutto  il  bel  paese 
Ove  s'ascose  già  Saturno  il  veglio. 
Non  &re.  Aminta,  air  alta  stirpe  oltraggio 
Col  soverchio  dolor;  T animo  m  tutto 
Mostra  come  il  mostrar  gli  antichi  padri 
In  ogni  colpo  di  fortuna  avversa. 
A  voi  il  gran  Vaticano  e  gli  altri  sette 
Piegan  le  chiome,  e  FAppennin  s'inchina, 
E  vie  più  lunge  Pindo,  Olimpo,  Atlante 
Sostenitor  delle  dorate  stelle, 
E  par  che  dica  :  Più  famoso  pondo 
Non  sostegno  delFOrse,  o  più  lucente 
Dell'Orse,  altere  imprese,  insegne  eccelse. 
Vostri  etemi  tro^  che  in  del  traslati 


POESIE  Pastorali  to3 

Quasi  presagio  fur  del  vostro  meiio: 
Ma  VOI  potreste  alzarli  anco  pia  in  alto. 
Scaltro  cielo  sovran  si  volge  intorno^ 
Glie  per  divina  luce  a  voi  s'asconda; 
Voi  non  di  Licaón  figE  o  nipoti, 
Ma  di  Pane  e  di  Giove  invitta  prole. 
Tempra,  Aminta,  il  dolor;  non  lice  il  pianto. 
Ma,  se  M  pianto  ammorzar  può  duolo  ardente, 
Or  teco  pianga  Roma  e  i  sette  colli. 
Ifii^. Piangete,  antiche  Ninfe, 
Per  lei  che  a  voi  fu  duce^ 
Lieta  lasciando  lagrimosa  luce. 

Voi  piangete,  pastori,  e  voi.bifolci 
Lei  che  guidava  il  coro 
Negli  amorosi  balli  ; 

Crescete  il  pianto,  acque  correnti  •  dolci) 
E  voi ,  purpurei  e  d*  oro , 
E  voi,  fior  bianchi  e  gialli, 
Ch'ella  il  dolore  induce. 
Lieta  lasciando  lagrimosa  luce. 

E  voi,  piangete  ancora,  o  verdi  boschi ^ 
Lei  che  in  forma  appariva 
Or  dì  Ninfa,  or  di  Dea; 
Antri,  piangete,  e  seggi  ombrosi  e  foschi; 
Pianai  tu,  verde  riva. 
Là  dove  ella  sedea« 
E  donde  al  ciel  riauce,   * 
Lieta  lasciando  lagrimosa  luce. 

Piangete,  colli,  e  voi,  superbi  monti) 
Lauri,  e  voi  che  di  foglie 
Non  priva  ardore  o  gelo. 
Piangete  (e  siano  il  pianto  i  rivi  e  i  fonti ]^ 
Le  preziose  spoglie 
DelTalma  di' è  nel  cielo, 


iq4  y       POESIE  PASTORALI 

E  donde  a  noivtraluce 

Lieta  lasciandc/  lagrìmosa  luce. 

Piangete  y  Orse^  nel  ciel  tra  fiamme  e  lampi} 
Tu  piangi,  o  bianca  Luna^ 
Pietosa  de  mortali  j 
Sian  rugiadosi  i  più^ lucenti  campi  ^ 
Dove  giunger  fortuna 
Non  può  con  gli  empj  strali^ 
Mentre  il  carro  conduce  ^ 
Lieta  lasciando  lagrimosa  luce. 

Tu  piangi  insieme  (e  sia  distailo  il  pianto), 
O  bella  e  vaga  Aurora: 
Mentre  riporti  il  die  ^ 
Lagrime  scuota  il  seno,  e  perle  il  manto. 
Che  gli  aspri  monti  indora 
Dalle  celesti  vie, 
Là  ov^è  chi  gode  e  luce, 
Lieta  lasciando  lagrimosa  luce. 


LA   FESTA   CAMPESTRE 


AMÀRILLI,  LEUCIPPE,  TIRINTO 

Era  nella  stagicm  ridente  e  lieta  ^ 
Stagion  cT  amore  amica , 
Cbe  la  gran  madre  antica 
Par  che  si  rìnovelli, 
E^  di  color  più  belli 
Leggiadramente  ornata 
n  darò  antico  volto  e  il  freddo  aenoy 
Sembra  delTalto  cielo  innamorata^ 
Che  la  vagheggia  e  mira 
G>n  occhio  più  lucente  e  più  sereno  j 
NelFora  che  si  desta 
Zefiro,  e  forsi  le  sue  pene  ascose 
Disfoga  con  sospii^  d'aure  amorose, 
E  che  F  ombre  notturne 
E  le  luci  diurne 

Fan  dubbio  ancor  alFaria,  al  ddb  intomo  | 
Se  pure  è  notte  o  aomo} 
Quando  Amariili  bella 
]>^li  aueelletti  al  canto 
Risorta  dalle  piume, 
Secondo  il  suo  costume, 
Giva  lieta  per  farp  al  suo  bel  viso 
Specchio  ad  un  chiaro  fiume, 
E  vide  di  lontan  venir  Leucippe, 
E  corse,  ed  abbracciolla ,  e  cosi 
ifma-Cara  Leucippe  mia,  come  ti  v^;gio 
Risorta  innanzi  al  sole; 
Qual  cagion  A  per  tempo  or  qui  V] 


io6  POESIE  PASTORALI 

Forse  Pamot  del  tuo  gentile  Aminta? 
Leu.  Tu  dei  saper  che  sotto  F  olmo  ombroso 

S^  aduna  oggi  ogni  ninfa  ^  ogni  pastore 

Cb^ abbia  senso  d^ amore: 

Quivi  in  leggiadre  danze 

J^e  ninfe  e  i  pastorelli 
.  Or  con  queste  or  con  quelli 

«Desteranno  i  timori  e  le  speranze 

Negli  amorosi  petti  ) 

Indi  ballo  cangiando  ^  a  coppa  unita , 

Andranno  intomo  or  più  veloci ,  or  lenti  : 

Quivi  sommessi  accenti  ^ 

£  interrotti  sospiri 

Daran  segno  or  di  gioje^  or  di  martiri. 

Allor  colui  che  regge 

I  vaghi  errori  suoi  con  certa  legge, 

Ecco  farà  cangiare  e  tnano  e  loco: 

Chi  diverrà  di  foco. 

Chi  sparso  il  Volto  d^un  color  di  morte 

Languidetto  vedrassi , 

E  dir  di  lui  potrassi: 

Questi;  cangiando  man,  cangiato  ha  sorte. 

Or  qui  da  te  ne  regno 

Perchè  insieme  n^ andiamo:  ivi  vedrai      ^ 

n  tuo  Mirtillo,  ed  io  il  mio  Aminta  ancora. 

Oh  felice  per  noi  nascente  Aurora  ! 
^iiut.Andiam,  Leucippe  mia, 

Che  ben  invita  la  stagione  e  '1  tempo 

A  sì  dolce  soggiorno  :  io  voglio  pria 

Ch*  uscitfm  di  questo  prato 

Tesser  di  bianchi  fior  vaga  corona 

Al  mio  Mirtillo  amato; 

E,  se  riporta  nelle  danze  il  pregio, 

Faronne  al  suo  bel  crin  leggiadro  fregio. 


POESIE  PA^STOIULLI  1^7 

ZeiL  Poca  ineroede  dei  tuo  bel  Mirtiilo 

Fia  corona  di  fiorì  :         . 

Però  meglio  sarà  che  te  nMnfioii 

U  crìn  dorato  e  1  seno; 

E  vedrà  chi  de^  fior  fii  paragone 

Al  tuo  bei  volto  ^  quanto 

A  lor  tu  scemi  e  a  te  s^ accresca  il.  vanto. 
^hulEcco  io  fo  il  tuo  consiglio; 

E  sarà  di  Mirtillo  in  premio  eletto 

Del  mio  candido  core  il  puro  affetto. 

Ma  già  di  questo  prato  i  vaghi  onori 

Ho  depredato  intomo.  Andiam,  Leucippe, 

Andiamo  9  ben  chMo  stimi 

Che  ancor  le  ninfe -amanti 

Non  siano  insieme  accdite. 

Chi  vorrà  d^  amaranti 

Intrecciarsi  le  chiome  ) 

Chi  d^  amorose  e  pallide  viole 

Farsi  il  bel  seno  adomo , 

Perchè  le  natie  rose  ai  lor  pallore 

Mostrin  più  bello  e  caro  il  bel  colore) 

Chi  vorrìi  di  coralli 

Cingersi  il  braccio  e  U  collo; 

Clii  di  minuti  e  lucidi  cristalli 

Farsi  vago  monile 

Per  apparir  più  I>ella  e  più  gentile. 
Zen. Ecco  Siam  giunte,  e  t'apponesti;  ancora 

È  si  solingo  il  loco, 

Che  non  vi  veegìo  alcun,  fìior'ch^un  pastore 

Che  mostra  nel  sembiante 

Gravissimo  dolore. 
Amalo  'i  veggio;  egli  è  Tirintò: 

Vedi  come  smarrito  è  nei  suo  volto 

n  solito  rossore. 


io8  POESIE  PASTORALI 

« 

Certo  cagion  n'è  amore: 

Ecco  che  a  noi  sen.  viene.  — 

Ti  faccia  Amor  felice, 

Gentil  Tirìnto  mio. 

Poiché  leggo  nel  tuo  languido  aspetto 

Che  sei  cu  lui  soggette. 
Leu.  Amor ,  Tirìnto  mio ,  ti  dia  mercede 

Eguale  alla  tua  fede. 
Tir.  Amor  al  suo  gioire 

Cosi  destini  voi,  cpm^io  già  sono 

Destinato  al  martire. 
^ma.Non  sospirar,  pastor,  non  sospirare; 

Queste  lagrime  amare, 

Che  spargi  da'  tuoi  lumi , 

Non  spegneran  scintilla  delF  ardore  ' 

Ove  ognor  ti  consumi  : 

Che  s^Amor  dalle  fianune  del  tuo  core 

Può  trarre  umore  e  Venti , 

Trarrà  dal  pianto  ancor  faville  ardenti. 
Tir.  Non  spero  io ,  ninfa ,  già  che  questo  umore 

Scemi  in  parte  la  fiamma 

Che  il  cor  mi  strugge  e  infiamma  3 

Ma  spero  ben  che  questa  vita,  e  1 -pianto, 

E  si  lungo  martire 

Finisca  col  morire: 

E  s'awien  che  da  morte  T  non  impetri 

Questa  pietà  crudele. 

Nascendo  dalla  mia  perpetua  pena 

Questa  di  pianto  inessiccabil  vena, 

Essend*ella  infinita 

Come  sarà  la  vita. 

Piangerò  tanto  almen ,  che  di  quest^  onde 

Satolli  e  purghi  il  kgrìmoso  rio 

D'Amor  r ardente  sete,  e  Fardor  mio. 


POESIE  PASTORALI  109 

AmaJììmtmj  ch^error  è  questo^ 

Tirìnto  mio,  se  pur  saper  mi  lice 

L^  alta  cagion  che  ti  fa  si  infelice  ? 
Tir.  Amar  più  di  me  stesso 

Chi  non  solo  al  mio  amor  vero  risponde  (*), 

Ma  mi  fugge,  e  s^ asconde; 

E  non  solo  mi  fugge^ 

Ma  dispregia  crudele  > 

n  don  d^un  cor  sì  puro  e  si  fedele. 

Ma  che  più?  m^odia,  e  solo 

Fra  tanl^  altro  gioire 

Del  mio  fero  martire 

Ha  questo  ingiusto  duolo, 

Che  non  può  far^  né  lo  consente  Amore, 

Che ,  più  ch^  ella  non  m*  odia ,  io  non  V  adore. 
Leu.  Che  fu?  la  sua  bellezza,  o  la  tua  voglia, 

O  pur  fero  destino , 

Ch'in  prima  la  tua  mente  tenerella 

Fé'  di  si  iero  cor  misera  ancella  ? 
Tir.  S*  unir ,  perch'  io  sia  sempre  sconsolato , 

Al  mio  voler  la  sua  bellezza  e  '1  fato. 
Leu.  S' alta  beltà  divina 

Un  amoroso  cor  vien  eh' impregione , 

£Ua  paghi  Ferror,  che  n'è  cagione: 

E  se  forza  è  di  stelle. 

Ben  saria  troppo  ingiusta  e  fera  legge 

Punir  chi  non  elegge: 

Ma,  se  un'alma  cortese 


(*)  Pare  a  noi  ohe  il  seAtimento  di  ouesto  yerso  non 
s'accordi  al  rimanente  del  discorso  dello  sfortunato  pastore; 
laonde  proponiamo  la  seguente  emendazióne: 

Chk  non  lolo  «U^amor  mio  non  rispondei  «e. 

(GliEdit) 


no  POESIE  PASTORALI 

Volontaria  A  dona, 

Questa  è  pur  craddtà  ch'ogni  altra  eocade, 

Che  di  quel  chieda  diede, 

Se  gradito  non  è,  nò  Tè  renduto, 

Paghi  d'amaro  pianto  amjMo  tributo. 

Tir.  Estrema  crudeltà,  ma  non  ragione 
Dell^  amor,  mio ,  deQa  mia  fede  pura  ; 
Anzi  tanto  minore, 
Quanto  più  innato  affetto 
È  delFodio  Pàmor  nel  nostro  petto. 

j^iTULSpera ,  Tirinto,  spera  ^ 
Cnè  nulla  donna  e  fera. 

Tir.  Ahi  I  che  troppo  sperai 
Quando  lasciai  me  stesso, 
£d  a  seguir  chi  fugge  incominciai. 
Né  potuto  ha  ragion  sveller  giammai 
Dal  cor  questa  radice  amara  e  dolce, 
Che ,  mentre  F  alma  uccide ,  i  sensi  molce  j 
V  Onde,  Amor,  sei  cagion  ch'io  viva  e  pera. 
Oh  speranza  fallace  e  lusinghiera! 

Leu.  Tu  dei  sperar  almeno 
Che  dopo  lunga  pioggia 
Ritorni  il  ciel  sereno: 
E  chi  sa?  se  ti  tiene 
Amor  fra  tante  doglie , 
Forse  ritarda  ancor  d^ esserti  grato, 
Per  farti  poi  più  lieto  e  più  beato. 
Dunque  ti  racconsola  , 
E  questo  lagrìmar  rivolgi  in  canto 
Tu,  che  a  mille  pastor  ne  hai  tolto  il  vanto. 

Tin  Come  potrà  giammai  questa  mia  bocca. 

Sol  a  dir  note  di  lamenti  avvezza,' 

_  Formar  voci  di  gioja  e  di  ddcezza  7 

jémaFone  sarai^  presagio  questi  accenti 


POESIE  PASTORALI  ut 

Di  futuri  contenti. 
Tir.  È  in  me  d^  ogni  mia  gioja 

Si  debil  la  speranza, 

Ch^  altro  che  lagrìmar  nulla  m^avan^. 
Zc<i.  Canta,  Tirìnto,  canta, 

£  te  stesso  consola,  e  noi  rallegra. 

Questa  stagione  allegra 

£  ministra  d!  Amore 

Ammollirà  quel  core. 

Quel  duro  cor  già  si  d^Amor  nemico. 

Che  fattosene  donno 

Darà  degna  mercede 

Alla  sua  feritate ,  alla  tua  .fede  ; 

E  poi  ch'ella  noi  volse 

Mansueto  signore^ 

Ora  con  suo  gran  danno 

Lo  proverà  tiranno. 
Tir.  Io  già  da  voi  son  vinto ,  e  mi  son  reso  : 

Ecco  chMo  canto,  e  mi  rivolgo  a  Clori, 

Se  pur  dal  lagiìmar  non  m^  è  conteso.  — 

Ma  ecco  un  grande  stuolo 

Quìijcì  di  ninfe,  e  ouindi  di  pastori. 
LeiL  Ecco  là  il  tuo  Mirtillo ,  ecco  il  «aio  Aminta. 

Amarìlli,  noi  vedi?  e  già  da  lunge 

Con  amorosi  strai  mi  sfida  e  punge. 
AmniEcco  di  là  Battilo  ed  Adrìo  insieme, 

E  Clonico  e  Timeta , 

E  dopo  tutti  l^ro  il  saggio  Elpino. 
Tir.  Vedete  Caritéa 

Come,  sparsa  di  fior^  le  belle  chiome. 

Mira  il  gentil  pastor  che  d'Adria  ha  '1  nome.  -^ 

Vedete  là  Calife 

Come  di  furto  il  suo  Batillo  mira , 

Indi  si  volge  altrove  e  gli  occhi  gira. 


1 1 3  POESIE  PASTORALI 

Ma  chi  cela  il  desio ,  chi  asconde  Amore? 

Sembran  dire  i  suoi  lumi:  Àrdente  è  il  core. 

Amaranta  la  bella 

£  F  amorosa  Clìzia 

Seguon^  di  sangue  e  dì  bdtà  sorelle  j 

£  si  mostrano  in  veste 

D^  almo  color  celeste 

Qaal  in  serena  notte  ardenti  stelle.  — 

Ma  non  vogP  io  ck^  il  mio  taiarlir  rimanga 

Delle  vostre  allegrezze 

G)mpagno  doloroso. 

Addio  ^  soggiorno  ombroso  ! 

Addio ^  coppia  di  ninfe  amica  e  fida! 

Io  vo  colà  dove  il  dolor  mi  guida. 


t 


DIÀLOGHI 


^      I 


DIALOGO  I. 

In  lode  di  D.  Marf^herùa  Gonzaga  duehesta  di  Ferrara. 


LICORI.    TIRSI,    DAFNE. 

•  > 

Lic.  Dimmi ^  mesto  pastore, 

Qual  muto  pesce,  o  qual  è  rozzo  armento, 

Che  non  faccia  d^ amore  alcun  concento? 
Tir.  Nessun;  che  odi  d^ amore, 

Quando  è  il  mar  cheto,  P armonia  tra  Tonde, 

Un  mormorio  eh*  alti  sospir  confonde  y 

E,  come  posson.  Forche  e  le  balene 

Accennan  le  lor  pene: 

Ed  il  mugghiar  aé*  buoi  per  le  campagne. 

Ed  il  belar  delTagne, 

E  'i  ruggir  delle  belve. 

Suono  amoroso  è  nelP  alpestri  selve. 
Lic.  Queste^  che  Tali  garrule  e  strìdenti 

Si  percuotono  al  petto  , 

Sfogan  forse  d'amore  intenso  affetto? 
Tir.  Sfogan,  ali^alme  Dive 

Sacri  augelletti,  fianmie  in  fiamme  estive, 
Lic,  Ma  tu,  che  non  men  caro 

Sei  delle  Muse  e  del  gran  Febo  amico , 

Deh!  perchè  in  suon  più  chiaro 

Non  canti  gli  occhi  vaghi  e  1  cor  pudico 

Di  qualche  vaga  ninfa, 
Taìso  ,  FoL  IF.  8 


1(4  POESIA  PASTORALI 

Al  suoli  di  questa  linfa? 

Tu  j  per  cui  spesso  suole 

Lasciar  Febo  Parnaso  ed  Elicona* 

Delle  frondi  del  sole 
^     Tessi  di  lode  a  lui  doppia  corona, 

Cantando  un  core  schivo 

Al  suou  di  questo  rivo. 
Tir.  Intorbidar  quest'  acc^ue 

Mi  giova  col  mio  pianto , 

Piuttosto  ch'addolcir  Faria  4iol  canta 

Cosi  a  mia  stella  piacque, 

E  vuol  chMo  mi  consume 

Al  suon  di  quésto  fiume. 
Lic.  In  te  converso  il  rio 

Per'  gli  occhi  tuoi  discende, 

E  ti  ridona  quel  che  da  te  prende: 

E  pur  tu  in  fiume  vólto   . 

Serni  la  forma  ancc»ra  antica  e  U  volto« 
Tin  II  pianto  è  tutto  mio; 

Che  preme  Amor  la  pena 

DMnessiccabil  vena. 
J9a^ Misero!  asciuga  i  fiumi 

Che  da  te  il  duolo  elice; 

Prendi  pietate  d'un  leggiadro  velo, 
Lic.  1  languidctti  lumi 

Tergi,  amante  infelice; 

Se  d'Amor  vince  il  telo, 

Prendi  pietate  d'un  leggiadro  velo. 
Tir.  Amor,  s^è  amoi*e  o  s'è  pietate  in  cielo, 

Di  me  t' incresca  e  del  mio  duol  che  bagna 

Il  core.  Chi  si  lagna, 

Sente  meno  il  dolore,  e  sol  respira 

Quando  piange  e  sospira. 
Pa/^  Se  1  tuo  pianto  è  sì  dolce, 


POESIE  PASTORAU  i  iS 

Or  che  sarà  se  mai 

Amor  Fardor  ti  molce 

In  guisa  che  i  tuoi  lai 

Cangi  in  più  lieto  stile , 

Cantando  d^un  bel  volto  ahno  e  gentile? 
Lic.  Sey  dolendoti;  versi 

Dal  cor  tanta  dolcezza, 

Che  fia  se  Talma,  in  vend 

Solo  a  dolersi  avvezza, 

Lieta  si  rasserena 

Cantando  d'una  fronte  alma  e  serena? 
Tir.  Amore  è  nel  mio  danno 

Implacabil  tiranno, 

Già  fanciul  mansueto,  or  veglio  fero. 
Lic.  Amor  sempre  è  leggero^ 

£  sempre  scherza  e  gira. 

E  muta  r  ira  in  riso ,  e  1  riso  in  ira, 
Dafi Amore  è  instabil  verno. 

Ed  instabil  sereno, 

Fonte  misto  di  &le  e  di  veleno. 
Im.  Amore  è  flutto  alterno 

Di  speranza  e  di  noja, 

£  di  timor  e  d'aspettata  gioja. 
Di^  Amor  sorgente  è  spesso 

D'alte  dolcezze  e  liete, 

DegU  affanni  e  de'  guai  soave  Lete. 
Tir.  Son  vinto,  io  vel  confesso, 

Non  da  voi,  ma  da  lui  ch'i  dolci  detti 

Par  che  v'  inspiri  e  detti. 
Dafi  Ti^  rendi?  Or  dunque  canta  : 

Che  queste  leggi  impone 

Cortesissimo  Amore  9I  suo  prigione. 
77r.  Di  che  cantar  degg'  io  ? 

Di  dori,  o  d^Atabnta? 


ì  16  PO£SIE  PASTORALI 

O  pur;  come  m^invogGa  alto  desio, 

Di  lei  .chMn  questa  riva 

S*  è  mostra  in  forma  di  celeste  Diva?  . .  ,  • 
,  O  felice  fanciulla  ; 

A  cui  corse  di  latte 

H  Mincio,  e  frutti  dièr  le  terre  intatte; 

A  cui  di  fior^  la  culla 

Sparsero  in  mille  guise, 

E  80S{nraron  Paure,  el  ciel  sorrìse; 

O  d^eroi  figlia  e  sposa, 

Desiata  d^eroi  madre  famosa. 
O  cresciuta  in  etate 

Felicissima  donna, 

Che,  mentre  erri  succnnta  in  irecoia  e  ^n  gonna ^ 

Vaghe  di  tua  beltate 

Bendi  le  valli  e  i  monti,  \ 

Ch^a  te  sparse  di  fior'  cbinan  le  fronti  ^ 
Tirsi,  Licori,  Dafne, 

O  d^eroi  figlia  e  sposa, 

Aspettata  a  eroi  madre  famosa. 
Tir.  Quando  del  Po  le  piagge 

Prima  col  pie  toccasti, 

A  te  danzar  le  ninfe  in  atti  caUi , 

L'alpestri  e  le  selvagge, 

QueHe  del  fiume,  e  quelle 

Ch'  albergano  nel  mar  vaghe  sorelle  : 
Tirsi,  Licori,  Da/he. 

O  d'eroi  figlia  e  sposa. 

Preparata  d'eroi  madre  famosa. 
Tin  A  te  guidaron  danze  , 

Pastor  leggiadri,  accorti, 

E  tenne  a  fren  le  voglie  il  dio  degli  Orti  ; 

E  in  modeste  sembianze 

G>'  Satiri  Sileno 

Ti  si  mostrò  di  riveren^  pieno; 


POESIE  PASTORALI 

Tirsi,  Licori,  Dafne. 

O  d^eroi  figlia  e  sposa, 

Destinata  d^eroi  madre  famosa. 
Tir.  A  te  cantando  a  gara 

Titiro  e  Melìbeo, 

Parve  Puno  Anfione,  e  P altro  Orfeo: 

Ed  ora  si  rischiara^ 

O  real  Margherita , 

Di  te  cantando  la  mia  lingua  ardita  : 
Tirsi y  Licori,  Dafne. 

O  d'eroi  figlia  e  sposa, 

Già  promessa  d^eroi  madre  famosa. 
Tir*  Tu  PAurora  somigli 

Ne^  crini  e  nelle  gote, 

Ed  Apollo  ne^^lumi  e  nelle  note. 

Ninfe  viole  e  gigli 

Intréccianti  alle  chiome, 

Mentre  io  segno  ne'  lauri  il  tuo  bel  nome: 
Tirsi,  Licori f  Dafne. 

O  d^eroi  figlia  e  sposa, 

Desiata  d' eroi  madre  famosa. 


««r 


1 18  POESIE  PASTOHAU 


DIALOGO    IL 


In  lode  di  D.  Marijherita  Gonzaga  dueheim  di  Feftarm. 


LICORI ,  DAFNE ,  AMINTA. 

\c.  Dimmi ^  eentil  pastore^ 

Che  sei  di  Febo  e  delle  Muse  onore, 

Qual  domia  fai  della  tua  cetra  degna? 
^mj.  Quella  di  voi  cbel  mio  cantar  non  idq;iia| 

£  che  nel  petto  mio 

Di  nobil  carme  inspirerà  desio. 
DaflTuy  leggiadra  Licori ,  in  cui  due  stelle 

D^Amor  splendon  sì  belb, 

Che  la  luce  del  Sol  ne  riman  vinta  ^ 

Girale  verso  Aminta 

Cosi  soavi  e  chiare^ 

Ch'indi  i  tuoi  presi  e  le  sue  rime  impare. 
Lic.  Tu,  la  cui  armoma  lusinga  e  frena 

I  più  rapidi  venti, 

Soavissima  Dafne,  anzi  Sirena, 

Deh!  fa  eh' Aminta  in  sì  soavi  accenti 

Le  tue  parole  intenda, 

ChMndi  1  suo  canto  e  le  tue  lodi  apprenda. 
jimLìiìnkj  oimèf  provvedete 

ChMn  vece  di  cantar  non  mi  consumi. 

Misero  I  ben  sapete 

ChMn  bella  donna  le  parole  e  i  lumi 

Spirano  fuoco  e  fiamme,  *  ^ 

E  già  par  che  mMnfiamme. 
Disperi  tu  dunque  onor  dalla  tua  cetra, 


t 


POESIE  BASTORALI  ii^ 

S  Amor  non  te  T  impetra  ? 

Oh  come  fia  il  tuo  stil  languido  e  roco 

Senza  amoróso  foco! 
^m/.Ben  è  folla  colui 

Che  di  sé  piange  per  cantar^  d^  altrui. 
Lic.  Non  è  si  crudo  Amor^  come  tu  1  fai. 
AmLhsìfì  più  crudo  assai 

D^ogni  mar,  d^ogni  inostro. 
DafCoù  parli  del  nostro 

Fonte  de'  bei  desirì? 
AmLìiiÀo  diaspri  martiri. 
lÀc.  Padre  d^ogni  boutade, 
ji/iiii.  Figlio  di  vanitade. 
Daf.  Senza  cui  non  si  sa  che  sia  contento. 
Ami.^\o  per  cui  si  proTa  ogni  tormento. 

Lunge  sia  dal'  mio  petto 

n  suo  fero  diletto. 
tic.  Aminta,  odi  il  mio  detto. 

Oh  quante  gusterai  dolcezze,  oh  quante, 

Se  tu  divieni  amante! 
>^nit.  Cessate  omai,  ministre  invide  e  rie 

Non  d'Amor,  ma  di  Morto 

£  delle  pene  mie. 

Qui  vaghezza  v^ha  scorte 

Non  della  cetra  mia,  ma  del  mio  pianto; 

£  per  non  lagrimar  fo  fine  al  canto.  ' 

Dafne  ^  Licori. 

Oh  come  mal  nascondi  i  pensier  tuoi  ! 

Tu  fingi  ch^odio  e  tema 

D'Amor  Palma  ti  prema, 

Per  don  cantar  di  noi;,^ 

£  però,  verso  il  ciel  spiegando  Tali, 

Prendi  per  scorta  una  celeste  idea ,        , 

£  con  noi  canta  qui  la  nostra  Dea. 
^/fif .  Cantiam  la  nostra  Dea. 


la»  POESIE  PASTORALI 

AmìrtUif  Licori 
Cantiam  la  Dea  che  dai  celesti  cori 
Portò  r  altero  e  non  pi&  visto  esempio 
Di  beltà,  di  valor,  degna  di  tempio 
£  d^  immortali  onori 
Assai  più  di  Minerva  o  Citeréa. 

^/it£  Cantiam  la  nostra  Dea. 

Aminta,  Dafìn. 
Cantiam  Falta  regina. 
Nostro  ben,  nostra  gloria  e  nostra  duce, 
In  cui  tanta  del  cielo  e  si  divina 
Grazia  splende  e  riluce, 
Ch^a  Dio  ne  scorge,  in  \si  mirando,  e  bea. 

j^/nì.  Cantiam  la  nostra  Dea.  « 

Amnia  /  Licori^  Dafne. 
Lucida  perla,  a  cui  fu  conca  il  cielo, 
E  tu  di  lui  tesoro. 
Tu  pria  con  luminoso  alto  decoro 
Di  Dio  fregiasti  la  corona  e  '1  regno , 
Poi  sul  Mincio  prendesti  umano  velo: 
Ora  il  più  ricco  pegno 
Del  re  de^  fiumi  e  nostra  gloria  sei, 
£  sarai  madre  ancor  di  Semidei. 
Oda  1  Ciel  questi  voti: 
E  tu  nel  canto,  di  tua  gloria  indegno, 
Gradisci  i  cor  devoti^ 
Che  son  nel  ver  troppo  sublimi  some 
L'ergere  al  ciel  di  Margherita  il  nome. 


POESIE  PASTORALT  lai 

DIALOGO    III 
COirrjTO    DI    PASTORI 


Tmmro.  damone. 

Già  si  tufiava  il  Sol  nell^  ampio  nido 
Ov'égli  alberga,  e  Tali  umide  ombrose^ 
Stendea  F oscura  Notte  intorno  al  cielo:. 
Già  dispiegava  U  suo  gemmato  manto 
D^  ardenti  stelle ,  e  di  rugiada  un  nembo 
Piovea  soave  alla  gran  madre  in  seno^ 
Quando  Damone,  e  di  pastori  e  ninfe 
Seco  leggiadro  stuol  dalle  campagne 
Tornava  ad  un  convito  al  proprio  albergo^ 
Che  '1  primo  dì  del  mese  innanzi  aprile 
Fea  per  costume  antico  allor  che  1  Sole 
Riconducea  quel  dilettoso  giorno: 
Ed  un  pastor  fra  lor  detto  Tirìnto^ 
Tirinto  amante  deUa  bella  Glori  ^ 
Air  amico  Dampn  rivolto  disse: 

Tir.  Dimmi,  Damon,  perchè  da  te  si  serba 
Ogni  giro  di  Sol  quest^uso?  e  quale 
Prima  cagione  a  lui  principio  diede? 

I>ain.Poichè  mei  chiedi,  e  veggio  stare  intenti 
Pastori  e  ninfe ,  ancor  che  F  ora  sia 
Di  pascer  anzi  il  gusto,  che  F udito ^ 
Dirò  donde  tal  uso  origin  ebbe. 
Fur  già  molti  anni  in  quest'erbose  rive 
Duo  pastori,  un  Alceo,  T altro  Sileno, 
Ch^ebber  due  figli,  e  in  un  ìstesso  giorno 


ri*  POESIE  PASTOIULLt 

Dair  acerbo  desiin  tolti  lor  fòro. 
Nacque  a  Sleno  una  fiuiciulla  (Soi, 
Che  in  età  crebbe  ed  in  bellezza,  ed  arse 
Di  mille  pastorelli  i  cori  e  Falme? 
Questa  nel  vago  aprii  de^  suoi  verd'aanii 
Di  grazia  e  di  beltà  leggiadro  fiore, 
Le  rose  impallidir,  d'invidia  vinte, 
Fea  al  purpureo  color  del  suo  bel  volto, 
Ed  arrossir  per  la  vergogna  i  gigli 
Al  suo  dolce  candore;  e  se  ne  giva 
Per  questi  prati  e  selve  altera  e  sola, 
Di  nullo  amante,  e  da  ciascuno  amata. 
Ma  non  consente  Amor  ch^alta  beltade  . 
Non  provi  in  sé  ouaU  in  altrui  sian  Tarme 
Onde  in  virtù  di  lui  piacendo  ancide. 
Un  giovine  pastor,  di  nome  Alcippo, 
Alcippo  il  biondo  in  queste  selve  giunse, 
A  CUI  fu  tanto  il  Ciel  largo  e  cortese. 
Quanto  Fortuna  de^  suoi  doni  avara. 
Questi  fermossi  con  Sileno,  ed  era 
Per  natura  signor,  per  sorte  servo; 
Ma  come  pria  vide  Amarìlli  bella 
(  Ch^  ebbe  tal  nome  la  leggiadra  ninfa  ), 
Mirella  inlento  »  e  più  d^  ognun  s' accese 
Di  quella  fiamma  onde  ciascuno  ardea. 
Ella,  volgendo  in  lui  Tallero  sguardo, 
Pria  si  compiacque  di  sua  dolce  vista, 
Ed  indi  dal  piacer  nacque  il  desio. 
Desio  d'amor  vie  più  d  ogni  altro  ardente. 
n  giovinetto  innamorato  Alcippo 
Avea  pien  del  suo  ardor  quest^aere  lulto; 
E  dal  suo  sospirar  eran  le  fronde 
Mosse  non  pur,  ma  impallidite  ed  arse: 
E  la  bella  Amarìlli,  die  si  lieta 


t^ÒESIE  PASTOBALf  lal 

Di  libertate  e  di  bellessa  altera 
Errar  soleva,  ora  pensosa  e  mesta^ 
Sen  eia  per  qaesti  campi ,  e  1  suo  bel  volto 
Pallidetto  scopriva  i  bei  colorì; 
Come  al  più  ardente  Sol  languida  rosa. 
Era  chioso  F  incendio  in  ambo  i  coti 
Sotto  chiavi  di  tema  e  di  vergogna: 
Ma  tanto  il  fero  ardor  crebbe  nel  petto 
D'Alcippp,  ch'alfin  vinto  ogni,  ritegno^ 
Fu  forza  che  s^ aprisse  vi  tai  parde. 
Mentre  era  un  di  con  AmarìlU  alF ombra: 
Donna  delTalma  mia , -della  mia  vita, 
Perdona  al  folle  ardir  :  t^  amo ,  t^  adoro  ^ 
Ed  ardo  del  tuo  ardor;  né  ti  sdegnare 
S'io  son  vii  esca  di  sì  nobil  fiamma 
Ch'ognuno  scalda  a  cui  risplende  il  sole. 
Deh!  gradisci  il  mio  cor^  questo  cor  fido, 
Ch^arso  delle  tue  fiamme  io  ti  consacro. 
Qui  tacoue:  ed  ella,  in  lui  volgendo  i  lumi; 
Dal  protondo  del  cor  trasse  un  sospiro , 
E  disse:  Alcippo,  io  t^amO;  e  questa  mano 
Sia  pegno  del  mio  amor;  della  mìa  fede 
Con  che  ora  a  te  mi  lego;  e  per  lei  giuro 
Che  d^ altri  non  sarò;  se  tua  non  sono. 
Tticque:  e  i  begli  occhi  gravidi  di  perle 
Di  purpureo  color  fur  tinti  intomo; 
E  'l  fortunato  Alcippo  a  lei  sol  rese 
Per  parole  sospir^,  per  grazie  pianto. 
Ma  ;  mentre  in  tale  stato  eran  le  cose  ; 
Giunse  un  pastor,  di  nome  ErgastO;  e  seco 
Un  che  per  figlio  tenne  ;  Aminta  detto: 
Questi  vide  Amarìlli^  e  restò  preso 
Dal  laccio  stesso  onde  Amor  tanti  avvinse. 
Ben  se  n'avvide  ErgastO;  e  non  gli  spiacque  ; 


1^4      *  POESIE  PASTORALI 

Poiché  donna  di  lui  degna  gli  parve. 
La  richiese  a  Sileno,  e  da  Sileno 
Fu  per  Aminta  suo  sposa  promessa^ 
Ma  y  cpm^  ella  dal  padre  tutto  intese  y 
Mostrossi  al  giogo  maritai  ritrosa 
Ed  all'amor  del  suo  novello  amante^ 
Né  con  dolci  parole  o  con  lusinghe 
Potè  piegarla  mai  ]  di  che  sdegnato 
Disse:  Farai  del  tuo  volere  il  mio, 
Che  co^  voglio.  —  E  poi  da  lei  partissi^ 
E  U  di  prefisse  alle  future  nozze. 
Ma  y  come  prima  ella  rimase  sola  y 
Sospirò;  pianse;  e  de'  begli  occhi  suoi 
'    Eran  le  beUe  lagrime  cristallo, 

E  fiamma  i  suoi  sospiri:  e  quando  tregua 
Per  brevissimo  spazio  ebbe  xla  loro, 
n  suo  dolore  in*tai  parole  espresse: 
Dunque  romper  la  fé,  dunque  degg'io 
Lasciare  Alcippo  mìo,  T anima  mia? 
O  pur  deggio  morir  misera  in  prima? 
S'io  moro,  oimè!  quanto  martire,  Alcippo, 
Partendomi  da  te,  dolente  avrai! 
Forse  vorrai  seguirmi ....  ahi  !  che  più  temo 
L'incerta  tua,  die  la  inia  certa  morte. 
Ma  s'io  poi  resto  in  questa  amara  vita. 
Esser  potrò  d'altrui,  se  non  d' Alcippo? 
Ah!  che  meglio  è. morir:  mora  Amari Ui, 
E  viva  la  sua  fede  ;  e  -sia  quel  letto , 
Ch'é  fatto  ai  brevi  sonici  ed  ai  diletti, 
A  me  d'affanni  e  di  perpetuo  sonno. 
Tacque,  e  i  languidi  lumi  al  cielo  affisse, 
Ch'avrian  forse  a  pietà  mosso  l'inferno. 
Intanto  venne  il  giorno  che  prescritto 
Avea  il  padre  alle  nozze,  ella  alla  morte; 


1 


POESIE  PASTORALI  ia5 

E  nell^ullima  sera  al  gran  convito, 
Ch'  avea  fatto  Sileno  j  era  anche  Alceo  : 
£  poiché  fu  di  Cerere  e  di  Bacco 
In  loro  ogni  appetito  in  tutto  estinto, 
Disse  Ergasto  a  Silen:  Già  quattro  lustri 
Rivolti  ha  ^1  Ciel,  ch'in  questo  istesso  giorno, 
Giorno  per  me  felice  e  memorando, 
Mi  die  per  figlio  Àminta,  e  di  lui  figli 
Or  mi  prometto  col  favor  del  Cielo. 
Cui  rispose  Silen:  Deh!  dimmi,  Ergasto, 
Come  trovasti  Àminta?  e  qual  ventura 
A  lui  te  padre,  a  te  lui  figlio  diede? 
Ed  egli  :  Io  '1  vidi  solo  errar  piangendo 
In  questo  bosco,  che  feconda  e  bagna 
Coli  onde  sue  d'argento  il  chiaro  Mincio, 
Di  qui  passando  un  giorno;  ed  avea  al  collo 
Questa  immagine  appesa  eh' ancor  tengo, 
E  terrò  sempre  per  memoria.  Allora 
L'interruppe  Sileno,  ed  abbracciando 
Aminta,  per  suo  figlio  il  riconobbe. 
Stupissi  Ergasto:  Da  qui  innanzi,  disse, 
Sark  figlio  Gomun  d'entrambi  Aminta. 
Soggiunse  poi:  Meco  il  condussi;  e,  quando 
Fummo  ove  il  fiume  si  converte  in  lago, 
Era  una  cuna  in  su  la  molle  arena, 
Ivi  dal  vento  spinta:  io  corsi,  e  vidì 
Esservi  dentro  un  fanciullin  eh'  al  petto 
Un  segno  avea  quasi  di  stella  impresso  ; 
E,  vinto  da  stupore  e  da  pietate, 
n  tolsi  in  braccio,  ed  il  condussi  meco. 
Ma ,  come  giunse  in  sul  fiorir  degli  anni ,' 
Da  me  partissi:  ed  io  mirando  a  caso 
L'altr'ìer  in  questo  albergo  il  riconobbi. 
Questi  ebbe  nome  Aloippo.  —  Allora  Alceo 


ia6  POESIE  PASTORALI 

S*  accorse  cli^  era  il  suo  perduto  figlia  ^ 
E  ricercar  con  ogni  studio  il  fece. 
Di  meraviglia  e  d^  allegrezza  pieno. 
Ripigliò  Ergasto:  Poi  che  preparate 
Sou  già  le  nozze,  or  AmarilU  bella 
D'Alcippo  sia,  stesser  non  può  dV 
Fur  concordi  Sileno  e  l^buon  Alceo, 
E  raddoppiar  la  gioja;  e  solo  Alcippo 
Attendeau  pei*  dar  line  ai  lor  contenti, 
E  più  d^  ognun  la  candida  Amarilli, 
Che ,  poich^  allor  d^  Alcippo  suo  sperava 
Legar  la  fé  con  più  sincero  nodo, 
Vesti  di  gioja  e  fe^  sereno  il  volto, 
In  cui  vivo  il  dolore  era  ritratto. 
Mentre  aspettavan  di  vedere  Alcippo, 
Ecco  un  servo  venir  turbato  in  vista, 
Dicendo:  Oh  miserello  Alcippo!  oh  sorte 
Più  d' ogni  altra  'crudele  !  —  A  tai  parole 
Sbigottir  tutti;  e  solo  Alceo  piangendo 
Domandogli:  11  mio  Alcippo  e  morto,  o  vivo? 
Rispose  :  È  morto  ;  e  di  dolore  è  morto. 
Misero  I  il  vidi  al  tramontar  del  sole 

r 

Uscir  da  questo  tetto;  e,  troppo  in  volto 
Cangiato ,  oimè  !  da  quel  ch^  esser  solca , 
Errò  per  lungo  spaùo ,  ed  io  il  seguii  : 
Stette  alfine  in  un  prato,  e  'n  terra  fisse 
Le  luci ,  e  disse  le  parole  estreme  : 
Vita  soave  e  di  dolcezza  piena. 
Mentre  alT  empia  mia  sorte  ed  al  Gel  piacque , 
Che  fai  or  meco  sconsolata  e  trista? 
Tempo  è  beh  di  morir,  se  Talma  mia 
È  eia  (atta  d^  altrui  :  felice  morte , 
S  ulor  morìa  quando  vivea  sua  fede  ! 
Sua  fisde  è  morta,  e  non  è  sciolta  ;  ch^  clU 


/ 


POESIE  PASTORALI  i%j 

Esser  d^  altrui  non  può ,  se  non  è  mia  y 

Mentre  chMo  vivo.  Ahi  già  morir  mi  sento!    ^ 

Cresci^  dolore,  e  fa  il  pietoso  e  crudo 

Ufficio  ch^  a  far  pronta  era  la  mano  j 

E  sciogli  la  saa  fede  e  la  mia  vita. 

Qui  tacque,  e  pien  di  morte  i  sensi  e  *1  volto, 

Come  reciso  fior  cadde  fra  Terba.  — 

Se  questo  ad  Àmarilli  il  cor  trafisse , 

Chi  sente  amor  per  sé  lo  stimi:  svenne , 

E  restò  breve  spazio  esangue;  ^y  come 

Prima  raccolse  i  languidetti  spirti  y 

Corse  ove  Alcippo  suo  giacea:  ma,  quando 

Il  vide  in  atto  tal,  sopra  lui  cadde , 

E  ^n  questo  flebil  suon  proruppe  e  dÌ6se: 

Oh  occhi  del  mio  core  e  d'amor  lumi, 

Ch'  or  rende  morte ,  oimè  !  torbidi  e  chiusi  ^ 

Oh  volto  già  di  fiamme ,  ora  di  neve  ; 

Oh  bocca  "^ìà  di  rose ,  or  di  viole  ^ 

10  vi  miro  e  non  moro?  Alcippo  amato, 

Tu  '1  mio  foco  accendesti,  or  sei  di  ghiaccio; 
Kè  spegne  il  gelo  tuo  F  incèndio  mio? 
Oimè!  qual  io  ti  veggio!  oh  luci  triste. 
Anzi  fonti  di  tenebre  e  di  pianto. 
Troppo  vedeste  ;  er  vi  chiudete  ornai  : 
Deh!  non  lagrime  più,  non  più  parole, 
Non  più  sospiri  ;  sola  morte  ^  sola 
Esser  può  testimon  del  mio  martire. 
Anima  bella,  se  qui  intorno  sei 
Alle  tue  belle  membra,  e  vedi  ed  odi 

11  mio  dolore  e  le  mie  voci  estreme. 
Deh  !  per  pietà ,  s'  anco  è  per  me  pietate , 
Teco  m'accogU,  ch'io  ti  seguo.  —  In  questo 
Rinvenne  Alcippo,  e,  gli  occhi  stanchi  aprendo. 
Il  suo  perduto  ben  si  vide  in  braccio; 


N 


«    • 


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438  POESIE  PASTORALI 

Vista  dolce  e  beata  I  e  questi  e  quella  y 
V  un  della  fede  e  V  altra  della  vita  ^ 
Che  già  spente  tenean,  restar  sicuri; 
£  se^ne  fr  dalla  temuta  morte       ' 
Alle  bramate  e  non  sperate  nozze. 
Così  cangia  fortuna  in  un  momento 
Lo  stato  iiman  dall'uno  alF altro  estremo. 
Ebber  figli  costor^  ch'agli  avi  miei 
Fur  padri  j  onde  si  serba  ancor  memoria 
Nel  giorno  istesso  ogni  anno  in  un  convito 
Di  quell'antica  e  memorabil  cena. 
Ma  già  r  ora  trascorre ,  e  '1  tempo  chiede 
Altro  che  ragionar  ^  Tirinto  mio. 
Tir.  Dunque  sediamo  a  mensa  y  e  celebriamo 
Colla  presente  la  passata  festa. 


!■«■■••«««■ 


I^ESIE  PASTORALI  139 

D  I  A  L  O  G  O    IV. 
AREZIA  NiKWA. 


AREZIA»    TIRIRTO. 

Era  nella  stagione 
Che  impallidir  le  chiome 
Si  veggon  delle  piante ,  e  gli  augelletti  y 
Che  yan  fuggendo  il  gelo  j 
Passar  di  là  dal  mare 
A  più  temprato  cielo; 
Già  ddTagricoltor  le  mani  avare 
Tolto  aveano  alle  viti 
D  lor  dolce  tesoro ,  / 

Che  parea  in  vista  o  di  piropo  o  d^oro. 
Pria  che  Venere  bella 
In  oriente  splenda , 
Risorto  era  Tirinto; 
E  la  sua  viva  fiamma , 
AIF  ombra  della  notte  umida  e  bruna , 
Sfogava  colle  stelle  e  colla  luna: 
E  per  quei  campi  errando 
Soletto  alfin  pervenne 
All'albergo  d'Arezia  allora  quando 
Parea  del  dì  nascente 
Gravido  F  oriente  ^ 
Ed  ella,  innanzi  al  sole 
Veggendolo  apparire 
Pensoso,  colle  luci  al. cielo  aflisse, 
À  lui  rivolta 
Tasw,  Voi  IV. 


i3o  POESIE  PASTORALI 

Are.  Ben  m^  avveggio  y  Tirìnto , 

Qual  cagion  qui  f  ha  spinto: 

Non  8on  retti  da  te  questi  tuoi  passi  ; 

ChM  tuoi  veri  pensien^ 

Come  vanno  il  tuo  amor  volgendo  teco , 

Cosi  t^aggìran  seco 

Per  distorti  sentieri. 

Ma,  sia  pur  stata  elezione  o  sorte , 

Vieni  sotto  quest^elce  in  grembo  all^erba, 

E,  meco  ragionando  del  tuo  stato ^ 

Lanterna  pena  sfoga  e  disacerba, 

E  r  affannato  petto  in  un  rìstaura 

Allo  spirar  soave 

Di  questa  mattutina  e  placid'caura. 
Tir.  Io  vengo ,  e  qui  m^  assido  : 

Così  avesser  riposo  i  miei  pensieri, 

Com^  hanno  queste  membra  ! 

Che,  dairora  chMo  vidi 

n  viso  di  cdlei 

G  ha  tutti  in  sé  raccolti  i  desir  miei , 

(Con  sospir  mi  rimembra) 

Non  ondeggia  sì  '1  mare 

Dove  dicon  ch^  Atlante 

Bagna  gli  umidi  pie  nell'onde  amare, 

Come  fa  la.  mia  mente 

Ora  lieta ,  or  dolente, 
w^re.  Dimmi,  t'è  dato  mai 

Di  scoprirìe  i  tuoi  guai 

Colla  tua  propria  bocca  o  coir  altrui? 

O  pur  solo  con  gli  occhi, 

Messaggierì  del  core , 

Le  mostri  il  tuo  dolore? 
Tir.  ieT  mi  fu  in  sorte  dato  \ 

Giorno  per  me  beato!  ^ 


POESIE  PASTORALI  »3i 

Io  la  vidi,  e  Tudii 

Pariando  sospirare; 

£  de^  suoi  lumi  ardenti  il  vivo. sole 

Accese  in  me  F  ardore  j 

E  Faura  delle  sue  dolci  parole  ^ 

£  '1  vento  de'  sospiri 

Spiraron  nell'incendio,  e  '1  fér  miaggiore  : 

Né  '1  foco  scenaerà,  ch'ora  in  me  aura, 

O  Variar  d' etate  o  di  ventura. 
Are.  Poiché  già  sì  da  presso  ella  ti  mira , 

£  tu  la  miri  ed  odi, 

Godi,  Tirìnto,  ardendo, 

£  de'  pensieri  acqueta  le  teàipeste: 

^  Che ,  qual  tenera  rosa 

Alla  rugiada,  aU^óra 

Della  nascente  aurora 

Non  apre  vergognosa 

n  suo  vermigUo  ed  odorato  seno; 

Ma ,  poi  che  più  vicino  il  caldo  sente 

Del  gran  pianeta  ardente, 

Apre  languendo  le  purpuree  spoglie, 

E  1  bel  raggio  del  sole  in  grembo  accoglie  : 

Ck>sì  la  verginella 

Ai  pianti  ed  ai  sospiri . 

Di  novello  amator ,  che  lunge  miri , 

Chiude  il  ritroso  petto; 

Ma,  poiché  s'avvicina  il  vivo  ardore 

D^un  amoroso  aspetto, 

Languendo  apre  la  via  per  gli  occhi  al  core, 

£  nel  vergineo  sen  riceve  Amora. 

Ma  come  t'udì  Glori 

Quando  le  apristi  le  tue  pene  ascose? 

£  come  ti  rispose? 
Tir.  £lla,  cortese  in  vista  e  vergognosa. 


i3a  POESIE  PASTORALI 

Di  purpureo  color  tii^to  il  bel  volto , 

Talora  il  dolce  sguardo  in  me  volgea, 

E  poi  gli  occhi  chinava  ] 

Ma,  quando  chiuse  alla  mia  voce  il  passo 

L'affetto  che  volea 

Tutto  in  un  tempo  uscire ,  in  me  gli  affisse, 

E  sospirando  disse: 

Tirìnto  y  io  f  amo  ed  amerò  mai  sempre , 

Quanto  più  cosa  al  mondo  amar  conviensi^ 

Però  della  mia  fé  vivi  contento , 

Se  pur  ti  possMo  dar  gioja  e  tormento. 

jtre.  Vero  è  quel  che  si  dice , 

Ch'infinita  è  la  voglia  degli  amanti: 
Tu  mostri  esser  dolente,  e  sei  felice. 

Tir.  A  tai  parole  sì  cortesi  e  care 

D'amorosa  baldanza  il  cor  ripieno, 

Mossi  per  gire  a  lei^ 

Né  però  m  appressai;  ch'in  un  baleno 

Vidi  nubi  di  sdegno  il  bel  sereno 

Del  volto  aver  coperto,  e  vidi  uscire 

Da'  begli  occhi  lucenti 

Fólgori  d'ira  ardenti j 

Indi  fé*  segno  di  partirsi.  Allora, 

In  atto  supplichevole  e  tremante. 

Non  sol,  dissi,  tu  puoi,  anima  fera , 

Levare  a  questi  miei  languidi  lumi 

n  lor  più  caro  obbietto. 

Ma  questo  afflitto  cor  trarmi  dal  petto  : 

Non  &rai  già ,  mentre  avrò  spirto  e  core , 

Idolo  mio  crudel,  ch'io  non  t'adore. 

Deh!  toma  a  me;  deh!  toma....  E  qui  mancommi 

Lo  spirito  e  la  voce;  e  del  mio  aspetto 

Gli  atti  languidi  e  mesti  indi  le  fero 

A  temprare  il  mio  duol  pietoso  invito. 


POESIE  PASTORALI  i33 

Allora  ella  si  volse,    '      ' 

E  ser^nossi  in  vista; 

E  i  bei  pietosi  lumi  in  me  converse. 

Ben  vidi  in  quel  momento 

0  bel  (Fogni  altro  bello  in  me  rivolto: 

Sì  bella  è  la  pietà  nel  suo  bel  volto. 
Are.  Caro  e  soave  sd^o , 

Che  sol  mostrossi  ne'  begli  occhi  armato, 

Per  esser  poi  dalla  pietà  fugato. 
Tir.  Fu  forza  alfin  partire; 

E  vidi  il  suo  bel  viso , 

Asperso  già  di  rose. 

Smarrirsi  in  un  pallor  leggiadro  e  misto    . 

Di  viole  amorose 

E  di  bianchi  ligustri: 

Onde  non  fia  giammai  chMo  non  rìtegna 

Nelb  memoria  imprèsso  e  l' atto  e  1  loco , 

Esoa  soave  del  mio  dolce  foco. 
Jre.  Qaesff  è  segno  maggiore 
.  Di  vero  ardente  affetto  :^ 

Sparsi  di  tal  colore 

Vanno  i  servi  d**  Amore. 

Godi  dunque  y  Tirinto ,  e  vivi  lieto  : 

Che,  qnal  giovane  pianta 

Si  fa  più  bella  al  sole         ' 

Quando  men  ard^r  suole  ^ 

Ma  ^  se  fin  dentro  sente 

n  vivo  raggio  ardente, 

Dimostran  fuor  le  scolorite  spoglie 

U interno  ardbr  che  la  radice  accoglie: 

Così  la  verginella, 

Amando ,  si  fi^ir  bella 

Quando  anior  la  lusinga  e  non  T  offende  ; 

Ma,  se  '1  suo  vivo  ardore 


/ 


i34  POESIE  PASTORALI 

La  penetra  nel  core, 
Dimostra  la  sembianza  impallidita 
Ch^  ardente  è  la  radice  della  vka. 
Tir.  Se  sperar  del  mio  amor'  tanto  mi  Uce , 
Incendio  mio  felice  ! 
Non  sarà  sasso  che  non  arda  meco, 
Né  fia  caverna  o  speco 
Che  con  me  non  nsuoni  il  caro  nome 
£  \  suo  bel  volto  e  le  dorate  chiome^ 
Né  sarà  selva  che  con  le  fresch^  ombre 
Non  m^ inviti  a  sfogar  Palma  mia  fiamma; 
Né  sarà  pianta  che  non  mostri  espresso 
II'  mio  gioir  nella  sua  scorza  impresso  ; 
Né  sarà  augello  in  questi  verdi  rami 
Che  non  sembri  con  me  cantando  dire  : 
Clorì,  non  fia  che  non  t'onori  ed  ami. 
Oh  soave  languire! 
Felice  me,  s'io  vivo  in  questo  stato! 
Beata  lei,  ch'altrui  può  far  beato! 
Are,  Or  mi  ascolta ,  Tirìnto. 

Poiché  la  bella  Clori, 

Onor  di  queste  selve, 

Fiamma  di  mille  cori. 

Ad  ogni  altro  pastor  ritrosa  e  dura , 

A  te  sol  dona  il  core,  agli  altri  il  fura, 

Donale  la  tua  fede; 

£  degna  di  mercede 

Sarà  e  delFalto  don  che  ti  fece  ella, 

Se  si  fido  sarai ,  com'  essa  é  bella. 
Tir.  Come ,  Arezìa ,  potrei  non  esser  fido  ? 

Troppo  fu  dolce  la  catena  d' oro 

Con  che  alla  sua  beliate  Amor  m'avvìnse; 

Troppo  il  bel  nodo  strìnse^ 

Ch'unito  è  si  col  nodo  della  vita,  - 


POESIE  PASTpRALI  i35 

Che  scioglier  non  si  può  se  non  per  morte; 
Troppo  aperte  del  cor  (bron  le  porte 
Quando  la  bella  imago  < 
A  lui  pervauie  in  prima; 
Ed  ora  n^è  sì  yago, 
Gh'  ad  ùgpi  altra  le  serra  : 
Onde  non  sarà  mai  bellezza  in  terra  y 
OH  in  sé  rivoka,  o  reada  meno  ardente 
Il  bel  desio  deUMnvaghita  mente. 
jire.  Ma  se  talor  la  tua  leggiadra  ninfa , 
Veggendoti  ^a  molti  esser  amato  ^ 
Di  pallido  timor  tingesse  il  volto, 
Temendo  che  da  altrui  non  le  sii  tolto, 
Lascia  pur  eh*  ella  tema  ,  e  eh*  altri  t*  ami  ; 
Che  '1  gelo  del  timore  il  foco  affina 
Negli  amorosi  petti: 
Ma  non  esser  cagion  della  sua  tema, 
£  sembra  nel  sembiante 
Cortese  a  tutti ,  e  di  lei  sola  amante  ; 
Me  far  giammai  della  sua  fede  '  prova , 
Poiché  nulla  ti  giova: 
Sebbene  a  te  paresse, 
Come  credo  che  sia. 
Più  salda  che  colonna, 
Mai  noQ  si  dee  tentar  la  fé  di  donna. 
Alfin  d'esser  rammenta 
Timido  di  parole 
Seco,  e  d'effetti  audace; 
E  sappi  che  non  fu  mai  senza  guerra 
Il  dolce  fin  d*  un*  amorosa  pace.  — 
Ma  ecco  colà  veggio 
Venire  in  vista  lieti  e  vergognosi 
Calisa  e  '1  suo  Batillo,  amanti  e  sposi: 
FeUce  coppia,  a  cui  concesse  Amore 


i36  POESIE  PASTORALI 

Refrigerio  soave 

Del  loro  onesto  ardore. 
Tir.  Adrìo  di  là  sen  viene 

Forse  da  me  per  sfogar  meco  parte 

DeUe  sue  dola  ed  amorose  pene. 
jire.  Dunque  vanne  ^  TirintO;  e  lui  (xmsola  j 

Poiché  sei  consolato; 

E  lieto  vivi  e  godi 

Nelle  tue  fiamme  e  ne*  tuoi  cari  nodi. 
Tir.  Le  grazie,  chMo  dovrei, 

Arezia,  non  ti  rendo; 

Ben  te  le  renderei, 

Se  parlasser  per  me  gli  affetti  miei. 

Rimanti  dunque;  ed  miportuna  guerra 

Di  nojosi  pen^eri 

Non  turbi  mai  la  tua  tranquilla  pace. 

Destro  a  te  giri  il  cielo, 

Ti  dia  frutti  la  terra, 

Né  pioggia  accolta  in  gelo 

Giammai  t* abbatta  i  campi; 

Né  mai  fólgori  o  lampi 

Cadano  qui  della  gran  madre  in  grembo 

Ti  sia  l'aer  sereno;  e  largo  nembo 

Di  dolcissima  manna  e  di  rugiada 

Piova  in  questa  felice  alma  contrada. 


RIME  AMOROSE 


S  O  TJ  E  T  T  I 


SONETTO    I. 


Cofi  questo  sonetto  pi'oemìaU  dimostra  il  fine  eh*  egli 
si  jjHXfpone  nello  scrìpere  e  nel  pubblicar  h  sue 
poesie. 


Vera  fur  queste  gìoje  e  questi  ardori, 
OndMo  piansi  e  cantai  con  vario  carme, 
Che  poteva  agguagliar  il  suon  delParme, 
E  degli  eroi  le  glorie  e  i  casti  amori. 

E,  se  non  fu  de^  più  ostinati  cori 
Ne^  vani  affetti  il  nuo,  di  ciò  lagnarme 
Già;  non  dovrei;  che  più  .laudato  parme 
n  ripentirsi,  ove  onestà  s^ onori. 

Or  con  l'esempio  mio  gli  accorti  amanti, 
Leggendo  i  miei  diletti  e  U  van  desire , 
Ritolgano  ad  Amor  delTalme  il  freno. 

Pur  ch^ altri  asciudii  tosto  i  caldi  pianti. 
Ed  a  ragion  talvolta  il  cor  sbadire, 
Dolce  è  portar  voglia  amorosa  in  seno. 


i4o  RIME  AMOROSE 

SONETTO  IL 

Descrive  Petà  tuUa  quaie  s'  innamorò,  e  la  donna 

di  cui  M*  int^aghi. 

Era  deVetà  mia  nel  lieto  aprile, 
E  per  vaghezza  Palma  giovinetta 
Già  ricercando  di  beltà  ch'alletta 
Di  piacer  in  piacer  spirto  gentile, 

Quando  m'apparve  donna  assai  simile 
Nella  sua  voce  a  candida  angeletta; 
L'ale  non  mostrò  già,  ma  quasi  eletta 
Sembrò  per  darle  al  mio  leggiadro  stile. 

Miracol  nuovo!  ella  a'  miei  versi,  ed  io 
Qrcondava  al  suo  nome  altere  piume  ^ 
E  Fun  per  F  altro  andò  volando  a  prova. 

Questa  fu  quella,  il  cui  soave  lume 
Di  pianger  solo  e  di  cantar  mi  giova; 
E  i  primi  ardori  sparge  un  dolce  obbho. 

SONETTO  III. 

In  occasione  che  vide  la  sua  donna  coglier  fiori 
in  riffa  ad  un  ruscello. 

Colei  che  sovra  ogni  altra  amo  ed  onoro. 
Fiori  coglier  via  io  su  questa  riva; 
Ma  non  tanti  la  man  cogliea  di  loro, 
Quanti  fra  Ferbe  il  bianco  pie  n'apriva. 

Ondeggiavano  sparsi  i  bei  crin  d'  oro , 
OncPAmor  mille  e  mille  lacci  ordiva; 
E  Faura  del  parlar  dolce  ristoro 
Era  del  foco  che  degU  occhi  usciva. 

Fermò  suo  corso  il  rio,  pur  come  vago 
Di  fare  specchio  a  quelle  chiome  bionde 
Di  sé  medesmo  ed  a  que'  dolci  lumi; 

E  parca  dire:  Alla  tua  bella  imago, 
oe  pur  non  degni  solo  il  re  de'  fiumi , 
Rischiaro,  o  donna,  queste  placid'ondc. 


/ 


RIME  AMOROSE  141 

SONETTO  IV. 
Loda  le  beUezxt  della  sua  donna ,  e  specialmenie  la  bocca» 

Bella  è  la  donna  mia  y  se  del  bel  crine 

L'oro  al  vento  ondeggiar  awien -ch'io  miri} 
Bella ^  se  volger  gli  occhi  in  vaghi  giri, 
O  le  rose  fiorir  tra  neve  e  brìne: 

£  bella  dove  poggi,  ove  s' inchine j 
Dov' orgoglio  1  inaspra  a'  miei  desiri: 
Belli  sonò  i  suoi  sdegni,  e  quei  martiri 
Che  mi  fan  degno  d'onorato  fine. 

Ma  quella  ch'apre  un  dolce  labbro  e  serra 
Porta  di  bei  rubin  si  dolcemente, 
È  beltà  sovra  ogni  altra  altera  ed  alma: 

Porta  gentil  della  prigìon  dell'alma, 
Onde  i  messi  d'Amor  escon  Rovènte, 

E  portan  dolce  pace  e  dolce  guerra. 

« 

SONETTO  V. 
yien  consolato  in  sogno  dallo  sua  donna  lontana, 

Giacea  la  mia  virtù  vinta  e  smarrita 
Nel  duol  eh' è  sempre  in  sua  ragion  più  forte, 
Quando,  pietosa  di  si  dura  sorte,* 
Venne  in  sogno  Madonna  a  darle  aita; 

E  ristorò  gli  spirti,  e,  in  me  sopita 
La  doglia,  a  nova  speme  aprì  le  porte: 
E  cosi  nell'  immagine  di  morte 
Trovò  l'egro  mio  cor  salute  e  vita. 

Ella,  volgendo  gli  occhi  in  dolci  giri, 
Parea  che  mi  dicesse:  A  che  pur  tanto, 
O  mio  fedel,  t'affliggi  e  ti  consumi? 

E  perchè  non  fai  tregua  a'  tuoi  sospiri, 
E  'n  queste  amate  luci  aunghi  il  pianto  ? 
Speri  forse  d'aver  più  fidi  lumi? 


i4a  RIME  AMOROSE 

SONETTO  Vi. 
In  oeemiane  ehé  la  sua  donna  sta  per  maritarsi. 

Amor 9  colei  che  verginella  amai,, 
Doman  credo  veder  novella  sposa; 
Simil^  se  non  mMnganno^  a  cólta  rosa 
Clic  spieghi  il  seno  aperto  a^  caldi  rai. 

Ma  chi  la  colse  non  vedrò  giammai^ 
Ch^al  cor  non  geli  F anima  gelosa: 
E  8^  alcun  foco  di  pietate  ascosa 
U  gliiaccio  può  temprar,  tu  solo  il  sai. 

Blisero!  ed  io  là  corro  ove  rimiri 

Fra  le  brine  del  volto  e  1  bianco  petto 
Scherzar  la  mano  avversa  a^  miei  desirì  ! 

Or  come  esser  potrà  chMo  viva  e  spiri, 
Se  non  m'accenna  alcun  pietoso  affetto 
Che  non  fian  sempre  vanì  i  miei  sospiri! 

SONETTO  VII. 
Dimostra  in  t/ual  modo  sia  corrisposto  il  suo  casto  amore. 

Veggio,  quando  tal  vista  Amor  m'impetra, 

'Sovra  fuso  mortai  Madonna  alzarsi; 

Tal  ch&  rinchiude  le  gran  fiamme,  ond^arsi. 

Maraviglia,  e  per  tema  il  cor  impetra. 
Tace  la  lingua  allora ,  e  1  pie  s' arretra , 

E  son  muti  i  sospiri  accesi  e  sparsi; 

Ma  nel  volto  potrebbe  ancor  mirarsi 

L'affetto  impresso  quasi  in  bicinca  petra. 
Ben  essa  il  legge,  e  con  soavi  accenti 

M'affida;  e  forse,  perchè  ardisca  e  parie, 

Di  sua  divinità  parte  si  spoglia. 
Ma  A  quell'atto  adempie  ogni  mia  voglia. 

Ch'io  non  ho  che  cercar^  né  che  narrarle; 

E  per  un  riso  obblio  mille  tormenti. 


RIIIE  AMOaOSE  43 

SONETTO  TUI. 
Amiort  gF  impone  di  cantare  i  muoì  trioi^  t  U  Mm  ffiorit. 

Slavasi  Amor,  quasi  in  suo  remo,  asnso 
Nel  seren  di  due  luci  ardenti  ed  alme, 
Mille  famose  insegne  e  mille  palme 
Spiegando  in  un  sereno  e  chiaro  viso: 

Quando,  rivolto  a  me^  cIiMntento  e  fiso 
Mirava  le  sue  ricche  e  care  salme, 
Or  canta  (disse)  come  i  cori  e  Falme 
£  1  tuo  medesmo  ancor  abbia  concjuiso  ^ 

Né  s'oda  risonar  Tarme  di  Marte 

La  voce  tua,  ma  Falta  e  cliiara  ^oria 
E  i  divin  pregi  nostri  e  di  costà.  — 

CùA  addivien  che  nell'altrui  vittoria 
Canti  mia  servitute  e  i  lacci  miei, 
E  tessa  degli  affanni  istorie  in  carte. 

SONETTO  IX. 
/fi  oec«MÌone  che  dovea  partirsi  dafl^t  stta^danna» 

Sentiva  io  già  correr  di  morte  il  gelò 
Di  vena  m  vena,  ed  arrivarmi  al  corej 
E  folta  pioggia  di  perpetuo  umore 
BFinvoIgea  gli  occhi  in  tenebroso  velo; 

Quando  vìd'io  con  sì  pietoso  zelo 
La  mia  donna  cangiar  volto  e  colore. 
Che  non  pur  addolcir  F aspro  dolore, 
Ma  potea  fra  gli  abissi  aprirmi  il  cielo. 

Vattene  (  disse  ):  e ,  se  '1  partir  t' è  grave , 
Non  aia  tardo  il  ritornò;  e  serba  intanto 
Del  mio  cor  teco  Funa  e  F  altra  chiave.   — 

Cosi  il  dolore  in  noi  forza  non  ave , 
E  siam  quasi  felici  ancor  nel  pianto: 
Oh  medicina  del  languir  soave! 


i44  RIHE  AMOROSE 

SONETTO  X.    ' 
Sim  dìMioto  pmr  esMn  ia  sua  donna  adtgnala. 

Io  vidi  un  tempo  di  pietoso  a&tto 
La  mia  nemica  ne*  sembianti  ornarsi, 
£  Falle  fiamme ,  in  cui  di  sulùto  arsi, 
Nudrir  colle  speranee  e  col  diletto. 

Ora y  non  so  perchè,  la  fronte  e U  petto 
Usa  di  sdegno  e  ai  fieresza  armarsi; 
E  con  guardi  vèr  me  tarbati  e  scarsi 
Guerra  m'indice:  ondMo  sol  morte  aqpetto. 

Ah!  non  si  fidi  alcun,  perchè  sereno 
Vdto  rinviti,  e  piano  il  calle  mostri, 
Amor,  nel  n^no  tuo  spiegar  le  vele. 

G>d  r  infido  mar  placido  d  seno 

Scopre  a*  nocchieri  incauti,  e  poi  crudele 
Gli  aflbnda  e  perde  infi:a  gli  scogli  e  i  mostri. 


SONETTO  XI. 
Disperando  ifssssrs  corrisposto  ^  invoca  la  morts. 

Vissi;  e  la  prima  etate  amore  e  speme 
Mi  fiicean  vìe  più  bella  e  {mu  fiorita: 
Or  la  mewna  manca;  anzi  la  vita. 
Che  di  lei  si  nudria ,  s*  estingue  inóeme» 

Né  quel  desio,  che  si  nasconde  e  teme. 
Può  dar  conforto  alla  virtù  smarrita; 
E  toccherei  di  morte  a  me  gradita, 
Se  non  posso  d^amor,  le  mete  estreme. 

Oh  morte,  oh  posa  in  ogni  steto  umano! 
Secca  |Mante  son  io  che  fronda  a'  venti 
Più  non  dispiega,  e  più  m'irrigo  invano. 

Deh!  vien',  morte  soave,  a'  miei  lamenti; 
Vieni ^  o  pietosa:  e  con  pietosa  mano 
Copri  questi  occoi  e  queste  membra  alge 


RIME  AMOROSE  '  145 

•  SONETTO  XII. 
«Sì  Ifl  pùfA  èàla  sua  dorma^  e  si  io  sdegno  io  spronano  ad  amart. 

Qualor  Madonnii  i  miei  lamenti  accoglie, 
£  mostra  di  gradire  il  foco  ond^ardo, 
Sprooa  il  desio,  che  più  di  tigre  o  pardo 
Veloce  allor  dalla  ragion  mi  scic^lie. 

Ha,  se.  temprando  l'infiammate  voglie , 
Di  sdegno  s'arma,  e  vibra  irato  sguardo, 
Già  far  non  può  quel  corso  picro  e  tardo, 
Ma  par  che  più  m^  affretti  e  più  n? invoglie  : 

Perchè  F  orgoglio  s^  addolcisce ,  e  prende 
Sembianza  di  pietate  ;  e  ?n  quel  sereno 
Sono  tranquilli  ancor  gli  sdegni  e  Tire. 

Or  chi  fia  mai  ch'arresti  il  mio  desire, 
S*  egualmente  lo  spinge  e  pronto  il  rende 
Con  sembiante  virtù  lo  sprone  e  1  freno  7 

SONETTO  XIII. 
Sffyra  un'  ape  che  punse  la  bocca  delia  sua  donna. 

Mentre  Madonna  s'appoggiò  pensosa, 
Dopo  i  suoi  lieti  e  volcHitar}  errori. 
Al  fiorito  soggiorno,  i  dolci  umori 
Depredò,  susurrando,  ape  ingegnosa: 

Che  ne'  labbri  nudria  l'aura  amorosa 
Al  sol  desìi  occhi  suoi  perpetui  fiori  j 
E,  volando  a' . dolcissimi  colori. 
Ella  sugger  pensò  vermiglia  rósa. 

Ah  troppo  bello  error,  troppo  felice! 
Qud  eh' all' ardente  ed  immortai  desio, 
Qà  tanl^anni,  si  nega,  a  lei  pur  lice. 

Vii  ape.  Amor,  cara  mercè  rapio: 
Che  più  ti  resta ,  s' altri  il  mei  n'  elice , 
Da  temprar  il  tuo  assenzio  e  1  dolor  mio2 
Tasso,  FoL  IF.  io 


/^ 


i46  una  AMOROSE 

SONETTO  XIV.  . 
Dk9  th§  frmedt^  la  tua  mrU  negli  oeeki  della  nèm  dommu 

Come  il  nocchier  dagl*  infiammati  lampi  ^ 
Dal  sol  nascente  o  dalla  vaga  luna^ 
Da  nube  che  la  cinga  oscura  e  bruna , 
O  che  d^mtomo  a  lei  sanguigna  avvampi, 

Conosce  il  tempo  in  cui  si  fugga  e  scampi 
Nembo  o  procdla  torbida  importuna , 
O  si  creda  alP  incerta  aspra  tortuna 
n  caro  legno  per  gli  ondosi  campi; 

Così  nel  yariar  nel  vostro  ciglio , 

Or  nubilo,  or  sereno ,  avvien  ch'io  miri 
Or  segno  di  saluto ,  or  di  periglio. 

Ma  stabile  aura  non  mi  par  che  spiri; 
Ond'io  sovente  prendo  altro  consigUo, 
£  raccolgo  le  vele  a*  miei 


SONETTO  XV, 
JseomigUa  la  sua  donna  ad  Erostrate, 

Costei I  ch'asconde  un  cor  superbo  ed  empio 
Sotto  cortese  angelica  figura , 
M'arde  di  foco  ingiusto,  e  si  procura 
Fama  da'  miei  lamenti  e  dal  mio  scempio  : 

E  prender  vuol  da  quella  mano  esempio, 
Che  troppo  iniqua  osò,  troppo  sicura, 
Per  farsi  illustre  in  ogni  età  futura, 
Struggere  antico  e  gloriioso  tèmpio. 

Ma  non  fia  ver  che  ne'  sospiri  ardenti        .   . 
Suoni  il  suo  nome,  e  rimarrà  sepolta 
Del  suo  error  la  memoria  e  del  suo  strale. 

Che  gloria  ella  n'avna  se  i  miei  tormenti 
Féssero  i^rìa;  e  fia  vendetta  eguale 
Lasciarla  in  un  silenzio  eterno  avvolta. 


AIME  AMOROSE  «4y 

SONETTO  XVI. 

Cerea  di  Mcusarsi  se  non  gli  riuscirà  di  tener  celato 
P  muore  ond^  arde  per  la  sua  donna. 

Vuol  ch'io  Tami  costei;  ma  duro  freno 
^  Mi  pone  ancor  cP  aspro  silehzio.  Or  quale 
Avrò  da  lei^  se  non  conosce  il  male^ 
O  medicina  o  refrigerio  almeno? 

E  come  esser  potrà,  che,  ardendo  il  seno. 
Non  si  dimostri  il  mio  dolor  mortale  * 

Nel  risplender  di  fiamma  a  queUa  ^ale 
Ch'accende  i  monti  in  riva  1  mar  Tirreno? 

Tacer  ben  posso ,  e  tacerò:  chMo  teglia 
Sangue  alle  piaghe  e  luce  al  vivo  foco 
Non  brami  già;  questa  è  impossihil  voglia. 

Troppo  spinse  pungenti  a  dentro  i  colpi , 
E  troppo  ardore  accolse  in  jAcdol  loco: 
S'apparirà 9  natura  e  sé  n'incolpi. 

% 

0 

SONETTO  XVIL 

Po'  la  sig.  Laura  Peperara  che  va  in  inlla»  A  imitazione 
dei  Petrarca  f  echenuL  il  Tasso  fui  nome  di  Laura» 

Or  che  Faura  mia  dolce  altrove  raira 
Fra  sdve  e  campi,  ahi  ben  di  fórro  ha  1  core 
Chi  riman  qui  solingo,  ove  d'orrore 
£  cieca  vaUe,  di  miseria  e  d'ira. 

Qui  nessun  raggio  or  di  beltà  A  mira; 
Rustico  ò  fatto,  e  co'  bifolchi  Amore 
Pasce  gli  armenti,  e  'n  sulT estivo  ardore 
Or  tratta  il  rastro,  ed  or  la  fidce  aggira. 

Oh  fortunata  selva ,  oh  liete  pia(^  j 
Ove  le  fere,  ove  le  piante  è  i  sassi 
Appreso  han  di  yalor  senso  e  costume! 

Or  che  far  non  potria  quel  dolce  lume, 
Se  fa,  dond'^li  parte,  ov'egli  stassi, 
Qvili  i  bosclii,  e  le  città  selvagge? 


i4B  RIME  AMOROSE 

SONETTO  XVIII. 
Ducrivt  la  prozia  gehsùu 

Geloso  amante  apro  mill*  occhi  e  giro^ 
£  mille  orecchi  ad  oeni  suono  mtenti^ 
E  sol  di  cieco  orror  larve  e  spaventi  ^ 
Quasi  animai  ch'adombre,  odo  e  rimiro. 

S^  apre  un  riso  costei  ^  se  'n  dolce  giro 
Lieta  rivolge  i  begli  ocelli  lucenti  ^ 
Se^  tinta  di  pietà  ^  gli  altrui  lamenti 
Accoglie  )  o  muove  un  detto  od  un  sospiro^ 

Temo  ch'altri  ne  goda,  e  che  m' involo 
Uaura  e  la  luce;  e  ben  mi  duci  che  spieghi 
Baggio  di  sua  bellezza  in  alcun  laloi 

Si  nieghi  a  me,  pur  eh' a  ciascun  si  nieghi: 
Che,  quando  altriù  non  splenda  il  mio  bel  Soloi 
Ideile  tenebre  ancor  vivrò  beata 

SONETTO  XIX. 
lAiAa  il  seno  della  sua  donna^ 

Non  son  si  vaghi  i  fiori  onde  natura 
Nel  dolce  aprii  de'  begli  anni  sereno 
Sparge  un  bd  vòlto,  come  in  casto  seno 
È  bel  quel  che  di  luglio  ella  matura. 

Meraviglioso  grembo,  orto  e  cultura 
D'Amor,  e  paradiso  mio  terreno, 
L'ardito  mio  pensier  chi  tiene  a  freno. 
Se  quello,  onde  si  pasce,  a  te  sol  fura? 

Quei  eh'  i  passi  veloci  d' Atalanta 
Fermaro^  o  che  guardò  l'orribil  drago, 

500  vili  al  mio  pensier  oh'  ivi  si  pasce. 
Nò  cogtie  Amor  da  pereffrìna  pianta 

Di  beltà  pregio  si  gradito  e  vago^  "" 

501  nel  tuo  grembo  di  te  degno  ei  nasce* 


I 


RIBIE  AMOROSE 

SONETTO  XX. 
Per  bella  »  làraiata  eanuurìee. 


«49 


Aprite  gli  occhi)  o  gente  egra  mortale. 
In  questa  saggia  e  bella  alma  celeste , 
Qie  di  si  pura  umanità  si  veste , 
Ch^  agli  angelici  spirti  è  in  vista  eguale. 

Vedete  come  a  Dio  s'innalsa^  e  Tale 
Spiega  verso  le  stdle  ardite  «  preste; 
Gom^  il  sentier  ri  insegna ,  e  fuor  di  queste 
Valli  di  pianto  il  eia  s' innalza  e  sale. 

Uditegli  canto  suo^  ch^ altro  pur  suona 
Che  voce  di  Sirena  ^  e  1  mortai  sonno 
Sgombra  delTalme  pigre,  e  i  pensier  bassi. 

Udite  come  d*alto  a  voi  ragiona: 

Seguite  me^  ch'errar  meco  non  ponno. 
Peregrini  del  mondo  ^  i  vostri  passL 

SONETTO  XXL 
in  lode  della  sua  donna^  dfseritmtdo  la  possanza  d'Jmore* 

Amore  alma  è  del  mondo,  Amore  è  mente, 
E  'n  ciel  per  corso  obliquo  il  sole  ei  gìra^ 
E  d'altri  erranti  aUa  celeste  lira 
Fa  le  danze  lassù  veloci  o  lente. 

L' aria ,  F  acqua ,  la  terra ~e  '1  foco  ardente' 
Regge ,  misto  al  gran  corpo ,  e  nutre  e  spira  ; 
E  quinci  V  uom  desia ,  teme  e  s' adira , 
E  speranza  e  diietto  e  doglia  ei  sente.  • 

Ma,  benché  tutto  crei,  tutto  governi, 
E  per  tutto  risplenda, re  1  tutto  allumi, 
Più  spiega  in  noi  di  sua  possanza  Amore  ; 

E  come  sian  de'  cerchi  in  ciel  superni, 
Posta  ha  la  reggia  sua  ne'  dolci  lumi 
De'  bei  vostri  occhi,  e  '1  tempio  in  questo  core. 


\ 


)5o  RIME  AMOROSE' 

SONETTO  XXII. 
ittita  FUlidt  «  godere  ^  sebbene  il  tempo  sia  proceUoso^ 

Odi,  Filli)  che  tuona:  odi  che  'n  gelo 
Il  vapor  di  lassù  converso  piove. 
Ma  che  curar  dobbiam  che  faccia  Giove? 
Godiam  noi  qui|  scegli  è  turbato  in  cielo. 

Godiamo  aìnando;  e  un  dolce  ardente  zelo 
Queste  gioje  notturne  in  noi  rinnove  : 
Tema  il  volgo  i  suoi  tuoni ,  e  porti  altrove 
Fortuna  o  caso  il  suo  fulmineo  telo.' 

Ben  folle  ed  a  sé  stesso  empio  è  colui 

Che  spera  e  teme}  é,  in  appettando  il  male^ 
Gli  si  fa  incontro,  e  sua  miseria  affretta. 

Pera  il  mondo  e  rovini:  a  me  non  cale 
Se  non  di  quel  che  jhù  piace  e  diletta; 
Che ,  se  terra  sarò ,  terra  ancor  fuL 

SONETTO  XXIII. 
Palinodia  del  sontUo  ontaeedÈSUt. 

Odi,  Filli,  che  tuona:  e  Faer  nero 
Vedi  come  di  lampi  orrido  splende. 
Giove  turbato  è  in  del:  folle  chi  pirende 
I  Divi  a  scherno  e  1  gran  celeste  impero  ! 

È  colassù  '(  non  t' ingannar  )  pensiero 
Delle  cose  mortali;  e  non  discende 
Ogni  fólgore  indamo,  e  i  monti  oflSmde: 
Samiolsi  quei  che  scala  al  del  ne  fòro. 

Briaréo  salsi,  e  qud  che  pose  audad 
Le  mani  in  vergin  sacra;  onde  tra  duri 
Scogli  fu  anciso  e  turbini  sonanti 

Ma  che  non  lece  a'  non  creduli  amanti 
Ne'  dolci  inganni?  Amor  lasda  che  giurì 
Spesso  impunito  alcun  per  le  sue  fad.* 


HTXIE  AMOROSE  i5i 

SONETTO  XXIV. 
1^  una  cafgnolÌRa,  chiamaUi  Moroónai  deUa  sig»  Anna  If*^ 

Anna,  il  cor  vostro,  voi  non  mi  togliete, 
Ma  la  vosti^alma  vista  dtri  mi  toglie, 
Onde  sollazEO  è  wA  ddlle  mie  doglie 
La  Morosina  che  A  card  avete. 

Spesse  volte  mandarla  a  me  solete  j 
Spesso  mi  salta  in  seno,  e  si  raccoglie 
Tra  k  mie  braccia  e  tra  le  molli  spoglie, 
E  dimore  vi  trae  sicure  e  liete. 

Scherzo  con  Iri  sovente,  e  porgo  a  lei 
n  dito^  ,e(f  ella  vezzosetta  il  prende, 
E  di  scherzar  con  voi  qaasi  mi  pare. 

Ha  poi  dico' fra  me:  Forse  costei 
Della  mia  donna  le  lusinghe  apprende. 
Cosi  elle  sono  amorosette  e  care. 

SONETTO  XXV. 

Si  hgna  é^esMert  sturbato  ne*  suoi  tHIetU 
daììa  madre  delkt  iua  Mìa. 

S^^li  è  pur  ver  eh*  Amor  nel  vostro  petto 
Pietà  m'impetri,  come  a^  dolci  giri 
De'  bei  vostri  occhi  parmi  ed  a*  sospiri. 
Ove  si  scopre  Funo  e  P altro  affetto, 

Sarei  felice  apjHen;  ma  '1  mìo  diletto 
Doppio  toglie  sovente  a*  miei  desiri 
Colei  che  dove  invan  Tien  che  si  miri 
Mira  dolente  il  suo  già  vago  aspetto. 

Crudeli  se  del  suo  grembo  ai  mondo  nacque ^ 
Sì  bella  donna,  esser  dovria  contenta 
Che  piaccia  altrui,  <juant*ella  a'  segni  piacque: 

Ma,  mentre  gli  anni  andati  invan  rammenta. 
Della  nuova  beltà  chVin  voi  lìnacque 
Par  che,  in  vece  di  gtoja,  invidia  senta. 


i5a  RIME  AMOROSE 

SONETTO  XXVI. 

Per  mtd  bocchi  oruTè  afflitta  la  sua  donnÌL 
(V.  ScrtMÌ,  Vii.  del  Ta«Oy  1. 1,  f.  ao3.> 

I  begli  occhi  ove  prima  Amof  m' apparse  ^ 
Cn^vi  quan  in  suo  del  si  gira  e  splende  ^ 
Or  fera  nube  adombra,  e  mi  contende 
Quel,  dolce  raggio  eh' abbagliommi  ed  arae.^ 

Lasso!  e  quel  freddo  petto,  ove  destarse 

Non  può  fiamma  amorosa,  or  fiamma  accende 
Di  rea  febbre  maligna,  e  noi  difende 
La  neve  e  U  gelo  ondagli  suole  armarse. 

Deh  I  perchè  non  poss'  io  A  ardente  foco 
In  sua  vece  soffrir ,  purch'  ella  poi 
Breve  favilla  di  mie  fiamme  senta? 

£  ben  sarebbe.  Amor,  diletto  e  gioco 
Ogni  altra  face^  e  parrìa  fredda  e  spenta 
A  tal  che  prova  al  cor  grincendj  tuoi.  • 

SONCTTO  xxvn. 

in  morte  della  sua  donna* 

Qual  nevei  che  su'  colli  ameni  fiocchi, 
Era  della  mia  donna  il  volto  tinto, 
Bianco,  di^  chiar'  color  vago  e  non  finto , 
E  parean  riposar  le  membra  e  gli  occhi: 

U  atto  dell'  una  man ,  senza  che  scocchi 
Arco^  ha  mill'alme  in  sant'amor  respinto; 
Né  scorge  occhio  mortai  che  fuori  spinto 
Lo  spirto  sia,  né  chiunque  il  corpo  tocchi; 

Se  non  udiansi  i  pianti  e  gli  alti  stndi^ 

Che  insino  il  S9I,  che  ne  die  segno,  a  pietà 
Mossero,  ed  ogni  core  avean  diviso. 
^  Qual  viva,  ed  or  sei  tu  dove  n'assidi^ 

Se,  fuor  d'ogni  uso  uman,  gioconda  e  lieta 
Morte  bella  parca  nel  tuo  bel  viso? 


RIME  AMOROSE  t53 

SONETTO  XXVIIL 
Ar  N.  N*  veduia  a  eogUer  Jiori  in  riua  alia  BnnUu 
(Pu6  '  rignardarsi  come  nna  Ttrìa  lezione  del  follet- 
to IH.) 

Ifiofa,  onde  lieto  è  di  Diana  ilooro^ 
Fiorì  coglier  vidMo  au  questa  rìra; 
Ma  non  tanti  la  man  coglieà  di  loro^ 
Quanti  fra  Perbe  il  bianco  pie  n^  «priva. 

Ondegriavapo  sparsi  i  bei  crin  d'oro, 
Ond^Amor  mille  e  taiille  lacci  ordiva , 
E  Paura  del  parlar  dolce  rìstoro 
Era  del  fisco  che  dagli  occhi  usciva. 

Fermò  la  Brenta,  per  mirarla,  il  vago 
Piede,  e  le  fiso  del  suo  cristallo  istesso 
Specchio  a^  ìm  lumi  ed  alle  trecce  bionde;  x 

Poi  disse:  Al  tuo  partir  si  bella  immago 
Partirà  ben,  Mima  gentil,  dalFonde; 
Ma  '1  cor  fia  sempre  di  tua  forma  impresso. 

SOXETTO  XXIX. 
Per  un  eagnoUuo  di  betta  domuu        ' 

Pargoletto  animai  di  spirto  umano. 
Bianco  come  la  fede  onde  sei  pegno, 
Ch'in  sì  bel  grembo  di  seder  sei  degno, 
E  prendi  il  cibo  eia  si  bella  mano; 

Teco  albergo  cangiar  tenta,  ma  invano. 
Quel  can  che  splende  nd  celest^-4;egno , 
E  prende  il  cielo  e  le  sue  stelle  a  sdegno 
Mentre  te  mira  e  Fonor  tuo  sovrano. 

Forse  nelle  tue  forme  Amor  converso 
Scherza  teco  cosi,  come  già  fisce 
Quand^  espresse  a  Didone  il  casto  seno. 

Ma  co'  teneri  iporsi  a  lui  ben  léce 
Stringer  di  quella  man  F avorio  terso. 
Pur  non  ne  passa  al  cor  fiamma  o  velena 


i5(  RIME  AMOROSE 

SONETTO  XXX. 

Difimgi  te  mmorase  insidit  dtìlfi.  boeem  àtUa  comAmm 

di  Scmndiano. 

Qad  labbro  che  le  rose  htiì  colorito^ 
Molle  À  sporge  e  tumidetto  in  fuoré^ 
Spinto  per  arte,  mi  crecPio,  d'Amore 
A  fare  ai  baci  insidioso  inTito. 

Amanti  y  alcun  non  sia  cotanto  ardito 
Ch*  osi  af^ressarsi  ore  tra  fiore  e  fiore 
Si  sta,  qual  angue,  ad  attoscarvi  il  core 
Qael  fiero  intento:  io  1  veggio,  e  ve  F  addito. 

io  •  ch^  akre  volte  fìii  ndle  amorose 
Insidie  cólto,  or  ben  le  riconosco, 
E  le  discopro,  o  giovinetti,  a  voi:  '   ^ 

Quasi  pomi  di  Tantalo,  le  rose 
Fansi  air  incontro  ^  e  s?  allontanan  poi  ) 
Sol  resta  Amor^  che  spira  fiamma  e  tosco 

SONETTO  XXXI. 

Die»  eoM»  «*  IniMURoroffjif  d^una  dimnm^  tmmtré  cVeU« 
trm  insieme  con  due  competane  non  meno  belle  di  UL 


Tre  gran  donne  vid'io  ^  ch^in  esser  fadle 
>  Mostran  ^sparita ,  ma  somidiante 
Si|  che  ne^  atli  e  'n  ogni  lor  'sembiante 
Scriver  natura  par:  Noi  siam  sorelle. 

Ben  ciascuna  io  lodai;  pur  una  d'elle 
Mi  {nacque  id,  ch^io  ne  divenni  amante, 
Ed  ancof  fia  ch'io  ne  sospiri  e  cante, 
E 1  mio  foco  e  1  suo  nome  alzi  alle  stelle. 

La  sol  vagheggio;  e,  se  pur  altre  io  miro, 
Gtiardo  nel  va|^  altrui  qud  cVè  in  lei  vago, 
E  negP idoli  suoi  vien  caio  Fadore. 

Ma  cotanto  somidia  al  vel*  F  imago 

Ch'erro,  e  dolce  è  Ferror:  pur  ne  sosfMro, 
Come  d'ingiusta  idolatria  d'Amore. 


RIME  AH0R08E  i5S 

SONETTO  XXXIL 

ingignosaimnie  ctlehra  le  passate  òelUaze  di  Btad.  Lucrezia 

duchessa  tP  Urbino, 

NegK  anni  acerbi  tuoi  purpurea  rosft 
Sembravi  tu,  eh' a*  rai  lefMdi^  affòra 
Non  apre  1  aen^  ma  nel  suo  verde  ancora 
Verginella  «Nasconde  e  vergognosa: 

O  piuttosto  parei  (che  mortai  cosa 
Non  s* assomiglia  a  te)  celeste  aurora 
Che  le  campagne  imperla  e  i  monti  indora , 
Lucida  in  ael  sereno  e  rugiadosa. 

Or  la  men  verde  età  nulla  a  te  toglie^ 
Né  te,  benché  negletta ,  in  manto  adorno 
Giovinetta  beltà  vince  o  pareggia. 

CoA  più  vago  è  1  fior  poi  che  le  foglie 
Spiega  odorate;  e^^l  Sol  nel  mezzogiorno 
Via  più  che  nel  mattìn  luce  e  fiammeggia. 

SONETTO  XXXin. 
Imnia  idU  nd  amoron  dUèuL 

laviamo,  amiamci|  o  mia  gradita  JeOe; 
Edra  sii  tn  che  il  caro  tronco  abbraccia: 
Baciamci;  e  i  baci  e  le  lusinghe  taccia 
Chi  non  ardisce  annoverar  le  stelle. 

Badnsi  insieme  Palme  nostre  ancVelle: 
Fabro  sia  Amor  dbe  le  distempii  e  àbociai 
E  che  di  due  confuse  una  lìfiiccia 
Che  per  un  spirto  sol  spiri  e  favelle. 

Cara  Salmace  mia.  come  s'innesta    * 
L'una  pianta  nelT altra,  e  sovra  Forno 
Verdeggia  il  pero,  e  Fun  per  Feltro  ò  vagO| 

Tal  io  n  andrò  de*  tuoi  edori  adomo; 
Tale  il  tuo  cor  de*  miei  pensier  m,  vesta  ; 
E  conum  sia  fra  noi  la  penna  e  Pago. 


96  RDIE  ABfOaOSE 

somiTO  XXXIV. 

Coniro  il  eop*  Batista  GuarinL 


Questi^  che  ai  cori  altrui  cantando  spira 
Fiamme  cF  amore  e  di  pietate  ardènti  ^ 
E  A  dolce  rìsuona  i  suoi  lamenti , 
Ck^ogni  odio  placa,  e  raddolciate  ogn^ira| 

Chi  1  crederla?  si  muove  e  ai  raggira 

'  Instabil  pia  ch'arida  &onde  ai  venti; 
NutU  foi  nutto  amor,  falsi  i  tormenti 
SonO|  e  falso  f  affetto  ondVei  sospira. 

Insicfioso  amante^  ama  e  disprezza 

Quasi  in  un  punto,  e  trionfando  spiega 
Di  femnùnili  spoglie  emp)  trofei. 

Ma  non  consenta  Amor  ch^alta  beUezsa, 
Ch*  a^  suoi  fidi  seguaci  in  premio'  nega  | 
Preda  sia  poi  degT  infedeli  e  rei. 

RISPOSTA 
del  cftT*  BatkU  GiuuiiiL 

Questi,  che  irubimo  ad  alta  meta  aspira 
^  Con  aUnd  biasnU  e  con  bu^ardi  accenti , 
Fedi  come  in  sé  stesso  arruota  i  denti 
Mentre  contra  ragion  meco  s'adira. 

Già  il  suo  veleno  in  ìid  ritoma  e  gira, 
E  par^  che  V  armi  in  sé  medesmo  awenti; 
Già  le  menzogne  sue  quasi  lucenti 
Cristalli  sonoy  o^e  si  specchia  e  mira. 

Di  due  fiamme  si  spanta,  e  stringe  e  spezza 
Più  whe  un  nodo  ;  e  con  guest*  arti  piega 
{  Chi  H  crederebbe  ?  )  a  suo  fitifore  i  Dei  : 

Amor  no  ;  che  per  alma  a'  Jhrti  awezza 
Sì  bella  donna  efjli  non  scalda  e  lega , 
Premio  di  fidi  e  casti  affètti  mieL 


HIME  AMOROSE  iS? 

SONETTO  XXXV. 

Aven/ào  iwluto  due  belle  donne  baciarsi  scautbievolmenU  ^ . 
prega  Amore  che  il  faccia  a  parte  d^  loro  bacL 

Di  Dettare  amoroso  ebro  la  mente. 

Ratto  fuì^  né  so  come,  in  chiosa  chiostra } 
£  due  belle  d^Amor  guerrkire  in  giostra 
Vidi  coli* arme  ond^egli  è  si  possente: 

Yidi  ch^  in  dolce  aningo  alteramente 
Fér  pria  di  lor  beltà  leggiadra .  mostra  ^    * 
Poi,  movendosi  incontra,  ove  sMnnostra 
La  bocca  si  ferir  di  bacio  ardente: 

Sonar  le  labbra,  e  vi  restaro  i  segni 
De'  colpi  impressi.  Amor,  dehi  perchè  a  v6to 
Taut'arme  e  tai  percosse  usar  da  scherzo? 

Provìnsi  in  vera  pugna,  e  non  si, sdegni 
Scontro  d'amante.  Amor,  me,  tuo  devoto, 
Opponi  all'una,  o  fra  le  due  &  terza 

SONETTO  XXXVI. 
S^  Introduce  iljiume  Pò  a  ragionar  con  una  civetta  che 
per  molti  di  fu  vista  posare  sul  palazzo  di  bella  e 
valorosa  dama,  in  riva  di  esso  fumé» 

PÒ,   Se  tu  d'ombre  notturne  amico  e  vago. 

Aspro  nuncio  d'a&nni,  abboni  il  gicumo, 
A  che  pur  voli  al  chiaro  nido  intorno 
D'un  Soie  a  meraviglia  illustre  e  vago? 

CiV.  Perchè,  guardando  la  serena  imago 

Che  face  alle  stellanti  invidia  e  scorno, 
ffel  mio  stato  primier  quasi  ritorno , 
Quinci  sol  di  splendor  k  vista  appaga 

Pò.  Negletto,  spaventoso,  invido  augello^ 

Mon  turbar  più  l'albergo  almo  e  giocondo. 
In  che  Amor  le  sue  gioje  aduna  e  serva. 

Ci9.  Mi  spazio  presso  il  folgorante  osteUo, 

Perchè  conosca,  e  si  rallegri  il  mondo, 
Ch'è  discesa  dal  cielo  altra  Minerva. 


i5B  aniE  AMOROSE 

SONETTO  XXXVII. 
Im  «eeofwfw  eiCMft  in  rtfato  dmUa  sua  étmnm 

llfUl  CMUCMb 

Di  qual  erba  di  Polito^  o  di  qual  angue 
Trasse  Amor  Tempio  tosco  onde  consperse 
Poi  la  mia  maga  il  lin  che  mi  coperse 
B  nudo  sen^  si  eh' ri  ne  ferve  e  langae? 

Arder  già  sento  entro  le  vene  il  sangue .... 
Oh  fiamme^  oh  pene  mie  gravi' e  diverse! 
Don  vie  men  fiero  la  gdosa  c&rse 
Che  fu  delusa  daf  centauro  esangue. 

Maga  crudel  se  fura,  e  più  crudele 

S'awien  che  doni,  almen  Finic][ua  vesta , 
Se  tener  vuole  il  mirto,  or,  si  ntoglia. 

Lasso!  eh* io  spargo  invan  gridi  e  querele! 
Ahi,  chi  mi  trae  P insidiosa  spogUa 7 
Ahi,  dii  le  fi^umne  el  roga  almm  m'appresta? 


SONETTO  XXXVIII. 


Prega  U  Ti 


T 


a  consolarlo  ed  a  scoprir^ 
sua  innoeaaa* 


Vecchio  ed  alato  DiO|  nato  col  Sole 
Ad  un  parto  medesmo  e  con  le  stdle, 
Che  distruggi  le  cose  e  rinoovelle 
Mentre  per  torte  vie  vole  e  rivde: 

U  mio  cor,  che  languendo  egro  si  duole, 
E  delle  cure  sue  spinose  e  felle. 
Dopo  mille  argomenti,  una  non  svelle ^ 
Non  ha,  se  non  sei  tu,  chi  più  U  console. 

Tu  ne  sterpa  i  pensieri ,  e  di  giocondo 
Obblio  sparsi  le  piarne;  e  tu  disgombra 
La  luce  onoe  son  pieni  i  regj  chiostrì. 

E  tu  la  verità  traggi  dal  fondo 
Dov'è  immersa,  e  senza  velo  od  ombra 
Ignuda  e  bdla  agli  occhi  allnd  si  mostri. 


BUIE  AMOROSE  iSg 

SpNETTO  XXXIX. 

Mtgli  ^ «arma  contro  md  Amore f  jmi  cA^i 
app€na  rwtde  la  sua  donna  ^  toma  ad  amare. 

Armo  di  ghiacdo,  e  inaspro  il  core  e  '1  petto; 
£  ritroso  al  desio,  pronto  a^o  sdegno, 
iJT  amoroso  i^on  guarclingo  io  vegno, 
Quasi  guerrier  pìen  d^odio  e  di  sospetto. 

Bfa  non  si  tosto  u  vostro  dolce  aspetto 
Mi  s* offre,  e  porge  la  speranza  m  pegno, 
Che  delT antico  amor  conosco  il  segno, 
Ed  ardo ,  e  V  arder  m' è  gioja  e  diietto: 

Qiè  immaginata  gioja  il  vero  ardore 
Tempra,  e  Paure  amorose  e  dolci  fonti 
Promette  lusingando  alla  mia  sete; 

£  qoal  egro  nel  sonno  i  vaghi  e  pronti 
Desir  par  che  bevendo  in  parte  acquete, 
Tal  consolo  il  mio  mal  d'ombre  e  d'errore. 

SONETTO  xu 

Fedendo  òaciarai  due  colombe^  paragona  la  toro  §aru 
con  quella  dtf^U  uomini,  e  la  invidia. 

Vaghe  colombe,  che,  giungendo  i  rostri, 
Senza  numero  alcun  doppiate  i  baci, 
£  fate  dolci  guerre  e  dolci  paci, 
Miri  la  donna  mia  gli  affetti  vostri: 

Coppia  (dica)  gentil,  che  fuoi;  dimostri. 
Come  dentro  d'amore  ardi  e  ti  sfaci, 
£  lusingando  al  tuo  voler  compiaci, 
Quanto  son  men  fdici  i  desir  nostri! 

Ch'or  vergogna  li  frena,  ed  or  timore. 
Si  che  di  mille  a  pena  un  resta  pago 
Talora,  e  par  maravigliosa  sorte.  ^ 

Non  de'  piaceri  a  noi  dato  ò  consorte, 
fifa  de  pensi^}  ed  al  marito  il  vago 
Pr^poDsi,  e  dolce  è  sol  furtÌTO  am<H«« 


i6o  BIME  AMOfiOSE 

SCWETTO  XLI. 

Imnta  F^i^  in  vn  boschetto;  e  poi  s'optmdt 
dbtf  U  suo  rii^aU  0  dì  ha  pUkfiUce, 

Qui  dove  i  sacri  e  verdeggianti  allori 
Forman  di  sé  vago  boschetto  ombroso , 
Per  cui  serpendo  al  mar  dall^erbe  ascóso 
Porta  Iknpido  rio  suoi  dolci  umori  3 

Ove  persi  e  vermigli  e  bianchi  fiorì 
Rendon  vago  il  terreno  e  dilettoso  3 
Ove  fra  1  crìn  degli  arboscei  frondoso 
Scherzano  F  aure  con  leggiadri  errori  ) 

Yi^ni,  o  FiUide  mia,  se  pur  non  hai, 

Non  men  ch'umano  volto,  il  cor  spietato , 
Ond*io  tregua  al  dolor  ritrovi  omaL 

Ma  chi  m'ode?  a  chi  parlo?  ove  soh  io? 
Lasso!  ella  altrove  al  caro  Alcippo  amato 
S'asside  in  grembo,  e  spregia  1  ardor  mio. 

SONETTO  XLU. 

Al  sig,  Cuart  Ligorio ,  uofjfdssimo  JkneiuUo»  Il  ptegm 
afwrsi  mediatore  dnf  suoi  affètiL 

Vago  fioiciul,  che  dalP  ardor  sownte 

Ch'esce  del  petto  mio,  mentre  t'abbracdo. 
Sei  testimone  del  mio  forte  laccio 
,E  del  peso  ch'io  porto  dolcemente; 

Pregoti  (se  di  farlo  sei  possente). 

Quando  t'annoda  e  cinge  il  caro  braccio 
Della  mia  donna,  e  senti  il  freddo  ghiaccio 
Ch'ai  cor  l'è  scudo  ed  alP altera  mente, 

Narrale  l'amor  mio:  ma,  se  i  suoi  baci 
Imprime  in  te  ^  che  tu  senta  ardore , 
Chiedile  s'arde  sì,  com'ella  accende. 

Quand'ella  neghi  pur,  tu  prega  Amore 
Ch'  alcuna  avventi  in  lei  delie  sue  &ci , 
Se  pur  d'ahna  innocente  i  preghi  int^de. 


RIME  AMOROSE  161 

SONETTO  XLIIL 

In  morte  della  sig.  Ftaminia  .,.,di  cui  s'invoca  Vat  sistema,'^ 
Questo  sonetto  Ju  fatto  a  istanza  del  sig,  Giulio  Mosti* 

La  beOa  fiamma  che  m'ardeva  il  core^ 
Dove  le  sue  faville  io  serbo  e  celo; 
In  terra  è  spenta ,  ma  raccesa  in  cielo 
Tra  gli  altri  lumi  cMianno  eterna  onore.' 

Ivi  la  veggio  scintillar  d^  amore 

Quando  spiega  la  notte  il  negro  velo 
E  sparge  intomo  il  rugiadoso  gelo, 
£  sento  insieme  il  suo  vij^ace  ardore. 

O  già  soave  fiamma,  or  vaga  stella, 
Se  già  reggesti  la  mia  dubbia  vita, 
Mentre  fusti  mortale  in  queste  sponde. 

Or,  eh' immortai  sei  fatta  e  vie  più  bella, 
Scorgila  fra  gli  scogli,  ov'è  smarrita, 
Al  queto  porto  delr  orribil'  onde. 

SONETTO  XLIV. 

Ramvunta  ad  una  sua  vezzosa  aUergatric^ 

le  ricevute  cortesie. 

Cortese  albergatrìce,  ancor  l'imago 
Di  quel  felice  di  nel  cor  ritegno. 
Che  vostra  cortesia  mi  fece  degno 
Di  dar  un  bacio  al  volto  amato  e  vaga 

E  del  mio  fortunato  ardir  m'appago. 

Lo  qual  d^amor  doppio  si  prese  il  pegno; 
Che  non  aveste  mansueta  a  sdegno 
Quel  sì  ardito  desio  d'uom  cosi  vago. 

Attor  fu  di  dolcezza  ebbro  il  mio-  core  ;  '   - 

Ed  or  a  voi  pur  col  pensier  ritorno. 
Ed  alla  vostra  figlia  onesta  e  lieta: 

E  l'alma  v'offro,  che  di  dolce  ardore  ^ 

Ancor  lunge  sfaviUa,  e  sol  s'acqueta 
Nella  memoria  di  quel  lieto  giorno. 
Tasso,  FoL  IK  11 


i6a  RIME  AMOROSE 

SONETTO   XLV. 
Jt.  D.  EUonara  tPEsU,  Pia  che  la  bellezza  corpwah 
eommentU  la  bellezza  dtlV  animo ,  e  invìdia  la  Jilt* 
ciià  dello  sposo  di  Ui, 

Vergine  illustre.  la  beltà  che  accende 
1  giovinetti  amanti y  e  i  sensi  invoglia^ 
Colora  la  terrena  e  frale  spoglia, 
E  negli  occhi  sereni  arde  e  rìsplende. 

Ma  folle  è  chi  da  lei  gran  pregio  attende, 
Qual  face  alFeuro,  al  verno  arida  foglia} 
Ed  anzi  tempo  avvien  che  la  ritoglia 
Natura^  e  rade  volle  altrui  la  rende. 

Da  lei  tu  no,  ma  da  immortai  bellezza 
L^ aspetti;  e^n  vista  alteramente  umile 
Ti  chiudi  ne^  tuoi  cari  alti  soggiorni. 

£  s^  in  terno  valor  d'alma  gentile 

Per  leggiadra  arte  ancor  vie  più  s^  apprezza^ 
Oh  felice  lo  sposo  a  cui  t'adorni! 

SONETTO  XLVI. 
Per  r  infirmità  della  contessa  d' Urbino^  Loda  la  costanza 

della  yirtà  di  essa* 

Se  1  nobil  corpo ,  ove  in  soavi  tempre 
L'alta  possanza  sua  mostrò  natura, 
E  si  dolce  del  ciel  legge  e  misura, 
Or  tutto  è  fiamma,  e  nulla  par  ch'il  tempre^ 

Maraviglia  sarà  che  non  si  stempre 
Ogni  lucida  stella,  e  faccia  oscura. 
Ah  !  sì  nuova  beltà ,  luce  sì  pura 
]Non  fia  che  spiri  e  splenda  e  piaccia  sempre? 

Ma  s'egli  può  languir,  può  farci  accorti 
Del  patir  di  lassù  questa  sua  pena  ; 
Kè  '1  Sol  della  sua  gloria  ancor  si  vanto. 

]^i  r  anima  immortai  fra  mille  morti 
Nel  suo  proprio  dolore  è  più  serena, 
Perchè  la  sua  virtù  la  fa  costante. 


RIME  AMOROSE  i6S 

SOI^ETTO   XLVII.    ' 

JVtl  p0rtù  iella  eonUssa  di  Scandiano.  deUtra  la  perfètta 
tomiglian%a  Jra  la  prole  e  la  madre» 

Non  potea  dotta  man  ritrarci  io  parte 
De'  tuoi  lumi  e  de'  crini  i  raggi  e  Foco, 
Né  qoel  ch'apron  due  laU>ra  almo  tesoro^ 
Né  ìv^  ligustri  tuoi  le  rose  sparte  ^ 

Né  degni  eran  metalli^  o  marmi,  o  carte 
Di  contener  le  luci  e  i  pregi  loro: 
Onde  a  formar  natura  il  bel  lavoro 
S'accinse,  ove  pefdea  timida  l'arte^  ^ 

£  del  tuo  sangue  fece,  e  di  te  stessa 
Viva  imago  spirante,  e'n  picdol  viso 
Gran  cose  espresse,  e  fuor  d'uso  leggiadre. 

Tu  lieta  godi,  e  ti  vagheggi  in  essa; 
Ed  essa  te  conosce  ornai  col  riso, 
E  vede  nel  suo  rìso  altri  la  madie. 

SONETTO  XLVm. 

Si.paragpna  al  naxtfrago  Ulisse,  e  inpoea  il  soccorso 

a'  illustre  dama. 

Giaceva  esposto  il  peregrino  Ulisse 
Mesto  ed  ighudo  sovra  i  lidi  asciutti, 
Ch'  agitato  poco  anzi'  era  da'  flutti , 
In  cui  lungo  dìgiun  sostenne  e  visse; 

Quando  (com'alta  sorte  a  lui  prescrìsse). 
Donna  real  fin  póse  a'  suoi  gran  lutti  : 
Vattene  agli  orti  ove  perpetui  frutti 
Ha  il  mio  buon  padre;  ivi  godrai,  gli  disse. 

Misero  !  a,  me  dopo  naufragi  indegni , 
Famelico  gittato  in  fredda  rìva. 
Chi  fia  che  mostrì  i  regj  tetti  e  gli  orti, 

Se  tu  npn  sei,  cui  tanti  pregili  ho  porti? 
Ma  quàl  chiamar  ti  debbo,  o  donna,  o  Diva? 
Dea,  Dea,  sei  certo;  io  ti  conosco  a'  segni 


i64  RIME   AMOROSE 

SONETTO  XLIX. 
jiiU  principesse  di  Ferrara.  Si  la^na  di  rion  esser  da 
loro  protetto,  •-  Senese   il  poeta  questo  sonetto  Irr 
giorni  dopo  che  fu  chiuso  in  S»  Anna» 

Suore  del  grancT  Alfonso  ^  il  terzo  giro 
Ila  già  compiuto  il  gran  pianeta  etemo , 
Ch^Ì0|  dallo  strazio  affitto  e  dallo  scherno 
Di  fortuna  crudele^  eevo  sospiro. 

Lasso!  vile  ed  indegno  e  ciò  che  miro 
A  me  dintorno,  o  chMn  altrui  discemo: 
Bello  è  ben,  sMvi  guardo,  il  petto  intemo; 
Ma  che?  premj  ha  sol  d'onta  e  di  martiro. 

Bello  è  8Ìj  che,  veduto  al  mondo,  esempio 
Fora  d^onor:  vi  siete  ambe  scolpite, 
E  vive  e  spira  Tuna  e  T  altra  imago. 

Pur,  d'idoli  SI  belli  appien  non  pago, 
n  ver  desio}  ma  voi,  lasso!  schernite 
La  fede  e  1  cor  eh'  è  vostro  altare  e  tempio. 

SONETTO  L. 

Jd  Astréa,  Crede  il  poeta  che  il  Dura  di  Ferrara^  come 
giusto  ch'egli  è,  se  potesse  conoscere  la  sincerità' de* 
suoi  amori,  perdonerebbe  alla  suajède  ogni  altro  difetto^ 

Già  il  can  micidiale  e  la  nemea 

Belva  superba,  in  ciel  trofeo  d'Alcide^ 
Lassando  a  tergo  il  Sol  colà  s'asside 
Ov'  il  raccoglie  vergognosa  Astrea  : 

E  mentre  del  gran  corso  ella  il  ricrea. 
Onde  seco  anelar  Piróo  si  vide, 
Con  giusta  lance  l'ombra  e '1  dì  divide^ 
Che  del  ciel  dianzi  usurpator  parea. 

Vergine  bella,  il  mio  Signor  in  terra 
Ha  bilance  alle  tue  ben  simiglianti; 
Tu  gliele  desti,  e  non  le  torse  affetto. 

Ma ,  se  vedesse  ciò  che  1  mio  cor  serra  > 
Dina:  Chi  non  perdona  ai  fidi  amanti ^ 
In  cui  per  fé  s'adempie  ogni  difetto? 


I      RIME  AMOROSE  i65 

SONETTO  LI. 
Per  la  ricuperatm  saktU    della  sua  donna. 

Dianzi^  al  Tostro  languir ^  parea  sospesa 
La  terra  per  desire  e  tema  e  zelo 
Di  si  leggiadro  corpo ,  e  Weme  il  cielo 
Che  r anima  aspettò  da  lui  discesa: 

Né  Fun  mostrava  in  fera  stella  accesa 
Chioma  sanguigna)  o  tempestoso  ^elo, 
Né  fiamma  ardente  in  lebbroso  velo; 
Né  tremò  P altra,  o  fece  a^  tempi  oflksa: 

Perché  santa  pietà  da^  vostri  lumi 
Serenò  F  universo ,  e  mai  non  vide 
n  mal  si  bello,  o  H  suo  dolor  si  vago. 

Ora  al  vostro  gioir  gioisce  e  rìde; 
Che  sete  di  bellezza  e  di  costumi 
Ài  mondo  esempio,  al  paradiso  imago. 

SONETTO  LII. 
J,  I>.  Costanza  duchessa  di  Sera.  Alludendo   al   nome 
di  essa  dice  che  Amore  ha  costontemenie  fermala   in 
lei  la  sua  sede. 

Mentre  scherzava  saettando  intomo 
Con  aurei  strali  F incostante  Amore, 
E  dall^uno  passava  all^ altro  core. 
Mutando  albergo  pur  di  giorno  in  giorno; 

Vide  Costanza,  e  nel  bel  seno  adomo 
li  suo  volo  fermò  tr^  1  dolce  odore  :      ^ 
E,  Qui,  disse,  fornisco  il  lungo  errore, 
£  qui  sempre  desio  di  far  soggiorno; 

E  qui  pongo  la  sede,  e  qui  dispiego 
Tutte  F insegne  mie,  tutte  le  palme; 
Tutti  i  tesori  qui  scopro  e  rivelo  : 

E  oui  tra  santi  fiori  lo  prendo  e  lego 
MilFalti  ingegni  e  mille  nobili  alme; 
E  qui  costante  son,  come  nel  cielo. 


i66  RIIfE  AMOROSE 

SONETTO  un. 

p€t  bella  donna  a  rui/u  data  ta  eorda» 
Im^isc9  cantra  il  giudice. 

Crudele  potesti  a  dura  fune  avvinte 

Mirar  le  braccia  onde  più  stringe  Amore  y 
E  d'altre  note  ancor ^  d'altro  pallore, 
Che  d'amorosi  baci  impresse  e  Unte: 

Né  fur  tue  guance  di  pietà  dipinte, 
Né  vestisti  il  pensier  del  suo  colore, 
Né  1  marmo  intenerì  deìH  aspro  core 
Vaga  beltà  cli'avria  mill'ire  estinte. 

Ma ,  come  fera  tigre ,  alma  selvaggia 
Nel'suo  dolor  mostrasti  e  ne'  sospiri, 
O  come  serpe  in  arenosa  piaggia. 

Ora  questi  giudicj  e  que'  martiri 

Giudichi  Amor,  che  mente  assai  più  saggia, 
Come  a  lui  piace,  avvien  che  vo%a  e  giri. 

SONETTO  LIV. 

Descrive    una    sua    amorosa    recidiva ,    renduia    poi 
veementissima  dal  soave  canto  della  sua  bella, 

Avean  gli  atti  leggiadri  e  '1  vago  aspetto 
Già  rotto  il  gelo  ond'  armò  ^degno  il  core , 
£  le  vestigia  deir  antico  ardore 
Io  conoscea  dentro  al  cangiato  petto  3 

E  di  nudrìre  il  mal  prendea  diletto 
Coir  esca  dolce  d'un  soave  errore, 
Si  mi  sforzava  il  lusinghiero  Amore 
Che  s^  avea  ne'  begli  occhi  albergo  eletto  : 

Quand'ecco  un  nuovo  canto  il  cor  percosse, 
£  spirò  nel  suo  foco,  e  più  cocenti 
Fece  le  fiamme  placide  e  tranquille; 

Né  crescer  mai,  né  sfavillar  a'  venti 
Cosi  vidi  giammai  faci  commosse , 
Come  F  incendio  creb^  e  le  faville. 


) 
\ 


miME  AMOROSE  167 

SONETTO  LV. 

tkscrive  gli  effetti  in  itti  prodotti  dal  rigore 
delld  sua  donnam 

Io  mi  Gredea  eotto  un  leggiadro  velo 
Trovar  inerme  e  giovinetta  donna  ^ 
Tenera  a^  pi^gln^  o  pur  in  treccia  é^n  gonna  ^ 
Come  era  allor  che  parvi  al  Sol  dì  gelo  : 

Ma;  scoperto  Fardor  caa  pena  io  celo , 
E  '1  possente  desio  ch^  in  me  s^  indonna  ^ 
SMndurò  come  suole  alta  colonna, 
O  scoglio  o  selce  al  più  turbato  cielo; 

£  lei ,  d^  un  bel  diaspro  avvolta ,  io  vidi 
Di  Medusa  mostrar  F aspetto  e  Tarme, 
Tal  eh'  F  divenni  pur  gelato  e  roco  ; 

£  dir  voleva  (e  non  volea  ritrarrne, 

Mentre  era  fuori  un  ^asso,  e  dentro  un  foco): 
Spetrami,  o  donna,  in  prima,  e  poi  m'ancidi. 

SONEITO  IVI. 

Narra  rom*ei  medesimo  e  solo /osse  cólto  nella  rete  amorosa 
in  cui  lusingawasi  di  prendere  una  gentil  giovinetta» 

Giovine  incauto,  e  non  avvezzo  ancora 
Rimirando  a  sentir  dolcezza  eguale, 
Non  temea  i  colpi  di  quel  raro  strale 
Che  di  sua  mano  Amor  pulisce  e  dora: 

Né  pensai  che  favilla  in  si  hrev'ora 
Alla  fiamma  accendesse  ed  immortale; 
Ma  prender,  come  augel  ch'impenna  Tale, 
Giovinetta  gentil  credea  talora. 

Però  tesi  tra'  fior'  d'erba  novella 
Vaglie  reti,  ^ogrmdo  i  tristi  lai. 
Per  lei  che  se  n^atìdò  leggiera  e  snella  : 

£  ^n  gentil  laccio  io  sol  preso  restai , 

£  mi  furo  i  suoi  guardi  arme  e  quadrello,, 
£  tutte  fiamme  gU  amorosi  rai.  ^ 


i68  RIME  AMOROSE 

SONETTO  LVIL 
JswmìglU  la  stm  donna  daali  effkui  td  Sokf  poi  la 
prepone  alle  ninfe  d^  bocchi  e  dtf  monti\  e  dice  infine^ 
esser  degna  quaggiù  d*onor  celeste^ 

Mentre  adorna  costei  di  fiorì  e  d^erba 
Le  rìve  e  i  campi,  ogni  tranqidUo  fonte 
Parea  dir  mormorando:  A  questa  fronte 
Si  raddolcisce  il  mio  cristallo,  e  serba, 

Se  non  disdegna  pur  ninfa  superba, 
Riposto  seggio,  ove  il  sol  poggi  o  smonte  j 
Ed  ogni  verde  selva,  ogni  erto  monte 
Par  che  rinviti  alla  stagione  acerba.—* 

Ma  sembrò  voce  uscir  tra*  folti  rami: 
Donna  con  si  gentile  e  caro  sdegno 
Non  è  nata  fra  boschi,  o  poggi  ed  acque; 

Ma ,  perchè  '1  mondo  la  conosca  ed  ami , 
Scesa  è  dal  cielo  in  terra,  e  dove  nacque 
Di  sua  bellezza  onor  celeste  è  dégno. 

SONETTO  LVIII. 
Accenna  le  dolcezze  miste  d^  amaritudine  che  sononeU 
V  amore  ;  e  dice  essergli  caro  questo  stato ,   o  tòta  o 
morte  che  sia* 

Se  d^Amor  queste  son  reti  e  legami, 
Oh  com*  è  dolce  V  amoroso  impaccio  ! 
Se  questo  è  il  cibo  ovMo  son  preso  al  laccio,^ 
Come  son  dolci  Fesche  e  dolci  gli  ami! 

Quanta  dolcezza  agP  inveschiati  rami 
Il  vischio  aggiunge,  ed  ali* ardore  il  ghiaccio! 
Quanto  è  dolce  il  soffrir,  s*io  peno  e  taccio, 
£  dolce  il  lamentar  ch'altri  non  ami! 

Quanto  soavi  ancor  le  piaghe  inteme, 
£  lagrime  stillar  per  gli  occhi  rei, 
£  d*un  colpo  mortai  querele  etemei 

Se  questa  è  vita ,  io  mille  al  cor  torrei 
Ferite  e  mille,  e  tante  gio[e  averne: 
Se  morte,  sacro  a  morte  i  giorni  miei. 


RIME  AMO&OSE  i«Ì9 

SONETTO  LlXi 

>ie9  che  ogni  cosa  f^li  i  tiara ,  per  doìoroMu  eh»  im  , 
ia  tfuai  reefc»  piacm  alia  tua  donna. 

Se  mi  doglio  talor  ch^nvan  io  tento 
D'alzar  verso  le  stelle  uu  bel  desio, 
Penso  piace  a  Madonna  il  dolor  mio; 
Però  d  ogni  mia  doglia  io  son  contento. 

E  se  Pacerna  morte  attor  pavento^ 
Dico:  Non  è^  se  vuole,  il  fin  si  rio;   • 
Talché  del  suo  voler  son  vago  anch^io, 
E  chiamo  il  mio  desUno  e  tardo  e  lento. 

Non  cresce  il  male,  anzi  il  contrario  avviene, 
S'eUa  raddoppia  F  amorosa  piaga, 
E  sana  Falma  con  sue  dolci  pene. 

Miracolo  è  maggior  che  d^arte  maga 
Trasformar  duolo  e  tema  in  gioja  e  spene, 
E  dar  sattite  ove  più  forte  impiaga. 

SONETTO  LX. 

CéUtra  gli  occhi  della  sua  donna^  attribuendo  loro  gli 

effètti  deljuoco  celeste. 

Del  puro  lume,  onde  i  celesti  giri 
Fece  e  1  sole  e  le  stelle  il  Mastro  etemo. 
Formò  i  vostri  occhi  ancora,  ed  al  governo 
Yi  pose  Amor,  perchè  gl'informi  e  giri: 

E  solo  un  raggio  che  di  lor  si  miri, 

Lunge  sgombra  da  noi  la  notte  e  '1  verno 
DegU  a£tetti  terreni ,  e  '1  foco  intemo 
Di  leggiadri  raccende  alti  desirì. 

La  fiamma  fa  gli  spirti  a  lei  sembianti, 
E  non  consuma  i  nostri  cori  o  sface. 
Benché  purghi  le  voglie  impure  e  miste  ; 

Non  è  tema  o  dolor  che  mai  n'attriste, 
Serena  è  come  voi  la  nostra  pace, 
E  soil  pianti  di  gioja  i  nostri  pianti. 


V 


i7a  RIME  AMOROSE 

SONETTO  UL 

t  Loda  U  iciio  MU  $iul  Jonna^  m  dicé  che  gli  occhi  kramano 
>«kr  V  àUre  UlUm%o  ch$  traiucof»  al  pensiero. 

Quella  candida  via  sparsa  di  stelle, 

Che^i  del  gli  Dei  nella  gran  reggia  adduce , 
Men  chiara  assai  di  questa  a  me  riluce 
Che  guida  pur  F  alme  di  gloria  ancelle  : 

Per  queste  ad  altra  reggia ,  a  via  più  beUe 
Viste  il  desio  trapassa;  Amor  è  duce| 
E  di  ciò  ch^al  pensiero  aifin  traluce, 
Vuol  che  securo  fra  me  sol  favelle. 

Gran  cose  il  cor  ne  dice;  e  s^ alcun  suono 
Fuor  se  n'intende,  è  da*  sospir  conHiso: 
Ma  non  tecciono  intento  i  vaghi  sguardi , 

E  pajon  dirgli:  Ab!  qual  ventura  o.  dono 
Quello  eh' a  te  non  è  coperto  e  chiuso 
Rivela  a  noi  mentre  n* avvampi  ed  ardi? 

SONETTO  LXII. 

Loda  la  gola  della  sua  donna*  —  Per  candor  p«regriao 
inimde  le  perle  ond^eUa  portava  un  monile. 

Tra  1  bianco  viso  e  '1  molle  e  casto  petto 
Veggio  spirar  la  calda  e  bianca  neve 
E  dolce  e  vaga,  onde  tra  spazio  breve 
Riman  lo  sguardo  dal  piacer  astretto. 

E  s'egli  mai  trapassa  ad  altro  obietto 
Là  dove  lungo  amòre  ei  sugge  e  beve , 
E  dove  caro  premio  alfin  si  deve 
Ch'adempia  le  sue  grazie  e '1  mio  diletto; 

Cupidamente  or  quinci  riede ,  or  quindi , 
À  rimirar  come  il  natio  candore 
Dal  candor  peregrìn  sia  fatto  adorno  : 

E,  Mandino  a  te,  dico ,  Arabi  ed  Indi 
'        Pregiate  conche,  e  dal  tuo  novo  onore 
Perdan  le  perle  con  lor  dolce  scorno. 


* 
t 


RIME  AMOROSE  171 

SONETTO  LXIII. 

Mostra  perchè  la  sua  donna  si  vesta  solo  à^  colori  tks  son 
naiurali  delle  sue  carni  ^  cioè  il  bianco  e  U  roseo. 

Bella  donna  i  colorì,  oncPella  vuole 
Grìntenii  affetti  dimostrar  talora, 
Prende  o  da  verde  suol  che  più  sMnfiora 
Di  candidi  ligustri  e  di  viole, 

O  dal  vel  che  dipinge  ad  In  il  Sole , 
O  dal  bd  manto  della  vaga  Aurora  j 
E  dal  ceruleo  mar  che  si  colora 
V  esempio  spesso  ella  pigliar  ne  suole. 

Dalla  terra  e  dal  cielo,  ovver  dalTonde 
Non  li  prendete  voi;  ma  più  sembianti 
Sono  i  colorì  a  sì  leggiadre  membra  , 

Forse  sdegnando  averne  esempio  altronde: 
Così  mostrar  volete  a^  vaghi  amanti 
Che  degno  è  sol  di  voi  quel  che  v^  assembra. 

SONETTO  LXIV. 

Dichiara  che  amerà  costantemente  la  séta  donna  ^  e  che  Vavrà 
ognor  presente  come  il  primo  di  che  la  inde. 

Della  vostra  bellezza  il  mio  penderò 

Vago,  men  bello  stima  ogni  altro  obietto} 

£  se  di  mille  mai  finge  un  aspetto 

Per  agguagliarlo  a  voi,  non  giunge  al  vero. 

Ma  se  l'idolo  vostro  ei  forma  intero, 
Prende  da  si  bell'opra  in  sé  diletto; 
E  'n  lui  pur  giunge  forze  al  prìmo  affetto 
La  nuova  maraviglia  e  1  magistero. 

Fermo  è  dunque  J amarvi;  e,  sebben  v^ama 
In  sé  stesso  ed  in  voi,  non  si  divide. 
Ma  con  voi  ndl'amar  s'unisce  in  guisa| 

Che  non  sete  da  lui  giammai  divisa 

Per  tempo  o  loco;  e,  mentre  ei  spera  e  brama, 
Yi  mira  e  mirerà  qual  prima  vide. 


M7a  RIME  AMOROSE 

SONETTO  LXV. 
St  9ton  può  Mtgttire  la  sua  donna  noi  inaggio  da  lei  in» 
traareso ,  le  sarà  sempre  ideino  almeno  col  pensiero  , 
unico  cofano  del  cuore. 

Donna,  cradel  fortuna  a  me  ben  vieta 
Seguirvi^  e 'n  queste  sponde  or  mi  ritiene j 
MaU  pronto  mio  pensier  non  è  chi  frena  ^ 
Che  sol  riposa  quanto  in  voi  s^  acqueta. 

Questo  vi  scorge  ora  pensosa,  or  lieta, 
Or  solcar  Tonde,  ora  segnar  T arene, 
Ed  ora  piagge  ed  or  campagne  amene 
Sul  carro  si,  com  ei  corresse  a  meta. 

E  nel  materno  albergo  ancor  vi  mira, 
Fra  soavi  accoglienze  e  'n  bel  sembiante  ^ 
Partir  fra  le  compagne  i  baci  e  1  riso. 

Poi,  quasi  messaggier  che  porti  avviso, 
Riede,  e  ferma  nel  cuor  lo  spirto  errante, 
Talché  di  dolce  invidia  egli  sospira. 

SONETTO  LXVI. 
Brama  che  il  pensiero  non  gì*  impedisca  il  sonno,  in  cui 
ialor  gode ,   sognando ,   alcun  aito  pietoso  della  sua 
donna. 

Pensier^  che,  mentre  di  formarmi  tenti 
L'amato  volto,  e,  come  sai,  T adomi, 
Tutti  dall'opre  lor  togU  e  distomi 
Gli  spirti  lassi  al  tuo  servizio  intenti, 

Dal  tuo  lavoro  omai  cessa,  e  consenti 

Che  1  cor  s' acqueti ,  e  U  sonno  a  me  ritorni 
Prima  che  Febo ,  omai  vicino ,  aggiorni 
Quest'ombre  oscure  co'  bei  raggi  ardenti. 

Deh!  non  sai  tu  che  più  sembiante  al  vem 
Sovente  il  sonno  il  finge  e  mei  colora , 
E  l'immagine  ha  pur  voce  soave? 

Ma  tu  più  sempre  rigido  e  severo 
Il  figuri  alla  mente  ^  ed  ei  talora 
Lo  ritragge  al  mio  cor  pietoso  e  grave. 


^  , 


RIME  AMOROSE  173 

SONETTO  LXVIL 
Destasi  il  poetai  parla  col  sogno  che  l'ha  consolato» 

Onde,  per  consolarne  i  mìei  dolori; 

Vieni  9  o  sogno  I  pietoso  al  mio  lamentò  ^ 
Tal  che  al  tuo  dolce  inganno  ornai  consento , 
Cinto  (fi  vaghe  immagini  e  d'errori? 

Le  care  gemme  e,i  preziosi  odori 

Dove  mrasti;  e  i  raggi  e  Faure  e  '1  vento, 
Per  farmi  nei  languire  almen  contento, 
Pur  come  un  delle  Grazie  o  degli  Amorì? 

Forse  involasti  al  ciel  tua  luce ,  e  1  Sole 
Teco  m'apparve^  e  dal  fiorito  gi*embo 
Parte  senlia  spirar  gigli  e  viole; 

£  sentia,  quasi  fiamma  ch^al  del  vole, 
La  bella  mano 3  e,  quasi  fresco  nembo, 
Sospiri  e  soavissime  parole. 

SONETTO  LXVIII. 
Invoca  il /avare  delie  stelle  nt?  suoi  omorL 

« 

Io  veggio  in  cielo  scintillar  le^telle 
Oltre  l'usato,  e  lampeggiar  tremanti ^ 
Come  negli  occhi  de'  cortesi  amanti 
Noi  rimirìam  talor  vive  facelle. 

Àman  forse  lassuso  ?  o  pur  son  elle 
Pietose  a'  nostri  affiinni,  a'  nostri  pianti, 
Mentre  scorgon  P  insidie  e  i  passi  erranti 
Là  dove  altri  d'amor  goda  e  favdle? 

Cortesi  luci,  se  Leandro  in  mare^ 
O  traviato  peregrin  foss'io, 
Non  mi  sareste  di  soccorso  avare. 

Cosi  vi  faccia  il  Sol  più  belle  e  chiare. 
Siate  nel  dubbio  corso  al  desir  mio 

r 

Fide  mie  duci,  e  scorte  amate  e  care. 


174  RIME  AMOROSE 

SONETTO  LUX. 

Si  eùntola  in  pensando  al  ritorno  deUa  sua  donna. 

• 

Fuggite ,  egre  mie  cure,  aspri  martirì, 
Sotto  il  cui  peso  giacque  oppresso  il  core. 
Che  per  albergo  or  mi  destina  Amore 
Di  nuova  speme  e  di  più  bei  desirì. 

Sapete  pur  che  quando  avvien  ch^  io  miri 
Gli  occhi  infiammati  di  celeste  ardore, 
Non  sostenete  voi  Talto  splendore, 
Né  U  fianatmeggiar  di  que*  cortesi  giri, 

Quale  stormo  aaugei  notturno  e  fosco. 
Battendo  l'ali  innanzi  al  di  che  toma 
A  rischiarar  questa  terrena  chiostra. 

E  già,  s*a  questi  segni  il  ver  conosco, 
Vicino  è  il  Sol  che  le  mie  notti  aggiorna, 
E  veggio  Amor  che  me  F  addita  e  mostca. 

SONETTO  LX3L 

Pone  van  dubbi  sulla  natura  della  belletta  ;   <  dagli 
effetti  stima  divina  quella  della  sua  donna* 

Questa  rara  bel^zza  opra  è  delTalma 
Cile  vi  fa  cosi  bella ,  e  'n  voi  traluce 
Qual  da  puro  cristallo  accesa  luce? 
È  sua  nooil  vittoria  e  quasi  palma? 

O  gloria,  od  arte  e  magistero  è  d^alma 
Natura?  o  don  celeste  e  ra^o  e  duce 
Ch^al  vero  Sole,  onde  parti,  conduce, 
Ed  aggravar  noi  può  terrena  salma? 

Le  sembianze  e  i  pensier,  -gli  alti  costumi 
Tutti  pajon  edesti  :  e  sMo  n'  avvampo , 
Non  par  ch'indi  mi  strugga  e  mi  distempre. 

liontano  io  gelo,  ed  ombre  oscure  e  fumi 
Par  ch^o  rimiri:  in  co^  dolci  tempre 
De'  begli  occhi  me  illustra  il  chiaro  lampo! 


RIME  AMOROSE  175 

SONETTO  LXXI. 
Torca  moUiimpedimenti  neWamùreealti^  interposmùmif 
e  conchiude  ehe'niuna  recò  mai  tanto  affanno  %  quanto 
quella  ond*  ei  si  duole  ^  che  però  tace  qualjosse* 

Non  fra  parole  e  baci  invido  muro 
Più  8^  interpose  y  o  fra  sospiri  e  pianti  ; 
O  mar  turbato  a'  duo  infelici  amanti, 
Quando  troppo  Fun  fece  Amor  securo^ 

O  nube  ch^  a  noi  renda  il  ciel  men  puro^ 
E  la  notturna  e  bianca  luce  ammanti  j 
O  terra  che  le  copra  i  bei  sembianti} 
O  luna  che  ne  faccia  il  sole  oscuro; 

O  dolor  d'altro  iutoppo  a^  suoi  pensieri , 
Rotto  nel  mezzo  il  volo  j  alcun  sostenne , 
Perchè  volar  più  non  presuma  o  speri , 

Quant^  io  di  quel  eh*  a*  miei  troncò  le  penne  ; 
E,  benché  sia^n  di  lor  costanza  alteri, 
Par  che  nel  pianto  d*  a£fondarli  accenne. 

SONETTO  LXXII. 
in  occasione  che  la  sua  donna  gli  donò  un' insaUUio, 
Dice  rinnovarsi  in  lui  il  prodigio  dell'erba  mangiata 
da  Glauco ,  la  quale  il  deificò. 

Erba  felice ,  che  già  in  sorte  avesti , 
Di  vento  in  vece  e^  di  temprato  sole, 
Il  raggio  de'  begli  occhi  accorti  onesti, 
£  r  aura  di  dolcissime  parole  ^ 

E  sotto  amico  ciel  lieta  crescesti; 
E,  quaLor  più  la  terra  arsa  si  duole, 
Pronta  a  scemar  il  fero  ardor  vedesti 
La  bella  man  che  Palme  accender  suole: 

Ben  sei  tu  dono  avventuroso  e  grato. 
Onde  addolcisca  il  molto  amaro,  e  sa»o 
U  digiuno  amoroso  in  parte  io  renda. 

Già  novo  Glàuco  in  ampio  mar  mi  spazio 
D' immensa  gioia  •  e  'n  più  tranquillo  stato 
Qua«  aù  pa?  eh'  inuooik  fornTio  ^lenda. 


176  RIME  AMOROSE 

SONETTO  LXXIII. 
JptMdo  tmuto  innttnsU  alU  sua  donna  h  ^Moehiof  <ic- 
eenna  U  amorose  firiie  ch'egli  inianW  ricmftUe  daUtt 
hHtà  di  Ui. 

M  seirigi  cPAmor  ministro  eletto 
Lucido  specchio  anzi  *i  mio  Sol  reggia, 
£  speccmo  intanto  alle  mie  luci  io  fisa 
D'altro  più  chiato  e  più  gradito  oggetto. 

Elia  al  candido  viso  ed  al  bel  petto , 
Vaga  di  sua  beltà  ^  gli  occhi  yolgeaj 
E  le  dolci  arme,  or  che  di  morte  è  rea, 
D^  affinar  contra  me  prendea  diletto^ 

Poi,  come  terse  fiammeggiar  le  vide, 
é  Ver  me  girolle ,  e  dal  seroìo  ciglio 
Al  cor  volò  più  d^un  pungente  strale. 

Ma  non  previdi  allor  tanto  perìglio. 
Or  se  madonna  a^  suoi  ministri  è  tale, 
Quai  fian  le  piaghe  onde  i  rubelli  ancide? 

SONETTO  LXXIV. 
La  sua  donna ,  mirandosi  nello  specchiò ,  riconosce  ia 
propria  beltà  ^   e  crede  ad  esso  quello  che  non  ai^ea 
ereduio  alle  parole  del  poeta. 

Chiaro  cristallo  alla  mia  donna  of&rsi, 
Sicch'ella  vide  la  sua  bella  imago, 
Qual  di  formarla  il  mio  pensiero  è  vago, 
E  qual  procuro  di  rìtrarla  in  versi. 

Ella  oa  tanti  pregi  e  sì  diversi 

Non  volse  il  guardo  di  Cai  vi^ta  pago. 

Gli  occhi  mirando,  e  1  molle  avorio  e  vago, 

E  Poro  de^  bei  crin  lucidi  e  tersi. 

E  parea  fra  sé  dir  :  Ben  veggio  aperta 
L'alta  mia  gloria,  e  di  che  dolci  sguardi 
Questa  rara  bellezza  accenda  il  foco.  -^ 

Così ,  benché  U  credesse  in  prima  un  gioco , 
Mirando  Farmi  ondMo  fuggii  sì  tardi ^ 
Delle  piaghe  det  cor  si  fe^  più  certa. 


RIME  AMOROSE  177 

SONETTO  LXXV. 
Hit  pia  etaro  vn  nastro  ^  onde  la  sua  donna  ùvea  cinu 
Is  chiome^  che  ^l' laccio  della  ùitaf  e  tiensi  pia  filice 
di  Manlio  Torquato. 

N(m  ho  A  caro  il  laccio  end*  al  consorte 
Della  vita  mortai  Falma  s*  avvinse  ^ 
Come  <]uel  ch'or  me  lega^  e  voi. già  strìnse , 
Già  vago  e  dolce ,  or  duro  nodo  e  forte. 

Né  mid  famoso y  ch'ai  figliuol  die  morte, 
Dei  barbaro  monile  il  collo  cinse 
Lieto  cosi  quando  il  nemico  estinse, 
Compio  di  quel  che  v'ha  le  chiome  attorte. 

Il  cede,  Amor,  Natura}  e  non  si  sdegna 
Ch'ella  ordisca  fral  nodo,  e  1  tuo  non  rompa 
Morte,  e  coli' alma  in  ciel  si  privilegi. 

E  se  gli  altrui  sepolcri  illustre  pompa 
Orna  di  vincitrice  altera  insegna, 
Per  la  servii  catena  il  mio  si  pregi. 

SONETTO  LXXVI.      ' 
(fffrt  in  poto  ad  jt more  il  nastro  rtmito  alla  sua  donna , 
e  dice  perchè  un  tal  voto  gli  debba  eiser  caro. 

Amor,  se  fila  giammai  che  dolce  io  tocchi 
n  terso  avorio  della  bianca  mano, 
E  1  lampeggiar  del  riso  umile  e  piano 
Yeggia  da  presso  e  1  folgorar  degli  occhi; 

E  notar  possa  come  quindi  scocchi 

Lo  strai  tuo  dolce,  e  mai  non  parta  invano, 
E  come  al  cor  dal  bel  sembiante  umano 
D'amorose  dolcezze  un  nembo  fiocchi  ; 

Fia  tuo  questo  lacciuol  eh'  annodo  al  braccio 
Non  pur,  ma  vie  più  stretto  il  cor  n'involgo. 
Caro  furto  ond'  il  crin  madonna  avvolse. 

Gradisci  il  voto  j  che  più  forte  laccio 
Da  man  più  dotta  ordito  altri  non  tolse: 
Né  perche  a  te  lo  doni,  indi  mi  sciolgo, 
Tasto,  FoL  ir,  la 


178  RIME  AMOIIOSE 

SONETTO  LXXVII. 

ihntmnào  eolia  gua  Ay  si  duole  che  cesti  il  baUo^  onde  gli  è 
Volto  di  continuar  a  stringere  nuda  la  mano  di  lei. 

Questa  ò  pur  quella  che  percote  e  fiede 
Con  dolce  colpo  che  n  ancide  e  piace, 
Man  ne^  furti  d^Amor  dotta  e  rapace, 
E  fa  del  nostro  cor  soavi  prede. 

Del  legmadretto  guanto  ornai  si  vede 
Ignuda  e  bella;  e,  se  non  è  fallace, 
S  offre  inerme  alla  mìa,  quasi  di  pace 
Pegno  gentile  ^  di  secura  fede. 

L«isso{  ma  tosto  par  ch^ella  si  penta 

Meli tt^ io  la  stringo,  e  si  sottrag^  e  scioglie 
Al  6n.  dell^ armonia  eh'  i  passi  allenta. 

Deh  !  come  altera  V  odorate  sp<^lie 
Riveste y  e  la  mia  par  che  vi  consenta! 
Oh  fugaci  diletti  !  oh  certe  doglie  ! 

SONETTO  LXXVUI. 

f^uole  amare  la  sua  donna  ed  esserle , fedele  a  dispetto 

delle'  contrarietà  della  Jòrluna» 

Perchè  Fortuna  ria  spieghi  le  vele 
NelFEgéo  tempestoso  o  nel  Tirreno, 
E  mi  dimostri  il  mar  di  seno  in  seno, 
Non  mi  farà  men  vostro  o  raen  fedele  ; 

Né  perchè,  voi  facendo  a  me  crudele, 
Sterzi  il  destriero  e  gli  rallenti  il  freno, 
E  mi  porti  fra  TAlpe  ò  lungo  il  Reno, 
O  'n  bosco  o  'n  valle  mi  nasconda  e  cele, 

An'^i  in  donna  gentil  bella  pietatè 

Stimo  un  tormento  a  lato  al  dolce  sdegno 
Degli  occhi  vostri  che  di  foco  armate. 

Luci  divine,  onde  perir  sostegno, 

Quand^  io  tomo  a  morir  non  mi  scacciale , 
Perchè  alla  morte  ed  alla  gloria  i^  veglio. 


RIME  AMOROSE  .179 

SONETTO  LXXIX. 
Lungi  dtUla  sua  /).  è  imoossibiU  eh'  e*  trotti  conforto , 
sendogU  pia  caro  un  dolce  sdegno  di  lei  o  un  M  dis* 
prezzo ,  che  le  grastìe  delV  altrem 

Se  mi  trasporta  a  forza  ovUo  non  voglio 
Mia  fortuna  che  fa  cavalli  e  navi  y 
Che  farò  da  voi  lunge,  occhi  soavi, 
Benché  talor  vi  turbi  ira  ed  orgoglio? 

Vedrò  cosa  giammai  che  '1  mio  cordoglio 
E  tante  pene  mie  faccia  men  gravi? 
O  starò  solo  ove  s^  inondi  e  lavi 
Verde  colle ,  ermo  lido  e  duro  scoglio  ? 

Tu,  pensier  fido,  e  tu,  sogno  fallace, 
Fronte  mi  formerai  tanto  serena , 
O  'n  lieto  riso  à  amorosa  pace, 

O  Ninfa,  o  Dea  sovra  T incolta  arena,  ' 
Se  non  vai  ciò  chMn  altre  alletta  o  piace 
Dolce  un  suo  sdegno,  o  un  bel  disprezzo  a  pena? 

SONETTO  LXXX. 

La  sua  donna  ^Jàeendosi  U  ballo  del  torchio  ^  V  estinse  ^  e  cosi 
fi?  cessar  la  dan%a  con  dolore  di  molti  amanti 

Mentre  ne*  cari  balli  in  loco  adomo        / 
Si  traean  le  notturne  e  placide  ore, 
Fiamma,  che  nel  suo  foco  accese  Amore, 
lieto  n^'aprìva  a  mezza  notte  il  giorno; 

E  da  candide  man  vibrata  intorno 
Spargea  faville  di  si  puro  ardore. 
Che  pareva  apportar  gioja  ed  onore 
A*  pochi  eletti ,  agli  altri  invidia  e  scorno  : 

Quando  a  te  data  fu,  man  cruda  e  bella, 
E  da  te  presa  e  spenta  ;  e  ciechi  e  mesti 
Restar  ^ilf  occhi  allo  sparir  d^un  lume. 

Ahi!  come  allor  cangiasti  arte  e  costume! 
Tu  eh'  aqcender  so^éi  T  aurea  facclla  , 
Tu  m^ìistra  d^Amor,  tu  F  estinguesti. 


i8o  '         RIME  AMOROSE 

^  SONETTO  LXXXI. 

M  una  t^eechia^  la  quale  y  importunamente  kicenziandosi  ^ 
interruppe  un  giocondo  trattenimento» 

O  nemica  d^Amor^  che  si  ti  rendi 

Schiva  di  quel  ch^  altrui  dà  pace  e  vita^ 
E  dolce  schiera  a'  dolci  giuochi  unita 
Dispregi}  e  parti,  e  lui  turbi  ed  offendi; 

Se  delP altrui  bellezza  invidia  prendi; 

Mentre  i  tuoi  danni  a  rimembrar  f  invita  ^ 
Ch^  non  t^  ascondi  omai  sola  e  romita  ^ 
E  hi  umil  cameretta  i  giorni  spendi? 

Che  non  conviensi  già  tra  le  felici 

Squadre  d^Àmor^  e  tra  U  diletto  e  1  gioco , 
In  donna  antica  immagine  di  morie. 

Deh!  fuggi  il  sole,  e  cerca  in  chiuso  loco, 
Come  notturno  augel,  gli  orrori  amicn; 
Né  qui  timor  la  tua  sembianza  apporte. 

SONETTO  LXXXII. 

Dialogo  fha^l  noeta  e  il  suo  cuore ,  a  cui  egU  consiglia 
di  ritornare  alla  sua  donna* 

jy  onde  ne  vieni ,  o  cor  timido  e  solo , 
Così  tutto  ferito  e  senza  piume}  — 
Da  que*  begli  occhi,  il  cui  spietato  lume 
Le  penne  m'infiammò  nell'alto  volo.  — 

Tomia  al' suo  petto:  or  questo  ingombra  il  duoloj 
Né ,  scacciato  da  lei ,  raccor  presume.  — 
Non  posso  j  né  volar  ho  per  costume 
Senza  quell'ali  ondMo  mi  spazio  a  volo.  — 

L' ale  ti  rifaranno  i  miei  desiri , 

Anzi  pur  tuoi,  che  U  tuo  piacer  le  spiega.  -^^ 
E  s^avvien  che  non  m'oda,  o  che  s'adiri?  -^ 

Batti  alle  porte,  e  chiama  e  piangi  e  prega.  — 
Già  m'ergo,  e  mi  son  aure  i  miei  sospiri j 
E  morrò,  s  ella  è  sorda  o  s'ella  il  niega% 


RIME  AMOROSE  i8i 

SONETTO   LXXXIII. 

éttsomigUa  41  suo  pensiero  ad  Alflor^  il  quale  passa  sotto  il 
mare  per  ficfngiugnersi  con  Aretttsa, 

Come  la  Ninfa  sua  fugace  e  schiva^ 

Che  si, converte  in  fonte,  e  pur  s^ asconde , 
K  innamorato  Alféo  per  vie  profonde 
Segue,  e  trapassa  occulto  ad  altra  riva; 

Ed  irrigando  pallidetta  oliva, 

Co^  bei  doni  sen  va  di  fiori  e  fronde, 
E  non  mesce  le  salse  alle  dolci  onde , 
E,  dal  mar  non  sentito,  in  sen  le  arriva: 

Cosi  r anima  mia,  che  si  disface, 

Cerca  pur  di  madonna  3  e  lode  e  canto 
Le  porta  in  dono  ed  amorosa  pace. 

Ma  le  dolcezze  sue  non  turba  intanto 
Fra  mille  pene  il  mio  petasier  seguace,  , 
Passando  un  mar  di  tempestoso  pianto. 

SONETTO  LXXXIV. 

Prrga  Jmore  ehe  ferisca  la  sua  D.  non  cosi  Jkramaiìb  cmfu 
ferì  lui,  ma  quanto  pia  possa  dolcemente. 

Se  la  saetta,  Amor,  ch'ai  lato  manco 

MMmpiaga  in  guisa  ch^io  lanraisco  a  morte. 
Fosse  dolce  così  cornicila  è  forte, 
Direi:  Pungi,  signor,  il  molle  fianco  ; 

Che  di  pregare  e  di  seguir  mMia  stanco 
Mentre  fugge  costei  per  vie  distorte: 
Ma  temo  (  oimè  !  )  che  per  malvagia  sorte 
Ella  non  pera  or  chMo  son  frale  e  manco. 

Deh  !  goda  (  prego  )  al  dilettoso  male , 
E  tinta  in  soavissima  dolcezza 
Sia  la  ferita  e  quel  dorato  strale. 

A  me  quanto  è  di  grave  e  di  mortale. 
Dà  mille  gioje  a  lei,  se  pur  disprezza 
Gioir  Talma  gentil  di  piaga  eguale. 


<    ^ 


/ 


i8a  RIME  AMOROSE 

SONETTO  LXXXV. 

Benché  nel  eunr  del  perno,  è  acceso  dalla  beltà  della  Ma  D.  f 
né  per  minacce  lascerà  d'aspiratT  a  latu'aluwza. 

Quel  d*  etema  beltà  raggio  lucente 

Che  V*  infiora  le  guance  e  gli  occhi  alluma  y 
in  questa  nubilosa  e  fredda  bruma 
Scalda  la  mia  gelata  e  pigra  mente; 

E  sveglia  al  core  un  desiderio  ardente  ^ 
Onde,  qual  novo  augel  ch<3  Tale  impiuma, 
Volar  vorrebbe ,  e ,  quasi  leve  piuma , 
Quinci  il  pensier,  quindi  il  voler  ci  sente. 

E  volerìa  dove  le  stelle  e  1  sole 
Vedria  vicine,  e  co'  soavi  giri 
Fra  sé  Fagguaglierìa  degli  ocelli  vostri: 

Ma  perch'ella  talor  comete  e  mostri 
D  orribil  foco  e  nembi  in  ciel  rimiri, 
Pur  alto  intende  e  si  confida  è  vuole. 

SONETTO  LXXXVL 
La  sua  D.  pov^la  pralungargli  la  vita ,  firmando  co*  suoi 
occhi  il  Solef  pur  teme  die,  intrido  della  beltà  di  Ui, 
^  non  affretti  anzi  il  suo  corso. 

Tu  vedi,  Amor,  come  trapassi  e  vole 
Col  di  la  vita ,  e  1  fin  prescrìtto  arrive  ; 
Né  trovo  scampo  onde  la  morte  io  schive, 
Se  non  s'arresta  a'  nostri  preghi  il  Sole. 

Ma ,  se  pietosa  mi  riguarda ,  e  vuole 
Serbar  madonna  in  me  sue  glorie  vive, 
I  begli  occhi ,  ond'  al  Ciel  V  ira  prescrive , 
Drizzi  vèr  lui ,  pregando  ,  e  le  parole  : 

Che,  del  suon  vago  e  della  vista,  il  corso 
Fermerà  Febo,  ed  allungando  il  giorno 
Mi  fia  scemo  il  dolore,  e  spazio  aggiunto. 

Ma  chi  m'affida  (oimé!  )  ch'aifin,  compunto 
All'alto  paragon  d'invidia  e  scorno, 
Ei  non  rallenti  a'  suoi  destrieri  il  morso? 


RIME  AMOROSE  iB3 

SONETTO  iXXXVIL 
étti  un  amico  che  cercava  distorlo  da*  suoi  amori  :  dichiara 
rhe  sarà  ognor  fido  alla  sua  D*,  né  potrà  mai  invaghirsi 
d*  altra. 

Non  sarà  mai  chMmpressa  in  me  non  reste 
LUmmagih  bella,  b  d^ altra  il  cor  s^ informe 3 
Me  che  là,  dove  ogni  altro  affettò  dorme, 
Nuovo  spirto  d^  amor  in  lui  si  deste. 

Né  men  sarà  chSo  volga  gli  occhi  a  queste 
Di  terrena  beltà  csfduche  forme, 
Per  disviar  i  miei  pensier  dalPorme 
D^  una  bellezza  angelica  e  celeste. 

Dunque ,  perchè  destar  fiamme  novelle 
Cerchi  dal  falso  e  torbido  splendore 
Che  'n  mille  aspetti  qui  vago  riluce? 

Deh!  sappi  otoai  che  spente  ha  sue  facclle 
Per  ciascun*  altra ,  e     strali  ottusi  Amaro, 
E  clìe  sol  nel  mio  Sole  è  vera  luce. 

SONETTO  LXXXVIII. 
Poiché,   sebhen  lontano  e  ad  onta  di  tante  pencf   arde 
*  ancora  guai  pria  senta  adempiere  niuno  d!e  suoi  desi* 
derjy  cerca  confòrto  ndV  ohlìo. 

Dopo  cosi  spietato  e  lungo  scempio, 
È  tante  sparse  lagrime  e  lamenti. 
Io  non  estinguo  le  mie  fiamme  ardenti , 
Né  parte  ancor  de*  miei  desiri  adempio. 

E,  8* intoppo  non  fusse  ingiusto  ed  empio,  ' 
Al  fonte  di  pietate  avrei  già  spenti 
GP intemi  ardori^  e  pur  ne^  mìei  toraienli 
Nuovo  Tantalo  fui  con  fero  esempio: 

Perché,  fuggendo,  non  scemò  favilla 
Della  febbre  amorosa  in  tanta  sete, 
Anzi  al  cor  ne  sentì  più  calde  faci. 

E  dritto  é  beiv  ch^  io  fugga  onde  fugaci , 
E  cerchi  dove  sparga  umor  di  Lete 
Omai  più  dolce  fonte  e  più  tranquilla. 


V 


i84  RIME  AMOROSE 

SONETTO  LXXXIX. 

Si  penU  d^  essersi  vantato  di  poter  vivere  lungi  delia  stta  D,% 
€  prega  Amore  non  cessi  dT  arderlo  e  trafiggalo. 

Era  aspro  e  duro^  e  sofferìr  si  lunge 
Da  me  begli  ocelli  e  dal  sereno  ciglio 
r  im  die*  vanto  un  grave  e. duro  esiglio. 
Scevro  d^Amor  die  ralme  insieme  aggiunge. 

Or  ch^ei  mi  sfida,  e  qual  più  a  dentro  punge 
Saetta  vibra,  e,  quasi  fero  artiglio, 
Per  farmi  il  fianco  infermo  e  U  sen  vermiglio  | 
La  mano  adopra  che  risana  ed  unge  ) 

Pentomi  de*  miei  detti,  e  folle  il  vanto 
E  '1  mio  fermo  sperar  toma  fallace, 
Né  superilo  mi  fa  la  penna  o  1  canto. 

Ardimi,  signor  mio,  con  viva  face, 
E  trafiggimi  il  cor  senza  mio  pianto  j 
Perchè  merto  è  il  martire  oVei  ai  tace. 

SONETTO  Xd. 
Jhtbita  di  riuscire  afitrmar  Vimagine  della  sua  Dkj  e^ 
alludendo  tUla /avola  di  Prometeo  ^  teme  di  farsi  in* 
sieme  artefice  e  punitor  di  sé  stessOé 

Per  figurar  Madonna  al  senso  intemo  ^ 

Dove  torrm,  pensier,  F ombre  e  i  colori? 

G)me  dipingerai  candidi  fiorì, 

O  rose  sparse  in  bianca  falda  il  verno  }- 
Potrai  volar  su  nel  sereno  eterno , 

Ed  al  più  bel  di  tanti  almi  splendori 

Involar  pura  luce  e  puri  ardori, 

La  vendetta  del  Cielo  avendo  a  scherno? 
Qual  Prometeo,  darai  Talma  e  la  voce 

AlFidol  nostro  e  quasi  umano  ingegno  ^ 

E  tu  insieme  sarai  Taugel  feroce 
Che  pasce  il  core  e  ne  fa  strazio  indegno, 

Vago  di  quel  che  più  diletta  e  nuoce? 

O  t'assicura  Amor  di  tanto  sdegno? 


BIME  AMOROSE       v  i85 

SONETTO  ZCf. 

Tenui  alzarsi  alla  eonUmptoMiom  deìU  cast  celesti  s  0Ui  poi 
la  beltà  della  sua  D,  l'attira  a  pascersi  in  iei  sola, 

L*alma;  vaga  ài  luce  e  di  bellezza, 
Ardite  spiega  al  ciel  Pale  amoroae; 
Ma  sì  le  fa  p  umanità  gravose , 
Che  le  decbina  a  quel  ch'in  terra  apprezza: 

E,  de'  piaceri  alla  dolce  esca  avvezza , 
Ove  in  sereno  volto  Amor  la  pose 
Tra  bianche  perle  e  mattutine  rose 
Par  che  non  ti:òvi  altra  maggior  dolcezza} 

£  fa  quasi  augellin  ch'in  alto  sterga, 
E  poi  discenda  alfin  ov'  altri  il  cibi , 
E  quasi  volontario  s'imprigioni; 

E,  fra  tanti  del  Gel  graditi  doni, 
Si  gran  diletto  par  che  in  voi  delibi, 
Gh'  in  voi  solò  si  pasce  e  solo  alberga. 

SONETTO  xai. 

Dice  air  alma  che^  sendo  immersa  nella  eoa  D.  •  non  sa 
cowCei  virai  però  la  richiama  a  aè$  stimando  dolce 
ogni  pena  amorosa. 

Anima  errante,  a  quel  sereno  intomo 
Tu  lieta  spazii,  e  'n  que'  soavi  giri: 
Io  non  so  come  viva  e  come  spiri. 
Aspettando  dolente  il  tuo  ritomo. 

Frattanto  senza  sole  e  negro  il  giomo. 
Senza  stelle  la  notte  avvien  eh'  io  miri  ) 
E  son  più  deli'  arene  i  miei  desiri , 
E  solo  no  doglia  dentro  e  doglia  intomo« 

Alma,  deh  rìedi!  e  col  tuo  dolce  lume 
Riscalda  questo  freddo  e  grave  incarco.  — 
Tomiamo,  e  so  ch'aspetta  Amore  al  varca ---' 

Dolca  sarà  morir  di  strale  e  d^  arco  ; 
Dolce  stillar  il  gelo  in  caldo  fiume; 
Dolce  a  quel  foco  incenerir  le  piume. 


V   • 


i86  RIME  AMOROSE 

9  SONETTO  xeni. 

Per  due  crini  ai^voUi  nell'oro  donatigU  dalla  sua  donna 

in  premio  deW  amor  suo. 

Amando,  ardendo,  alla  mia  donna  T  cliiesi 
Premio  alla  fede  e  refrigerio  al  foco 
Per  cui  piansi  e  cantai;  or,  fatto  roco, 
Temo  non  «eno  i  miei  lamenti  inlesi. 

Ella  duo  crini,  ove  i  suoi  lacci  ba  tesi 
E  dove  intrica  Amor  quasi  per  gioco, 
Mi  die  nelToro  avvolti:  e,  in  picciol  loco 
Grand' incendio  nascoso,  io  più  m^ accesi. 

Facea  il  riso  più  bello  il  suo  rossore, 
E  '1  suo  rossore  il  riso  ;  e  ^n  dolci  modi 
Era  stretto  il  mio  cor  d^  ardenti  nodi. 

Io  dissi:  Sotto  Tauro  è  vivo  ardore; 

Ma,  se  non  posso  amar  s^ei  non  m^nfiamma^ 
Purcliè  viva  ramor,  viva  la  fiamma. 

SONETTO  XCIV. 
Dice  come^Jra  sue  sventure^  Amor  trovò  modo  a  ferirlo  ^ 
ma  eh*  tr  sì  tien  celata  la  piaga ,  cK  altri  mal  giudica 
la  cagion  di  sue  pene. 

Fra  mille  strali,  onde  Fortuna  impiaga 
Il  mio  cor  sì  che  per  ferita  nova 
Spazio  non  resta ,  oimè  1  loco  ritrova 
Cara  d'Amor  saetta  e  cara  piaga. 

Né  Palma  ancor  delia  salute  è  vaga; 
Clìè,  sebben  ella  di  sanar  fa  prova 
'     Ogn^  altro  colpo,  or  d'inasprir  le  giova 
Quella  dolce  percossa ,  e  se  n^  appaga  : 

Ma  A  cliiusa  e  secreta  in  sé  la  serba, 
Ch'Amore  stesso  ancor  non  se  n'accorge, 
Né  fra  ben  mille  colpi  il  suo  discerne. 

Lasso  !  e  Fortuna  che  le  pene  interne 
Non  vede,  e  sol  di  pianto  i  rivi  scorge, 
Sua  stima  T  opra ,  e  sen  va  più  superba. 


i  RIME   AMOROSE  1B7 

SONETTO  XCV. 
Per  ttÌkgor$a  spiega  la  sua  tema  d' approfitiar  delV  op* 
porUuiità  d^  amare}  pur  ^  se  dee  Jorio  ^  almen  desia  pé*    - 
rir  frt^  diletti. 

Ben  veggio  avvìnta  al  Mo  ornata  nave, 

'  £  '1  nocchier  che  m^  alletta ,  e  1  mar  che  giace 
jBenz^onda;  e  1  freddo  borea  ed  austro  tace, 
E  sol  dolce  r  increspa  aura  soave. 

Ila  V  aria  e  1  vento  e  1  mar  fede  non  ave  ; 
Altri,  seguendo  il  lusingar  feUace, 
Per  notturno  seren  già  sciolse  audace, 
dimora  è  sommerso,  o  va  perduto  e  pavé. 

Veggio,  trofei  del  mar,  rotte  le  vele , 
Tronche  le  sarte,  e  biancheggiar  F arene 
D^ossa  insepolte,  e  ^ntonio  errar  gli  spirti. 

Pur,  se  convien  che  quest'Egeo  crudele 
Per  donna  io  solchi,  ahoen  fra  le  Sirene 
L  Trovi  la  morte,  e  n<ai  fra  scogli  e  sirtì. 


\ 


SONETTO  XCVI. 
Duolsi  che  la  sua  D.  finga  di  noi  credere  innamorato  f 
ma,  ad  ontfi  4P  ogni  pericolo  j  taiol  sforzarsi  d^  ottener 
il  suo  fine» 

Quanto  più  nell' amarvi  io  son  costante, 
E  od  mostrar  negli  occhi  aperto  il  core. 
Tanto'  nel  finger  voi  che  '1  puro  ardore 
ffon  veggiate  negli  occhi  e  nel  sembiante. 

Che  farò  dunque?  andrò  pur  anco  avante? 
E  'n  questo  mar  del  mio  nemico  Amore 
La  nave  crederò  del  mìo  dolore 

-  Ad  euro  avverso  disperato  amante? 

O  sembrerò  nocchier  che  poggia  ed  orza 
Nell^onde  d'Adria  alterna  o  nel  Tirreno, 
Mutando  il  corso  ov'è  soverchia  forza? 

Ma,  per  turbato  cielo  e  per  sereno. 
Prender  con  ogni  vento  alfin  si  sforza 
Sole^  uà  tranqmllo  porto  y  un  dolce  seno. 


'  • 


\ 


188  RIME  AMOROSE 


SONETTO  XC^IL  ^ 

Dice  che  U  sua  D.  è  pia  beUat  che  crudele  §   onde  egli  ha 
cagìon  di  sperare  f  perchè  le  belle  sogUon  esser  pietose, 

O  più  crudd  d'ogni  altra,  e  pur  men  cruda 
Agli  occhi  miei^  che  bella,  e  men  gu'errerai 
FostU)  quanto  sei  bella,  acerba  e  fera. 
Perchè  questi  occhi  lagrìtnando  i'  chiuda. 

Ma  quando  io  veggio  la 'man  bianca  ignuda  | 
E  la  sembianza  umilemente  altera, 
Dico  air  anima  vaga:  Ardisci,  e  spera} 
Ch'esser  non  può  ch'ogni  mio  prego  escluda. 

Pero ,  se  crudeltà  cotanto  perde 
Dalla  bellezza  in  lei,  sarà  pur  anco 
Vinta  'daUa  pietà  che  V  è  nascosa. 

Cosi  l'amor,  pensando,  in  me  rinverde, 
Or  sazio  no,  ma  d'aspettar  già  stanco 
Cb'o;nai  vi^^ccia  la  beltà  pietosa. 

SONETTO  XCVIII. 
spera  vendetta  dal  tempo  contrà  la  sua  D»f  sicch'ella^ 
/atta  pecchia ,  si  pentirà  d' averlo  sprtM%ato  |  e  bramerà 
d*  esser  celebrata  da  luL 

Vedrò  dagli  anni ,  in  mia  vendetta ,  ancora 
Far  di-  queste  bellezze  alte  rapine  ; 
Vedrò  starsi  negletto  e  bianco  il  crine 
Che  la  natura  e  l'arte  increspa  e  doraj 

E  sulle  rose,  ond'ella  il  viso  infiora, 
Spargere,  il  verno  poi  nevi  e  pruine  : 
Cosil  fasto  e  l'orgoglio  avrà  pur  fine 
Di  costei  ch'odia  più  chi  più  l'onora. 

Sol  penitenza  allor  di  sua  bellezza 
Le  rimarrà ,  vedendo  ogni  idma  sciolta 
DegU  aspri  nodi  suoi  ch'ordia  per  gioco. 

E  se  pur  tanto  or  mi  disdegna  e  sprezza, 
Poi  bramerà  nelle  mie  rime  accolta 
Rinnovellarsi  qual  fimice  in  foco. 


KIME  AMOROSE  189 

SONETTO  XCIX. 

Assicura  la  sua  D,  che,  allor  pure  cVella  sarà  vecchia f 
¥90n  cesserà  diramarla  t  celebrarla. 

Quando  avran  queste  luci  e  queste  cliiome 
Perduto  Foro  e  le  faville  ardenti;  v 

E  Parme  de'  begli  occhi,  or  si  pungenti, 
Saran  dal  tempo  rintuzzate  e  dome\; 

Fresche  vedrai  le  piaghe  mie,  né,  come 
In  te  le  fiamme,  in  me  gli  ardori  spenti; 
E,  rinnovando  gli  amorosi  accenti. 
Alzerò  questa  voce  al  tuo  bel  nome  : 

E,  in  guisa  di  pittor  che  il  vizio  emende 
Del  tempo ,  mostrerò  negli  alti  carmi 
Le  tue  bellezze  in  nulla  parte  offese. 

Fia  noto  aUor  eh*  allo  spuntar  dell'  armi 
Piaga  non  sana,  e  Fesca  un  foco  apprende 
Che  vive  quando  spento  è  chi  F  accese. 

SONETTO  C. 

Fano  vecchio  f  amerà  tuttavia  la  sua  donna  ^  ed  ansi  arderà 
vie  pia  per  Ui,  e  la  celebrerà  pia  altamenu  che  moL 

Quando  vedrò  nel  verno  il  crine  sparso, 
Aver  di  neve  e  di  pruina  algente,, 
£  '1  seren  del  mio  giorno,  or  si  lucente, 
G)l  fior  degli  anni  miei  fuggito  e  sparso;' 

Al  tuo  bel  nome  io  non  sarò  più  scarso 
Delle  mie  lodi  o  dell'affetto  ardente. 
Né  fian  dal  gelo  intepidite  o  spente 

-  Quelle  fiamme  amorose  ond'io  son  arso, 

Ma,/s^or  rassembro  augel  palustre  e  roco, 
Cigno  parrò ,  .lungo  il  tuo  nobil  fiume , 
Ch'  abbia  F  ore  di  morte  omai  vicine  j 

E ,  quasi  fiamma  che  vigore  e  lume 
NelF  estremo  riprenda ,  innanzi  al  fine 
Bisplenderà  più  diiaro  il  vivo  foca 


igo  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CI. 

Smromt  (pà  eiesu  d'amar  la  sua  donna f  cosi  le  f^iura  tthe 
la  sua  costanui  non  sarà  trénta  da  nessuna  at'tfersità, 

• 

Benché  Fortuna  al  desir  mio  rubella 
Ognor  si  mostri y  e  dispietato  Amore, 
£  P altrui  sdegno,  Donna,  e  '1  mio  dolore 
Facciali  turbata  la  mia  vita  e  fella, 

Non  può  sorte  crudele  o  fera  stella 
Far  men  costante  in  adorarvi  il  core , 
Né  pur  men  chiaro  il  mio  soave  ardore 
Con  pianto  e  con  sospiri  onda  o  procella  ] 

Né  torcer  mai  dall'immortale  obietto 
L'anima  innamorata,  a  cui  Faflisse 
Il  suo  piacer,'  né  la  respinse  oi^glio  : 

Perché  vostra  sarà,  com' ella  visse, 
Sino  alla  morte;  e  per  intenso  aflètto 
Volli  una  volta,  e  disvoler  non  voglio. 

SONETTO  GII. 

/  capelli  della  sua  D.  vincono  ogni  maravigliai  onde  gli 
sjnacc  ch^ella  soliamo  li  mostri  verso  la  senu 

Perch' altri  cerchi,  peregrino  errante, 

La  bella  Europa  ove  il  di  poggi  o  'nchini , 
Meravig^a  maggior  de'  biondi  crini 
Non  vide  ancora,  o  di  si  bel  sembiante  ; 

Né  là  dove  indurossi  il  vecchio  Atlante, 
O  r  Asia  innalza  i  monti  al  ciel.  vicini , 
Né  fra'  suoi  lumi  ancor,  lumi  divini. 
Benché  si  mostri  il  Sol  nel  suo  levante. 

Ma  se  pur  v^gio  fiammeggiar  tra  loro 
Due  volte  ilgiomo  l'amorosa  stella, 
Perch'  una  voi  sì  tardi  in  terra  onoro  ? 

E  ben  vincete  e  questa  luce  e  quella  3 
E,  se  mostraste  al  soie  i  capei  d^oro, 
Fareste  vergognar  V  Alba  novella. 


'  I 


r 


RIME  AMOROSE  191 

SONETTO  CHI. 

Vista  la  sua  D,  co'  crini  svarsi,  P  assomiglia  atta  Fortuna  g 
e  dice  che  ^l  girar  dtr  suoi  occhi  è  la  sua  ruota. 

Costei  y  che  sulla  fronte  ha  sparsa  al  vento 

ferrante  chioma  d^ór,  Fortuna  parej 

Anzi  è  vera  Fortuna  ;  e  può  beare 

E  misero  può  far  il  più  contenta 
Dispensatrìce  no  d^oro  o  d*  argento 

0  di  gemnie  che  mandi  estraneo  mare; 

Ma  tesori  d^Àmor,  cose  più  care^ 

Fura,  dona,  e  ritoglie  in  un  momento. 
Cieca  non  giày  ma  solo  a'  miei  martiri 

Par  che  s^ infinga  tale;  e  cieco  uom  rende 

Con  due  luci  serene  e  sfavillanti. 
Chiedi  miai  sia  la  rota  ove  gli  amanti 

Travolve ,  e  '1  corso  lor  ferma  e  sospende  7  .  . . 

La  rota  sua  son  de'  begli  occhi  i  gin. 

SONETTO  CIV. 

Mentre  rimira  una  fa/e,  conosce  ch^eUa  à  innamorata f 
ma  di  cAi|  non  gU  è  riuscito  sapcrio. 

Io  veggio,  o  parmi)  quando  in  voi  m'affiso,' 
Un  desio  eoe  v'accende  ed  innamora, 
A  quel  vago  pallòr  che  discolora 
Le  rose  e  i  gigli  de;l  fiorito  viso: 

E,  dove  lampeggiava  un  dolce  riso, 
Languidi  e  rochi  mormorar  talora 
Odo  i  fidi  messaggi^ e  Faria  e  Fora 
Ch'aura  appunto  nu  par  di  paradiso.     . 

E  ben  io,  vago  dì  saper  novella 
De'  secreti  del  core,  il  ver  ne  spio; 
Ma  questo  solo  par  che  si  riveli: 

«Quel  che  ci  muove  è  gìovenil  desio.»      '    ! 
Pur  qua!  bellezza  invogli  alma  sì  bella, 
Solo  elk  il  sa  die  vuoi  cb'altiui  si  celi. 


/. 


igue^  o  pur  vaghe  Sirene, 
rór,  di  perle  e  (f  ostri , 


193  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CV. 
AvMmfe  ia  «Ma  D.  per  Comacchio ,  intuita  U  Tfinfe  a 
onorarla  co*  ìor  doni,   benché  già  fictt' i  dom  deUa 
natura  pajano  in  lei  raccolti^ 

Cercate  i  fonti  e  le  secreto  vene 

Deir ampia  terra ^  o  Ninfe ,  e  ciò  ch'asconda 
Di  pre^oso  il  mar  ch'intorno  inonda 
I  sabi  lidi  e  le  minute  arene: 

E  portatelo  a  lei  che  tal  sen  viene 
Nella  voce  e  nel  volto  affalta  sponda, 
Qual  vi  parve  la  Dea  che  di  feconda 
Spuma  già  nac< 

Ma  di  coralli  e  d^ 

Qual  don  sarà,  che,  per  id  schivò  gusto , 
Paga  di  sé  medesma,  ella  non  sdegni, 

Se  non  han  pregio  i  vostri  antichi  regni, 

0  straniero  o  natio,  eh  'n  spazio  angusto 
Ella  molto  più  hello  in  so  noi  mostri! 

SONETTO  evi. 

Fingi  che  la' sua  />•,  sendo  ritenuta  in  Comacchio ,  sia  rapita 
dagli  Dei  del  mareg  ond*  esorta  il  Po  «  ricuperarla. 

Re  degli  altri,  superbo,  altero  fiuiùe, 
Che,  qualor  esci  del  tuo  regno  e  vaghi, 
Atterri  ciò  eh' opporsi  a  te  presume, 
£  r  ime  valli  e  T  alte  piagge  allaghi  ; 

Vedi  gli  Dei  marini  eU  lor  costume, 

Gli  Dei ,  di  nobil  preda  ògnor  più  vaghi , 
Rapir  costei  ch'era^ua  gloria  e  lume. 
Quasi  il  tiibuto  usato  or  non  gli  appaghi. 

Omai  solleva  incontra  il  mar  tiranno 

1  tuoi  seguaci;  e,  pria  ch^ad  altro  aspiri, 
Racquista  il  Sol  che  qui  s'annida  e  nacque. 

Osa  pur;  che  mUle  occhi  omai  ti  danno 
Mille  fiumi  in  soccorso,  e  i  lor  sospiri 
Gli  potranno  infiammar  le  rive  e  Tacque. 


I 
I 


RIME  AMOROSE  193 

SONETTO  CVII. 

Dimoràndo  la  sua  D.  in  Venezia,  daaU  affetti  la  patagondt 

ed  ori»  P  antepone  as  Sole, 

I  freddi  e  muti  pesci  usati  ornai 

D^ arder  qui  sono  e  di  parlar  d'amore 3 
E  tu  y  che  4  vento  e  V  onde  acqueti ,  or  sai 
0>me  rara  bellezza  accenda  il  corej 

Poi  chMn  voi  lièti  spiega  i  dolci  rai 
Il  Sol  jche  fu  di  queste  sponde  onore  ^  ^ 
n  chiaro  Sol,  cui  più  devete  assai , 
Ch'ali' altro  uscito  del  sen  vostro  fuore: 

C3iè  quegli,  ingrato ^  a  cui  non  ben  sovviene 
Com'  è  da  voi  nudrito'  e  come  accolto , 
V invola  il  meglio,  e  lascia'!  salso  e'I  greve ^ 

Ma  questi  colle  luci  alme  e  serene 
V  affina  e  purga,  e  rende  il  dolce  e  1  leve. 
Ed  assai  più  vi  dà,  che  non  v'è  tolto. 

SONETTO  CVIIL 

Introduce  U  maref  come  òwaghùo  della  sua  iX^  a  regakuia  e  dirle 

cVe*  la  segue  in  vece  detta  luna  {cagion  del  flusso  e  riflusso^ 

Sceglieva  il  Mar  perle,  rubini  ed  oro,  / 

Che  quasi  care  spoglie  e  ricche  prede 
Di  tante  sue  vittorie  ancor  possiede, 
^  del  suo  proprio  e  suo  maggior  tesoro, 

Per  donarlo  a  costei,  che  Giove  in  toro 
Cangiar  farebbe  per  baciarle  il  piede; 
E,  mentre  bagna  più  l'arena  o  cede, 
Parea  dir,  mormorando,  in  suon  canoro: 

O  Ninfa,  o  Dea,  non  dall'oscuro  fondo 
Uscita,  ma  dal  ciel,  che  mia  fortuna 
Placida  rendi  allor  che  tutta  imbruna. 

Te  seguo  in  vece  dì  mia  vaga  luna: 

Deh!  non  fuggir  se  pur  m'avanzo  e  inondo. 
Che  lascio  i  doni,  e  tomo  al  mio  profondo. 
TAtto,  Fol  ir.  i3 


ig4  l^IME   AMOROSE 

SONETTO  CIX. 

ChktU  €¥•  neno  U  pe9catnci$  p<À  finf^e  veder  Ira  t$f  Is  tmm  D. 

a  ttrtw  la  rete. 

Palustri  valli ^  ed  arenosi  lidi. 

Aure  serene,  acque  tranquille  e  quete, 
Marini  armenti,  e  voi,  che  fatti  avete 
A  verno  più  soave  i  cari  nidi  j 

Elei  frondose,  amici  porti  e  fidi. 
Chi  tra  le  pescatrìci  accorte  e  liete 
Dove  hanno  tesa  con  Amor  la  rete 
Sarà  clì^  i  passi  erranti  or  drizzi  e  guidi  ? . . . 

Veggio  la  Donna,  anzi  la  vita  mia, 
^      £  U  fune  avvolto  alla  sua  bianca  mano 
Che  trar  Palme  co'  pesci  ancor  pptiiaj 

E  *1  dolce  riso  lampeggiar  lontano, 
Mentre  il  candido  pie  lavar  desia, 
E  bagna  il  mar  ceruleo  lembo  invano. 

SONETTO  ex. 
Oanoice  gP inganni  delia  sua  />.,  ma  non  può  echiiHxrUi 

si  io  acdeea  amore. 

M'apre  talor  Madonna  il  ^uo  celeste 
Riso  fra  perle  e  bei  rubini  ardenti, 
E,  F orecchie  inchinando  a'  miei  lamenti. 
Di  vago  affetto  il  ciglio  adoma  e  veste  ; 

Ma  non  avvien  però  ch'in  lei  si  deste 
Alcun  breve  dolor  de'  miei  tormenti, 
Anzi  la  cetra  e  i  miei  non  rozzi  accenti 
E  me  disprezza,  e  le  mie  voglie  oneste; 

Me  pietà  vera  ne'  begli  occhi  accoglie, 
Ma  crudeltà  ch'in  tal  forma  si  mostri. 
Perchè  l'alma  ingannata  arda  e  coi^sumi« 

Specchi  del  cor  fallaci,  infidi  lumi, 

Ben  conosciamo  in  voi  gl'inganni  vostri 3 
Ma  che  prò?  se  schivarU  Amor  ci  toglie. 


RIME  AMOROSE  igS 

SONETTO  CXI. 

gii  effètti  del  ctmtempìar  la  eua  D.^pt?  quali  V  anima 
si  purga  tP  ogni  ini  pensiero. 

Chi  serrar  pensa  a^  pensier  vili  il  core. 

Apra  in  voi  gli  occhia  e  i  doni,  in  nuUe  sparsi. 
Uniti  in  voi  contempli;  e  'n  lui  crearsi 
Sentirà  nuove  brame  e  nuovo  amore. 

Ma,  se  passar  nel  seno  estremo  ardore 
Sente  dagli  occhi  di  pietà  si  scarsi, 
Non  s* arretri  o  difenda,  ove  in  ritrarsi 
Non  è  salute ,  o  'n  far  difesa  onore. 

Ansi,  siccome  già  vergini  sacre 
Nobil  fiamma  nudrir,  aggiunga  ei  sempre 
L*  esca  soave  al  suo  vivace  foco  : 

Che  dolcezze  soffrendo  amare  ed  acre, 
E,  quasi  Alcide,  ardendo  a  poco  a  poco. 
Cangerà  le  sue  prime  umane  tempre. 

SONETTO  CHI. 

Sji/iega  perchè  mandi  in  regalo  alla  sua  D.  Ù  Htratto 
di  lei  stessa  f  anaichè  U  proprio. 

Donai  me  stesso;  e,  se  sprezzaste  il  dono. 
Che  donarvi  più  caro  or  vi  potrei! 
ÌjSl  mia  immagine  no,  ch^agli  occhi  miei 
Tanto  è  molesta,  quanto  lunge  io  sono; 

Talché  quasi  d^ amarmi  io  vi  perdono. 
Benché  sian  tutti  amori  i  pensier  miei: 
Né,  fuor  eh* un  hel  sembiante,  altro  saprei 
Donar ,  perché  1  gradiste  ;  e  quel  vi  dono. 

In  voi  finite  almen  vostri  desiri. 

Né  li  torca  vaghezza  ad  altro  obbietto 
Ch^é  men  bello  di  voi  dovunque  io  miri: 

Sol  geloso  mi  faccia  il  vostro  aspetto; 

Qìé,  amando  il  piacer  vostro  e  i  miei  martiri , 
Amerete  il  mio  amore  e  1  mio  sospetto. 


tffi  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CXIII. 
DtMcrwc  aUcgoricanunie  la  proiperiià  del  suo  oMorc 

Passa  la  nave  mia^  che  porta  il  core. 
Sotto  un  sereno  ciel  di  stelle  adomo 
Per  queto  mare  ;  e  sta  ;  la  notte  e  U  giorno 
Spiando  i  venti,  al  suo  governo  Amore. 

A  ciascun  remo  un  bel  desio  d^  onore 
Non  teme  di  fortuna  oltraggio  o  scorno; 
Empie  la  vela,  e  rasserena  intomo 
Aura  di  gioja,'  e  tempra  il  dolce  ardore. 

Nebbia  non  lenta  mai  eli  feri  sdegni 
Le  sarte,  che  di  fede  e  di  speranza 
Ha  di  sua  mano  il  mio  signore  attorto  : 

E  scopro  i  duo  lucenti  amici  segni; 
E  vive  la  ragione,  e  Parte  avanza, 
Talch'io  già  prenao  il  desiato  porto, 

SONETTO  CXIV. 

in  wmrU  tPim  papoagdia,  Mottra  col  paragone  qmmÈoJòàm 
pikfeUet  la  eoru  di  queUo,  che  la  propria. 

^    Quel  prigioniero  augel,  clie  dolci  e  scorte 
Note  apprendea  dal  tuo  soave  canto. 
Morendo  in  sen  ti  giacaue,  e  dal  tuo  pianto 
Bell^ onore  ebbe  poi.  Felice  morte! 

Io  cigno  in  mia  prigion  (né  scomo  apporte 
S^ ardito  è  pur  nella  mia  lingua  il  vanto) 
Quel  che  mi  detta  Amore  imparo  e  canto, 
Ma  con  diversa  e  più  dogliosa  sorte: 

MuojO  sovente,  e  1  modo  è  vie  più  fero. 
Perchè  al  martir  rinasco;  e  'n  si  bel  grembo 
Non  però  trovo  mai  tomba  o  feretro  3 

E  i  lumi  cbMrrigàr  con  largo  nembo 
Un  che  passò  dagFIndi  a  noi  straniero, 
Scarsi  mi  son,  né  stilla  io  pur  o' impetra 


RIME  AMOROSE  197 

SONETTO  CXV. 

CoUa  eotàparasdone  delta  rondine  dunoUra  coflU  da  un  amore 
naecano  in  bd  mSUe  amori,  e  da  un  desiderio  miOe  denderf. 

Tu  parti,  o  rondinella ,  e  poi  ritorni 

Pur  «Tanno  in  anno,  e  fai  la  state  il  nidoj 

E  più  tepido  verno  in  altro  lido 

Cerchi  sul  Nilo,  e  'n  Menfi  altri  soggiorni. 

Ma  per  algenti  o  per  estivi  giorni 

Io  sempre*  nel  mio  petto  Amore  annido , 
Quasi  egli  a  sdegno  prenda  in  Pafo  e  hi  Gnido 
Gli  altari  e  i  temp|  di  sua  madre  adorni: 

E  qui  si  cova,  e  quasi  augel  s'impenna, 
E_^  rotta  molle  scorza,  uscendo  fuori 
Produce  i  vaghi  e  pargoletti  Amori  3 

E  non  li  può  contar  lingua  nS  penna , 
Tanta  è  la  turba:  e  tutti  un  cor  sostiene. 
Nido  infelice  d^  amorose  pene. 

SONETTO  CXVI. 

Dice  ch*ei  non  cede  gltnd  negli  effetti  d'amore^  benché  ceda 
ndT  apparente  f  e  che  pon  sua  gloria  neW  esser  segr^io. 

Io  non  cedo  in  amar.  Donna  gentile, 
A  chi  mostra  di  fuor  F intemo  affetto. 
Perchè  '1  mia  si  nasconda  in  mezzo  U  petto , 
Né  co^  fior  s^apra  del  mio  novo  aprile. 

Co^  vaghi  sguardi  e  col  sembiante  umile, 
Co^  detti  sparsi  in  variando  aspetto 
Altri  si  veggia  al  vostro  amor  soggetto, 
E  co^  sospiri  e  con  leggiadro  stile; 

E  quando  gela  il  cielo  e  quando  infiamma , 
E  quando  parte  il  sole  e  quando  rìede, 
Vi  segua,  come  il  can  selvaggia  damma: 

Gh^io  se  nel  cor  vi  cerco,  altri  noi  vede, 
E  sol  mi  vanto  di  nascosa  fiamma, 
E  sol  mi  glorio  di  secreta  fede. 


ig8  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CXVIl. 

S$  è  /Emo  cha  la  sua  D.  debba  tener  semprw  oìoom  le  mani 
né  guanti  f  Mede  da  esse  la  morte» 

La  mafi^  ch^  avvolta  in  odorate  spogEe 
Spira  più  dolce  odor  che  noa  riceve , 
rana  nuda  arrossir  F algente  neve^ 
Mentre  a  lei  di  bianchezza  il  pregio  toglie. 

Ma  starìi  sempre  ascosa?  e  le  mie  voglie 
Lunghe  non  Sa  ch'appaghi  un  guardo  breve? 
S' avara  esser  di  sé  sempre  mi  deve, 
n  mio  nodo  vital  perchè  non  saoglie? 

Bella  e  rigida  man,  se  cosi  parca 
Sei  di  vera  pietà  y  che  '1  nome  sdegni 
Di  mia  liberatrice  a  si  gran  torto , 

Prendi  F uffizio  almen  d'avara  Parca; 

Ma  questo  carme  un  bel  sepolcro  or  segni: 
«  Vive  la  fede  ove  il  mio  corpo  è  morto.  » 

SONETTO  CXVIIL 

Ss  la  sua  D.  si  aìoria  iP esser  ingnata,  non  le  de  bastar  ch'ei 
peni,  ma  or  pure  ucciderlo  per  averne  pia  gloria" 

Bella  guerriera  mia  ^  se  '1  vostro  orgoglio 
E  la  vostra  bellezza  in  voi  son  pari^ 
Né  questi  versi  avete  in  pregio  o  carì^ 
Ma  le  mie  pene ,  io  men  languir  non  voglio  : 

£  mi  piace  il.  dolor  quando  io  mi  dòglio , 
£  dolcezza  senfio  d'affanni  amari, 
Occhi,  di  grazia  e  di  pietate  avari, 
Nel  farsi  un  molle  petto  un  duro  scoglio. 

£  se  Tesser  ingrata  é  '1  vostro  onore, 
O  se  vi  pare,  i  miei  sospiri  e'  pianti 
Non  sian  più  fiorì  ornai  d'occulto  amore  ; 

Ma  deUa  fede  a'  miei  pensier  costanti 
Morte  sia  il  frutto,  e  di  passarmi  il  core 
Una  candida  man  si  glorii  e  vanti 


RIME  AMOROSE  tgg 

SONÉTTO  cxrx. 

Avendo  la  stia  D,  mostraia  per  dispreiza  una  sua  lettera  p 
dice  chef  se  lo  sdegno  non  eU  consente  di  merar  la  gra* 
zia  di  lei  f  già  gusta  in  canSio  la  doleeziia  della  ifendeita.  • 

Quella  secreta  carta  ^  ove  riptemo 

E  chiuso  affetto  mio,  ch'adorno  in  rime, 
In  poche  note  e  'n  puro  stil  s' esprime , 
Voi  dimostrando,  mi  prendeste  a  sciierno. 

Nò  solo  con  questi  occhi  omai  discemo 
Che  mal  gradite  il  mio  cantar  sublime^ 
Ma  con  essi  veggio  come  e'  si  stime 
Favola  vile,  e  con  mio  sdegno  eterno. 

Or  quanto  di  voi  speri,  Amor  seNvede, 
Mentre  ei  guarda  e  consente,  e  se  n'infinge, 
Che  riveliate  i  miei  pensier  secreti. 

Ma  par  che  sdegno  anco  sperar  mi  vieti 

Quel  ch'io  sperava,  e  dolce  all'alma  or  finge 
La  vendetta  vie  più  d'ogni  mercede. 

SONETTO  CXX. 

Avendo  la  sua  Z>*  negatagli  la  mano  nel  danzaref  petisa 
a  vendicarsene f  beneh?ella  se  ne*rida» 

Mal  gradite'  mie  rime  invano  spese 
Per  onorar  donna  leggiadra  e  bella. 
Che,  altrui  fedele,  a  me  spietata  e  fella 
Nega  la  man  che  già  m'avvinse  e  prese! 

Aspre  repulse  I . . .  Or  fia  che  tante  offese 
Sostenga,  e  ceU  or  questa  ingiuria^  or  quella, 
Né  scuota  il  giogo  ancor  l'anima  ancella, 
E  non  estingua  le  sue  fiamme  accese  ? 

Dunque,  s'amando  i'  parca  già  canoro, 
Or  disdegnando  sarò  muto  e  roco. 
Né  d' armarne  oserò  lo  stile  e  i  carmi? 

Che  queste  ancor  pungenti  e  fervide  armi 
Come  quadrella  son  di  lucido  oro; 
Ma  la  superba  or  se  le  prende  a  ^oco. 


aoo  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CXXI. 
SdtgtkOo  eontrm  U  tua  D.f  gpof  vendkaràene  rMtgmdm 
0d  akro  pia  degno  oggetiùf  e  lei  abbandonando  aiVob» 
bUo  tm^é  Vavea  tratta. 


i  gran  tempo,  e  del  mio  foco  ind^[iio 
Esca  fa  sol  vana  bellezza  e  frale; 
E  qual  palustre  augello  il  canto  e  Fale 
Volsi  di  fango  asperse  ad  umil  segno. 

Or,  che  può  gelo  d  onorato  sdegno 
Spegner  la  face  e  quelTardor  mortale, 
Con  altra  fiamma  ornai  s^  innalza  e  sale 
Sovra  le  stelle  il  mio  non  pigro  ingegno. 

Lasso!  e  conosco  or  ben  che  quanto  io  dissi 
Fu  voce  d^uom  cui  ne'  tormenti  astringa 
Giudice  ingiusto  a  traviar  dal  vero. 

Perfida ,  ancor  nella  tua  fraude  io  spero 
Che,  dove  pria  giacesti,  ella  ti  spinga 
Megli  oscuri  d^obbUo  profondi  abissi. 

SONETTO  CXXn. 

f'MCOfyc  dA  Mao  inganno^  e  pef  uendeUa  lucia  cAc  U  mondo 
giudichi  la  crudele  dtf  kXì  menti  projnj. 

Non  più  crespo  oro,  o  d^ ambra  tersa  e  pura 
Stimo  le  chiome  che  '1  mio  laccio  ordirò, 
E^nel  volto  e  nel  seno  altro  non  miro, 
Ch'  ombra  della  beltà  che  poco  dura. 

Fredda  la  fiamma  è  già 3  sua  luce  oscura. 
Senza  grazia  degli  occhi  il  vago  giro  .... 
Deh!  come  i  miei  pensier  tanto  invagliiro? 
Lasso  !  e  chi  la  ragione  o  sforza  o  fura  7 

Fero  inganno  d^  Amor  !  F  inganno  ornai , 
Tessendo  in  rime  si  leggiadri  fregi 
Alla  crudel  ch'indi,  più  bella  apparve. 

Ecco  i'  rìmovo  le  mentite  larve: 
Or  nelle  pròprie  tue  sembianze  omai 
Ti  veggia  il  mondo,  e  ti  contempli  e  pregi. 


RIME  AMOROSE   .  mi 

SONETTO  CXXIIL 

FM  amar  di  nuovo  f  fropond  dofpia  gìoriof  JPamantB  e  tUpottaf 
e  spera  che  con  ramare  raàtui  a  mutar  eoa  eoru. 

Mentre  ad  tuo  giogo  io  mi  sottrassi  ^  Amore  ^ 
E  fui  ribello  al  tuo  eh*  è  giusto  regnò  ^ 
M^ebbe  fortuna  ingiuriosa  a  sdegno , 
Tronca  la  vìa  di.  bello  e  d*  alto  onore. 

Tal  chMo  muto  consiglio^  e  dono  il  core, 
Sacro  la  verde  età^  sacro  P  ingegno 
Alle  saette.  Ah!  non  ti  spiaccia  il  segno, 
Ghe  non  si  volge  al  trapassar  dell'  ore  ; 

Né  trovar  lo  potrai  da  Battro  a  Tile 

Più  costante  a^  tuoi  colpi,  o  dolci,  o  infiesti: 
E  tu  gbria  n^ avrai,  signor  gentile) 

Io  pregio  e  fama,  e  di  men  foschi  e  mesti: 
E  teco  muterà  suo  duro  stile 
Sorte  nemica  a^  miei  desiri  onestL 

SONETTO  CXXIV. 

Q0^orta  h  Sdento  ad  arrenderti  ad  Amare^  eioèf  conoice  PaUa 
Ulta  delia  eua  D.f  e  vede  che  gli  è  tPuopo  urnSUarti 

Sdegno,  debil  guerrier,  campione  audace. 
Tu  me  sotto  arme  rintuzzate  e  frali 
G)nduci  in  campo  ov*è  d*  orati  strali 
Armato  Amore  e  di  celeste  face. 

Già  si  spezza  il  tuo  ferro,  e  già  si  sface        ' 
Qual  vetro  p  gelo  al  ventilar  dell'ali: 
Che  fia,  s'attendi  il  foco  e  le  mortali 
Percosse?  ah,  troppo  incauto!  ah,  chiedi  pace! 

Grido  io  mercè,  stendo  la  man  che  langue, 
Ghino  il  ginocchio,  e  porgo  inerme  il  seno: 
Se  pugna  ei  vuol,  pugni  per  me  petade. 

Ella  palma  n'acquisti,  o  morte  almeno; 
Che,  se  stilla  di  pianto  al  sen  le  cade, 
Fia  vittoria  il  morir,  trionfo  il  sangue. 


aos  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CXXV. 

Dieé  tPeueni  tùttratto  dal  fpomo  df  Amore  $  pur  teme  anoor«  $ 
pia  cA«  la  erudtUà^  le  iuinghe  tieila  «m  donna. 

Mentre  toggetto  al  tuo  spietato  regno. 
Vissi  ove  rìoondurmi^  Amor,  contendi^ 
Via  più  delle  procelle  e  degP  incendi 
Temea  pur  P  ombra  d^un  tuo  leve  silegno. 

Or  che,  ritratto  il  cor  dal  giogo  indegno , 
L^arme  ardenti  dellMra  invan  riprendi , 
E  'nvan  tanti  vèr  me  fólgori  spendi, 
Né  di  mille  tuoi  colpi  un  fere  il  segno, 

Vibra  pur  Tarme  tuej  faccia  l'estremo 
D'ogni  tua  possa  orgoglio  ed  onestate: 
Nulla  curo  io  se  tuoni  o  pur  saetti. 

G)si  mai  d'amor  lampo  o  di  pietate 
Non  yeggia  Ay  che  speme  il  core  alletti} 
Che  mansueta  lei,  non  fera  io  temo. 

SONETTO  CXXVI. 

È  pia  che  mai  innamoratoi  maei  ne  teme  te  eomeguensef 
che  vorria  non  ee  n*aeeoi^euà  la  eua  donna^ 

Quanto  in  me  di  feroce  e  di  severo 
Fece  natura ,  io  tutto  in  un  raccoglio  ; 
E,  per  mostrarmi  in  volto  aspro  e  guerriero 
Ed  armarne  i  sembianti,  il  cor  ne  spoglio. 

Tal  per  selra  n'andò,  qusd  io  gir  soglio, 
Cervo  con  fronte  minacciosa  altero  ; 
E  non  asconde  in  sé  forza  ed  orgoglio. 
Ma  del  veltro  paventa  e  dell' arciero. 

E  ben  temo  io  chi  morde  e  chi  saetta  ^ 
E  quanto  ella  il  timor  ch'ascondo  in  seno 
Tarda  a  scoprir,  tanto  a  morire  io  tardo. 

Cela ,  Amor ,  ,la  paura  ;  a  te  soggetta 

Sia  l'alma  pur:  ma  non  vietar  ch'almeno, 
Se  chiede  il  cor  mercé,  la  nieghi  il  guardo. 


RIME  AMOROSE  laS 

SONETTO  CXXVII. 
DuoUi  {Pauert  tcriuo  centra  la  sua  donnat  «  Jt  dUdice» 

Ahi!  quale  angue  infernale ,  in  questo  seno 
Serpendo^  tanto  in  lui  veneno  accolse? 
E  clii  formò  le  voci^  e  chi  discìolse 
Alla  mia  folle  ardita  fingua  il  freno  ^ 

Si  che  turbò  madonna  |  e  '1  bel  sereno 
Della  sua  luce  in  atra  nebbia  involse? 
Quel  ferro  cb' Efialte  al  ciel  rivolse, 
Vìnse  il  mio  stile,  o  pareggiollo  almeno. 

Or  qual  arena  sì  deserta,  o  folto 
Bosco  sarà  tra  Palpi,  ov'io  mMnvole 
Dalla  mia  vista  solitario  e  vago? 

O  come  ardisco  or  di  mirare  il  sole, 
Se  le  bellezze  sue  sprezzai  nel  volto 
Della  mia  donna,  quasi  in  propria  imago? 

SONETTO  CXXVIII. 

Qui  farla  della  conanaa  della  ma  D.p  assegnando  tutta 
PmcostanMa  ad  J/nore^  come  a  sua  cagione^  che  fv»- 
costanza  non  è  neW  obietto  f  ma  negli  affètti  del  poeta. 

Queste  or  cortesi  ed  amorose  lodi 
Della  mia  donna,  or  duri  aspri  lamenti. 
Mie  voci  no,  ma  son  d^ Amore  accenti^ 
Dunque  incolpane  Amore,  o  tu  che  Todi. 

Amor,  che  molti  gira  in  varj  modi 
Alla  vita  serena  avversi  venti. 
Tra  gli  occhi  mìei  bramosi  e  i  suoi  lucenti 
Mesce  bfame  e  temenze  e  sdegni  ed  odi. 

Per  questi  che  '1  mio  cor  né*  suoi  sospiri 
Sparge  quasi  vapor*  con  Sol  turbato , 
Veggio  nell*  aria  del  bel  viso  oscura  : 

E  chiamo  ìnstabil  lei,  cangiandMo  stato, 
E  la  chiamo  vèr  me  spietata  e  dura 
Ove  molle  e  pietosa  altrui  rimiri. 


m4  RIBfE  AMOROSE 

SONETTO  CXXIX. 

Iket  du  al  caldo  deOa  sua  />•  pormo  ester  mM  refrigerf 
per  natura  o  per  arie$  Ma  fieifuno  al  tuo. 

Per  temprarne  al  bel  seno^  al  chiaro  viso  9 
Donna  bella  e  gentile  ^  estivo  ardore , 
Spargan  le  penne  di  più  bel  candore 
I  cigni  di  Meandro  e  di  Cefiso; 

E  chi  i  cento  occhi  dd  custode  anciso 
Dipinti  ha  nelle  sue  d'altro  colore; 
E  Pale  proprie  si  dispogU  Amore ^ 
E  si  resti  con  voi  nelr  ombre  assiso. 

E  se  non  basta  ciò,  Zefiro,  intomo 
Spargendo  gigli  e  rose,  in  voi  respiri, 
E!d  ondeggiar  vi  fisicda  il  Crine  adomo. 

Ma  chi  tempra  quel  foco  e  que'  martiri 
Onde  m'ardete  voi  la  notte  e  H  giorno. 
Se  tutte  fiamme  sono  i  miei  sospiri? 

SONETTO  CXXX. 

Cettando  P amore,  mancò  in  hd  P estro  poetico:  ed  assomiglia 
Amore  al  musicop  e  sé  stesso  atta  cetrsu 

Allor  che  né*  miei  spirti  intepidissi 
Quel  eh'  accendeste  voi  soave  foco, 
Pigro  divenni  augel  di  valle  e  roco , 
E  vile  e  grave  a  me  medesmo  io  vissi. 

Nulla  poscia  d'Amor  cantai  né  scrìssi: 
E,  s' alcun  detto  i'  ne  formai  da  gioco, 
N'  ebbi  soomo  talvolta  ;  e  basso  e  fioco 
Garrir,  non  chiaro  e  nobil  carme  udissi. 

Coma  cetra  son  io  discorde ,  o  come 
Lira  cui  dotta  mano  o  rozza  tocchi, 
E  dia  noja  o  diletto  in  vario  suono. 

E  dolce  il  canto  è  sol  nel  vostro  nome;. 
E,  poetando  sol  di  si  begli  occhi, 
Mi  detta  Amor  quant'  io  di  lui  ragiono. 


,  RIME  AMOROSE         -  ao5 

,  Inetto  cxxxi. 

Ducrwe  ia  vittoria  detto  sdegnof  nuràstro  tkUa  ragione, 

$opra  la  umuaUtiu 

S'arma  lo  sdegno,  e  'n  lunga  schiera  e  folta 
Pensier^  di  gloria  e  di  virtù  raccoglie, 
Mentre  ei  per  la  ragion,  la  spada  toglie 
Ch^è  in  lucide  arme  di  diamante  involta. 

Ecco  la  turba ,  già  importuna  e  stolta , 
Sparsa  cader  delle  mscordi  voglie, 
E  de'  miei  sensi  e  di  nemiche  spoglie 
Leggiadra  pompa,  anzi  il  trionfo,  accolta. 

Bellezza  ad  arte  incolta  ,  atti  soavi , 
Finta  pietà,  sdegno  tenace  e  duro, 
E  querele  e  lusinghe  in  dolci  accenti. 

Ed  accoglienze  liete  e  meste  e  gravi. 
Della  nemica  mia  V  arme  già  furo , 
Or  spn  trofei  di  que^  guerrieri  ardenti.         ^ 

SONETTO  CXXXII. 


Cotta  MmUùidiae  del  finca  e  del  finta  tpitfa  eom$ 
mucestero  in  lui  molti  e  molti  amoru 


Voi,  che  pur  numerate  i  nostri  amorì, 
E,  per  saldar  la  mia  ragione  antica. 
Qua!  mi  fosse  benigna  e  qual  nemica , 
E  le  mie  vecchie  colpe  e  i  nuovi  errori; 

Non  ha  tanti  T aprile  erbette  e  fiori. 
Me  questo  lido  e  questa  piaggia  aprica    . 
Ha  tante  arene  ove  più  i  mar  i  unplica , 
Né  tanti  bella  notte  almi  splendori. 

Quante  fur  le  mie  pene  in  breve  gioco, 
E  quante  le  mie  fiamme;  e  '1  cor  nudrille 
Pur  come  fiici  d'un  medesmo  foco; 

E  sparse  un  fonte  sol  le  dolci  stille. 
Ma  non  spense  ^' arsura  o  tempo  o  loco, 
D'Amor  nascendo  Amorì  a  mille  a  miUe. 


i 


«o6  RIME   AMOROSE 

SONETTO  CXXXIII. 

Ikterù»  partieoiarmmu  U Itvarù  ddla  ma  D^t  màombraU^ 

Motto  la  parola  aura. 

Dove  nessun  teatro  o  loggia  ingombra 
La  TÌ8la  lieta  del  notturno  cielo, 
Vaura  si  mostra  senza  benda  o  velo , 
Siccome  stella  suol  che  nulla  adombra. 

Ma  quando  Falba  poi  la  notte  sgombra , 

£  sveglia  t aura  e  me  ch'avvampo  e  1  celo, 

E  si  sparge  per  Paria  il  dolce  gelo, 

E  cantan  gli  augelletti  insieme  all^  ombra  ] 

Le  sorge  incontra  in  più  serena  fronte, 
E  desta  Amor ,  che  ne*  bifolci  inspira 
Desio  di  canto  più  sonoro  e  vago: 

E  se  talor  si  specchia  in  fiume  o  'n  fonte, 
Il  Sol  nelFonde  tremolar  non  mira 
Sì  bella  mai  la  ripercossa  imago. 

SONETTO  CXXXIV. 


Gol  parogon  dd  pmto  spiega  eouié  f  ornar  ddla  sua  I>.  rinomi 
VI  M  $tesao§  ontPa  lui  hatUHa  A  saper  (Pesstre  riamaio. 

Come  vento  eh*  in  sé  respiri  e  tomi , 
L*atira  voi  sete;  e,  se  da  voi  si  move, 
In  voi  raggira  Amor,  né  cerca  altrove 
Più  felici  e  più  chiari,  e  ha  soggiorni. 

E  '1  desio  riede  in  voi  co'  Ueti  giorni ,( 
E  P antico  pensier  coIT erbe  nove; 
E  par  ch'in  voi  rinverda,  a  voi  rinnove 
Tante  bellezze,  e  solo  a  voi  s'adorni. 

E,  mentre  ei  vola  fuor  di  voi  talora. 
Tutto  di  fiamme  e  di  saette  armato. 
Spargendo  dolci  spirti  in  suU' aurora. 

Con  un  sospiro  mi  può  far  beato; 
E  basterà  eh* io  senta,  anzi  ch^io  mora, 
Queste  brevi  parole:  Amante  amato. 


RIME  AMOROSE  aoy 

SONETTO  CXXXV. 

Or  dÌMotlra  U  ritorno  dtWamore  in  tè  stesso  colta 
simUitudiM  del  sole  e  deWeco. 

Siccome  toma  onde  fli  parte  il  Sole, 

Usci  da'  bei  vostr' occhi  un  raggio  altero, 
Ed  illustrò  la  mente  e  '1  mio  pensi^ero, 
E  da'  miei  lum^  avvien  eh'  a  voi  nvole  : 

E;  come  indietro  rimandarlo  sòie 

Ardente  specchio  ch'assomiglia  il  vero, 
11  rendo  a  voi  mentre  languisco  e  pero, 
E ,  in  guisa  d' eco ,  i  detti  e  le  parole. 

Dura  legge  d'Amor!  gli  affetti  miei 
In  VOI  raccendo,  e  sete  oggetto  e  meta 
De'  pensieri  amorosi  o  dolci  o  rei. 

Per  me  non  foste  voi  pensosa  o  lieta  : 
Deh!  si  rivolga  in  me,  quanto  vorm,  ' 
L'amor  che  'n  voi  finisce  e  *n  voi  s'acqueta. 

SONETTO  CXXXVI. 

Astomiffia  la  sua  donna  aWauraf  e  però  conchktde  che 
brama  riceverla  àUnen  di  passaggio. 

V  aura  che  dolci  spirti  e  dolci  odori 
Porte  dall'Oriente  ov^ella  nacque. 
Perchè  tra  verdi  fronde  e  lucid'  acque 
E  fresche  erbette  spiri  e  lieti  fiori, 

E  rinnovi  i  suoi  primi  e  vaghi  errori 
Lungo  le  rive  onde  m'accese  e  piacque. 
Mai  vèr  me  non  si  volse,  e  mai  non  giacque 
In  parte  ove  temprasse  i  nostri  ardori: 

E  se  non  è  chi  la  ritenga  o  coglia 
Mentre  ai  turba  il  sole  e  fa  sereno, 
E  mentre  il  bosco  si  riveste  e  spoglia, 

Or  qui  si  desti  mormorando  almeno 
Tra  vivi  fonti  e  lauri,  ov'io  l'accoglia 
Nel  suo  passar  veloce,  e  l'apra  il  seno. 


aoB  RIME   AMOROSE 

SONETTO  CXXXVIL 
Stguendo  a  §^ur%ar  su  Paura  oer  Laura,  pria  duhUa  con 
che  rete  e  dovepoua  prenderla  f  poi  i  avvede  ch*^  tenia 
coea  da  uom  ftmo  e  nimico  di  pace. 

Di  che  Stame  ordirò  la  vaga  rete 
Onde  taura  fugace^  Amore ^  annodi , 
Mentre  fugge  T insidie  e  spezza  i  nodi, 
£  le  sue  fiamme  accende  e  la  mia  sete? 

D'alte  querele  forse ,  o  di  secreto? 
Di  soavi  lusinghe  e  care  frodi? 
O  di  lagrima  sparse  in  dolci  modi  ? 
O  di  rime  dolenti,  o  pur  di  liete? 

Dove  fia  teso  il  laccio?  ove  dispiega 
Le  belle  chiome  al  vento  un  lauro  ombroso , 
O  pur  tra  Ferbe  di  smeraldo  ascoso? 

Ahi  nemico  è  di  pace  e  di  riposo 

Chi  tende  a  taura^  e  chi  la  canta  e  pr^a, 
E  sé  medesmo  solo  avvolge  e  lega. 

SONETTO  CXXXVin. 
A  Laura  Pmrarap  dedicandoU  una  raccolta  di  rime, 
yorria  pausar  Pamor  suo  in  essey  le  quaH  chiama  susy 
non  perch^ei  le/àcessep  ma  perche  le  raccolse. 

Laura,  del  vostro  lauro  in  queste  carte 
Molti  germi  ve^Mo,  molti  cultori; 
Ma  più  vago  ei  verdeggia  in  mezzo  a*  cori, 
E  coltivato  v*è  con  più  belParte. 

E  se  potesse  a*  bei  vostri  occhi  in  parte, 
Com*  egli  è  dentro ,  dimostrarsi  fuori  , 
Mille  rami  vedreste,  e  mille  Amori 
Gir  adunando  le  sue  fronde  sparte. 

Tutti  io  non  posso  discoprirvi  appieno, 

ISfè  pur  quel  sol  che  dentro  Palina  'H  tegno, 
In  cui  A  fisse  ha  V  alte  sue  radici. 

E  U  vorrei  palesar  ne'  miei  felici 

Frutti,  che  non  uscir  di  questo  ingegno, 
Ma  sono  miei,  perchè  gli  scelsi  almeno. 


RIME  AMOROSE  aog 

SONETTO  GXXXIX. 

Spiega  che  sia  amorti  quindi  dimostra  Perror  suo  ad  un  amico, 
coii/òrtandolo  a  ricorrere  alia  ragione  per  uscir  di  pene. 

Amor  col  raggio  di  behà  s* accende^ 
Che  si  spàrge  in  colorì  e  'n  voce  spiega  ^ 
Ey  s*or  promette  bella  donna,  or  nega, 
Vigor  da  speme  e  da  timor  ei  prende. 

Siede  nel  cor  quasi  in  sua  reggia ,  e  splenda 
Negli  occhi,  e  là  ci  spinge  ove  ci  piega 
Natura^  e,  s'uomo  a  lui  fa  voti,  e  1  prega 
Come  suo  Dio,  soverchio  onor  gli  rende. 

Tu ,  se  pur  cerchi  al  viver  tuo  sostegno. 

Prendilo  da  Ragion ,  che  contra  Amore  ,  ' 

Quasi  contra  nemico,  annata  viene: 

Ella  corregga  ogni  tuo  vano  errore , 
£  s*  armi  seco  un  suo  guerriero  sdegno , 
Che  1  penoso  tuo  cor  tragga  di  pene. 

SONETTO  CXL. 

Brama  d'esser  converso  in  cane,  dacché  la  tua  D»  più 

stima  la  fé  di  queW  animale ,  che  la  sua, 

È  vostra  colpa ,  Donna ,  o  mia  sventura  , 
Che  nel  fido  animale  a  me  soggetto 
La  fede  amiate,  e  nel  fedel  mio  petto 
Gabbiate  a  sdegno,  ov'è  sì  bella  e  pura? 

Ed  io  rho  per  ragione,  ei  per  natura }      j 
/  Pur  egli  v^  è  si  caro ,  io  si  negletto  : 
Egli,  nutrito  di  pietoso  affetto, 
Di  pascer  le  mie  voglie  alcun  non  cam*   - 

Ma  s'alia  fede  mia  cotanto  nuoce 

Quel  suo  lume  immortale  onde  s'informa, 
Bench'egli  sia  del  Ciel  sì  pobil  dono. 

Deh  !  potess'  io  di  can  prender  la  forma , 
E,  lusingando  omai  con  altra  voce. 
Chieder  pietà ,  di  cui  sì  degno  io  sono. 

Tasso,  P'ol.  IV.  i4 


aiQ  RIME  AMOROSE   . 

SONETTO  CXU. 

Fa^a^pma  gU  occhi  mfèrmi  ddta  gua  Diagli  oitri  caperli 
wk  nuUi  e  fnrgà  Amore  che  U  risani, 

I  diiaii  lumi  onde  U  divino  Amore 
Io  due  zaffiri  sé  medesmo  accende  ^ 
Simili  a  quei  che  'n  cielo  adomi  ei  i^ide| 
Or  nube  copre  di  sanguigno  umore: 

Nube  vaga  e  crudel,  crudele  ardore^ 
Siccome  è  F  altro  onde  purpureo  splende 
Alcun  pianeta,  e  'n  oriente  ascende 
Che  sparso  è  di  rosato  aureo  colore. 

Ma  pur  chi  tinge  il  rugiadoso  velo 
Delle  stelle  terrene?  e  '1  nuovo  aspetto 
Che  ci  annunzia  di  mesto  e  d^  infelice  2 

Deh!  se  le  gira  Amor  come  suo  cielo , 
£i  le  sereni  j  e  queti  il  nostro  petto 
La  bella  luce  angelica  e  beatrice. 

SONETTO  CXLII. 

A  Laura  Peperara,  vwiandale  cerUpoe^,  Allude  atta 

favela  del  (auro  e  al  moMo  eh*  esso  figura. 

in  queste  dolci  ed  amorose  rime. 

Laura,  vedrete  il  vostro  lauro  impresso, 
Più  caro  della  palma  e  del  cipresso 
£  d^ogni  altro  .ch^  al  cielo  alzò  le  cime. 

E  non  è  pianta  che  si  pregi  e  stime 

Tanto  in  Parnaso,  lungo.il  bel  Permesso; 
Né  sulle  rive  del  suo  fiume  istesso 
Tanto  ei  piacea  nelle  sembianze  prime: 

£  verdeggia  di  lui  selva  si  bella. 

Che  m^  invaghisce  ]  e  coro  amico  e  lieto 
In  compagnia  d'Amor  vi  canta  all'ombra 

Che  fa  d'un  ramo  la  maggior  facella; 
E  '1  vago  ed  odorìfero  laureto 
Io  vi  consacro  che  U  mio  core  ingombra. 


RIME  AMOROSE  311 

SONETTO  GXLllI. 

Per  ia  tieyperaia  sanità  di  Laura  Peperara.  Mtla/òrìcammU 
par  lauro  inlauU  la  sua  danna. 

Secco  era  quasi  P  odorato  alloro 

Da'  cui  già  trasse  Amor  tante  faville  ; 
£  si  spargeano  i  prieghi  a  mille  a  mille , 
E  mille  occhi  piangeano,  e  i  miei  con  loro. 

Ma,  scolorir  vedendo  il  suo  tesoro, 
Due  luci  si  turbar  cosi  tranquille , 
£  versar  cosi  pure  e  vaghe  stille, 
Che  fur  più  b^Ue  della  pioggia  d^oro. 

Oh  dolce  pioggia  d! amoroso  pianto! 
Cristalli  e  perle,  da'  celesti  lumi 
Lascivo  amor  non  vi  spargea ,  ma  santo. 

Così  nnverde  fra  rugiade  .e  fiumi 

Il  vivo  buro,  e  stanno  all'ombra  intanto 
Valor,  senno,  bellezza,  alti  costumi. 

SONETTO  CXLIV. 

iÀfda  un  ricamo  detta  sua  D.,  dubitando  jnia  se  quello  Josse 
un  pratap  e  poi  assomigliandolo  al  cielo  sparso  di  stelle, 

O  bella  man,  che  nel  felice  giorno, 
Fra  preziose  genime  e  dolci  odori , 
Il  serico  trapunto  e  i  nostri  cori 
Passavi  insieme  e  saettavi  intorno; 

Quando  pria  rimirai  nel  seno  adorno 
Le  variate  forme  e  i  bei  colori , 
È  prato,  dissi,  d'odorati  fioii 
Questo  ch'agli  altri  fa  vergogna  e  scorno. 

Pur  mi  raccolsi,  e  nel  leggiadro  velo 
Io  riconobbi  hi  mirabil  arte, 
E  d' angelica  man  1'  opra  ingegnosa  , 

Simile  a  quella  che  figura  in  cielo 

Tante  immagini  vaghe,  e  ben  comparte 
Le  chiare  stelle  ueUa  notte  ombrosa. 


\ 


aia  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CXLV. 

Prtgn  Jmor§  che  cessi  di  nuotHunenU  tarmentarìo  •  ttafiggtrio, 
con/èitandoMi  già  tnnto  e  a  ud  soggetto^ 

Perchè  tormenti  il  tormentoso  petto , 
E  pur  trafiggi  il  mio  tradito  core? 
Perchè  le  pene  colle  pene,  Amore, 
E  1  dolor  cresci  col  dolente  affetto? 

Perchè  giungendo  vai  con  tuo  diletto 
Piaghe  alle  piaghe  ed  all'ardore  ardore? 
Perchè  raddoppi  i  colpi  e  1  tuo  furore, 
Ch^io  per  morir  con  men  vergogna  aspetto? 

Non  esser  di  pietà ,  fanciul ,  si  parco  ; 
Che  non  ho  loco  da  ferite  nove, 
£  'ndegna  è  cPoom  già  vinto  altra  vittoria. 

Te  seguitiamo,  e  siam  tua  preda:  altrove 
Spendi  omai  le  saette  e  tendi  Parco; 
Coè  '1  salvar  F  innocente  è  vera  gloria. 

SONETTO  CXLVI. 
paria  delPamar  che  faccende  per  reflesdone  come  UJòco 
degli  specchi f  poi  si  paragona  allo  specchio  stesso^  ami 
iBoe  dr  esser  gtà  convertito  in  specchio  e  injònie, 

Qual  da  crislallo  lampeggiar  si  vede 
Raggio  clì^  accender  suole  esca  repente , 
Tal  de*  begli  occhi  vostri  il  lume  ardente , 
Ch'  a  me  da  voi  risplende ,  a  voi  sen  rìede. 

Specchio  son  io ,  di  beltà  no ,  di  fede , 
Puro  ed  informe;  e  sol  a  voi  presente       ^ 
Fatto  sono  da  voi  bello  e  lucente 
Della  vostra  beltà  che  mia  si  crede. 

E ,  se  non  oh^  assai  spesso  il  duol  la  fronte 
Mi  turba ,  e  turba  in  me  la  vostra  imago , 
M'arderian  fiamme  più  vivaci  e  pronte. 

Ma  I  qualunque  io  mi  sia ,  torbido  o  vago , 
Son  vostro  specchio  e  lagrimosa  fonte  ; 
Oh  miracol  a  Amor,  possente  mago! 


tllME  AMOROSE  ii3 

SOLETTO  CXLVII. 

kUponde  ad  un  sonetto  del  Malpiglio  che  Vavea  chiamaio 
Apollo  i  e  dice  esser  Amore  che  lo  inspira. 

iPercliMo  Laura  pur  segua  ^  e  vfeì  mio  pianto 
La  preghi  mentre  fugge  altera  e  presta,        ^ 
Non  sono  Apollo  con  terrena  vesta, 
Che  Peneo  vide,  e  vide  Anfrìso  «  Xantol: 

Né  d^ entrar  nel  suo  speco  ancor  mi  vanto, 
Se  '1  futuro  predice  e  manifesta  j 
Ma,  se  mai  lagriroando  Amor  si  desta, 
Quel  clipei  spira,  Ma][piglio,  io  scrivo  e  canto* 

Egli  dettava  già  soavi  accenti 

QuandMo  sul  Po  te^sea  verdi  ghirlande} 
£  nuove  rime  egli  formò  pur  dianzi 

Là  've  tra  gelide  wquef  e  sacre  ghiande 
Pascer  forse  potrian  le  pure  menti 
Fole  più  dolci  degli  altrui  romanzi. 

SONETTO  CXLVIII. 
Sendo  postò  il  i.^  di  maggio  un  albero  alla  porla  ddla 
sua  D.f  assomiglia  a  quello  le  sue  speTanUt   ^  '*<''* 
ponno  durare  senjta  reciprocità  d'amore» 

Quest'arbor  eh' è  traslato  al  novo  maggio, 
Lasciando  i  larghi  campi  e  1'  alte  rive , 
Frondeggia  a  voi  sulF  alba ,  e  pur  non  vive  ; 
Ma  consola  il  morir  col  vostro  raggiò. 

In  me  troncaste  e  con  più  grave  oltraggio 
Voi  le  speranze ,  e  soiT  di  vita  or  prive , 
E  non  spiegano  i  rami  all^aure  estive. 
Né  ponno  verdeggiar  guai  pino  o  faggio: 

Né  basta  il  vento  lor  de  miei  sospiri  ^ 
Né  del  mio  piànto  F  amorosa  pioggia  , 
Né  '1  vostro  Sol , .perchè  risplenda  e  giri) 

Né  cresceranno  in  disusata  foggia 

Tra  quel  lume  sereno  e  À  miei  desirì , 
Se  ramo  in  lauro  non  s^  innesta  e  poggia. 


3i4  Ri^IE  AMOROSE 

SONETTO  CXLIX. 

SuUo  sUsMO  toggitlo,  AsMOtmmìia  V  albero  fnantaio  innanzi  alla 

porta  della  tua  D.  a  Cnzia  che  ti  volge  verto  il  tote. 

• 

Già  (lifendesti  con  ramose  braccia, 
Frondosa  pianta  ,  V  erbe  e  le  viole 
In  verdi  piagge  o  ^n  selve  ombrose  e  sole 
Quando  Y  aria  si  scalda  e  quando  agghiaccia 

Or  credo  ben  che  di  mutar  ti  piaccia 
Paese  e  stanza  ;  e ,  come  tCIiada  suole  y 
Sei  tu  per  grazia  vòlta  al  nuovo  Sole 
Che  le  tenebre  mie*  disperde  e  caccia , 

Ed  alla  bella  porta  a  cui  dMntomo 

Sparge  sua  luce:  e,  sMo  lei  veggio  aprirli, 
Stimo  men  chiara  quella  oiufesce  il  giorno 

Né  se  cambiar  mille  amorosi  spirti 

Potesser  le  sembianze  al  bel  soggiorno, 
Sempre  verdeggeranno  i  lauri  e  i  mirti. 


SONETTO  CL. 


tue  fwU  a  Licori  f  . 


ch^or  quinci  scherzi,  or  quindi  vole 
'1  verde  crin  de^  mirti  e  degli  allori, 


Prffp  Inaura  che  porti  i  tuoi  totmri  e  le  à 
e  r  invita  a  rapir  dalla  bocca  ai  e$ta  gli  odori  pia  toa$fù 

Aura, 
Fra 

E,  destando  ne^  prati  i  vaghi  fiori. 
Con  dolce  furto  un  caro  odor  nMnvole; 

Deh!  se  pietoso  spirto  in  te  mai  suole 
Svegliarsi  ^  lascia  i  tuoi  lascivi  errori , 
E  colà  drizza  V  ali  ove  Licori 
Stampa  in  liva  del  fiume  erbe  e  viole  : 

E  nel  tuo  molle  sen  questi  sospiri 
Porta,  e  queste  querele  alte  amorose 
Là  've  già  prima  i  miei  pensier  n^andaro. 

Potrai  poi  quivi  alle  vermiglie  rose 
Involar  di  sue  labbra  odor  più  caro, 
E  riportarlo  in  cibo  a'  miei  desirì. 


»    ^ 


RIME  AMOROSE  uS 

SONETTO  CLI. 

tfarra  cóme,  volendo  Uberarn  d^un  amorCf  n  troi^  molto  in 
un  titrof  senta  che  na  punto  acemato-V antico» 

U incendio,  onde  tai  raggi  iisdr  già  Tore, 
Rinchiuso  è  ben,  ma  in  nulla  parte  spento} 
E  per  nova  beltà  nelPalma  sento 
Svegliarsi  un>  novo  inusitato  ardore. 

Serve  indiviso  a  due  tiranni  il  corej 
A  varj  oggetti  è  un  pensier  fermo  e  intento} 
E  per  doppia  cagion  doppio  è  H  tormenta 
Chi  mai  tai  meraviglie  udio  d'Amore? 

Lasso  e  stolto  già  fui  quando  conversi 
Incontra  'i  ciel  Tarmi  di  sdegno,  e  volsi 
Trionfar  di  colui  che  sempre  vinse: 

Che,  s' allora  un  sol  giogo  io  non  soffersi, 
Or  due  ne  porto 3  e,  s'un  lacciuolo  i'  sciolsi^ 
Quegli  ordio  nuovo  nodo ,  e  '1  vecchio  strinse. 

SONETTO  CUI. 

Un  bacio  gU  dknMe  U  core  in  due$  un  altro  gUd  ditate  vt 
olire  due  parti:  onde  brama  riunirio  colParte  stesta  cha 
fu  diinsof  e  quandi  lasciarlo  in  un  sol  loco» 

Dal  vostro  sen,  qual  fuggitivo  audace. 
Corso  al  varco  odorato  era  il  mio  core , 
Quando  fra  dolci  spirti  e  dolce  umore 
Un  bacio  attrasse  il  prigìonier  fugace. 

Parte  n^  attrasse  sol  3  perchè  tenace 
Parte  in  voi  ne  ritenne  antico  amore 
Fra  '1  mei  natio  de  Funo  e  F altro  fiore, 
Ond*  ei  suo  visco  inestrìcabil  face. 

Pur  novo  baciò  poi ,  la  tronca  parte 
Ritroncando,  ubò  la  più  gradita 3 
L'altra  languendo  in  voi  misera  stassi. 

Deh!  fia  mai  ch'io  '1  Raccolga,  e  con  quest^arte 
E  poi  coir  alma  in  uti  sol  loco  il  lassi, 
Come  spira  ne'  morsi  ape  la  vita? 


aiG  RIME   AMOROSE 

SONETTO  CLIII. 

Ducisi  che  la  gelosia  turbi  U  tue  amoroH  dolcezze,  e  si 
mara$>igita  cornatila  poua  accrescer  V amore. 

Quel  puro  ardor  che  dai  lucenti  giri 
Dell*  anima  immortale  in  me  discese  ^ 
Sl^  soave  alcun  tempo  il  cor  m'accese^ 
Cbe  nel  pianto  gioiva  e  ne*  sospiri. 

Come  minacci  Amor,  come  s' adiri , 
Quali  sian  le  vendette,  e  quai  F offese , 
Per  prova  seppi  allor,  né  più  s*  intese 
Cbe  beassero  altrui  pene  e  martiri. 

Or,  ch'empia  gelosia  s'usurpa  il  loco 
Ove  sedeva  Amor  solo  in  disparte, 
E  fra  le  dolci  fiamme  il  ghiaccio  mesce, 

M*è  r  incendio  nojoso,  e  1  dolor  cresce 

Si  eh* io  ne  pero,  alii  lasso!  Or  con  quale  arte. 
Se  temprato  è  dal  gel,  più  m*arde  il  foco? 

SONETTO  CLIV. 
Tornando  la  sua  D.  in  diià.  La  dice  degna  che  cielo  e 
natura  le  sieno  jjropixj  f  e  brama  guidar  il  suo  carro  f 
dottsse  pur  morire  per  Vincendio  di  sua  BeUèu 

Or  che  riede  madonna  al. bel  soggiorno. 
Chi  la  difende  dall'estiva  arsura? 
O  qual  frondoso  calle  o  selva  oscura 
Le  rose  adombra  ond*  è  quel  viso  adomo  ? 

Ben  ella  è  degna  a  cui  di  nubi  intorno 
Umide  e  fresche  tessa  un  vel  natura, 
E  stilli  il  ciel  pioggia  più  dolce  e  pura, 
E  desti  l'aure,  e  tempri  il  caldo  giorno: 

Degna  ch'essendo  il  Sol  nell* orizzonte 
Cinto  di  raggi,  da*  sentieri  usati 
Torca  il  gran  carro,  sol  per  farle  onore. 

Ma  '1  suo  chi  regge  per  x:ampagne  e  prati  ? 
Oh  pur  foss'io,  ma  con  tua  pace.  Amore, 
L' Autumedon  un  giorno ,  e  poi  Fetonte  ! 


RIME  AMOROSE  217 

SONETTO  CLV. 

in  riaposta  ad  Annib,  PocaUrra,  Le  parole  V  aura ,  V  aura 
yiiaìfonno  credere  si  alluda  a  D,  Leon.  Sancitale. 

L^aura  soave,  al  cui  spirar  respira 
E  gioisce  il  tuo  cor  nel  foco  ardente, 
La  dolcezza  onde  pasce  Amor  la  niente 
Indi  sparge  nel  canto,  e  placa  ogn^ira: 

Né  mai  figlia  del  Sol  che  nasce  e  gira 

Col  padre ,  e  muore  al  suo  cader  sovente , 
Si  placida  vèr  noi  dalP  Oriente 
Tra  mille  odori  mormorando  spira. 

Ma  se  V  aura  vital ,  V  aura  serena ,    - 
Che  le  procelle  e  le  tempeste  acqueta, 
E  i  vaglìi  accenti  tuoi  rende  più  chiarì , 

A  me  si  volge,  addolcirà  la  pena, 
E  faremo  armoma  dolente  e  lieta 
Di  spirti  dolci  e  di  sospiri  amari. 

SONETTO  CLVI. 

Confifria  la  sua  D.  a  non  esser  gelosa,  che  non  ne  ha 
cagione,  né  fredda  neWamare, 

Sdamate,  vita  mia,  perchè  nel  core 
Tema  e  desire  è  nell^istesso  locol' 
Se  Funo  affetto  è  gelo,  e  T  altro  è  foco ^ 
D  ghiaccio  si  dilegui  al  vivo  ardore. 

Me  in  petto  giovenil  paventi  Amore , 
Né  ceda  nel  suo  regno  a  poco  a  poco 
Gelida  amante,  e  non  prendiate  a  gioco, 
Come  i  vostri  diletti ,  il  mio  dolore. 

Io  tutto  avvampo;  •  voi  credete  a  pena 
Che  si  riscaldi  agli  amorosi  rai 
Quel  possente  voler  che  nulla  affìrena. 

Gran  feae  e  moderato  ardire  omai 

Voi  dMnganno  fuor  tragga  e  me  di  pena, 
Purch^io  gioisca,  quanto  già  spcfraL 


ai8  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CLVII. 

MìmpinHfera  la  ma  D.  éPaytr  rùfoUo  IPamorf 
a  mai  degno  oggetto. 

Amor  non  è^  che  si  descriva  o  conte, 
Maggior  di  quello  onde  m'ardete  il  core^ 
K  ben  dell'alma  il  volontario  ardore 
Vi  dimostrai  negli  occhi  e  nella  fronte, 

E  tutte  l'opre  a  riverirvi  pronte, 
E  le  parole  intente  a  farvi  onore; 
Né  darvi  pegni  di  verace  amore 
Potea  più  certi:  e  n'ebbi  oltraggi  ed  onte 

Quando ,  sprezzata  grande  e  chiara  fiamma , 
Tanto  gradiste,  per  fallace  segno, 
Di  nuovo  amante  oscuro  e  picciol  foco. 

Crudeli  d'uom  che  si  strugge  9  aramma  a  dramma 
Perchè  mille  sospiri  avere  a  sdegno, 
E  sospirar  per  chi  se  '1  prende  a  gioco  ? 

SONETTO  CLVm. 


Duerwt  la  beltà  delia  iua  D.  ;  pur  dice  che  le  parole  di  lei  gli 
ferirono  il  core  ben  più  the  noafice  U  suo  bel  volto. 

Sull'ampia  fronte  il  crespo  oro  lucente 

Sparso  ond^g^ava,  e  de'  begli  occhi  il  raggio 
Al  terreoo  adducea  fiorito  maggio, 
E  luglio  ai  cori  oltra  misura  ardente: 

Nel  bianco  seno  Amor  vezzosamente 

Scherzava,  e  non  osò  di  fargli  oltraggio  3 
E  l'aura  del  parlar  cortese  e  saggio 
Fra  le  rose  spirar  s'  udia  sovente. 

Io ,  che  forma  celeste  in  terra  scòrsi , 

Rinchiusi  i  lumi,  e  dissi:  Ahi,  come  è  stolto 
Sguardo  che  'n  lei  sia  d' affisarsi  ardito  ! 

Ma  del  rischio  minor  tardi  m'accorsi, 
Che  mi  fu  per  l'oreccliie  il  cor  ferito, 
E  i  detti  andaro  ove  non  giunse  il  volto. 


RIME   AMOROSE  119 

SONETTO  CLIX. 

ffel  riiomo  4ld  cameindej  auondetia  le  proffrìe 
immaginasàoni  atte  maschere. 

Riede  la  slagion  lieta;  e 'n  varie  forme , 
Sotto  non  vaghi  aspetti^  i  vaghi  amanti 
Celan  sé  stessi,  e  sotto  il  riso  i  pianti, 
Seguendo  di  chi  fugge,  incerti,  Forme. 

Io,  come  vuole  Amor  che  mi  trasforme, 
Mi  vesto  ad  or  ad  or  nuovi  sembianti, 
E  mille  larve  a  me  d'intorao  erranti 
Veggio  con  dubbio  cor  clie  mai  non  dorme: 

Con  queste  parlo  e  piango  e  canto  e  scrìvo, 
Or  di  speranza  pieno  ed  or  d'orrore; 
Ed  or  prendo  la  spada,  or  la  faretra. 

Mottu,  dentro  e  di  fuor,  presente  e  vivo, 
Mi  sei  crudel;  ma  pur  ti  placa  Amore, 
Che  forse  grazia  de   miei  lalli  impetra. 

SONETTO  CLX. 
JRiconotce  la  sua  domuif  benché  ignobilmente  masduraUu 

Chi  è  costei  ch'in  si  mentito  aspetto^ 
Le  sue  vere  bellezze  altrui  contende? 
E,  in  guisa  d'uom  eh' a  nobil  preda  intende, 
Occulta  va  sott'un  vestir  negletto? 

Se  '1  ver  meco  ne  parla  un  nuovo  affetto 
Ch'in  virtute  d'Amor  ragiona  e  intende,^ 
Quest'è  colei  ch'invola  i  cori,  e  prende 
MilTalme,  aprendo  ogni  più  chiuso  petto. 

E  ben  veggi'  or  come  soave  e  chiara 
Mova  la  vista  insidiosa  e  '1  suono 
Che  produce  frd  noi  sormo  ed  obblio: 

Aspro  costume  in  bella  donna  e  no. 

Che  dentro  al  regno  sol  d'Amor  s'impara. 
Voler  di  forte  il  cor,  s'io  l'oSì^o  in  dono. 


2^o  RIME   AMOROSE 

SONETTO  CLXI. 

Non  attendo  tonoiciuta  la  sua  D.  matcherataf  ne  reca  la 
cagione  all'essere  staio  abbagliata  dc^suoi  occhL 

Eran  velati  i  crespi  e  biondi  crini  ^ 
E  '1  bel  vermiglio  e  '1  candido  colore^ 
E  la  bocca  che  spira  un  dolce  odore 
Fra  perle  orientali  e  fra  rubini. 

E  breve  spazio  dentro  a^  suoi  confini 
Rinchiudea  maestà ,  grazia  ed  onore  3 
E  solo  in  voi  si  discopriva  Amore, 
E  da  voi  saettava ,  occhi  divini. 

E  tanto  m^ abbagliò  la  vista  ardita. 
Che  pien  di  maraviglia  e  pien  d^obblio 
Non  conobbi  lo  strai  né  la  ferita. 

Lasso!  deh,  chi  m^nganna^  allor  diss^io, 
Lumi  sereni  della  oscura  vita? 
S^  erro ,  vostra  è  la  colpa ,  e  '1  danno  è  mio. 

.   SONETTO  CLxil. 
Sid  medesimo  soggetto. 

Quel  dì  che  la  mia  donna  a  me  s^  offerse 
Sotto  mentite  larve  ad  arte  incolta , 
Non  la  conobbi  in  quella  guisa  involta 
Quando  gli  occhi  leggiadri  in  me  converse: 

Ch'alio  splendor  fui  vinto,  e  noi  sofferse 
L'alma  chMn  lei  s'è  trasformata  e  volta j 
E  l'alma  luce,  in  sé  medesma  accolta, 
Ne'  suoi  raggi  s' ascose  e  ricoperse. 

O  pur  Amor,  che  h  rivolge  in  giro, 
Prese  nove  sembianze  e  novi  inganni. 
Volle  a  me  far  siccome  agli  altri  ei  suole. 

Era  finto  l'andare  e  i  passi  e  i  panni, 
E  vera  la  vergogna,  ondMo  sospiro 
Me  stesso  e  Id  che  mi  fé'  cieco  al  Sole. 


\ 


RIME  AMOROSE  121 

SONETTO  CLXIII. 

Per  ia  sua  D,  che  comparve  ad  una  Jhsla  notturna.  Lei  chiama 

Solej  imagini  hUe  e  larve  le  maschere. 

Era  la  notte,  e  sotto  il  manto  adorno 
Si  nascondeauo  i  pargoletti  Amori  j 
Né  giammai  nelP  insidie  i  nostri  cori 
Kbber  più  dolce  offesa  e  dolce  scorno: 

£  mille  vaghi  furti  insino  al  giorno 
Si  ricoprian  fra  tenebrosi  orrori^ 
K  con  tremanti  e  lucidi  splendori 
Mille  immagini  false  errando  intorno. 

Né  U  seren  puro  delia  bianca  luna 
Nube  celava,  od  altro  oscuro  velo, 
Quando  alta  donna  in  lieto  coro  apparve, 

Ed  illustrò  eoa  mille  raggi  il  cielo; 
Ma  qucUe  non  sparir  colTanra  bruna. 
Chi  vide  al  Sol  più  fortunate  larve? 

SONETTO  CLXIV. 

Per  la  sua  />.  che  ad  una  fèsta  portava  la  masdiera  so* 
spesa  a  un  uelo.  Dice  che  la  maschera  di  lei  era  V  a- 
spetto  umanOf  sendo  dia  cosa  celeste. 

Nudo  era  il  viso,  a  cui  s' agguaglia* invano 
Opra  di  Fidia,  o,  già  per  fama  intesa. 
Quella  a  cui  vita  fu  la  fiamma  accesa; 
K  nuda  ancor  la  bella  e  bianca  mano. 

Jùd  ella  dir  parca:  Dal  ciel  sovrano ^ 
Per  meraviglia ,.  sono  a  voi  discesa^ 
£  r immagine  porto  al  vel  sospesa, 
Perebbe,  in  vece  di  larva,  aspetto  umano.  -^ 

E,  per  temprare  i  raggi  e  1  vago  ardore, 
Clìiudéa  gii  occhi  ed  apriva;  ed  era  intanto 
Cortese  il  sonno,  e  più  cortese  Amore; 

Cortese  il  suo  bel  velo  e  1  caro  guanto  ; 
Né  sol  cortese,  ma  pietoso  il  core* 
Nell^ altrui  riso:  or  che  sarà  nel  pianto? 


X 


laa  EIME  AMOROSE 

SONETTO  CLXV. 
9^,  U  ion.  XXXlIf   U  guai  non  differisce  gran/kUo  dal 
pregenU.  Questo  Jit  contentato  dal  Tasso  f  quello  Ju  giù- 
dkato  pel  pia  beilo  eh'  ei  facesse  dai  Puhbuco» 

Già  solevi  parer  vermiglia  rosa 

Ch'a*  dolci  raggi,  allo  spirar  dell' óra , 
Rinchiude  il  grembo^  e  nel  suo  verde  ancora 
Verginella  s'asconde  e  vergognosa. 

0  mi  sembravi  pur  (cbè  mortai  cosa 
Non  assomiglia  a  te)  celeste  Aurora 

Che  le  campagne  imperla,  e  i  monti  indora'^ 
Lucida  in  ciel  sereno  e  rugiadosa. 

Ma  nulla  a  te  P  età  men  fresca  or  toglie  ^ 
Né  beltà  giovenile  in  dianto  adorno 
Vince  la  tua  negletta ,  o  la  pareggia. 

0>sì  più  vago  l'odorate  fogfie 

Il  fior  dispiega  ;  e  '1  Sole  a  mezzo  il  giorno 
Via  più  che  nel  mattino  àrde  e  fiammeggia. 

SONETTO  CLXVI. 

Desidera  cedere  in  qualunaue  modo  ta  sua  D.^  benchfeUa 
si  mostri  aairaia  e  crudele 

D'aria  mi  tempo  nudrimmi;  e  cibo  e  vita 
L'aura  mi  fu  che  d'un  bel  volto  spira; 
Or  che  lei  mi  contende  orgoglio,  ed  ira, 
Di  oual  esca  sarà  l'alma  nucuita? 

1  famelici  spirli  invano  aita 

Chiamano,  e  'nciarno  il  cor  langue  e  sbspira- 
Ma,  se  pur  l'empia  a  darle  morte  aspira, 
Muoja  non  per  digiun,  ma  per  ferita. 

Armi  gli  occlv  di  sdegno,  e  strali  avventi 
A  mille  a  mille:  a'  feri  colpi  ignuda 
Io  porgo  l'alma,  non  ch'inerme  il  seno. 

Faccia  il  mio  strazio  i  suoi  desir  contenti; 
Ben  fia  ,  pietà  eh'  io  la  rìveggia  almeno , 
Non  dico  pia  y  ma  disdegnosa  e  cruda. 


RIME   AMOROSE  m3 

SONETTO  CLXVJI. 

Ifarm  come  un  inceniUo  notturno  Joue  presagio 

del  suo  amore, 

Ardeaiio  i  tetti  ;  e  U  fumo  e  le  faville 
Rote  faceano  e  tenebrosi  giri: 
E  'ntanto  io  spargea  fuor  caldi  sospiri 
Al  rimbombar  delle  sonore  squille. 

Quando  sembianze  placide  e  tranquille 
L'alto  incendio  destar  de'  miei  desiri: 
Cd  or,  dovunque  gli  occhi  o  1  piede  io  giri^ 
Miro  i  W  raggi  sparsi  a  mille  a  mille. 

Così  presagio  d^  amoroso  ardore 

Fu  quel  notturno  foco;  e  la  mia  fiamma, 
Già  mancando  F altrui,  s'accese  e  crebbe. 

Né   d'avvampar,  né  di  pregar  mainerebbe: 
Sì  piace  il  modo  onde  un  sol  petto  infiamma 
Con  tante  faci  e  con  nova  arte  Amore. 

SONETTO  CLXVIIL 

Sld  medesimo  soggetto,  OmMudè  pregando  il  deh  che 
P  incendio  non  rechi  offésa  alia  sua  donna. 

Tra  Tempie  fianmie  agli  occbi  miei  lucente 
La  mia  si  bella  appare  e  sì  pietosa,  - 
Come  al  partir  d^  oscura  notte  ombrosa 
Vidi  purpurea  luce  in  Oriente  : 

O  come  al  tempo  già  di  Troja  ardente 
Elena  tacque  sospirando  ascosa, 
Che  le  faci  infiammò ,  rapita  sposa , 
Piena  la  terra  e  '1  mar  di  fera  gente. 

Sante  luci  del  ciel,  non  faccia  oltraggio 
Ingiurioso  foco  al  biondo  crine, 
Od  alle  rose  in  lei  eh'  invidia  il  maggio  ; 

Me  strugga  le  sue  bianche  e  fresche  brine: 
E ,  s' in  me  pur  s' accende  il  dolce  raggio , 
Non  s'estingua  il  mio  foco  anzi  il  mio  fine. 


304  RIME   AMOROSE 

SONETTO  CLXIX. 

Sehben  lungi  daUa  sua  donna  f  si  conserva  ed  ami 
s'accresce  in  lui  V amore. 

Amai  vicino;  or  ardo,  e  le  faville 

Porto  nel  seno ,  onde  s^  infiamma  il  foco  : 
E  non  r  estinguerìa  tempo  oè  loco , 
BencliMo  cercassi  mille  parti  e  mille. 

Che  nel  vago  pensier,  luci  tranquille  ^ 
Più  r  accendete  I  e  a  voi  di  ciò  cai  poco^ 
E  le  mie  piaglie  ancor  prendete  a  gioco 
Con  quella  |;>ianca  man  che  sola  apriile. 

Né  lontananza  obhiio  m'induce  al  core^ 
Né  i  più  colti  paesi  o  i  più  selvaggi , 
Ma  tenace  memoria  e  fero  ardore  ^ 

Perchè  v'adombro  in  lauri,  in  mii'ti  e'n  faggi: 
L'altre  bellezze^  ove  m'insidia  Amore, 
Sono  immagini  vostre  e  vostri  raggi. 

SONETTO  CLXX. 

Nei  canto  si  propose  la  gìdHa;  nel  pianto  la  pietà.  Onde  brama 
in  premio  tulle  sue  rime  una  lacrima  della  mul  donna. 

Cantai  già  lieto  ;  e  ricercai  oel  canto  ^ 
Gloria  più  cara  a  me,  che  Toro  a  Mida: 
Or  piango  mesto ,  e  'n  dolorose  strida 
Chiedo  pietà  vie  più  ch'onore  o  vanto. 

Donna,  che  se  mai  piangi,  il  dolce  pianto 
Accende  Amor,  bench  ei  vi. scherzi  e  rìda, 
E  tra  rugiade  e  fior'  lieto  s'assida 
AlF  ombra  d' un  bel  velo  e  d' un  bel  manto , 

De'  begli  occhi  una  stilla  alle  mie  rime 
Sarebbe  caro  pregio,  alta  ventura, 
Ond'elle  ancor  n'andriano  altere  e  prime: 

Che  pianta  non  distilla  ambra  si  pura, 
.  Ne  fi*cddo  monte  in  su  l'alpestri  cime 
Si  bel  cristallo  e  prezioso  iuditio. 


RIME  AMOROSE  i^S 

SONETTO  CLXXI. 

ZItoc  cht  dee  celarsi  Vamor  laacwoi  ma  che  U  tfirtuoso  si 
dee  mani/èstare  per  buon  esempio  ad  aitruL 

Uoic  di  non  pure  fiiamme  acceso  il  core,' 
Che  lor  ministra  esca  terrena  immonda, 
Chiuda  il  suo  foco  in  parte  ima  e  profonda, 
£  non  risplenda  il  torbido  splendore  : 

Ma  chMnfiammato  di  celeste  ardore 

Purga  il  pensier  in  Tiva  face  e  ^n  onda , 
Non  è  ragion  che  le  faville  asconda 
Senza  parlar  ;  nò  tu  U  consenti ,  Amore. 

Gilè,  scaltri  (tua  mercè)  s'affiua  e  terge, 

Yuoi  ch'il  mondo  il  conosca,  ed  indi  impare 
Quanto  in  virtù  di  que'  begU  occhi  or  puoi. 

£  ,  s' alcun  pur  il  cela ,  insieme  i  tuoi 
Più  degni  fatti  in  cieco  obblio  sommerge, 
E  dell'alte  tue  glorie  invido  appare.   • 

SONETTO  CLXXII. 
Paragona  y  o  piuttosto  antepone  la  sua  donna  atP  aurora. 

Quando  FAIba  si  leva  e  si  rimira 

Nello  specchio  dell'onde,  allora  i'  sento 
Le  verdi  fronde  mormorare  al  vento, 
E  così  nel  mio  petto  il  cor  sospira^ 

E  l'Aurora  mia  cerco:  e,  s'ella  gira 
Ver  me  le  luci,  mi  può  far  contento; 
E  veggio  i  nodi  eh' a  fuggir  son  lento. 
Da  cui  r  auro  ora  perde  e  men  s'  ammira. 

Né  innanzi  al  novo  Sol,  tra  fresche  brine. 
Dimostra  in  ciel  seren  chioma  si  vaga 
La  bella  amica  di  Titon  geloso. 

Come  in  candida  fronte  è  il  biondo  crine; 
Ma  non  pare  dia  mai  sdii  fa  uè  vaga 
Per  giovinetto  amante  o  vecchio  sposa       i 

Tasso,  FoL  IF,  i5  , 


ai6  aiME  AMOROSE 

SONETTO  CLXXIII. 

Loda  là  beltà  di  X  Jf.f  ma  si  scuta  di  non  feUrU  aman  f 
per  ai^er  già  patio  in  altra  tutti  i  m»  affètti 

Facelle  son  dMmmortal  luce  ardenti 
Gli  occhi  che  volgi  in  si  soavi  giri  3 
E  fiamme  è  Paura  che  tu  movi  e  spiri 
A  formar  chiarì  angelici  concenti: 

E  y  qualor  più  ti  lagni  o  ti  lamenti , 

Foco  U  tuo  pianto ,  e  foco  i  tuoi  sospiri , 
E  quanti  tu  col  dolce  sguardo  or  miri, 
E  quanti  rendi  al  dolce  suono  intenti. 

Sol  io,  fra  i  vivi  raggi  e  fra  le  note 
Onde  avvampa  ciascun ^  nulla  mi  scaldo, 
Me  trova  onde  nutrirsi  in  me  T  ardore. 

Né  già  son  io  gelido  marmo  e  saldo; 
Ma,  consumato  in  altra  fiamma  il  core, 
Or  che  cenere  è  tutto,  arder  non  puote. 

SONETTO  CLXXIV. 
Prega  P  eloquenza  che  ammollisca  e  soggioghi  il  cuore 

della  sua  donna, 

O  felice  eloquenza,  avvinta  in  carmi, 
Od  in  ampio  sermon  sciolta  e  vagante, 
Che  raflfreni  talora  il  volgo  eilrante 
Quando  il  furor  ministra  e  fiamme  ed  armi; 

Tu  che  dMra  il  leon,  tu  che  disarmi 

L^ angue  di  tosco,  e  queti  il  mar  sonante, 
Tu  che' dai  senso  alle  più  rozze  piante, 
E  tiri,  come  a  Tebe,  i  tronchi  e  i  marmi  ) 

Tu  che  nel  canto  ancor  d^  empie  Sirene 
Dok^  risuoni  altrui,  perchè  non  pieghi 
Un  cor  rigido  più  d^ aspra  colonna? 

Tempra  come  saette  in  mele  i  prieghi, 
E  prendi  V  arme  dell'  antica  Atene 
Contra  costei  ch^è  scinta  in  treccia  e  ^n  gonna. 


RIME    AMOROSE  227 

SONETTO  CLXXV. 
Pwria  nconciUoMÌone  di  FiL  Bentivo^U  e   Vài  Ta$4tonij 
che  conuhdtano  di  bekàf  e 'quindi  iPonor§f  sendo  U 
donne  onorati  gptcitdmenU  per  la  belUzxa. 

Fra  due  Vittorie  era  d'onor  contesa  3 
Che  donna  per  beltà  vie  più  s^  onora  : 
E  nel  più  vago  fior  degli  anni  ancora 
Uuna  era  e  raìtra,  e  d*amor  casto  accesa. 

V  ana  sembrava  Citeréa  ^  ch^  ascesa 
Sia  nel  lieto  Oriente  anzi  V  aurora  ; 
E  r  altra  fiamma  par  che  sorga  allora 
Clìe  la  sua  luce  a  ogn*  intórno  è  stesa  : 

E  chiudea  questa  e  quella  alma  più  bella 
Del  suo  nel  corpo  entro  U  pudico  petto. 
Giudice  Amor  disse:  m  Vittorie,  pace.  >» 

Ond^elle  si  baciaro^  e  con  verace 
Strinsersi  insième  ed  amoroso  affetto  ^ 
Siccome  stella  si  congiunge  a  stella. 

SONETTO  CDtXVI. 

Penuad*  una  gentildonna  o  a  non  amare  chi  non  te  corrisponde 
ntW  amore  ,'0  ad  amar  chi  la  riami. 

Deh!  perchè  amar  chi  voi  con  pari  aflfetto 
Non  ami^  e  sospirar  che  non  sospiri? 
E  distillar  in  lagrime  i  martiri 
Per  tal  che  mai  per  voi  non  bagni  il  petto? 

E  'mpallidir  per  chi  non  cangi  aspetto? 
E  volger  gli  occhi  in  cosi  dolci  giri 
Ad  un  crudel  eh'  in  voi  non^  li  raggiri 
Com'  a  suo  caro  e  desiato  oggetto  ? 

S'  amor  a  voglia  altrui  s'estingue  e  infiamma , 
Spegnete  il  vostro ,  mal  gradito  e  rio, 
E  de'  begli  occhi  rasciugate  il  duolo, 

E  geli  il  cor  glentìl  per  lungo  obblio) 
E  y  se  pur  dee  sentir  novella  fiamma , 
S'accenda  sì,  ma  non  s'accenda  ei  solo. 


aa8  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CLXXVIL 
Sid  mai  d'occhi  di  N.  N,  Dulnia  se  la  cagione  per  ad  iap" 
ffrende  il  mal  éP occhi  per  la  tnstay   sia  natura  o  amarci  e 
conchiude  esser  amore f  perchè  coW uno  Rappiglia  V altra, 

Questa  nebbia  sì  bella  e  sì  vermiglia , 
E  pur  sì  lagrimosa  ed  importuna  y 
Amor^  come  si  strinse  e  si  raguna 
Sotto  le 'due  serene  e  liete  ciglia? 

Opera  è  di  Natura,  o  meraviglia 

Che  tu  ci  mostri?  che,  se  mai  digiuna 
Vista  s^afEsa  in  lei,  tosto  s'imbruna, 
Ed  un  vogo  balen  vola  e  s'appiglia; 

£  non  perturba  solo  i  nostri  sguardi, 
Ma  passa  al  core  il  dilettoso  male, 
E  gli  spirti  vitali  accende  e  strugge. 

Pur  SI  dolce  è  M  languir ,  eh'  altrui  non  cale 
Della  salute,  e  sospirando  e  tardi 
Ogni  spirto  gentil  ne  scampa  e  fugge. 

SONETTO  CLXXVIIL 
jitta  sig.  Tppoliia  Turchi  dUude  ad  Ippolita  regina  ddle    . 
jimazzoni  di  cui  s*  intrighi  Teseo  quando  con  Ercole  le 
mosse  contro  VarmL 

O  degna  per  cui  s'armi  un  nuovo  Alcide 
Ed  un  Teseo  novello,  e  schiere  accogUa, 
E  cento  vele  e  cento  navi  scioglia 
Da  que'  liti  che  '1  mar  da  noi  divide  ; 

Chi  guerriero  di  voi  più  nobil  vide? 
Clii  d'averne  vittoria  or  non  s'invoglia? 
Fortunate  le  spoglie,  e  chi  le  spoglia. 
Se  così  amico  il  Cielo  ad  uomo  arride! 

Benché  vinta  voi  no,  ma  vincitrice 
Anzi  parete  j  né  feroce  e  cruda 
Armate  il  petto  e  l' una  e  l' altra  mano , 

Ma  'n  treccia  e  'n  gonna  colla  destra  ignuda , 
Ch'esce  dal  guanto  se  mai  guerra  indice, 
Prendete  l'alme,  e  col  sembiante  umano, 


&IMC  AMOROSE  a^ 

m 

SONETTO  GLXXIX. 

Alla  duchessa  Barbara.  Dice  che,  se  potrà  finire  U  suo 
jtotma^  lo  adamerà  coUe  laudi  di  lei» 

Scegli  avverrà  ch^alta  memoria  antica 

Rinnovi  io  mai^  pittor  non  rozzo,  in  carte^ 
£  ch^  Elicona  per  me  s'  apra ,  e  d^  arte 
Aura  m^nspiri  al  gran  concetto  amica  3 

Udrajtì  gli  Sciti,  udrà  l'arena  aj^rìca 
Di  Libia  il  tuo  bel  nome,  e  nobil  parte 
Avrà  fra  V  armi  e  fra  l' onor  di  Marte     ^ 
La  gonna  e  '1  vanto  di  beltà  pudica  : 

£  fian  le  lodi  tue  qual  ricco  fregio, 
Onde  varia  pittura  adoma  splende^ 
Che  gli  occhi  altrui  con  aurea  luce  alletta. 

£  dritto  è  ben  eh' a  tfi  sen  porga  il  pregio^ 
Se  la  sdegnosa  man  per  te  riprende 
Lo  stile,  e  riede  all'opra  altrui  negletta* 


SONETTO  CLXX3L 

Per  la  duchessa  Mar^heriUif  mentre  dimorava  a  Behedere^ 
Invita  i  ptuseagien  a  firmarsi  per  udire  il  canto  dilei 
e  contemplarla. 

Voi  che  passate,  e.  su  la  destra  sponda 
Del  re  de'  fiumi  udite  ì  dolci  accenti 
Che  frenar  ponno  il  Po ,  quetare  i  venti  ; 
E  fdre  al  corso  altrui  l'aura  seconda; 

Non  è  Sirena  usa  a  celar  nell'  onda 

Quel  e' ha  di  fera  a  male  accorte  gentì. 
Ma  un'  angiolctta  eh'  i  suoi  raggi  ardenti 
Sotto  velo  mortai  par  che  nasconda. 

La  real  Margherita  in  ciel  le  stelle 
Suole  arrestar  coli'  armonia  celeste  : 
Fermate  il  volo  omai  de'  pronti  remi} 

Che  maraviglia  assai  minor  vedreste 
Delle  sembianze  graziose  e  belle, 
Cercando  gl'Indi  e  gli  Etiopi  estremi. 


a3o  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CLXXXI. 

^«r  JhutiUa  Seontu  Jttud$  of  nomet  pa*M  Seaua  è  bagnmUk, 
daWocMUìOi  €  di  qm  pruuU  occa^fom  4i  lodétria» 

Scota,  8ull^ Oceano,  o  doye  nacoue 
Venere  prima  ed  ebbe  Amor  la  cuna , 
O  nuda  in  fonte,  o'n  selva  oscura  e  bruna, 
Altra  bellezza  mai  tanto  non  piacque. 

Per  te  non  sol  quetossi  Faura,  e  giacque 
Neil* alto  letto  il  Po  senzMra  alcuna. 
Ma  dove  maggior  campo  ha  la  fortuna 
Tranquillar  tu  potresti  i  venti  e  Tacque, 

E  del  tuo  peregrino  e  chiaro  nome 

Far  che'l  gran  padre  più  si  glorii  e  vanti, 
Che  d'altra  cosa  cb^ei  produca  intorno^ 

£  piuttosto  speccluar  si  bei  sembianti,. 
E  lavare  ei  vorria  si  vaghe  chiome, 
Che  P  aureo  crìn  del  Sole  innanzi  al  giorno. 

SONETTO  CLXXXII. 
loda  la  ng.  Lueresua  Scorti^  che  la  sua  bdià  ncn^  desti 
amor  ìasciifOf  ma  casto  e  nvererO^i  ondatila  tmrita  d^ss- 
sere  atUeposta  a  Lucrezia  romana. 

Quel  vago  xaggio  che  lampeggia  e  splende 
Ne'  bei  vostri  occhi  e  nel  sereno  aspettq. 
Desta  amore  e  timore;  e  Puno  affetto 
Coli' altro  più  temprato  e  dolce  ei  rende. 

Né  dà  superna  mano  in  voi  si  stende, 
Ne  di  macchiare  ardisce  il  casto  letto; 
Ma  il  ferro  volgerìa  nel  proprio  petto 
Quando  gentile  sdegno  il  cor  faccende. 

Che  per  voi  s'arma  uom  che  sospiri  e  pi'egi 
La  vera  gloria;  e  chi  per  se  la  sprezza, 
Per  voi  la  brama,  e  1  punge  ardente  sprone. 

Oh  di  nuova  Lucrezia  alma  b^eltezza , 
Che  non  estingue,  ma  fa  degni  i  regi 
Del  cielo  e  di  celesti  alte  corone  ! 


RIME  AMOROSE  i3i 

SONETTO  GLXXXIII. 

Loda  tùUa  ducK  ^Urbino  Vindirv^tare  aknd  al  tieìo  per  trv 
W|  éì€  sono  Ite  beltà  o  P  muore  ^  ia  mudca  0  la.  filosofia. 

Per  tre  sublimi  vie  sopra  le  stelle, 
Donna  reale ,  ad  immortai  soggiorno  . 
L'alma  sovente  inviti  al  suo  ritorno^ 
Quanto  veloci  più,  tanto  più  beile. 

L'una  con  gli  occhi  illustri  a  par  di  quelle 
Ch'  in  ciel  riscbiara  il  portator  del  gioriio  ; 
L' altra  il  tuo  canto  raddolcisce  intomo  y 
£  rasserena  i  nembi  e  le  procelle: 

Ma  per  la  terza  poggia  a  Dio  solinga 
La  peregrina  mente  e  Falto  ingegnò 
Che  non  si  ferma  al  lusingar  de^  sensi. 

Così  tre  care  grazie  altrpi  dispensi 
Per  tre  secreti  del  celeste  regno, 
Perch'in  tre  voli  un  core  a  lui  si  strìnga. 

SONETTO  CLXXXIV. 

Ma  sig,  Litna  d'Jreo.  Ne  loda  Vàtiu^  e  prepone  la  sua  beltà 
a  quella  tPIrif  che  Vuna  è  i^era,  l'altra  apparente. 

Umida  nube  se  dispiega  e  stende 
L'  arco  celeste  a  novi  raggi  adornò  y 
Già  vinto  il  Sol  che  ricoiiduce  il  giorno , 
Nel  cielo  oscuro  un  bel  trofeo  sospende. 

Ma  '1  tuo  leggiadro  manto  or  più  risplende, 
Vergine  casta,  e  ti  circonda  intomo j 
£  vittoria  più  bella  al  suo  ritomo 
Tu  n^  hai  sovente ,  e  quando  al  mar  discende  : 

Né  à,  turbato  e  di  color  fallaci 

Orna  le  spoglie  tue,  che  poi  vagheggia^ 
Né  con  mentita  forme  inganni  e  piaci  : 

Ma  vera  é  la  bellezza.  £  chi  pareggia 
Dolce  sereno  e  sì  tranquille  paci, 
O  nube  agguaglia  ad  amorosa  reggia? 


a3a  RIME   AMOROSE 

SONETTO  CLXXXV. 

Per  una  figliuoletla  delia  tig.  L.  SanvitaU,  La  moitra  quari 
Mpeccmo  in  cui  vtggand  tutte  le  heUe%ze  detta  madre 

Si  specchiava  Leonora ,  e  '1  dolce  riso 
E  '1  vago  lume  j  ch^  immortai  parea  y 
Slancili  non  già ,  ma  vinti  i  specchi  avea 
Co'  lieti  raggi  del  sereno  visoj 

Quando  Amor,  che  mirava  intènto  e  fiso 
Keli' obietto  medesmo,  e  dentro  ardea. 
L'idolo  perde,  e  la  terrena  Dea 
Me  coir  idolo  caro  ha  pur  conquiso. 

Ma  poi,  scotendo  le  saette  e  FaU, 
Ci  dimostrò  le  vive  forme  e  vere 
Di  pargoletta  ;  e ,  Saran ,  disse  ,  eguali. 

Picciolo  specchio  di  bellezze  altere 
Bende  tutte  le  grazie  a  voi  mortali 
Dì  sì  gran  donna,  e  le  sembianze  intere. 

SONETTO  CLXXXVI. 

Per  unajkmota  e  hMsàma  dama,  la  quale  non  ti 
curatHi  d^euer  conosciuUu 

Mentre  ancor  non  m'abbaglia  il  dolce  lume, 
Né  mi  toglie  a  me  stesso  il  dolce  canto , 
Una  imagine  fotmo  in  mezzo  al  pianto 
In  riva  al  Serchio,  vago  e  nobil  fiume. 

E  benché  porti  con  veloci  piume . 

Fama  il  suo  nome ,  io  pur  non  Y  odo  intanto  ] 

Oh!  mute  maraviglie,  onde  noi  canto, 

Qual  nova  usanza  é  questa,  o  qual  costume? 

Ma  sdegna  forse  che  beltà  divina 

Da  me  non  si  descrìva  in  colti  versi, 
Né  l'armonia  che  fa  gentil  rapina. 

Pur  fia  che  dicat  U  cor  leggendo  offersi. 
Ma  in  guisa  d'uotn  che  nel  silenzio  inchina^ 
Lei  no,  ma  '1  suo  bel  velo  appena  i'  scersi. 


RIME   amorose;  a33 

SONETTO  CLXXXVII. 

Celeèra  la  bellezza  e  tdrtù  di  D.  Barbara  Samiverini, 
mairigna  di  D.  Leon.  Sancitale. 

Barbara  maravigliai  à^  teippi  nostri 

Apparsa  in  questa  sponda  e  'n  questa  arena  ^ 
Non  è  di  mortai  mano  opra  terrena 
Drizzata  a'  regi  o  consecrata  a^  mostri  ; 

Ma  quei  che  fece  i  bei  stellanti  chia^^tri, 
£  volge  il  sole  in  giro  e  '1  mare  affrena, 
A  due  zaffiri  die  luce  serena^    . 
E  la  porta  v^apri  di  perle  e  d^ ostri: 

£  de^  più  bianchi  marmi  un  vivo  tempio 

Cinse  d' intomo  ;  e  '1  suo  desio  v'  accende ,     ' 
'Alma  devota,  che  d^amor  sMnfiamma. 

£  quel  clì^a  noi  co^  traluce  e  splende,    . 
'  E  d^  ardente  virtù  lucido  esempio , 
E  di  gloria  immortai  divina  fiamma. 

SONETTO  CLXXXVIII. 
Per  la  ng,  Polissena  Gonzaga.  Alludendo  al  tuo  nome, 
inferisce  che  Pirro  y  se  Vauesse  ueduta^  per  amore  lii  lei 
atnria  riedificata  ITroja,    . 

Se  Pirro,  allor  che  diede  morte  acerba 
Sulla  gran  tomba  del  famoso  Achille 
Alla  vergine  altera  e  '1  petto  aprille, 
Vedea  costei  che  '1  suo  bel  nome  serba , 

Cadeva  il  ferro  daUa  man  superba 

Con  fin  più  lieto  di  mille  opre  e  mille, 
Né  Troja  andava  in  cenere  e  in  faville, 
Né ,  dove  fu  ,*  sanano  or  fiori  ed  erba  ) 

Ma  le  avria  detto  :  Il  ciel ,  non  che  X  inferno , 
Placar  con  gli  occbi,  e  nei  superni  regni 
Mandar  puoi  F  alme  senza  oprar  la  lingua  : 

Tu  dunque  vinci ,  e  sia  T  onore  eterno  ; 
E  questa  guerra  e  questi  feri  sdegni 
Ch' Elena  accese,  l?olisseha  estingua. 


i34<  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CLXXXIX. 

^Ptr  la  Mi$%  BarUura  Torneala,.  AUudmdù  at  mmu  , 
dimoMira  la  ma  vwàta  caiWà» 

Del  più  bel  marmo  che  nascesse  ìp  monte  ^ 
Candido  si  ch^ogni  bianchezza  eccede, 
Sorge  una  vaga  TorriceUay  e  siede 
Imperiosa  con  altera  fronte. 

Onore  alzato  ha  contr^Amor  il  ponte, 
Ch'  accampar  d' ogn*  intorno  a  lei  si  vede; 
Spiega  in  cima  P  insegne  invitta  fede  ^ 
L^  oneste  voglie  alla  difesa  ha  pronte. 

Barbara  castità  dentro  si  guarda , 

Come  donna  e  reìna;  e,  benché  fuori 
Mille  arti  adoprì  il  suo  crudel  nemico, 

Mille  arme  seco  i  pargoletti  Amori, 

Pur  non  avvien  che  mai  la  scuota  ed  arda , 
O  che  prenda  la  mente  e.'l  cor  pudico. 

SONETTO  CXC. 

Loda  I  eapeUi  deUa  conttua  di  SaUay  acconciai  infirma 

di  corona. 

Donna  ,  per  cui  trionfa  Amore  e  rema , 
Merti  ben  tu  che  1  capo  a  te  circonde 
Nobil  corona;  ma  qual  fia  la  fronde, 
0  qual  fia  T  ór  cui  tant^  onor  convegna  ? 

A  gran  ragion  da  te  si  schiva  e  sdegna 
Fregio  mcn  bd  che  si  ricerchi  altronde, 
Poiché  sol  Por  delle  tue  trecce  bionde 
Può  far  corona  che  di  te  sia  degna  : 

Questo  s^ avvolge  in  cotai  forme,  e  tesse. 
Che  la  fenice  ornai  sola  non  fia 
Che  di  diadema  naturai  si  vanti. 

Così,  o  nova  fenice,  a  te  piacesse 

Scoprir  il  sen,  come  vedrian  gU  amanti' 
Che  gU  è  monil  la  tua  beltà  natia. 


RIME  AMOROSE     .  aìS 

SONETTO  CXCL 
ftr  Barbara  SanteverinL   Chiama  fitaU  a  Roma  U  wo 
nonUf  pereh' essa  Jìi  vinta  pria  da^  Barbari,  poi  daUa 
bellezza  ed  {frusta  di  iti. 

Tolse  barbara  gente  il  pregio  a  Roma 
DeU^mperìo  e  deirarmi,  e  serva  (ella. 
Oh  nome  a  lei  fatale!  ecco  novella 
Barbara  vincitrice  anco  la  doma. 

£^  a  quale  in  lei  più  per  beltà  si  noma 
Tolto  lo  scettro  e  U  titolo  di  bella , 
Spiega  sue  squadre  in  Campidoglio ,  e  quella 
De^  suoi  prigioni  incatenata  e  doma. 

Sono  i  guerrieri  suoi  molle  rigore 
Con  pudica  beltà.,  sdegno  cortese , 
Che,  quanto  sfida  più,  tanto  più  piace. 

I  vinti  un  sesso  e  T altro;  e  Pun  d'amore, 
U  altro  dMnvidia:  e  colla  stessa  face 
Aggbiaccia  or  Funo,  onde  già  l'altro  accese. 

SONETTO  CXCII. 
Per  Laura  Pifna  GigUolL  Si  confèssa  inetto  a  lodarla;  e 
dwe  che  sfJlo  U  padre  di  lei  6.  B.  Pigna  poita  farlo 
nelle  me  opere,  * 

Laura,  che  fra  le  Muse  e  qell! eletto 
Iioro  albergo  nascesti,  ove  sublime 
Poeta  già  dettò  pregiate  rime 
Pien  (li  filosofia  la  lingua  e  '1  petto  ; 

L'or  delle  vostre  chiome  crespo  e  schietto 
Io  ilbn  posso  polir  colle  mie  lime , 
Né  .fia  die  per  nùo  studio  egli  si  stime 
Quanto  per  Parte  ond'è  da  voi  negletto. 

Né  degli  occhi  lucenti  oscuro  fabro 
Chiara  imago  farei ,  né  delle  gote , 
£  di  questo  e  di  quel  vermiglio  labro. 

£i ,  che  vi  fé',  potea  ritràrvi  ancora 

Là  've  l'Idea  ci  forma,  o  'a  quelle  note 
In  cui  l'Idolo  suo  finge  ed  adora. 


/ 


a36  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CXCIII. 
A  GM.  Nuti  pel  ritratto  di  D,  Marfita  éPEsU.  M<utra  che 
Parte  ha  più  da  pregiarsi  tendo  mta  da  tanta  btkàf 
che  superando  quella  tPogni  altro  oggetto. 

Saggio  pittore,  bai  colorita  in  parte 
La  Bella  che  non  ha  forma  o  misura  ^ 
Miracolo  del  Cielo  e  di  Natura 
Ch^  aduna  in  lei  ciò  che  fra  mille  ei  parte. 

E  perde  la  tua  mano  ardita  e  Parte 
Da  così  vaga  angelica  figura  j 
Ma  quel  disella  n** adombra  e  quasi  oscura, 
Avanza  il  bel  delle  più  dotte  carte. 

E  maggior  pregio  il  tuo  felice  stile 

Ha  qui  perdendo,  che  vincendo  altrove j 
Perchè  il  seren  delle  stellanti  ciglia , 

E  del  bel  volto  sol  Parìa  gentile 
Tutte  P opere  può ,  tutte  le  prove, 
£  superar  ogni  altra  meraviglia. 

SONETTO  CXCIV. 

SuBo  stesso  argomento.  Dice  che^  a  voler  ritrarre  gU  occhi  di  lei, 
bisogna  f  qual  Prometeo  f  rapir  al  cielo  iljùoaf  pia  eletto. 

Dipinto  avevi  Por  de'  biondi  crini, 
E  delle  guance  le  vermiglie  rose, 
E  quella  bocca  in  cui  Natura  pose, 
Quasi  caro  tesor,  perle  e  rubini - 

E  '1  bianco  petto,  e  i  suoi  dolci  confili^ 
E  mille  vaghe  altere  e  nove  cose 
In  prima  non  vedute,  or  non  ascose: 
£  volevi  ritrar  gli  occhi  divini  j 

Ma  dicesti  fra  te:  La  terra  e  U  mare 
Non  ha  color  ch^ esprima  il  puro  lume, 
Né  '1  tempreria,  se  rinascesse,  Apelle. 

Pur,  chi  formar  li  vuol,  poggi  alle  stelle. 
Che  santo  Amor  gli  presterà  le  piume, 
£  furi  al  ciel  le  fiamme  sue  più  clùare. 


RIME  AMOROSE  lij 

SONETTO  CXCV. 

A  D,  Marpsa  éP  Este.  JUude  al  tuo  nonUf  e  dice  che 
Pinzine  sue  armi  sono  bellezza  e  castkcu 

Questa  leggìadm  e  gloriosa  donna , 
i  Di  nome  altero ,  e  di  pensier  non  crudo  ^ 

r  Non  ha  per  arme  già  lancia  né  scudo  ^ 

I  Ma  trionfa  e  combatte  in  treccia  e  ^u  gonna. 

I  E  imperiosa  d^ogni  cor  sMndonna 

j  Colla  man  bella  e  col  bel  capo  ignudo 

!  Del  caro  velo;  onde  fra  me  conchiudo 

Ch'ella  sia  di  valor  salda  colonna.  ^ 
Pur  inerme  non  è;  ma  1  casto  petto, 

LfO  qual  si  prende  il ^ vano  amore  a  scherno^ 
Copre  d'un  lucidissimo  diamante. 
Or  chi  ritrar  lo  puote  all' occhio  interno? 
Qual  fabro  umano  a  divin'  opra  eletto 
D'assomigliare  il  ver  fia  che  si  vante? 

SONETTO  CXCVI. 

A  Porzia  Mari  aposa  di  Paolo  Grillo.  Alludendo  al  suo 
nome,  dice  chrella  i  un  mare  di  bellezza  e  perfezione, 
ed  anzi  '/  porto  ot^  fia  beato  lo  sposo  suo»  • 

In  questo  mar  che  sparge  un  puro  argento 
Senz'onda  amara  e  senz' amara  stilla, 
Dove  né  monte  acceso  arde  e  sfavilla, 
Né  gigante  v'affligge  aspro  tormento  y 

Dove  falso  pastor  feroce  armento 

Non  pasce,  ove  non  latra  orrida  Scilla, 
Non  assorbe  Carìddi,  e  non  tranquilla 
E  non  perturba  l'acque  instabil  vento; 

E  dove  nop  fallaci  empie  Sirene , . 
Ma  cantano  angelette  in  dolci  versi 
Suir  ombrosa  ,  fiorita  e  verde  sponda  j 

E  Porzia  il  porto  in  cui  da  spirti  avversi 
Le  sue  notti  il  buon  Paolo  avrà  serene, 
E  quivi  casto  amor  di  gioja  abbonda. 


iS^  RÌME  AMOROSE 

SONETTO  CXCVIh 
A  Sabma  BenkL  Trae  occasiofu  dal  suo  noma  per  aUié' 
dtrt  al  ratto  delle  Sabvte  e  dtUe  donne  d^  Cùkòri  prtst 
da  Mario,  Vuitùno  verso  indica  la  Germania, 

Sabina  9  ìu  cui  s'onora  il  nome  prisco, 
Chi  fu  più  degna  dVsser  mai  rapita 
Per  la  beltà  cli^a  sospirar  c'invita , 
E  presa  prende  come  augello  al  visco? 

Ma  quella  che  in  voi  lodo  e  riverisco  j 
£  fuor  traluce  d^alraa  al  Ciel  gradita, 
Pon  freno  a  liagaa,  non  eh' a  mano  ardita. 
Tal  ch'io  di  ragionarne  a  pena  ardisco. 

Me  vaga  sete  voi  di  rozzo  carme , 
Né  rapina  d'Italia,  onde  si  sdegni  " 
La  gran  Germanhi  e  '1  popol  suo  guerriero^ 

Ma  suo  pregiato  dono:  e   n  mezzo  all'arnie 
Placar  ^potrìa  per  voi  gli  strani  regni 
La  nova  Donna  dell'antico  impero. 

SONETTO  CXCVIII. 
/Vr  ìa  eonteeta  di  Ladrone,  Mostra  che  sia  maggior  gara 
'  /ra  PltaUa  e  la  Germania  per  lei  sola,  volendo  tn-- 
trambe  attrìbmrsdOf  che  non  i  per  U  ragioni  politicke. 

Donna  gentil,  che  'Ltuo  principio  avesti 
Dov'  è  quel  di  Germania ,  e  giunge  inàeme 
La  bella  Italia  le  sue  partì  estreme , 
£  quinci  e  quindi  alto  valor  traesti , 

£  gran  beltà,  per  cui  s'infiammi  e  destì 
Amore  e  gioja  inusitata  e  speme , 
Che  '1  nostro  sangue  e  '1  peregrino  seme 
Que'  luoghi  esaltì  avventurosi  e  quesU  ^ 

Mentre  addivien  ch'ivi  per  te  contenda 
L'  una  coli'  altra ,  ad  un  tuo  dolce  sguardo 
La  nova  fornirla  l'antiche  litì. 

Qual  maraviglia  s'io  n'avvampo  ed  ardo? 
Se  dubbio  sono  ove  i  begli  occhi  accenda, 

'     Se  natì  in  terra ,  o  sian  dal  cielo  ufcili  7 


RIME  AMOROSE  :i^ 

SONETTO  CXCIX. 

A  Ber,  Castdlo.  Loda  Ufiifure  on^eaU  ornò  la  GeroMlenime, 
perchè  la  sig.  iMa  Spuiola  prendea  diletto  a  rinurarlf' 

Fiumi  e  mari  e  montagne  e  piagge  apriche 
E  vele  e  navi  e  cavalieri  ed  armi 
Fingi  y  Bernardo  j  in  carte  ;  e  i  bianchi  marmi 
Han  minor  pregio  delie  Muse  amiche: 

Però  che  Livia  d^  Arianna  e  Psiche 
Legger  non  brama  ^  e  può  beato  farmi 
Se  r immagini  tue  co'  nostri  carmi' 
Impresse  mira  e  le  memorie  antidie. 

E  j  mentre  pasci  le  serene  luci 

Di  quel  lume,  desian  farsi  più  belle 

E  POrse  e  le  Corone  e  '1  Cigno  e  *1  Toro^ 

Ma  le  rivolgi  a*  gloiiosi  duci 

Ed  a'  miei  versi  tu  dall'auree  stelle^ 
Muto  poeta  di  pittor  canoro. 

SONETTO  ce. 

J  Lucia  Albana  Tom  da  Bergamo.  Alludendo  al  tuo  nouàtf 
la  chiama  lucei  e  deriva  Porigin  sua  dà  Alba  e  Roma. 


O  chiara  luce  di  celeste  raggio , 

Ch'  un'  alma  pura  e  duo  negli  occhi  illustri , 
E  tra  rose  vermiglie  e  bei  ligustri 
Scopri  nel  volto  quasi  un  lieto  maggio  j 

Luce  gentil,  che  non  ricevi  oltraggio 
Dal  tempo  avaro  o  dal  girar  de   lustri , 
Ma,  fra  titoli  e  pompe  e  fregi  illustri, 
Ne  segni  al  ciel  sublime  alto  viaggio  j 

Serio  o  Brembo  per  te  non  sol  riluce, 

Ma,  se  gli  antichi  tempi  ancora  io  guardo, 
Mi  par  che  Roma  ne  lampeggi  ed  Alba. 

E  ben  mi  dolgo  che  si  srave  e  tardo 
Ti  lodo  e  canto,  o  mia  serena  luce. 
Che  sei  del  vero  Sole  aurora  ed  alba. 


•4o  RIME  AMOROSE 

SONETTO  CCf. 

Ad  Awrduì  OnonOii  Of  tecondo  rnlirif  aUa  ehch,  Leonora. 
Come  d  sm,  ^àUUuU  al  nonrn  della  donna  celebrata, 

DelFonor  simulacro  è  1  nome  vostro , 
Aureo  tutto,  e  ben  a  voi  conviene: 
Canto  di  cigni  a  lui,  non  di  Sirene, 
E  lettre  d^ór,  non  sol  di  puro  inchiostro. 

E  per  cercar  lassa  di  chiostro  in  chiostro 
Le  parti  più  lucenti  e  più  serene , 

0  della  terra  le  scerete  vene , 
Quant'ivi  si  contempla,  in  voi  s^ò  mostro^ 

Onde  chi  vi  nomò,  formar  sembianti 

1  nomi  volley  e  chi  vi  fé*,  seguio 

Col  suo  pensiero  al  del,  non  che  sotterra. 
Ma  voi,  sua  viva  imago  ed  idol  mio, 
Nell^alma  il  somigliate  e  ne^  sembianti; 
Né  colpa  è  di  beltà  s'uom  Fama  ed  erra. 

SONETTO  CGIL 

Ài  dg.  Brunoro  Zampesco,  in  lode  del  suo  Sòro  ddP Amare, 
Propone  un  tal  libro  per  guida  agli  amanti 

Chi  1  pelago  d^Amor  a  solcar  viene  « 
In  cui  sperar  non  lice  aure  seconae , 
Te  prenda  in  duce,  e  salvo  il  trarrai,  donde 
Uom  rado  scampa,  alle  bramate  arene. 

Tu  le  Sirti  e  le  Scille  e  le  Sirene , 

E  qual  mostro  più  fero  entrò  s'asconde. 
Varchi  a  tua  voglia;  e  i  venti  incerti  e  Tonde, 
Qual  nume  lor ,  con  certe  leggi  affrene. 

Poi,  quando  addotte  in  porto  avrà  le  care 
Sue  merci,  ove  le  vele  altri  raccoglie, 
E  -1  tranquillo  d^Amor  gode  sicuro. 

Te  'non  pur  novo  Tifi  o  Palinuro , 

Ma  suo  Polluce  appelli,  e  ^n  riva  al  mare 
Appenda  al  nume  tuo  votive  spoglie. 


CANZONI 


CANZONE  I. 

Si  duole  con  Amore  che  la  sua  donna  pigli  marito  ; 
pur  dice  che  non  pub  spegnere  P  antico  affitto, 
e  la  prega  a  non  i^degnar  almeno  eh'  egh  segua 
ad  amarla  e  celebrarla. 

Amor;  tu  vedi  (e  non  hai  duolo  o  sdegno) 
Ch'ai  giogo  altrui  madonna  il  collo  inchina j 
Anzi  ogni  tua  ragion  da  te  si  cede. 
Altri  ha  pur  fatto  (  oimè  !  )  quasi  rapina 
Del  mio  dolce  tesoro^  or  qual  può  degno 
Premio  agguagliar  la  mia  costante  fede? 
Qual  più  sperar  ne  lice  ampia  mercede 
Dalla  tua  ingiusta  man,  sMn  un  sol  punto 
Hai  le  ricchezze  tue  diffuse  e  sparte/ 
Anzi  pur  chiuse  in  parte 
Ove  un  sol  gode  ogni  tuo  ben  congiunto  ? 
Ben  folle  è  chi  non  parte 
Omai  lunge*  da  te;  che  tu  non  puoi 
Pascer  se  non  di  furto  i  servi  tuoi. 

Ecco  già  dal  tuo  regno  il  pie  rivolgo  : 
Regno  crudo  e  'nfelìce  r  ecco  io  già  lasso 
Qui  le  ceneri  sparte  e  '1  foco  spento. 
Ma  tu  mi  segui,  e  mi  raggiungi,  ahi  lasso! 
Mentre  del  mal  sofferto  invan  mi  dolgo, 
Ch'ogni  corso  al  tuo  volo  è  pigro  e  lento. 
Già  via  più  calde  in  sen  le  fiamme  V  sento, 
E  via  più  gravi  al  pie  lacci  e  ritegni  j 
E,  come  a  servo  fiiggitivo  e  'ngrato, 
Tasso,  Fol  IF.  i6 


\ 


^1  RIME  AMOROSE 

Qbì  sotto  al  manco  lato 

D'ardenti  note  il  cor  m' imprimi ì  e  M  segni 

Del  nome  a  forza  amato: 

E,  percli'arroge  al  duol  eh' è  in  me  si  forte, 

Formi  al  pensier  ciò  che  più  noja  apporte. 

Ch'io  scorgo  in  riva  al  Po  Letizia  e  Pace. 
Scherzar  con  Imeneo,  che  'n  dolce  suono 
Chiama  la  turba  a'  suoi  diletti  intesa. 
Liete  danze  veggMo,  che  per  me  sono 
Funebri  pompe,  ed  una  istessa  face 

,   Neir  altrui  nozze  e  nel  mio  rogo  accesa  3 
£^  come  aurora  in  Oriente  ascesa, 
Donna  apparir,  che,  vei^ognosa  in  atto, 
I  rai  de'  suoi  begli  occhi  a  sé  raccoglia; 
E  ch'altri  un  bacio  toglia, 
Pe^o  gentil,  dal  suo  bel  viso  intatto, 
£  1  primi  fior  ne  coeUa, 
Quei  che,  già  cinti  a  amorose  spine, 
Crebber  vermigli  infra  le  molli  brine. 

Tu ,  che  a  que'  fiori ,  Amor ,  d' intomo  voli , 
Qual  ape  industre ,  e.  'n  lor  ti  pasci  e  cibi , 
E  ne  sei  cosi  vago  e  così  parco, 
Deh  !  come  puoi  soffrir  eh'  altri  deUbi 
Umor  si  dolce ,  e  '1  caro  mei  t' involi  ? 
Non  hai  tu  da  ferir  saette  ed  arco? 
Ben  fosti  pronto  in  saettarmi  al  varco 
Allor  che  per  vaghezza  incauto  vemii 
La  've  spirar  tra  le  purpuree  rose 
Sentii  l'aure  amorose 3 
E  ben  piaghe  da  te  gravi  io  sostenni, 
Ch'  aperte  e  sanguinose 
Ancor  dimostro  a  chi  le  stagni  e  chiuda  ; 
Ma  trovo  chi  le  inaspra  ognor  più  cruda. 
Lasso  !  il  pensier  ciò  die  dispiace  e  duole , 


\ 

\ 


RIME  AMOROSE  ^43 

All'alma  inferma  or  di  ritrar  fa  prova  ; 
E  più  sMntema  in  tante  acerbe  pene. 
Ecco  la  bella  donna  ^  in  cui  sol  trova 
Sostegno  il  core;  or^  come  vite  suole 
Che  per  sé  stessa  caggia ,  altrui  s*  attiene. 
Qual  edera  negletta  or  la  mia  spene 
Giacer  vedrassi ,  s' egli  pur  non  lice 
Che  s*  appoggi  a  colei  ca  un  tronco  abbraccia. 
Ma  tUy  nelle  cui  braccia* 
Cresce  vite  si  bella ,  arbòr  felice^ 
Poggia  pur,  né  ti  spiaccia 
Ch^augel  canoro  intorno  a'  vostri  rami 
L'ombra  sol  goda,  e  più  non  sperì  o  bramì. 

Né  la  mia  donna ,  perché  scaldi  il  petto 
Di  nuovo  amore  I  il  nodo  antico  sprezzi 
Che  di  vedermi  al  cor  già  non  le  increbbe; 
Od  essa  che  l'avvinse .  essa  lo  spezzi: 
Però  che  omai  disdorlo  (in  guisa  é  stretto) 
Né  la  man  stessa  che  Fordio,  potrebbe. 
E  se  pur,  come  volle ,  occulto  crebbe 
n  suo  bel  nome  entro  i  miei  versi  accolto , 
Quasi  in  fertil  terreno  arbor  gentile , 
Or  seguirò  mio  ^tile, 
Se  non  disdegna  esser  cantato  e  colto 
Dalla  mia  penna  umile: 
E  d' Apollo  ogni  dono  a  me  fia  sparso , 
S'Amor  delle  sue  grazie  in  me  fu  scarso. 

Canzon  |  si  F  alma  é  ne'  tormenti  avvezza , 
Che,  se  ciò  si  concede,  ella  confida 
Paga  restar  nelle  miserie  estreme. 
Ma  se  di  questa  speme 
Avvien  che  1  debil  filo  alcun  recida^ 
Deh!  tronchi  un  colpo  insieme 
(Ch'io'l  bramo  e  '1  chiedo)  al  viver  mio  lo  starne^ 
E  r  amoroso  mio  duro  legame. 


346  RIME   AMOROSE 


CANZONE  m. 


/ 


Si  gitwa  di  sforj  paragoni  per  celebrar  la  sua  don- 
na, —  Questa  canzone  è  fiuta  a  imitazion  di 
quella  del  Petrarca  che  incomincia:  Qual  più 
diversa  e  nova^  ec, 

Qual  più  rara  e  gentile 

Opra  è  della  natura .  o  meravìglia  j 

Quella  più  mi  somiglia 

La  donna  mia  ne'  modi  e  ne'  aembianti. 

Dove  fra  dolci  canti 

Corre  Meandro^  o  pur  Caistro  inonda 

La  torta  obliqua  sponda  j 

Un  bianco  augel  parer  fa  roco  e  vile 

Nel  più  canoro  aprile 

Ogni  altro  che  diletti  a  meraviglia  : 

Ma  questa  mia^  che  U  bel  candore  eccede 

De'  cigni  ^  or  che  sen  riede 

La  primavera  candida  e  vermiglia , 

L'aria  addolcisce  co'  soavi  accenti^ 

E  queta  i  ir  enti  col  suo  vago  stile. 
Un  animai  terreno, 

Ch'è  bianco  sì,  che  vince  ogni  bianchezza 

Ed  ogni  altra  bellezza, 

Morir  piuttosto  che  bruttarsi  elegge: 

Però,  come  si  legge, 

È  preso,  e,  per  vestirne  i  duci  illustri, 

Le  sue  tane  palustri       ^ 

D'  atro  limo  son  cint^  ^  e ,  morto  almeno , 

Pregio  ha  di  seno  in  seno, 

£  per  donna  leggiadra  ancor  s'  apprezza  : 

Cosi  la  fera  mia,  perchè  s'adorni, 


RIME   AMOROSE  ^    047 

La  vergogna  e  gli  scorni 

Più  che  la  morte  è  di  ftiggire  avvezza  3 

Né  macchia  il  crudo  arcier  le  care  spoglie^ 

Mentre  raccoglie  e  sparge  il  suo  veleno. 
In  Grecia  un  fonte  inralla;  ' 

Se  labbra  asciutte  bagna  il  fiieddo  umore  ^ 

Profondo  obblio  nel  core; 

V  altro  bevuto  fa  contrar j  eflètti  : 

E  'n  duo  varj  soggetti 

Si  mirabil  virtù  dimostra  il  cielo. 

Cosi  questa  y  onde  gelo , 

Fonte  d^ogni  piacer  chiara  e  tranquilla  ^ 

Con  una  breve  stilla 

Tór  la  memoria  può  d^ogni  dolore  ^ 

E  render  poi  d^ogni  passata  gioja^ 

Per  temprar  quella  noja 

Onde  perturba  le^sue  paci  Amore. 

Oh  vivo  fonte,  anzi  pur  fonti  vivi 

Con  mille  rivi,  ond*ei  vie  più  sfavillai 
Se  non  è  vana  in  tutto  « 

L'antica  fama  che  pur  dura  e  suona, 

Tra  quei  che  fan  corona 

Nasce  un  bel  fior  che  sembra  un  lucid^  oro , 

E  vince  ogni  tesoro. 

Perchè  gloria  ei  produce  e  chiaro  nomq 

A  chi  n  orna  le  chiome; 

Né  mai  di  sponda  o  di  terreno  asciutto 

Nacque  si  nobil  frutto: 

Ed  un  fior  di  bellezza  in  queste  rive  , 

S'adora,  e;  di  mostrar  ei  nulla  è  scarso 

L'oro  disciolto  e  sparso 

Ch^erra  soavemente  all'aure  estive; 

Ma  di  sua  gloria  coronato  all'  ombra 

Cosi  m' adombra  ;  che  m'è  dolce  il  tutto* 


248  RIME    AMOROSE 

NelP  arabico  mare 

È  con  un  aìVto  fior ,  come  di  rosa , 

Pianta  maravigliosa 

Che  lui  comprime  anzi  che  nasca  il  sole  y 

Poi  dispiegaHo  suole 

Quando  egli  vibra  in  oriente  i  raggi 

Per  si  lunghi  viaggi; 

£  di  nuovo  il  raccoglie  alìor  che  pare 

Cader  nelfonde  amare: 

Tal  questa  donna  ^  in  cui  beltà  germoglia 

E  leggiadria  fiorisce^  al  sol  nascente 

Nel  lucido  oriente 

Par  ch^i  suoi  biondi  crini  apra  e  discioglia; 

Poi  nelFoccaso  astringe  aurei  capelli 

Più  di  lui  belli,  e  sol  velata  appare. 
Una  pietra  de'  Persi 

Co  raggi  d' oro  al  sol  bianca  risplende  y 

£  ouìnci  il  nome  prende , 

£  del  bel  lume  del  sovraii  pianeta 

Rassembra  adoma  e  lieta  :    / 

Così  la  pietra  mia  nel  di  riluce; 

£  la  serena  luce 

£  1  dolce  fiammeggiar  i^  non  soffersi 

Quando  gli  ocelli  ir  apersi. 

Ma  segue  un'  altra  poi  della  sorella 

Il  corso  vago,  e  di  .sue  belle  forme 

Par  che  tutta  s' informe 

£  dì  sue  coma ,  e  quindi  ancor  s' appella  : 

Tal  lei  veggio  indurarsi  ascosa  in  parte; 

Se  toma  o  parte,  fa  sentier  diversi. 
Canzon,  ch'io  non  divegna 

Fra  tantq  meraviglie  un  muto  sasso, 

Solo  è  cagione  Amor,  che  grazia  impetra 

Dalla  mia  nobil  pietra  ; 


RIME   AMOROSE  n/i^ 

E  spero  andarne  così  passo  passo: 

E  pur  quasi  d'un  marmo  esce  la  VooC; 

Che  manco  nuoce  ov^è  clii  men  disdegna. 


CANZONE  IV. 

Mentre  espone  la  contesa  dello  Sdegno  e  delC Amore 
dinanzi  alla  Ragione ,  tesse  V  elogio  della  sua 
donna,  -»-  //  poeta  imita  quella  canzone  del  Pe- 
trarca, che  incomincia:  QuelP antiquo  mio  dolce 
empio  signore. 

Quel  generoso  mio  guerriero  intemo , 

Ch^  armato  in  guardia  del  mio  core  alberga  ^ 

Pur  come  duce  di  guerrieri  eletti^ 

A  lei  9  chMn  cima  siede  ove  il  governo 

Ha  di  nostra  natura,  e  tieu  la  verga 

ChM  ben  rivolge  gli  uni  e  gli  altri  aHelti, 

Accusa  quel  ch^  a'  suoi  dolci  diletti 

L' anima  invoglia  vago  e  lusinghiero  : 

Donna  )  del  giusto  impero 

C  hai  tu  dal  Ciel ,  che  ti  creò  sembiante 

Alla  virtù  che  regge 

I  vaghi  errori  suoi  con  certa  legge, 

Non  fui  contrario  ancora  o  ribellante. 

Né  mai  trascorrer  parmi 

Si  che  non  possa  a  tuo  voler  frenarmi. 

Ma  ben  presi  per  te  Farmi  sovente 

Contra  il  desip,  quando  da  te  si  scioglie 
Ed  a^  richiami  tuoi  V  orecchie  ha  sorde; 
E ,  qual  di  varie  teste  empio  serpente  , 
Sé  medesmo  divide  in  molte  voglie, 
Rapide  tutte  e  cupide  ed  ingorde, 
£  sovra  Talma  strìde  e  fiscliia  e  morde 


aJo  RIME   AMOROSE 

Si  che  dolente  ella  sospira  e  geme, 

E  di  perirne  teme: 

Queste  sono  da  me  percosse  e  dome^ 

E  molte  ne  recido^ 

Ne  fiacco  molte;  e  lui  non  anco  uccido: 

Ma  le  rinnova  ei  poscia ,  e^  non  so  come. 

Vie  più  tosto  ch^  augello 

Le  piume  ;  o  i  tronchi  rami  arbor  novello. 

Ben  il  sai  tu  che  sovra  il  fosco  senso 
Nostro  riluci  si  dall'alta  sede. 
Come  il  Sol  che  rotando  esce  di  Gange: 
E  sai  come  il  desto  piacere  intenso 
In  Quelle  sparge  j  ona  ei  V  anima  fiede  , 
Profonde  pieghe  ;  e  le  riapre  e  Fange: 
E  sai  come  si  volga,  e  come  canee 
Di  voglia  in  voglia  al  trasformar  a  un  viso^ 
Quand'ivi  lieto  un  riso, 
O  quando  la  pietà  vi  si  dimostra  ^ 
O  pur  quando  talora 
Qual  viola  il  timor  ei  vi  colora , 
O  la  bella  vergogna  ivi  s' innostra } 
E  sai  come  si  suole 
Raddolcir  anco  al  suon  delle  parole. 

E  sai  se  quella  che  si  altera  e  vaga 

Si  mostra  in  varie  guise  ^  e  'n  varie  forme 

Quasi  novo  e  gentil  i^ostrO  si  mira^ 

Per  opra  di  natura  e  d'arte  maga 

Sé  medesma  e  le  voglie  ancor  trasforme 

Dell'alma  nostra  che  per  lei  sospira. 

Lasso!  qual  brina  al  sole^  o  dove  spira 

Tepido  vento  si  discioglie  il  ghiaccio , 

Tal  ancor  io  mi  sfaccio 

Spesso  a'  begU  occhi  ed  alla  dolce  voce  ; 

E  mentre  si  dilegua 


RIlilE   AMOROSE  3.5 1 

Il  mio  vigor,  pace  io  concedo  o  trégua 
Al  mio  nemico;  e  quanto  è  men  feroce , 
Tanto  più  forte  il  sento  ^ 
E  volontario  a^  danni  miei  consento. 

Consento  che  la  speme,  onde  ristoro 
Per  mia  natura  prendo  e  mi  rinfranco, 
*£  nel  dubbio  m'avanzo  e  nel  perigliò, 
Torca  daU'alto  obbietto  a'  bei  crin  d'oro, 
O  la  raggiri  al  mòlle  avorio  e  bianco, 
Ed  a  quel  volto  candido  e  vermiglio  ; 
O  la  rivolga  al  variar  del  ciglio, 
Quasi  fosse  di  lui  la  speme  ancella, 
E  fatta  a  me  ribella. 
Ma  non  awien  che  '1  traditor  s'acqueti 3 
Anzi  del  cor  le  porte 
Apre,  e  dentro  ricetta  ^stranie,  scorte,   ' 
E  (bora  messi  invia  scaltri  e  secreti: 
E,  s'io  del  ver  m' a v veggio. 
Me  prender  tenta ,  e  te  cacciar  di  seggio. 

Cosi  die' egli,  al  seggio  alto  converso 
Di  lei  che  palma  pur  dimostra  e  lauro; 
E  '1  dolce  lusinghier  così  risponde  : 
Alcun  non  fu  de'  miei  consorti  avverso 
Per  sacra  fama  a  te  di  lucido  auro. 
Ch'ivi  men  s'empie,  ov'ella  più  n'abbonde, 
Né  per  brama  d'onor  ch'i  tuoi  confonde 
Ordini  giusti.  E,  s'ip  rara  bellezza 
Seguii  sol  per  vaghezza , 
Tu  sai  eh'  agli  occhi  desiosi  apparse 
Nel  mio  più  lieto  aprile     « 
Donna  cosi  gentile. 
Che  '1  giovinetto  cor  subito  n'arse. 
Per  ouesta  al  piacer  mossi 
Rapidamente,  e  dal  tuo  fren  mi  scossi. 


25^  RIME   AMOROSE 

Forse  (  io  noi  niego  )  incauto  allor  piagai 
L'alma^  e,  se  quelle  piaghe  a  lei  fur  gravf^ 
Ellla  se  1  sa  ;  tanto  il  languir  le  piace  j 
E  per  si  bella  donna  anzi  trar  guai 
Toglie,  che  medicine  ha  si  soavi , 
Che  gioir  d^  altra,  e  ne^  sospir  noi  tace. 
Ma  questo  altero  mio  nemico  audace, 
Che  per  leve  cagion ,  quando  più  scherza , 
Sé  stesso  infiamma  e  sferza, 
In  quella  fronte  più  del  ciel  serena 
Appena  vide  un  segno 
D  irato  orgoglio  e  d^  orgoglioso  sdegno , 
£  d^  avverso  desire  un*  ombra  appena , 
Che  schernito  si  tenne, 
E  del  dispregio  sprezzator  divenne. 

Quanto  ei  superbi  poscia,  e  'n  quante  guise 
Fu  crudel  sovra  me,  già  vinto  e  lasso 
Nel  corso,  e  per  repulse  sbigottito. 
Il  dica  ei  clie  mi  vinse  e. non  (u^ancise: 
Sen  glorìi  pur ,  eh'  io  gloriar  ne  '1  lasso. 
Questo  io  dirò,  ch'ei  folle,  e  non  ardito, 
Incontra  quel  voler  che,  teco  unito, 
Tale  ognor  segue  le  sue  inteme  luci,  . 
Qual  io  gli  occhi  per  duci , 
Non  men  che  sovra  '1  mio  Tarme  distrinse; 
Perchè  1  vedea  si  vago 
Della  beltà  d'una  celeste  imago. 
Come  foss'  io ,  né  lui  da  me  distin^ , 
Né  par  che  ben  s'avveda 
Che  siam  qua'  i  figli  dell'antica  Leda. 

Noti  siam  però  gemelli  ^  ei  di  celeste , 
Io  nacqui  poscia  di  terrena  madre  y 
Ma  fu  il  padre  F  istesso ,  o  cosi  stimo  : 
E  ben  par  eh'  egualmente  ambo  ci  deste 


RIME  ^MOROSE  ^53 

Un  raggio  di  beltà  ;  che  di  leggiadi*e 

Forme  adbnia  e  colora  il  terreii  limo. 

Kgli  s'  erge  sovente ,  ed  a  quel  primo 

eterno  mar  d^  ogni  bellezza  arriva  ^ 

Ond^  ogni  altro  deriva  : 

Io  caggiOy  e  'n  questa  umanità  m'immergo^ 

Pur  a  voci  canore 

Talvolta  ed  a  soave  almo  splendore 

D'occhi  sereni  mi  raffino  ed  ergo, 

Per  dargli  senza  assalto 

Le  chiavi  di  quel  core  in  cui  t^  essalto. 

K  con  quel  fido  tuo,  che  d'^alto  lume 

Scorto  si  move ,  anch'  io  raccolgo  e  mando 

Sguardi  e  sospiri ,  miei  dolci  messaggi. 

Per  questi  egli  talor  con  ^  vaghe  piume 

IN^esce,  e  tanto  s'innalza  al  ciel  volando, 

Che  lascia  addietro  i  tuoi  pensier  più  saggi. 

Altre  forme'più  belle  ed  altri  raggi 

Di  più  bel  Sol  vagheggia  3  ed  io  felice 

Sarei,  com'egli  dice. 

Se  tutto  unito  a  lui  seco  m'  alzassi. 

Ma  la  grave  "^  mollale 

Mia  natura  mi  stanca  in  guisa  l' ale , 

di' ol tra  i  begli  pcchi  rado  avvien  ch'i'  passi. 

Con  lor  tratta  gV  inganni 

U  tuo  fedel  seguace,  e  noi  condanni. 

Ma  s' a  te  non  dispiace ,  alta  regina  , 

Che  là  donde  in  un  tempo  ambo  partiste 

Egli  rapido  torni  e  varchi  il  cielo. 

Condotto  no ,  ma  da'  virtù  divina 

Ratto  di  forme  non  intese  o  viste; 

A  me,  che  nacqui  in  terra,  e  'n  questo  velo 

Vago  d'  altra  bellezza  (  e  non  tei  celo  ), 

Perdona  ove  talor  troppo  mi  stringa 


354  ^IME  ^  AMOROSE 

Con  lui  che  mi  lusinga. 
Forse  ancora  avverrà  eh*  a  poco  a  poco 
Di  non  bramarlo  impari, 
E  col  voler  mi  giimga ,  e  mi  rischiarì 
A'  rai  del  suo  celeste  e  puro  foco, 
Come  nel  del  riluce 
Castore  unito  allMmmortal  Polluce. 
Canzon ,  cosi  V  un  nostro  affetto  e  V  altro 
Davanti  a  lei  contende, 
Ch^ambo  li  regge,  e  la  sentenza  attende. 


CANZONE  V. 

LaurtUa  e  Lia,  prese  aUeoDricamente  per  la  poesia 
e  la  filoso fta ,.  s^  accordano  nel  lodar  t  onore , 
che  è  desiaeno  di  bellezza.  —  Questa  canzone  h 
di  quelle  che  si  chiamano  ballate^  ed  è  foila  a 
imitazione  Jluna  di  Guido  Cavalcante,  ' 

Io  mi  sedea  tutto  soletto  un  giorno   ' 
Sotto  gli  ombrosi  orini 
Di  palme,  abeti  e  pini^ 
E  così  ascoso  udia 
Lauretta  insieme  e  Lia 
Nel  solitario  orrore, 

Due  vaghe  Ninfe  appresso  un  chiaro  fonte. 
Tra  Ferbe  fresche  e  i  lucidi  ruscelli. 
Ambe  a  cantare  ed  a  risponder  pronte , 
Come  di  primavera  i  vagiii  augelli^ 
Ambe  vidi  con  lunghi  aurei  capelli, 
Ambe  soavi  il  riso. 
Bianche  e  vermiglie  il  viso, 
Arabe  nude  le  braccia: 
Ne  so  qual  più  mi  piaccia , 
Che  par  ciascuna  un  fiore. 


RIME   AMOROSE  ^55 

U  una  diceva  alP  altra  :  Amor  possente 

È  più  di  fera  in  selva  e  più  del  foco, 

Più  che  nel  verno  rapido  torrente  : 

Amor  si  prende  il  mio  languire  in  gioco, 

Ond^io  cerco  temprarlo  a  poco  a  poco;  • 

Ch'arder  già  non  vorrei 

Con  tutti  i  pensier  miei, 

Ma  sA  scaldarmi  alquanto  j 

Né  tempra  amaro  pianto 

n  mio  si  lungo  araore. 
K  r  altra  le  rispose:  Amor  soave 

È  più  eh'  aura  non  suol  di  fronda  in  fronda , 

Quando  non  spinge  al  porto  armata  nave, 

Ma  sol  fa  tremolare  i  giunchi  e  V  onda; 

E  vie  più  dolce  d' ogni  umor  ch^  asconda 

O  stilli  o  foglia  o  canna, 

Più  di  mei,  più  di  manna: 

E  sol  di  lui  mi  doglio, 

Ch'  arde  meo  eh*  io  non  voglio 

In  poca  fiamma  il  core. 
E  poi  diceano  insieme  :  O  sia  col  freno  , 

O  sia  con  legge,  o  senza.  Amor  felice 

Sol  può  far  donna  che  V  accoglìa  in  seno ,  ^ 

E  s'ella  il  fa  palese,  e  se  noi  dice. 

E  siccome  ogni  fior  da  sua  radice,^ 

E  da  fontana  il  rio  , 

Di  bellezza  il  desio, 

La  dolcissima  voglia 

Si  deriva  e  germoglia: 

Dunque  viva  l'Amore. 


a56  RIME  AMOROSE 


CANZONE  VI. 


Descrìva  gli  fjfrtti  in  Itti  prodotti  dalia  gelosia^ 
della  quale  adduce  due  cagioni:  il  poco  suo  me- 
rito ,  e  la  gran  bellezza  deUa  sua  donna,  E  però 
solo  accusa  se  stesso  ^  non  trovando  in  lei  altro 
mancamento  f  che  di  pietà  ;  sicché  ,  qual^^nque  si 
siano  I  suoi  didfbi  è  sospetti  ^  protesta  che  niuna 
cosa  al  mondo  potrà  mai  spegnere  il  suo  amore. 

O  neffamor  che  mesci 

D'amar  nuovo  sospetto; 

O  sollecito  dubbio  e  fredda  tema  ^ 

Che  pensando  t^  accresci 

E  t^ avanzi  nel  petto, 

Quanto  la  speme  si  dilegua  e  scema  ; 

S^amo  beltà  suprema, 

Angelici  costumi, 

E  sembianti  celati, 

E  portamenti  onesti, 

Perch'awien  che  temendo  io  mi'  consumi? 

E  che  mi  strugga  e  roda, 

S^  altri  li  mira  e  loda  7 
Già  difetto  non  sei 

Della  gentil  mia  donna} 

Che  nulla  manca  in  lei ,  se  non  pietate  : 

E  temer  non  dovrei 

Ch'ove  onestà  s'indonna 

Regnasse  Amor  fra  voglie  aspre  e  gelate  ; 

Pur  la  sua  gran  beltate 

Ch'altrui  si  rasserena, 

E  lo  mio  picciol  mèrto 

Mi  fa  dubbioso  e  'nccrto  , 

Talché  sei  colpa  mia,  non  sol  mia  pena: 


RIME  AMOROSE 

Sei  colpa  e  pena  mia, 

O  cruda  gelosia. 
E  me  stesso  n'accuso, 

Ch'ai  mio  martir  consento 

Sol  per  troppo  voler,  per  troppo  amare ^ 

'£  quel  che  dentro  è  cniuso , 

Con  cento  lumi  e  c^nto 

Veder  T  bramo,  e  non  sol  ciò  ch'appare. 

Luci  serene  e  chiare. 

Soavi  e  cari  detti. 

Riso  benigno  e  lieto , 

Che  fa  nel  più  secreto 

Albergo  Palma  fra'  celati  affanni? 

Fra  gli  occulti  pensieri 

Che  vuol?  ch'io  tema  o  sperì? 
Voi,  sospiri  cortesi 

E  fidi  suoi  messaggi, 

A  cui  ven  git^?  a  cui  portate  pace? 

Deh!  mi  fosser  palesi 

Vostri  dolci  viaggi 

E  quel  che  nel  suo  core  asconde  e  tace. 

Oimè!  che  più  le  piace 

Valore,  o  chiara  fama, 

O  bella  giovinezza, 

O  gìovenil  bellezza  5 

O  più  sangue  reale  onora  ed  ama: 

Ma ,  se  d' amor  s' appaga  , 

Forse  del  nostro  è  vaga. 
È  il  mio  vero  ed  ardente, 

E  per  timor  non  gela , 

Né  s'estingue  per  ira  o  per  disdegno^ 

E  cresce  nella  mente, 

S'eeli  si  copre  e  cela. 

Però,  se  rade  volte  ascoso  il  tegno, 
Tasso,  FoL  IF.  17 


a  57 


a58  RIME  AMOROSE 

Ben  di  pietade  è  degno, 

E  degni  di  mercede 

Sono  i  pensier  miei  lassi. 

Cosi  solo  io  F amassi, 

Come  il  mio  vivo  foco  ogni  altro  eccede, 

Che  non  temerei  sempre 

In  disusate  tempre! 
Né  solo  il  dolce  suono 

E  r  accorte  parole 

Di  chi  seco  ragiona,  e  i  bei  sembianti, 

Ma  spesso  il  lampo  e  1  tuono 

E  Paura  e  U  vento  e  '1  sole 

Mi  fan  geloso  9  e  gli  altri  Divi  erranti. 

Temo  i  celesti  amanti: 

E,  se  nelTarìa  io  veggio 

O  nube  vaga  o  nembo. 

Dico:  Or  le  cade  in  gcembo 

La  ricca  pioggia;...  e  col  ^nsiel*  vaneggio, 

Che  spesso  ancor  m'adombra 

Duci  ed  eroi  nell'ombra. 
Canzon,  pria  mancherà  fiume  per ^ verno. 

Che  nel  mio  dubbio  core 

Manchi  per  gelo  amore. 


RIME  AMOROSE  aSg 


CANZONE  Vn. 

Celebra  la  sig.  Vittoria  Doria  Gonzaga^  mogUe  del 
sig»  D,  Ferrante  principe  di  Moffetta  »  dal  quale 
egli  fu  piU  volte  onorato  e  beneficato,  •—  Questa 
canzone  è  fatta  a  mutazione  di  quella  del  Petrarca: 
Las&o  me!  che  non  so  in  qual  parte  pieghi;  e 
però  ciascima  stanza  termina  con  un  verso  <f  un 
poeta  famoso,  L*  ultimo  verso  della  prima  stanza 
e  del  marchese  di  S.  Juliana ,  poeta  spagnuolo  ; 
f  ultimo  della  seconda  ^  di  Dante;  tuUimo  della 
terza  è  del  Petrarca  ;  f  ultimo  della  quarta  è  di 
Bernard^  Tasso;  C ultimo  della  quinta  è  di  Ton- 
quato  medesimo. 

Di  pregar  lasso  e  di  cantar  già  stanco, 

Il  vostro  nome  altero  e  trionfale 

Portar  non  sposso  com'  augel  sull'  ale  y 

Or  negro  e  roco,  e  già  canoro  e  bianco; 

E  sotto  il  fascio  de^  miei  danni  io  manco. 

Ma  pur  9  chiara  Vittoria ,    ^ 

Per  la  clol4V  memoria 

Di  vostra  cortesia  Falma  rinfranco^ 

E  di  lodarvi  i'  m^  assicuro  ed  oso^ 

AmnUraùvo  mas  que  temeroso. 
Più  di  stupor  che  di  timor  mMngombra 

L^  angelica  sembianza  e  1  bel  costume 

E  degli  occhi  soavi  il  puro  lume 

Ch'ogni  mesto  pensier  discaccia  e  sgombra. 

E  siede  in  voi  y  ma  vinto  y  Amore  all'  ombra  y 

Con  mille  sue  rapine  y 

Negli  occhi  e  sotto  il  crine 

Che  la  tranquilla  e  chiara  fronte  adombra  ; 

E  miUe  altri  trionfi  ancor  sapete 

f^oi  eh*  intendendo  il  terzo  ciel  mossele. 


a6o  RIME  AMOROSE 

Amor  di  strali  armato  e  di  facelle 
Vinceste  inerme  e  giovinetta  donna 
Con  bianca  destra  ignuda  in  traccia  e  *n  gonna^ 
£  r  altre  voglie  alla  ragion  rubelle: 
E  le  vittorie  son  quante  le  stelle; 
E  tanti  i  vostri  onori  ^ 
Quanti  di  maggio  i  fiorì  ^ 
E  quante  son  a  aprii  Ferbe  novelle: 
E  la  bellezza  è  pari  all'onestate 
Nel  dolce  tempo  della  prima  etate. 
Felice  albergo,  che  voi  lieta  accoglie 
Fra  duci  e  gloriosi  alti  gnerrìeri, 
Di  lor  virtute  e  di  lor  gloria  alteri, 
E  fra  vittoriose  e  care  spoglie  : 
Felice  sposo  e  di  concordi  voglie, 
Cui  non  vi  die  fortuna. 
Non  cielo,  o  sorte,  o  luna, 
Ov'  altri  lega  il  fato ,  e  V  alma  scioglie , 

Ma  chi  la  fece:  e  qui,  se  mai  v'esalto, 
Temo ,  dorma  gentil ,  if  alzarmi  in  alto. 
Or  non  agguagli  a  lui  Grecia  fallÉee 

Quel  da  Corinto,  a  cui  Pinstabil  Diva 

L' ampie  città  prendea  mentre  dormiva , 

Che  in  lungo  sonno  ei  non  s'acqueta  o  giace; 

M$i  r antico  valor,  qual  tromba  o  face. 

Negli  occhi  gli  sfavilla, 

E  più  chiaro  di  squilla 

Rimbomba  in  aspra  guerra  o  'n  lieta  pace. 

Voi  gli  fate  altra  rete,  altra  catena. 

Illustre  donna ,  e  più  del  ciel  serena. 


RIME  AMOROSE  a6i 


CANZONE  Vin. 

Celebra  una  vaga  montag^teUa. 

O  bel  colle  y  onde  lite 

Nella  stagione  acerba 

Tra  Farte  e  la  natura  incerta  pende; 

Che  dimostri  vestite 

Di  vaghi  fiorì  e  d'erba 

Le  spalle  al  Sol  ch'in  te  riluce  e  splende  ; 

Non  così  tosto  ascende 

Egli  suir.orìzzonte , 

Che  tu  nel  tuo  bel  lago 

Di  vagheggiar  sei  vago 

n  tuo  bel  seno  e  la  frondosa  fronte, 

Qual  giovinetta  donna 

Che  s'infiori  allo  specchio  or  velo  or  gonna. 
Come  predando  i  fiori  ^ 

Sen  van  l'api  ingegnose, 

Onde  addolciscon  poi  le  ricche  celle, 

Così  ne'  primi  albori 

Vedi  schiere  amorose 

Errare  in  te  di  donne  e  di  donzelle: 

Queste  ligustri,  e  quelle 

CogUer  vedi  amaranti. 

Ed  altre  insieme  avvinti 

Por  narcisi  e  giacinti 

Tra  vergognose  e  pallidette  amanti; 

Rose,  dico,  e  viole, 

A  cui  madre  è  la  terra ,  e  padre  il  sole.  ^ 
Tal,  se  l'antico  grido 

È  di  fama  non  vana  , 


afo  RTBIE  AMOROSE 

Vide  gelido  monte  e  monte  acceso 

La  bcHa  Dea  di  Gnìdo 

E  Minerva  e  Diana 

Con  Proseqiina  j  a  cui  Y  inganno  è  teso  : 

Ne  Farco  avea  sospeso  ^ 

Né  Feburna  faretra 

Cintia  y  né  f  elmo  o  V  asta 

U altra  più  saggia  e  casta. 

Né  1  volto  di  Medusa  ona  uom  s^  impetra  : 

Ma  con  gentile  oltraggio 

Spogliavano  il  Borito  e  novo  maggio. 
Cento  altre  intomo  e  cento 

Ninfe  vedeansi  a  prova 

Tesser  ghirlande  a^  crini  e  fiorì  .al  seno  : 

E  '1  Ciel  parca  contento 

Stare  a  vista  sì  nova. 

Sparso  d*  un  chiaro  e  lucido  sereno  : 

E  'n  guisa  d' un  baleno 

Tra  nuvolette  aurate 

t^edeasi  Amor  colTarco 

Portare  il  grave  incarco 

Della  faretra  sua  coffarme  usate, 

E  saettava  a  dentro 

Il  gran  Dio  delP  Inferno  insin  al  centro. 
Plutone  aprìa  la  terra 

Per  si  Della  rapina, 

Fiero  movendo  e  spaventoso  amante: 

E  quasi  a  giusta  guerra 

Coppia  del  ciel  divina 

Correva  a  Id,  che  le  chiamò  tremante  ^ 

Penne  quasi  alle  piante 

Ponean,  già  prese  Tarme. 

Ma  nel  carrp  veloce 

Si  dilegua  il  feroce 


UIME  AMOROSE  i63 

Pria  che  F  una  saetti ,  o  F  altra  a*  anne  : 

E  del  lor  tardo  avviso 

Mostrò  Ciprigna  lampiggiando  un  rìso. 
Ma  dove  mi  trasporta, 

O  montagnetta  ombrosa, 

Così  lunge  da  te  memoria  antica? 

Pur  F  alto  esempio  accorta 

Ti  faccia,  e  più  nascosa 

Nel  ricoprire  in  te  schiera  pudica. 

Oh  !  se  fortuna  amica 

Mi  facesse  custode 

De'  tuoi  secreti  adomi, 

Che  dolci  e  lieti  giorni 

Vi  spenderei  con  tuo  diletto  e  lode  ! 

Che  vaghe  notti  e  quete. 

Mille  amari  pénsier  tuffando  in  Lete! 
Ogni  tua  scorza  molle 

Avrebbe  inciso  il  nome 

Delle  nuore  d'Àldde  e  delle  figlie  ; 

Risonerebbe  il  colle 

Del  canto,  delle  chiome 

E  delle  guance  candide  e  vermiglie: 

Le  tue  dolci  famiglie 

(Dico  i  fior  che  di  règi 

Portano  i  nomi  impressi) 

Udrebbono  in  sé  stessi 

Altri  titoli  e  nomi  ancor  più  egregi; 

E  da  frondose  cime 

Risponderian  gli  augelli  alle  mie  rime. 
Cerca,  rozza  canzone,  antro  o  spelonca 

Tra  questi  verdi  chiostri: 

Non  appressar  dove  sian  gemme  ed  ostri. 


!>64  RIME  AMOROSE 


CANJa^NE  IX. 


Per  celebrare  gli  egregi  meriti  della  tig.  Maddalena 
Falmarana ,  dice  come  la  Flirta  s'  innamorasse 
della  bellezza  di  lei,  e  come  deliberasse  di  sta- 
bilire,  dove  ella  h,  la  sua  sede,  acciocché  il 
mondo  in  lei  la  onori  ed  ami. 


Donna ,  la  vostra  fama  e  M  mio  pensiero 
In  monti  vi  dipinge  e  'n  fresche  rive; 
E,  mentre  Funa  parla  e  F altro  scrive, 
Io  stimo  queisto  e  quella  un'  ombra  al  vero, 
•  Che  non  esprime  il  vostro  merto  intero  : 
Ma  come  vive  fiamme  e  vaghi  lumi 
Vidi  in  torbidi  fiumi  ; 
O  come  voce  si  disperde  in  aura, 
Che  nulla  poi  ristaura, 
Cosi  vostra  beltà,  eh' è  senza  vanto. 
Nella  mia  mente  perde,  e  più  nel  canto. 

Ma  pur  io  canterò,  perchè  le  rime 
Serbino  almeno  in  parte  i  vostri  onori, 
Siccotùe  in  vasel  d' ór  le  rose  o  i  fiori , 
Serbate  cólti  da  froadose  cime, 
O  pur  le  bianche  violette  e  prime. 
Io  dico  dunque  che  virtù  dal  cielo 
Scesce  fra  caldo  e  gelo, 
E  la  terra  cercò,  né  visse  ascosa 
Fra  la  gente  orgogliosa; 
Che  'n  magnanimo  cor  parea  sov«ìte 
Raggio  di  steUa,  ovver  di  sole  ardente. 

E  sotto  Telmo  e  dentro  ludd'arme 
Spesso  terrìbil  fu,  spesso  fuggita; 
E  dove  Marte  a  fera  pugna  invita. 


RIME  AMOROSE  afiS 

E  perchè  1  cavalier  s^  adorni  ed  arme^ 

Rompe  il  riposo  altrui  col  chiaro  carme  j 

E  colle,  sacre  leggi,  ìa  alta  sede. 

Temenza  e  pena  diede  ^ 

E  talor  dimostrò  severo  ciglio 

Danno  o  mortai  perìgUo: 

Tal  ch^era  la  virtù  tra  gli  alti  ingegni 

Nome  odioso  allor  con  mille  sdegni. 
E  vedendo  quaggiù  le  genti  umane 

Da  lei  ritrarsi ,  e  i  miseri  mortali  j 

Rivolse  tosto  al  cielo  i  passi  e  Fali, 

E  volea  ricercar  parti  soprane 

E  stanze  più  lucenti  e  più  lontane; 

Quando  fermoUa  un  lampeggiar  di  riso, 

Che  vi  mirò  nel  viso, 

A  contemplar  fronte  serena  e  lieta 

Ch'ogni  dolor  acqueta, 

E  ne'  vostri  occhi  ancor  vaghe  bellezze, 

Piene  di  soavis^rae  dolcezze. 
E  fra  perle  e  rubini  uscir  parole 

Ufiiva  in  così  novo  e  dolce  suono, 

Ch'altera  libertà  sé  stessa  in  dono 

Gli  avrebbe  data,  e  '1  proprio  carro  il  Sole; 

Onde  vi  disse:  Non  convien  ch'io  vole, 

Ma  qui  fermar  mi  voglio,  alma  pudica ^ 

Con  gentilezza  antica, 

Perclr  altri  sempre  in  voi  m'onori  ed  ami  ' 

Fra  reti  e  nodi  ed  ami: 

Qui  sarò  cara  al  mondo;  e  'n  questa  parte 

Non  vi  alberga  fortuna,  anzi  bell'arte. 
Qui  la  bellezza  ed 'io  faremo  a  prova 

Queste  genti  felici  e  questa  etade. 

E,  s'è  vera  virtù  vera  beltade. 

Io  sarò  quel  che  piace  e  quel  che  giova. 


a66  RIME  AMOROSE 

Tacque,  dò  «detto:  ed  ora  in  voi  ai  trova 
D^un  bel  diamante  quadro  e  mai  non  scemo 
Fatto  un  seggio  supremo, 
E  rìsplende  in  più  forme  e  'n  varj  modi, 
E  con  diverse  lodi^ 

E,  perchè  muti  ad  or  ad  or  sembianza, 
Non  è  discorde  a  sé  che  tutto  avanza. 
Ma  con  più  bel  concento 

Tempra  soavemente  i  suoi  desirì. 
Le  parole  e  i  sospiri, 
E  i  raggi  e  '1  foco  d^  onorate  voglie , 
Avvolta  in  si  leggiadre  e  care  spoglie. 

CANZONE  X. 

In  lode  della  stg.  Porzia  Mari.  Il  nome  di  questa 
dama  gli  apre  il  campo  a  considerarla  come  un 
mare,  per  accrescer  F eccellenza  del  quale  egli 
ritrova  peregrini  e  valghissimi  concetti. 

O  felice  onorato  almo  terreno 
Che  quinci  f  Adria  inonda. 
Quindi  il  Tirren  circonda. 
Non  ti  bastava  intorno  aver  due  mari, 
E  sì  difesa  Funa  e  P altra  sponda? 
Ma  in  mezzo  F ampio  seno. 
Sotto  il  ciel  più  sereno, 
Ne  vagheggi  un  ch^è  dolce  e  senza  pari. 
Tutti  1  lumi  più  chiarì, 
E  le  fiamme  più  belle 
Delle  notturne  stelle 

Si  fanno  specchio  in  questo  puro  argento. 
Che  non  perturba  il  vento , 
Né  confonde  le  piogge  e  le  procelle} 


RIME  AMOROSE  367 

E  'n  altra  parte  il  Sol  non  è  ai  vago 

Di  vagheggiar  la  sua  lucente  imago. 
Qual  purpureo  color  cPonde  sanguigne 

Fu  si  vago  giammai, 

O  di.  lucenti  rai, 

O  di  negre  viole  in  sulT  aurora , 

Quando  Progne  rinnova  i  dolci  lai, 

E  Tana  si  dìpigne, 

E  voi,  stelle  nenigne, 

Vi  dimostrate  rugiadose  ancora?  ' 

Qual  altro  si  colora, 

Qual  zaffiro  o  qual  ostro, 

Che  a  questo  bianco  Mare  oggi  non  ceda, 

O  parta  il  sole,  o  rieda? 

A  questo  Mar  che  non  ha  scoglio  o  mostro, 

E  colla  via,  chMmbianca  il  ciel,  contende. 

Di  tanteT  luci  ognor  fiammeggia  e  splende  ? 
Segno  il  candore,  e. la  bellezza  è  segno 

Di  qu&to  Mar  c^ha  pace 

Non  incerta  o  fallace, 

E  lunge  mostra  il  porto  e  i  lumi  santi. 

Di  cui  rìsplende  quasi  chiara  face; 

Né  fortuna  o  dìsaegno 

Può  nel  ^no  stabil  regno. 

Né  sono  di  Sirena  i  dolci  canti, 

Né  perde  i  legni  erranti 

Mezzo  tra  Fonde  ascosa 

Con  voce  insidiosa; 

Ma  delle  Grazie  il  dilettoso  coro, 

E  quel  concento  loro 

Ch^  umiliar  potrebbe  alma  feroce; 

Ma  nel  musico  Mar,  non  d^aure  o  d'acque, 

Ma  di  virtù  Falta  armonia  ci  piacque. 
Or  non  si  vanti  allor  che  più  rìsuona 


a68  RIME  ilMOROSE 

Con  tante  isole  Egeo; 

Non  quello  in  cui  perdéo 

Dedalo  il  figlio  che  troppo  alto  ascese^ 

E  per  altero  volo  in  mar  cadéo: 

Ch^a  lui  palma  o  corona 

Gloria  non  cresce  o  dona. 

Non  vittoria  immortai  d^  aspre  contese  : 

Ma  Funo  e  F  altro  prese 

Dal  sepolcro  la  fama, 

Per  cui  piange  e  richiama 

Arianna  Teseo  con  alte  voci 

Da^  suoi  legni  veloci , 

E  sovra  il  lido  ancor  sospira  ed  ama; 

Per  cui  d^  Icaro  il  volo  e  1  duro  caso 

Si  rinnova  dall^Orto  al  nero  Occaso. 
Ma  dura  tomba  e  sconsolata  morte , 

O  ventura  nemica, 

O  mesta  fama  antica 

Pregio  non  giunse  a  questo  Mar  si* puro, 

Ch'un  vago  seno  mormorando  implica: 

Anzi  con  miglior  sorte 

E  con  note  più  scorte 

S^  appella ,  e  mai  non  vede  il  cielo  oscuro  ; 

Ma  tranquillo  e  securo 

È  1  suo  porto  soave 

A  fortunata  nave  3 

Né  teme  di  tempesta  o  d^atro  nembo 

n  casto  e  nobil  grembo, 

O  pur  di  verno  tempestoso  e  grave  ; 

Ma  vi  fan  cari  ed  amorosi  balli 

Ninfe  adorne  di  perle  e  di  coralli. 
Canzon,  le  vele  negre 

Non  spiego  per  obblio. 

Onde  il  buon  re  morio; 


RIME  AMOROSE  26^ 

Né  tanto  innalzo  F  incerate  penne  ^ 
Che  di  cadere  accenne; 
Né  clona  di  sepolcro  aver  desio: 
Ma  basterà  y  se  questo  sole  e  F  aura 
Le  forze  ai  suo  valor  cresce  e  rìstaura. 


.     CANZONE  XI 

jilla  sìg.  Olimpia,  dandgeUa  di  D.  Eleonora  San- 
viiaii  duchessa  di  Scandiano,  Artìfìùosamente  s*  in- 
gegna di  persuaderla  a  disarmare  il  rigore  della 
sua  padrona, 

O  con  le  Grazie  eletta  e  con  gli  Amori, 
Fanciulla  avventurosa, 


A  servir  a  colei  che  Dea  somiglia  j 
Poiché  '1  mio  sguaVdo  in  lei  mirar 
I  raggi  e  gli  splendori 


non  osa 


£  '1  bel  seren  degli  occhi  e  delle  ciglia , 
Né  Falta  maraviglia 
Che  ne  discopre  il  lampeggiar  del  riso, 
Né  quanto  ha  di  celeste  il  petto  e  '1  volto, 
Io  gli  occhi  a  te  rivolto , 
E  nel  tuo  vezzosetto  e  lieto  viso 
Dolcemente  m^ affiso: 
Bruna  sei  tu ,  ma  bella , 
Qual  vergine  viola;  e  del  tuo  vago 
Sembiante  io  si  m'appago. 
Che  non  disdegno  signoria  d'ancella. 
Aentre  teco  ragiono ,  e  tu  cortese 
Sguardi  bassi  e  furtivi 
Volgi  in  me,  del  tuo  cor  mute  parole ...  * 
Ah  I  dove  torci  i  lumi  alteri  e  schivi  ? 
Da  qual  maestra  apprese 


370  RIME  AMOROSE 

Hai  Fein[ne  usanze,  e  *a  quai  barbare  scuole? 

G>8Ì  mostrar  si  suole 

La  tua  donna  superba  incontrs^  Amore, 

£  fulminar  dagli  ocelli  ira  ed  orgoglio. 

Ma  tu  del  duro  scoglio, 

Ch'a  lei  cinge  ed  inaspra  il  fre^ido  core, 

Non  hai  forse  il  rigore: 

Non  voler,  semplicetta, 

Dunque  imitar  della  severa  fronte 

L^  ire  veloci  e  pronte  j 

Ma,  snella  ne  sgomenta,  or  tu  n^ alletta. 
Mesci  co^  dolci  tuoi  risi  e  co*  vezzi 

Solo  acerbetti  sdegni 

Che  le  dolcezze  lor  faccian  più  care; 

Ned  ella  a  te  gli  atti  orgogliosi  insegni 

E  i  superbi  disprezzi, 

Ma  da  te  modi  mansueti  impare. 

Oh!  se  tu  puoi  destare. 

Scaltra  d^Amor  ministra  e  messaggiera, 

Fra  tante  voglie  in  lei  crnde  e  gelate. 

Scintilla  di  pietate, 

Qual  gloria  avrai  dovunque  Amor  impera? 

Tu  voce  hai  lusinghiera 

E  parole  soavi, 

Tu  i  mesti  tempi  e  i  lieti,  e  tu  dei  giochi 

Sai  gli  opportuni  lochi, 

E  tieni  di  quel  petto  ambe  le  chiavi. 
So  ch'ella,  amssa  ai  micidiali  specchi. 

Suoi  consiglier  fedeli, 

Sovente  i  fregi  suoi  varia  e  rinnova; 

E  qual  empio  guerrier,  eh*  arme  crudeli 

A  battaglia  apparecchi. 

Le  terge  ad  una  ad  una  e  ne  fa  prova. 

Tal  ella  affina  e  prova 


RIME  AMOROSE  371 

Di  sua  bellezza  le  saette  e  i  dardi 

Se  siano  acuti  e  saldi:  «  Al  cor  non  giunge 

Questo  9  ma  leggìer  punge} 

Quest^ altro  (dice)  uccide  si^  ma  tardi} 

Da  questo  uom  che  si  guardi 

Può  schermirsi  e  fuggire } 

È  inevitabil  questo.  »  —  Or  tu  chMntapto 

U  crìn  r  adorni  e  ^1  manto , 

Così  le  parla ,  e  così  placa  V  ire  : 
M  O  dell'armi  d'Amore  adorna  e  forte 

Guerriera  ribellante. 

Che  lui  medesmo  che  t'armò  disfidi, 

Qual  petto  è  di  diaspro  o  di  diamante , 

Che  (u  strazio  e  di  morte 

Al  balenar  degli  occhi  tuoi  s'affidi?  « 

Clii  non  sa  come  uccidi? 

Ma  chi  sa  come  sani,  o  come  avrive? 

Dell'  armi  tue  sol  le  virtù  dannose 

Son  note,  e  l'altre  ascose. 

Perchè  di  tant'onor  te  stessa  prive? 

Ah  j  luci  belle  e  dive , 

Ah  voi  non  v'accorgete 

Ch'a'  vostri  rai  rinovellar  vi  lice 

Un  cor,  quasi  fenice, 

E  le  piaghe  saldar  che  aperte  avete. 
«  Or  che  tutti  son  vinti  i  più  ritrosi 

E  i  più  alpestri  e  selvaggi, 

Scoprite  altro  valor  in  altri  eflfetti: 

Dolci  gli  strai  vibrate,  e  misti  i  raggi 

De'  fólgori  amorosi 

Sian  con  tempre  di  gioje  e  dì  diletti; 

Sani  i  piagati  petti, 

E  ne'  cor  per  timor  gelati  e  morti 

Desti  spirto  di  speme  aure  vitali. 


/ 


vji  HIME  AMOROSE 

Oh  fortunati  mali! 

Diranno  posda!  oh  liete  e  care  morti  I 

Ne  più  gli  amanti  accorti 

Temeran  di  ferita^ 

Ma  di  morir  per  si  mirabil  piaghe 

Farà  F  anime  vaghe 

Un  bel  desio  di  rinnovar  la  vita.  »  — 
G)8Ì  le  parla  3  e  con  faconda  lingua 

Lusinga  insieme  e  prega; 

Ch'alfin  si  volge  ogni  femmineo  ingegno.  — 

Ma  che  rileva  a  me,  sebben  si  pi^a? 

Cresca  pure,  ed  estingua 

GF  illustri  amanti  il  suo  superbo  sdegno  ; 

Me  nel  mio  stato  indegno 

Uumil  fortuna  mia  sicuro  rende. 

Vii  capanna  dal  Ciel  non  è  percossa  j 

Ma  sovra  Olimpo  ed  Ossa 

Tuona  il  gran  Giove,  e  Falte  torri  offende. 

Quinci  ella  esempio  prende.  — 

Ma  tu,  mio  caro  oggetto, 

Non  disdegnar  che  la  tua  fronte  lieta 

Del  mio  desir  sia  meta, 

£  fa  de'  colpi  tuoi  segno  il  mio  petto. 
Vanne  occulta,  canzone, 

Nata  d'amore  e  di  pietoso  zelo, 

A  ouella  bella  man  che  con  tant'arte 

L'altrui  chiome  comparte: 

Di'  che  t' asconda  fra  le  mamme  e  '1  velo 

Dagli  uomini  e  dal  Cielo. 

Ah,  per  Dio,  non  ti  mostri! 

E,  se  scoprir  ti  vuol,  ti  scopra  solo 

Air  amoroso  stuolo, 

Né  leggano  i  severi  i  détti  nostri. 


RIME  AMOROSE  373 


CANZONE  Xn. 


Alla  Nana  della  duchessa  di  Ferrara,  Cerca  varj 
concetti  per  lodarla,  e  fra  gli  altri  la  paragona, 
anzi  la  prepone  a*  Giganti ,  cavando  t  argomento 
dagli  effetti;  ma  soggiugne  che  il  suo  maggior 
vanto  è  C  essere  ancella  della  duchessa. 

O  d'alta  donna  pargoletta  ancella, 

O  leggiadretto  mostro, 

In  cui  si  volle  compiacer  Natura! 

Questa  si  viva  e  giovenil  figura 

È  meraviglia  più  gentil  di  quella 

Ch'anco  per  fama  dura 

E  nelle  carte  e  nel  purgato  inchiostro, 

Che  descrìve  i  giganti  al  secol  nostro; 

Perocòhè  l'invaghir  del  far  paura 

È  più  gradito  eflfetto: 

Quelli  odiosi  fur,  tu  cara  sei  3 

E  '1  tuo  cortese  aspetto 

Vagheggiano  i  superni  erranti  Dd. 
E,  benché  l'uno  in  cima  all'altro  monte 

Portar  non  osi  o  possa. 

Per  altra  nova  strada  al  cielo  aspiri, 

Mentre  gli  occhi  ove  infiamma  i  suoi  desirì 

Alma  reale,  e  la  serena  fronte 

Della  tua  Donna  miri, 

Scala  più  degna  assai  d'Olimpo  e  d'Ossa. 

Avventuroso  ardir ,  felice  possa  , 

Fermare  il  guardo  ne'  celesti  giri 

Di  si  lucente  Sole! 

E  veder  come  intorno  a  si  bei  raggi 
Ta^ìso,  Voi.  IV.  '18 


374  &IMB  AMOROSE 

Amor  saetti  e  vote, 

£  dMre  al  ciel  discopra  alti  viaggi! 

Par  non  discese  in  te  fulmine  ancora^ 
Né  turbò  state  o  verno 
n  bel  seren  che  par  di  paradiso  j 
Ma  con  tranquille  ciglia  e  dolce  rìso 
Ella  t^ ascolta  e  guarda ,  e  suol  talora, 
Se  ti  rimira  in  viso. 
Mostrarti  segno  del  piacer  intemo 
Quando  tu  prendi  gu  altrui  detti  a  scherno 
Si  dolcemente,  ch^ei  ri  man  conquiso; 
O  quando  i  vaghi  passi 
Tu  movi  con  si  onesti  e  bei  sembianti, 
Ch^  ammollir  ponno  i  sassi  j 
O  pur,  come  Angeletta , lor  suoni,  or  canti: 

O  quando,  ove  son  donne  in  bella  schiera, 
£  vagliono  assai  poco 
Le  difese  e  gli  schermi  incerti  e  frali. 
Fai  dolci  piaghe  alle  maggiori  eguali. 
Tal  ferir  suole  altrui  picciola  fera, 
£  pronto  augel  sulFaU 
Cader  a  piccini  ferro  •  e  picciol  foco 
Arder  gran  torre.  £  Denciiè  sol  per  gioco 
Amor  da  te  sparga  faville  e  strau. 
Per  gioco  ancor  s^  accende 
Spesso  gran  fiamma,  e  fassi  apipia  ferita; 
E  spesso  toglie  e  rende 
Per  gioco  il  mio  signore  altrui  la  vita. 
Fra  sì  mirabil  gioco  il  tuo  bel  nome 
Ognor  cresce  e  s* avanza, 
£  pari  a^  più  famosi  ornai  diviene; 
Perchè  delle  tue  luci  alme  e  serene. 
Delle  vermiglie  guance  e  delle  chiome 


RIME   AMOROSE  275 

Che  fan  quasi  catene, 

Di  quella  piana  angelica  sembianza 

Onde  conviti  alcuna  volta  a  danza, 

Deir armonia  ch'in  pregio  egual  si  tene, 

Parlar  sovente  s^ode 

Fra  donne  e  cavalieri  ove  si  dia 

Onor  verace  e  lode 

A  valor,  a  bellezza,  a  leggiadria. 
Ma  qual  lode  maggior,  che  F esser  degna 

Di  servir  lei,  che  tanto 

Di  grazia  e  di  favore  a  te  comparte  ? 

E  se  Natura  ui  te  scherzò,  se  Parte 

D'accrescer  sempre  tua  beltà  s'ingegna, 

E  Toma  a  parte  a  parte , 

Caro  t^  è  sol  perchè  le  vivi  accanto , 

Perchè  le  piaci,  e  sprezzi  ogni  altro  vanto. 

O  fortunata  in  fortunata  parte  ^ 

Cosi  vien  che  t'esalti 

GrazVoso  difetto,  e  chiaro  albergo 

In  versi  ddci  ed  alti 

A  te  prepari,  chMo  polisco  e  tergo. 
Picciola  mia  canzone , 

Vattene,  ornai  che  sei  vaga  ed  adonìa,N 

Dove  amor  con  ragione , 

E  cortesia  con  onestà  soggiorna. 


376  RIME  AMOROSE 


CANZONE  Xm. 


Alla  Pietà.  La  scongiura  a  penetrar  nel  cuore  di 
D,  Lucrezia  (TEste  duchessa  d*  Urbino  ^  a^ffinch'ella 
se  gii  faccia  interceditrice  di  grazia  appresso  il  duca 
Alfonso  suo  fratello,  —  Pare  die  dettasse  questa 
canzone  dallo  spedale  di  S.  Anna. 

Santa  Pietà,  chMn  cielo 

Fra  gli  angelici  cori 

Siedi  beata  e  Palme  eterfiè  e  sante, 

Ed  accesa  di  zelo 

Scaldi  gli  alati  Amori 

Di  novo  e  dolce  foco ,  e  U  primo  amante  ! 

Sallo  il  Ciel,  che  cotante 

Opre  tue  elette  e  sole 

Vede;  sallo  la  terra, 

Ch^uscì  per  te  di  guerra, 

E  'n  grembo  ricevè  divina  prole 

Fatta  al  Cìel  graziosa , 

Siccome  ancella  cli^al  Signor  si  sposa. 
Tu  ti  parti  di  rado 

Dalla  magion  etema, 

Ch^è  del  ciel  luminosa  e  delle  stelle; 

E  prendi  lieta  a  grado, 

Per  piagge  ove  non  venia , 

Non  turbate  da  nembi  o  da  procelle. 

Sempre  egualmente  belle. 

Ir  rimirando  intomo 

Or  questo  ed  or  quel  giro, 

E  1  cristallo  e  1  zaffiro , 

L'un  puro,  e  F altro  d^alme  luci  adorno, 

E  1  bel  foco,  e  U  bel  latte, 

E  1  campo  che  trionfa ,  e  non  combatte. 


IlIME   AMOROSE  377 

E  se  affetto  cortese 

Pur  a  scender  tMnduce 

Ne^  regni  che  la  morte  ange  e  contrista^ 

Sprezzi  Pumil  paese  ^ 

Sprezzi  r  incerta  luce 

Di  tenebre ,  di  nubi  ^  o  d^  ombre  mista  : 

Né  puoi  fermar  la  vista 

In  cosa  che  t^ appaghi, 

Ma  ciò  ch^  ondeggia  e  gira , 

Ciò  ch^ esala  o  che  spira, 

Sdegni  egualmente  e  i  fissi  seggi  e  i  vaghi: 

Sol  negli  umani  aspetti 

Un  non  so  che  divin  par  che  t^  alletti. 
Ah!  discender  ti  piaccia  / 

Ov'io  t'invito 5  ah!  vieni, 

£  vedrai  forma  alle  celesti  eguale  3 

Donna  chMn  chiara  faccia 

Vince  i  vostri  sereni, 

Ch'angìol  la  stimi,  e  chiedi:  Ove  son  Tale? 

Che  nel  volto  reale 

La  maestà  riserba 

Di  chi  r  alta  sua  imago 

V  impresse ,  e  n'  è  sì  vago  , 

Come  di  specchio  bel  giovin  superba  3 

C  ha  il  Sol  negli  occhi  e  'n  tempre 

Dolci ,  ond'  uom  ne  gimsca  ^  e  non  si  stempre  j 
Che  del  latte  la  strada    ^ 

Ha  nel  candido  seno^ 

E  Toro  delle  stelle  ha  nel  bel  crine 3 

Nei  lumi  ha  la  rugiada 

Che  dal  volto  sereno 

Spargon  quaggiù  notturne  e  mattutine^ 

Che  r  armonie  divine 

Ha  nelle  dolci  note  ^ 


2178  HIME  AMOROSE 

O  facciano  i  concenti 

Gli  aiti  angelid  accenti; 

O  1  corso  di  vdoci  e  pigre  rote^ 

Sicché)  vistala  in  viso^ 

Dirai:  Venendo  a  te,  m^ imparadisa 
Ma  della  nobil  alma 

Chi  narrerebbe  i  pregi , 

Senno,  virtute,  alti  costumi  onesti  ? 

Tu.  che  corona  e  palma., 

E  di  stelle  aurei  fregi  . 

Spesso  gli  eletti  meritar  vedesti, 

Fra^  santi,  fra'  celesti, 

Fra  gli  iangelici  spirti 

Bipor  puoi  la  ben  nata 

Beale  alma  onorata. 

Cui  fan  ghirlanda  cui  gti  allori  e'  mirti; 

£  ^n  ciel  via  più  felice 

Fregio  avrà,  che  Arianna  e  Berenice. 
Ma  tu  sol  manchi  forse 

Nel  bel  seno,  o  Pietate, 

E  '1  coro  fai  di  sue  virtù  imperfetto  : 

E  ben  già  se  n^  accorse 

Fin  da  sua  prima  etate 

Stuol  diamanti  che  n^arse,  e  fu  negletto 3 

Perchè  inasprissi  il  petto 

Di  rigor  cosi  saldo  ,^ 

Che  diamante  o  dibspro 

Non  fu  mai  così  aspro. 

Sicché  d'Amor  non  penetrasse  il  caldo 3 

Né  tu.  Pietà,  v^enti^asti. 

Se  non  dietro  a^  peusier  pudichi  e  casti. 
Or  prendi  per  iscorte 

Onestà ,  Cortesia , 

Bella  Pietade ,  e  nel  bel  sen  penetra  : 


RIME  AMOROSE  %jq 

E  la  mìa  dura  sorte 

In  voce  umile  e  pia 

Narra;  e  del  petto  il  bel  diamante  spetraj 

E  grazia  ornai  mMmpetra, 

Clv^a'  miei  duri  tormenti 

Non  rivolga  si  tardi 

I  dolci  onesti  sguardi  ^ 

E  chMncliini  Voreccliie  a^  miei  lamenti} 
E  che  1  caro  saluto 
Noli  discompagni  da  cortese  ajuto. 
E;  perchè  appien  consoli 

II  mio  angoscioso  stato 

Clì^è  di  nuova  miseria  estranio  esempio  ^ 
Rivolga  i  duo  bei  Soli 
Nel  gran  fratello  amato  ^ 
E  preghi  fine-^l  mio  gravoso  scempio^ 
Promettendo  ch^al  tempio 
Della  sua  eccelsa  gloria 
Consacrerò  divoto 
•  La  mia  fede  per  voto, 
Con  segni  etemi  d^ immortai  memoria} 
E  fiano  i  falli  miei 
Di  sua  real  clemenza  alti  trofei. 
Chi  ti  guida  ;  canzone,  o  chi  V  impiuma? 
Sol  certo  Amore  e  Fede. 
Vola  adunque,  e  Mercè,  grida,  mercede. 


aSo  RIME  AMOROSE 


CANZONE  XIV. 

Per  M,  Leonora  àé  Medici,  principessa  di  Mantosfa. 

Secondo  altri ,  per  M,  Lucrezia  J!  EsU  duchessa 

d^ Urbino»  —  Si   volge   alla  Fama,   dicendo  che 

maggiore  di  lei  h   V inclita  dama,  e   la  invita  a 

far  uso  per  celebrarla  delt  idioma  toscano. 

Fama^  che  i  nomi  gloriosi  intonip 

Porli,  e  Fopre  diTuIghi  e  i  falli  egregi 
Più  volenlieri  o v'  è  Y  onor  più  bello , 
Qual  pompa  illuslre  di  irìonfo  adomo 
Con  vinti  duci  e  catena  ti  regi, 
Con  spoglie  dì  nemico  o  di  rubello, 
Qual  Cesare,  o  Marcello, 
(^ual  Divo,  qual  eroe  con  tinte  penne 
È  degno  di  volar  per  F Occidente, 
O  centra  il  Sol  nascente, 
O  dove  il  mauro  Atlante  il  cid  sostenne, 
O  su  i  monti  riféi,  com'era  è  questa 
Cui  fa  bella  onestà,  bellezza  onesta? 

Fama ,  tu  sei  com'  aura  :  e ,  s' ella  suole 
Volar,  tu  voli}  e,  se  risuona  e  spira. 
Tu  spiri  e  tu  rimbombi  in  varie  parti: 
Ma  lei  move  sovente  il  nuovo  Sole; 
Te  disdegnoso  dal  suo  ciel  rimira 
Quanto  più  t^  allontani  e  ti  diparti 
Empiendo  Armeni  e  Parti 
Ed  Assirj  e  Caldei  d'un  chiaro  nome: 
Ed  ella  di  viole  e  d'altri  fiori 
Sparge  più  dolci  odori 
Quanto  più  lunge  dispiega  le  chiome; 
Tu  di  mille  virtù  Fodor  lontano 
Porti  minore,  e  d'una  bianca  mano^ 


RIME   AMOROSE  a8i 

Qual  peregrino  ornai  canuto  e  stanco^ 
Già  declinando  il  Sol^  talvolta  arriva 
In  un  prato  di  fior^  vago  e  dipinto  ^ 
Verde,  giallo^  purpureo,  azzurro  e  bianco, 
O  sovra  una  fiorita  e  fresca  riva; 
Ma  Fodor  del  narciso  o  del  giacinto 
Non  è  da  lui  distinto, 
O  di  candida  rosa  o  di  vermiglia: 
Tal  io  d'alti  costumi  e  dolci  e  gravi, 
Mille  spirti  soavi 

In  lei  sento  confusi  (oh  meraviglia!)^ 
Né  sì  beHa  armonia  le  nostre  lodi, 
Come  sue  tempre ,  fanno ,  o  'n  tanti  modi. 

O  Fama,  a  lei  presente,  un'ombra  al  vero 
Tu  mi  somigli:  or  perderai  dalFaura, 
Se  da  lei  perdi?  Oh  rapida,  oh,  volante, 
Air  Indo  il  volo  addoppia  ed  alliberò, 
E  le  forze  e  le  voci ,  Amor,  ristaura: 
Giungi  piume  alle  spalle  e  nelle  piante; 
E,  snella  tante  e  tante 
Lingue  non  cura  o  si  discorde  suono, 
Parla  tu  co^  leggiadri  e  toschi  accenti 
Ch'addolcir  ponno  i  venti, 
E  far  che  si  dilegui  il  nembo  e  '1  tuono  ; 
E  quinci  Tlstro  e  quindi  il  Nilo  intenda 
Quanto  lume  del  cielo  in  lei  risplenda. 

Questa  è  la  colta  lingua  a  cui  s'accrebbe 
Coli'  imperio  de'  suoi  la  gloria  in  guisa , 
Che  far  può  di  molt' altri  il  nome  oscuro, 
E  quel  degli  avi  eccelsi  ornar  dovrebbe 
D'eterni  onori:  e  non  fu  mai  divisa 
Terra  dal  mare,  ove  nx>u  luce  Arturo, 
Che  l'alto  e  dolce  e  puro 
Parlar  non  prezzi,  e  chi  più  fugge  il  volgo. 


98a  RIME  AMOROSE 

E  sembra  aquila  al  volo,  e  dgno  d  canto. 
Ma  lasso!  io  pur  intanto 
L^ale  a^  miei  vaghi  versi  ornai  raccolgo^ 
E,  se  tu  pogei  al  gran J Olimpo,  io  giaccio 
Colla  cetra  alle  falde ,  e  penso  e  taccio. 
Canzon,  le  selve  e  i  monti 

Passa  la  vaga  Fama,  e*  fiumi  e'  mari. 
E  spesso  il  capo  entro  le  nulx  asconde: 
E  tu  la  terra  e  Ponde 
Cerca,  s^al  tuo  voler  la  forza  è  parì^ 
Che  F  onorato  nome  in  fronte  impresso 
Lunga  gloria  può  darti  ^  e  grazia  appresso. 


CANZONE  XV. 

Par  che  questa  canzone  /osse  fatta  per  Leon.  San-* 
vitale  in  occasione  ch'ella  danzò  con  altre  quattro 
darne.  Secondo  alcuni  pesò,  è  diretta  a  D.  Maria 
di  Sa^oja;  e  secondo  altri  ^  aUa  contessa  Ottoida 
Gualdi  MorarL  —  //  poeta  paragona  le  cinque 
danzatrici  alle  stelle;  ma,  bencKb  di  tutte  si  mo- 
stri ammiratore ,  si  dichiara  invaiato  della  piti 
bella,  eh* egli  assomiglia  ad  Espero* 

Donne  cortesi  e  belle, 
Che  di  luce  amorosa 
Gli  occhi  appagate,  ed  accendete  i  cori, 
Quasi  lucide  stelle 
In  questa  notte  ombrosa 
Sgombrate  voi  le  tenebre  e  gli  orrori. 
Sono  i  celesti  errori  ^ 
Vostri  belli  sembianti; 
E,  quando  con  sorriso 
Viso  volgete  a  viso, 


RIME   AMOKOSE  aS» 

Tai  san  eli  aspetti  delle  stelle  erranti  3 

E  virtù  da  voi  piove, 

Qual  sovra  noi  Marte  F  infonde  o  Giove. 
A  voi  gli  etemi  lumi 

Han  t^oncesso  il  governo 

Dell^  alme  umane  e  V  amoroso  impero  : 

Voi  create  i  costumi  3 

E  voi  nel  petto  interno 

Mutate  ad  or  ad  or  voglia  e  pensiero. 

SMo  languisco  e  se  pero, 

S'altri  gioisce  e  gode, 

A  voi  s'ascrìva;  a  voi 

Rechi  gli  affetti  suoi 

Ciascun  amante,  e  vi  dia  biasmo  o  lode  : 

Gilè,  s'egli  caneia  stato, 

Gira  co'  giri  de  vostri  occhi  il  fato. 
Voi,  lontane  dal  Sole, 

Da  lui  la  luce  avete: 

Ed  ei  col  suo  splenaor  non  vi  nasconde: 

Ma  le  vostre  carole 

Dolci,  amorose  e  liete 

Tempra  il  suo  moto,  c'I  vostro  al  suo  risponde. 

Care  luci  gioconde , 

Quale  stella  è  nel  cielo. 

Che  spiegasse  giammai 

Si  chiari  e  vaghi  «rai? 

Ma ,  se  nube  e  se  nebbia  a  lor  fa  velo , 

Cela  nebbia  e  vapore 

D'ira  e  di  sdegno  il  vostro  almo  splendore. 
Oh ,  se  sempre  tranquille 

Fosser  le  luci  vaghe, 

Qual  indi  attenderei  vita  felice! 

Ma  che?  nelle  faville 

Spirto  Jamor,  che  vaghe. 


a84  RIME  AMOROSE 

Parrìa  fienfalla ,  e  non  parria  fenice  : 
Perchè  solo  al  Sol  lice 
Destar  foco  vitale 
Ove  con  breve  pena 
Ella  morendo  appena 
Rinasce  e  rìnno velia  i  membri  e  Fale, 
Ma^  se  al  Sol  non  v^  agguaglia 
Questo  mio  rozzo  stil^  nulla  ven  caglia. 
Che  scegli  è  senza  pari^ 
Agli  amanti  è  molesto, 
E  i  dolci  frutti  lor  scopre  e  rivela. 
Gli  altri  lumi  men  chiarì 
Son  più  cortesi  in  questo^ 
Si  chiamante  di  lor  non  si  querela. 
Guida  lor  luce  e  cela^ 
Quando  coir  ombre  è  mista, 
Ai  diletti  furtivi 
I  vergognosi  e  schivi, 
A  cui  forse  del  Sol  spiace  la  vista. 
Questa  lode  mMnsegna 

Darvi  Amor,  ch^in  voi  scherza,  ed  in  me  regna. 
Ma  pur  fra  voi  più  Funa 
È  deir altre  lucente, 
Si  ch'alia  stella  dell'Amor  somiglia, 
Che,  quando  il  ciel  s'imbruna. 
Si  mostra  in  Occidente, 
Poi  sorge  innanzi  Falba  aurea  e  vermiglia, 
E  dalle  liete  ciglia 
Dolci  rugiade  versa, 
Onde  i  fioretti  e  Ferbe 
Si  fan. vaghe  e  superbe, 
E  par  la  terra  di  diamante  aspersa: 
A  te  le  luci  mie 
Volgo,  o  stella,  che  serri  ed  apri  il  die. 


RIME  AMOROSE  a85 

L^ altre  io  ben  lodo  e  miro, 

Ma  te  canto  e  vagheggio^ 

Te  che  degli  occhi  e  del  pensier  sei  segna 

Col  tuo  lume  mi  giro, 

E  sol  per  grazia  bheggio 

ChMo  te  veda  senz^ira  e  senza  sdegno. 

Tu  fecondar  P  ingegno 

Puoi  col  soave  raggio, 

E  rinfrescar  l'arsura 

Colla  rugiada  pura, 

Si  eh'  abbia  frutti  e  fior'  Y  aprile  e  U  maggio , 

Onde  poscia  n'  adorni 

Gli  altari  tuoi  ne'  festi  alteri  giorni. 
Vanne,  mia  canzonetta,  e  fra  le  cinque 

Rimira  la  più  bella  ^ 

A  lei  t' mchina  riverente  ancella. 


CANZONE  Xyi. 

y^lle  principesse  di  Ferrara,  Dice  di  sentire  anch' egli 
gt in/lussi  della  novella  stagione,  e  che  né*  suoi 
vaneggiamenti  si  crede  trovarsi  insieme  colle  dette 
principesse ,  per  le  quali  brama  di  morire  e  acqui" 
star  fama. 

Già  il  lieto  anno  novello 
Dalla  man  dell'amante 
Nel  celeste  Monton  Venere  prende} 
E  nel  felice  ostello 
Con  si  lieto  sembiante 

Gli  occhi  in  lui  volge,  che  d'amor  l'accende: 
Ed  ei  benigno  splende 
Ver  lei  converso;  e  mille 
Dal  lampeggiar  del  riso 


a86  RIME  AMOROSE 

De  Tuno  e  F  altro  viso 

Piovon  (Falla  virtù  calde  faville^ 

E  non  par^  come  suole, 

Degli  amor  loro  invidioso  il  Sole. 
Al  lor  riso  amoroso 

Giove  arrìde  y  e  sMlegra 

Ogni  altro  Dio  del  ciel  slabile  e  vago; 

Né  lesse  il  vecchio  sposo 

Nella  fucina  negra 

Reti  ond^ avvinca  Famalrìoe  e  '1  vago. 

Ma  par  eh' anch' ei  sia  pago 

De'  suoi  nobili  scorni , 

E  'nsieme  arme  e  monili 

Tempra  e  fregi  gentili , 

Ond' abbellisca  sue  vergogne  ed  orni: 

Frattanto  acceso  è  in  zdb 

D'amor  Farìa^  la  terra  e  Facqua  e'J  cielo. 
La  lor  doppia  virtute 

Infonde  ardire  e  forza 

Negli  augei,  nelle  fere  e  negU  armenti; 

L'ispide  coste  irsute 

Indura  a  dura  scorza 

L'aspro  cinghiale ,  e  Fire  aguzza  e  i  denti; 

Piede  col- corno  i  venti 

Il  tauro  anzi  F  assalto, 

E  poi  col  suo  rivale 

Viene  a  pugna  mortale, 

Tingendo  i  paschi  di  sanguigno  smalto, 

Finché  F  amata  e'I  regno 

L'un  cede,  e  partS  pien  d'onta  e  di  sdegno. 
La  generosa  belva 

Erra,  obbliando  i  figli, 

Dietro  il  suo  maschio:  Amor  le  s^na  Forme: 

Ed  han  nell'alta  sdva 


RIME  AMOROSE 

Vie  più  ferì  gli  artigli 

Le  tìgrì  iururìate  e  i  orso  iafonne  -, 

Ne  freddo  o  pigro  dorme 

Spirto  d^amor  guerriero; 

£  '1  cervo ,  il  suo  natio 

Timor  posto  in  obblio, 

Sen  va  con  fronte  minacciosa  altero, 

Né,  come  suol,  sospetta 

S^ode  veltro  latrar,  fischiar  saetta. 
Che  dirò  delle  linci? 

Che  de^  pardi  dipinti? 

Che  di  tanti  altri,  Amor,  timidi  e  forti? 

Se  non  che,  mentre  vinci. 

Tu  rendi  invitti  i  vinti, 

E,  mentre  inganni^  gF ingannati  accorti. 

Oh  dolci  vezzi  e  scorti! 

Oh  bell'arme  celesti! 

Ove  maggiori  effetti, 

Che  negli  umani  petti 

Oprate,  od  in  quai  più  che  negli  onesti? 

O  quale  è  miglior  esca 

Ov'  onorato  .ardor  s' apprenda  e  cresca  ? 
Di  mezza  notte  il  verno 

A^  nembi  ^  alle  procelle 

Crede  la  vita  il  giovinetto  audace, 

E  prende  i  flutti  a  scherno, 

Che  a  lui  per  molte  stelle 

Yagliono  i  rai  d' un'  amorosa  face  j 

E  di  questa  a  sé  face 

Orse  insieme  e  Polluce; 

E  dal  turbato  vento 

A  difendere  é  intento 

ColPale  Amor  la  tremolante  luce, 

E  nel  suo  cielo  ei  pensa 

Che  fia  poi  stella  agli  amatori  accensa. 


184 


a88  RIME   AMOROSE 

Altri  y  ov'  a  pugna  invita 

Il  metallo  canoro, 

Fa  di  sé  ne'  teatri  altera  mostra; 

Né  ghirlanda  fiorita 

Di  fior\  d' argento  e  d' oro 

n  move,  o  ricco  pregio  altro  di  giostra, 

Ma  Quella  ch'or  si  mostra 

Vergine  bella,  ed  ora 

Con  un  bel  ver  s' asconde , 

Qual  augellin  tra  fronde, 

O  'n  mar  delfino,  o  'n  vaga  nube  aurora, 

E  eh'  al  pensier  propone 

Altri  prem),  altro  arringo  ed  altro  agone. 
Negli  amori  del  mondo 

Sento  ch'in  me  s'indonna 

Virtù  ch'in  tutte  l'alme  or  signoreggia) 

E  col  desio  m'ascondo 

Spesso  in  leggiadra  gonna, 

Qual  nuovo  Achille  entro  femminea  greggia; 

E  si  '1  pensier  vaneggia , 

Che  poi  di  veder  panni 

Chi  militari  spoglie 

Mi  mostre  e  me  n' invoglie, 

Ed  odo  un  suon  di  tromba,  e  corro  all'armi: 

Alfin,  del  vero  avvista, 

L' alma  il  suo  dolce  error  piange  e  s'  attrista. 
Misero  !  chi  mi  tragge 

Dal  loco  in  cui  Foiluna, 

Vie  più  spesso  ch'Amor,  vien  che  saette? 

Oimè  !  chi  mi  sottragge 

Agli  strali  dell'una, 

E  dell'altro  al  ferir  segno  mi  mette? 

Belle  ed  al  Ciel  dilette 

Suore,  eh'  a  me  sarete 

Donne,  non  già,  ma  Dive 


RIME  AMOI^OSE  389 

Vere  e  presenti  e  vive. 
Udite  i  preghi  miei  benigne 'e  liete, 
£  guidate  in  arringo 

Me,  .che  scherzando  incontra  voi  m*  accingo. 
Canzone,  in  vago  monte  ire  a  diporto 
Ambe  vedrai  j  d!:  Brama 
Campo  qui  no,  ma  sepoltura  e  fama. 


CANZONE  XVn. 

Ran^H}^na  la  Luna  per  aver  voluto  scoprire  1  suoi 

notturni  amori 

Chi  di  mprdaci  ingiuriose  vod 

M^arma  la  lingua,  come  armato  ho  '1  petto 

Di  sdegno?  e  chi  concetti  aspri  m'inspira? 

Tu ,  che  si  fiera  il  cor  m^  ancidi  e  cuoci , 

Snoda  la  lingua  e  movi  T intelletto, 

O  nata  di  dolor  giustissim' ira. 

Vada  or  lunge  la  lira; 

Conviensi  altro  istrumento  a  si  feroci 

Voglie,  in  A  grave  effetto, 

Talché  fin  di  lassù  n'intenda  il  suono 

L'inìqua  Luna,  in  cui  disnor  ragiono. 
Già  spigava  nel  del  l'umide  Qmbrose 

Ali  la  figlia  della  terra  oscura 

Col  silenzio  e  col  sonno  in  compagnia, 

Ed  involvea  delle  più  liete  cose 

Nelle  tenebre  sue  quella  figura 

Per  cui  tra  lor  eran  distinte  pria  ; 

Diana  ricopria 

U  volto  suo  tra  folte  nubi  acquose 

Sparse  per  l'aria  pura, 

Tamo,  FoL  ir.  19 


ago  RIME  AMOROSE 

Per  mostrarsi  (ahi  crudele!)  in  tempo  poi 
Che  fosser  più  dannosi  i  raggi  suoi. 

Allor,  mosso  io  da  Amor,  tacito  mossi 
I  passi  per  la  deca  orrida  notte 
Vèr  quella  parte  ovMia  il  cor  gioja  e  pace; 
Ma^  gli  atri  veli  suoi  da  sé  rimossi^ 
Folgorò  Cintia,  e  nelle  oscure  grotte  * 

L'ombra  scacciò  con  risplendente  face. 
Così  al  pensier  fallace , 
Quando  alla  riva  più  vicin  trovossi, 
Fur-4e  vie  tronche  e  rotte  j 
Cosi  seccò  nel  suo  fiorir  mia  speme  ^ 
E  dura  man  dal  cor  ne  svelse  il  seme. 

Or  che  dirò  di  te,  Luna,  rubella 

D'ogni  pietà y  di  quel  piacer  ch'infonde 

Amor  ne'  lieti  amanti  invidiosa? 

Ahi!  come  adoprì  mal  la  luce  bella 

Che  non  è  tua ,  ma  in  te  deriva  altronde  ^ 

Benché  vadi  di  te  lieta  e  fastosa. 

Tu  per  te  tenebrosa 

£  via  men  vaga  sei  d'ogni  altra  stella 

Ch'in  ciel  scopra  le  bionde 

Chiome;  e  quel  bel  che  i  rai  solar*  ti  danno, 

Tutta  impieghi  spietata  in  altrui  danno. 

Forse  ciò  fai,  perchè  i  lascivi  amorì 
Pudica  aborri,  e  di  servar  desirì 
In  altri  il  fior  di  castità  pregiato? 
Deh!  non  sovvienti  che  tra  l'erbe  e  i  fiori 
Scendesti  in  terra  dai  superni  giri 
A  dimorar  col  pastorello  amato? 
E  che  ti  fu  già  grato 
Temprar  di  Pane  i  non  onesti  ardori, 
Quetando  i  suoi  sospiri, 
"N^nta  da  pregio  vii  di  bianca  lana, 
Da  pietà  no,  che  sei  cruda  e  inumana? 


RIME   AMOROSE  291 

Oh  !  quante  volte  ad  Orion ,  che  carco 
Di  preda  e  dì  sudor  fea  dalla  caccia^ 
Stanco  dal  lungo  errare,  a  te  ritorno , 
Sciugasli  col  tuo  vel  Tumida  faccia, 
E  di  tua  propria  man  lentasti  l' arco , 
E  lasciva  con  lui  fèsti  soggiorno! 
Ma  '1  vergognóso  scorno 
Non  soffri  Apollo  e  F  oltraggioso  incarco  3 
Anzi  seguì  la  traccia 
Del  tuo  amatore ,  e  fé'  eh'  a  lui  la  vita 
Togliesti  incauta  con  crùdel  ferita. 

lien  ti  dee  rimembrar  che  poi  scorgesti 
Estinto  il  caro  corpo  in  riva  al  mare, 
Che  del  tuo  strai  trafitta  avea  la  fronte; 
Onde  tu  sovra  quel,  mesta,  spargesti, 
Lavando  la  sua  piaga  in  stille  amare, 
Dall'egre  luci  un  doloroso  fonte, 
Dicendo:  Ahi!  man',  voi,  pronte 
All'  altrui  morte ,  vita  a  me  togliesti  ; 
Che  non  si  può  chiamare 
Vita  or  la  mia,  se  non  vogliam  dir  viva 
Chi  dell'alma  e  del  cor  il  Fato  ha  priva. 

Pur  forse,  o  Dea,  ten  vai  del  pregio  altera 
Di  castità,  perchè  ferino  volto 
Vestir  fésti  Atteón,  spruzzando  l'acque. 
Or  dimmi,  lui  rendesti  errante  fera. 
Perchè  ti  vide  il  bel  del  corpo  occolto? 
O  perchè  alle  tue  voglie  ei  non  comjMacque? 
Ver  è,  sebben  si  tacque. 
Ch'egli  à  forza,  e  con  voglia  aspra  e  severa. 
Dalie  tue  braccia  sciolto, 
Sen  gisse,  mentre  tu,  d'ardor  ripiena. 
Al  collo  gli  facéi  stretta  catena. 

Ma  tu  t'ascondi,  ed  agli  accesi  rai 


aga  &IME  AMOROSE 

Tenebre  intorno  aspei^,  or  de^  tuoi  falli 

Udendo  di  quaggiù  vere  novelle. 

Chiuditi  pur^  né  ti  mostrar  più  mai, 

Percbò  non  merti  in  ciel  vezzosi  balli 

Guidar  in  compagnia  delF altre  stelle: 

Cosi  de.  le  fiammelle 

Sue  cbiare  il  Sol  più  non  tMndori  ornai; 

E  reggere  i  cavaUi 

Notturni  il  Fato  a  te  vieti  in  etemo, 

Donando  altrui  di  lor  Paltò  governo. 


CANZONE  XVm. 

Per  la  operala  euarighne  di  D.  Leonora  éTEsie.  — 
Il  poeta  le  Mede  in  prima  che  g&'  sia  permesso 
di  celebrarla  né*  suoi  versi;  poi  tocca  deV impresa 
sione  che  fece  nel  suo  cuore  t  aspetto  di  lei  la 
prima  w}lta  che  la  vide;  indi  mostra  che ^  se  tanta 
beltà  non  fosse  stata  in  parte  adombrata  daUa 
sofferta  malattia  9  ne  sarebbe  staio  arso  ognuno 
che  r Oi^esse  contemplata;  da  ultimo^  non  tdtro 
ravvisando  che  marnar  bene  in  tal  pencolo ,  fa 
voti  perche  il  Geloìe  ridoni  la  primiera  sanità. 

Mentre  eh*  a  venerar  movon  le  genti 

U  tuo  bel  nome  in  mille  carte  accolto,  * 

Quasi  in  celeste  tempio  idol  celeste; 

E  mentre  e*  ha  la  Fama  il  mondo  vólto 

A  contemplarti  9  e  mille  fiamme  ardenti 

D' immortai  lode  in  tua  memoria  ha  deste, 

Deh!  non  sdegnar  ch'anchMo  te  canti,  e'n  queste 

Mie  basse  rime  volontaria  scendi, 

Né  sia  r albergo  lor  da  te  negletto; 

Ch^anco  sott*umil  tetto 

S'adora  Dio,  cui  d'assembrarti  intendi; 


/ 


RIME   AMOROSE  ag3 

Né  sprezza  il  puro  aflfetto 

Di  cni  sacrar  face  mortai  gli  suole, 

Benché  splenda  in  sua  gloria  etemo  il  Sole,    x 

Forse  y  come  talor  candide  e  pure 

Rende  Apollo  le  nubi,  e  chiuso  intórno 

Con  lampi  non  men  vaghi  indi  traluce,   • 

Così  vedrassi  il  tuo  bel  nome  adorno 

Splender  per  entro  le  mie  rime  oscure, 

E  1  lor  fosco  illustrar  colla  sua  luce; 

£  forse  anco  per  sé  tanto  riluce, 

Che,  ov' altri  in  parte  non  P asconda,  e  tempre 

U  infinita  virtù  de'  raggi  sui, 

Occhio  non  fia  che  'n  lui 

Fiso  mirando  non  s'abbagli  e  stempre: 

Onde,  perché  ad  altrui 

'Col  suo  lume  medesmo  ei  non  si  celi, 

Ben  dei  soffrir  ch'io  sì  l'adombri  e  veli. 

Né  spiacerti  anco  dee,  che  solo  in  parte 
Sia  tu  beltà  ne'  miei  colorì  espressa 
Dallo  slil  eh' a  tant'opra  audace  move; 
Però  che,  s' alcun  mai,  quale  in  te  stessa 
Sei)  tale  ancor  ti  ritraesse  in  carte. 
Chi  mirare  oserìa  forme, sì  nove, 
Senza  volger  per  tema  i  lumi  altrove? 
O  chi,  mirando  folgorar  gli  sguardi 
DegU  occhi  ardenti,  e  lampeggiare  il  r^^ 
E  '1  bel  celeste  viso 

Quinci  e  quindi  avventar  fiammelle,  e  dardi, 
Non  rìmarrìa  conquiso,  ' 
Bendi' egli  prima  in  oeni  rischio  audace 
Non  temesse  d'Amor  l'arco  e  la  face? 

E  certo  il  primo  dì  che  '1  bel  sereno 
Della  tua  fronte  agli  occhi  miei  s' offerse  ^ 
E  vidi  armato  spaziarvi  Amon> , 


194  I^IME  AMOROSE 

Se  non  die  riverenza  allor  converse 

E  meraviglia  in  fredda  aelce  il  seno, 

Ivi  pena  con  doppia  morte  il  core* 

Ma  parte  degli  strali  e  delP  ardore 

Sentii  pur  anco  entro  '1  gelato  marmo  ; 

E,  s'alcnn  mai^  per  troppo  ardire^  ignudo 

Vien  di  quel  forte  scudo 

Ond'io  dinanzi  a  te  mi  copro  ed  armo. 

Sentirà  '1  colpo  crudo 

Di  tai  saette,  ed  arso  al  fatai  lume 

Giacerà  con  Fetonte  entro  '1  tuo  fiume. 

Che,  per  quanto  talor  discerne  e  vede 
De'  secreti  di  Dio  terrena  mente 
Che  da  Febo  rapita  al  ciel  sen  voli, 
Provvidenza  di  Giove  ora  consente 
Ch'interno  duol  con  si  pietose  prede 
Le  sue  bellezze  al  tuo  bel  corpo  involi; 
Che  se  l'ardor  de'  duo  sereni  Soli 
Non  era  scemo ,  e  'ntiepidito  il  foco 
Che  nelle  guance  sovra  '1  gel  si  sparse  ^ 
Incenerite  ed  arse 

Morian  le  genti,  e  non  v'avea  più  loco 
Di  riverenza  armarsej 
E ,  ciò  che  '1  Fato  pur  minaccia ,  allora 
In  faville  converso  il  mondo  fora. 

Ond'ei,  che  prega  il  Ciel  che  nel  tuo  stato 
Più  vago  a  lui  ti  mostri ,  e  eh'  ornai  spieghi 
La  tua  beltà  che  'n  parte  ascosa  or  tiene , 
Come,  incauto,  non  sa  che  ne'  suoi  preghi 
Non  chiede  altro  che  morte?  E  ben  il  fato 
Di  Semele  infelice  or  mi  sovviene, 
Che  '1  gran  Giove  veder  delle  terrene 
Forme  ignudo  bramò,  come  de'  suoi 
Nembi  e  fùlmini  cinto  in  sen  l'accoglie 


RIME  AMOROSE'  agS 

Chi  gli  è  sorella  e  ni^ogliej 

Ma  si  gran  luce  non  sostenne  poi: 

Anzi  sue  belle  spoglie 

Cenere  férsi,  e  nel  suo  caso  reo 

Né  Giove  stesso  a  lei  giovar  potéo. 

Ma  che?  forse  sperar  anco  ne  lice 

Che^  sebben  dono  ond^arda  e  si  consumi 

Tenta  impetrar  con  mille  preghi  il  mondo  ^ 

Potrà  poi  anco  al  Sol  di  quo  bei  lumi 

Rinnovellarsi  in  guisa  di  fenice  ^ 

E  rinascer  più  vago  e  jhù  giocondo^ 

E^  quanto  ha  del  terreno  e  dell'immondo 

Tutto  spogliando^  più  leggiadre  forme 

Vestirsi  :  e  ciò  par  eh'  a  ragion  si  spere 

Da  quelle  luci  altere  3 

Ch'esser  dee  l'opra  alla  cagion  conforme. 

Né  già  si  puon  temere 

Da  beltà  si  divina  efifetti  rei; 

Che  vital  è  '1  morir  se  vien  da  lei. 

Canzon  j  deh  !  sarà  mai  quel  lieto  giorno , 
Che  'n  que'  begli  occhi  le  lor  fiamme  prime 
Raccese  io  veggia,  e  ch'arda  il  mondo  in  loro? 
Ch'ivi,  qual  foco  l'oro, 
Anch'io  purgherei  l'alma;  e  le  mie  rime 
Fóran  d'augel  canoro, 
Ch'or  son  vili  e  neglette,  se  non  quanto 
Costei  LE  ONORA  col  bel  nome  santo. 


agfi  RIME  AMOROSE 


CANZONE  XDL 


La  Cappa  f  a  imtaxione  JPAnacreonit  ^  al  prineipe 
di  Parma  Ranuccio  Famete. 


Tu,  eh' agguagliar  ti  vanti 

D'antichissimo  fabro  arte  e  lavoro , 

Dando  vita  alT argento  e  spirto  all'oro, 

Benché  nudi  giganti 

Non  faccian  risonar  d'intorno  il  monte, 

Né  s' affatichi  qui  Stérope  e  Bronte; 

Non  cheggio  elmo,  né  scudo, 

Né  lorica,  ond'io  copra  il  petto  ignudo, 
l^er  andar  poi  lontano 

Da  questa  gloriosa  antica  sponda 

Là  've  ritarda  il  gelo  il  corso  all'onda, 

E  1  vìncitor  romano 

Di  Cesare  pareggia  il  nome  e  F  opre , 

E  quasi  la  sua  gloria  oscura  e  copre, 

Pur  n(m  dimostra  orgoglio. 

Chiedendo  allori  e  carro  in  Campidoglio: 
Ma  del  più  fino  argento 

Fammi  lucente  vaso,  onde  s'estingua 

La  sete  dell'accesa  e  stanca  lingua 3 

E  non  mi  dia  spavento 

Leon  di  stelle  sparso,  o  fero  Drago, 

O  gran  Centauro,  od  altra  irata  imago; 

Ma  sol  l'Aquila  e  '1  Cigno  y 

Solendan  con  vago  aspetto  e  con  benigno. 
O  VI  dipingi  Amore,  \ 

Non  com'ei  spiega  le  dorate  penne 

Dal  lucid^ekno  là  dond'ei  sen  venne, 


RIME  AMOROSE  Ttaff 

Né  coli' acceso  ardore 

Del  fólgore  minacpi^  o  pur  colPaiico 

Onde  ci  fere^  anzi  n'uccide  al  varco; 

Ma  senza  fiamme  e  strali, 

E  tutte  d'oro  sian  le  chiome  e  Pali. 
E  '1  circondi  la  rosa, 

La  rosa  eh' è  d'Amor  premio  e  corona; 

Corona,  ond'egli  gloria  or  toglie  or  dona; 

Gloria  che  vive  ed  osa 

Trar  Tuom  già  morto  fuor  d'oscura  tomba, 

E  muta  lingua  inspira  e  muta  tromba; 

E  colla  rosa  avvinto 

Faccia  aurei  fregi  insieme  il  bel  giacinto. 
E  tu,  Febo,  r instilla; 

Sia  quasi  fonte  il  vaso, 

E 1  verde  colle  il  nostro  alto  Parnaso. 


CANZOPte  XX. 

In  lode  dette  mani  detta  sua  donna.  — *  Questa  e 
le  due  canzoni  seguenti  furono  dettate  a  ùnUar 
7Ìone  di  quelle  tre  celebri  del  Petrarca  sugli  occhi 
di  M,  Latun. 

Perchè  la  vita  è  breve, 

E  pien  d'ogni  periglio  il  dùbbio  corso, 
E  stanco  omai  nell'opre  il  tardo  ing^o, 
E  la  Fortuna  il  dorso 
Ne  rivolge,  al  fuggir  veloce  e  leve, 
E  cangia  il  breve  riso  in  lungo  sdegno , 
Me  pace  è  mai  nel  suo  turbato  regno; 
Candide  mani,  onde  sovente  Amore 
Ebbe  mille  vittorie  e  mille  palme 
Delle  più  nobii  alme,  < 


39B  RIME  AMOROSE 

A  voi  sacro  le  rime,  e  sacro  il  core: 
E^  sM  mìei  bassi  accenti 
Non  ergo  ove  sMnnalza  il  vostro  onore, 
Voi  gli  appressate  a'  begli  occbi  lucenti^ 
£  Talta  via  del  sole  altin  si  tenti. 

Non  perdilo  non  riguardi 

Quanto  è  sublime  il  segno  a  cui  s*  aspira , 

Di  candor  in  candor,  di  raggio  in  raggio} 

Che  potria  sdegno  ed  ira 

Mover  da  voi,  non  pur  da'  cari  sguardi , 

Come  sia  fumil  loda  indegno  oltraggio: 

Ma  chi  fu  nelfamar  si  accorto  e  saggio , 

Che  frenasse  il  desio  ch^n  alto  intenda, 

Benckè  minacci  Amor  con  duri  strali 

Di  far  colpi  mortali, 

E,  da  voi  mosso,  Farco  ei  pi^hi  e  tenda? 

Questo  pensier  m'an*etra, 

Dove  armato  da  voi  lampeggi,  e  spenda 

Li  me  la  sua  gravosa  aurea  faretra  3 

Parte  il  timor  mi  volge  in  fredda  pietra. 

E,  se  pur  non  si  frange 

Più  a  dentro  a'  duri  colpi  il  molle  petto, 
Non  è  virtù  d'usbergo  o  d'arte  maga; 
Ma  1  timoroso  affetto 
In  selce  par  che  mi  trasmuti  e  cange. 
Oh  meraviglia!  Amor  la  selce  impiaga; 
Ma  non  avvien  che  da  profonda  piaga 
Versi  del  sangue  jnio  tepida  stilla. 
'  O  mia  fortuna ,  o  fato ,  o  stelle ,  o  cielo , 
Son  di  marmo  e  di  gelo, 
E  1  marmo  alle  percosse  arde  e  s&villa* 
Per  la  ferita  intanto 
(Sasselo  Amor,  che  saettando  aprìlla) 
Lagrime  spargo ,  e  'n  lagrimoso  canto 
Di  vostra  lode  fo  canoro  il  pianto. 


RIME  AMOROSE  %g^ 

Dolor,  perchè  mi  spingi 

A  perturbar  la  sua  fronle  serena? 

Sostien^  cliMo  vada  ove  il  pensier  m^hvita. 

Già  la  mia  dolce  pena, 

Destra  gentil,  che  lo  mio  cor  distringi ^ 

Non  è  tua  colpa,  o  la  mortai  ferita^ 

Che  tu  risani,  anzi  ritomi  in  vita 

Pur  di  quel  colpo  onde  il  dolore  ancide. 

Mani,  onde  il  regno  Amor  governa  e  volve^ 

E  lega  Palme  e  solve, 

Qual  bellezza  sì  bella  ancor  si  vide? 

E ,  se  creder  vi  giova 

Alle  due  luci  più  serene  e  fide. 

Voi  contendete  di  bellezza  a  prova 

Con  gli  occhi,  in  cui  suo  pari  il  Sol  ritrova. 
Neve,  che  geli  e  fiocchi 

In  poggio  o  'n  monte  alla  più  algente  bruma, 

Non  è  sì  molle,  o  di  candor  simile, 

Né  di  cigno  la  piuma; 

Né,  per  giudicio  d^ altra  mano  o  d'occhi, 

Eletta  perla  in  lucido  monile: 

Né  ritrar  vi  potria  laudato  stile 

Del  buon  Parrasio,  o  pur  dMpelle  istesso, 

O  d^  altri  mai  che  'n  bei  «colori  e  'n  carte 

Mostrò  la  nobil  arte, 

Ed  in  mille  bellezze  il  bello  espresso 

Mostrar  già  non  potea:  ' 

Altri  marmi  cercò  lunge  e  da  presso 

In  formar  vaga  Ninfa  o  vaga  Dea, 
Ma  non  scolpì  celeste  e  vera  idea. 
Ed  or  chi  voi  figura, 

Mani  bianche  e  sottili,  a'  vaghi  sensi 
Con  magistero  oltre  F usato  adomo, 
Fra  sé  medesmo  pensi: 


3oo  aiHE  AMOROSE 

Qui  vinta  è  Topra  diarie  e  di  natura, 

E  *1  martno  e  1  puro  avorio  han  dolce  scorno. 

Né  gemma  nasce,  ove  ci  nasce  il  giorno. 

Degna  di  tant'onor,  né  lucid^oro.  — 

Ma  chi  voi  finge  e  vi  colora  e  vede, 

Ecco,  dica,  la  Fede; 

E,  benché  manchi  il  più  del  bel  lavoro, 

Creda  eh'  a  voi  risponda 

LMdolo  mio  che  nella  mente  adoro, 

Né  più  in  terra  ricerchi,  o'n  aria,  o  'n  onda, 

Grazia  e  beltà  che  1  cielo  agli  occhi  asconda. 

Io  cotanto  in  voi  sole 

Di  bellezza  talor  contemplo  e  miro, 

Clì'a  pena  ad  altro  oggetto  i  lumi  afliso} 

Ma  se  quel  dolce  giro 

Di  si  begli  occhi,  e  quel  sereno  Sole 

Onde  quaggiù  risplende  il  chiaro  viso, 

Voi  mi  celate,  e  i  lampeggiar  del  riso, 

Qual  bianca  nube  opposta  o  bianca  luna, 

Pur  che  di  voi,  mam  cortesi  e  care, 

Non  vi 'mostriate  avare. 

Non  incolpo  mio  fato  o  mia  fortuna: 

Voi  quattro  volte  e  diece 

Pascete  vista  di  piacer  digiuna; 

E,  se  vendetta  far  baciando  ei  lece, 

I  baci  siano  alfin  di  sguardo  in  vece* 

Canzon,  troppi' osi,  e  nulla  speri,  e'ndarno;^ 
Almen  compagne  solitaria  aspetta, 
O  mercé  cerca  pur  senza  vendetta. 


AIME  AMOROSE  3ot 


CANZONE  XXI. 

SuUo  stesso  argomenio. 

Donna  gentile,  io  veggio, 

Al  biancheggiar  dell'onorata  mano, 

Di  pace  il  pegno;  e,  di  salute  incerto, 

Poscia  da  voi  lontano 

Di  voi  pensando,  a  gran  pena  m'avveggia 

S'alia  mia  fé  si  debba  o  pena  o  merlo: 

Ma,  com'uom  vinto,  e  'n  gran  contesa  esperto 

Che  non  giova  U  ritrarsi  o  '1  far  difesa 

Contra  i  colpi  d'Amor  (si  forte  ei  punge, 

£  sì  turbato  aggiunge), 

Gitto  Farmi  di  sdegno  all'alta  impresa, 

E  sol  per  me  riseroo 

Lodi  e  preghiere,  ond'i  nemici  ei  giunge; 

Di  queste  armato,  e  contra  altrui  superbo, 

Non  temo  più  di  morte  il  fine  acerbo. 

Ma  penso:  Egli  è  pur  vero 

Che  diva  siete;  e  le  man  vostre  a  quelle 

Somiglio,  onde  lo  spirto  ignudo  uscio, 

Che  '1  sole  e  V  auree  stelle 

Crearo  e  '1  più  mirabil  magistero 

Di  cui  sovvienci  ancor  nelTalto  obblio: 

Così^  dico  fra  me,  nel  pensier  mio 

Due  man  leggiadre  a  meraviglia  e  pronte 

Fon  fare  e  nel  mio  core  opre  divine; 

E  saran  pur  alfine 

(O  ch'io  nel  duol  vaneggio)  illustri  e  conte; 

Ed  al  lor  grave  pondo 

Rendon  l' anime  erranti  e  peregrine; 


3o3  RIME  AMOROSE 

E  da  lor  porta  impresso  il  cor  profondo 
Ciel^  sole  e  stelle  e  nova  idea  del  mondo. 

A  più  bel  mondo  ancora 

Soglion  mandar  l'anime  stanche  e  gravi 

Dalla  prigione  ove  già  furo  avvinte; 

Cosi  dolci  le  chiavi 

DellMngegnoso  cor  volgon  talora 

Per  liberar  le  soggiogate  e  vinte; 

E  'nsierae  ravvivar  le  faci  estinte 

Potriano,  ed  ammorzar  l'accesa  fiamma: 

Ma  sino  ad  or  mai  delle  menti  accense 

Favilla  non  si  spense; 

Anzi  il  lor  gelo  più  soave  infiamma 

E  'n  si  divine  tempre  ^ 

Che  di  terreno  in  lor  non  è  pur  dramma: 

Felice  ingegno,  ove  il  pensier  conteropre 

Quel  che  dovrà  nel  cielo  arder  mai  sempre. 

Quante  ricchezze  unquanco 

Avara  man  di  Crasso  o  pur  di  Mida, 
Quanto  la  terra  o  '1  mar  nasconde  o  serra  y 
Col  segno,  onde  si  sfida 
Da  lor  nell'opre  il  cor  timido  e  stanco, 
Non  cangerei,  né  con  lor  dolce  guerra: 
Né  r  una  o  V  altra  mai  vacilla  od  erra  ; 
Ma  doni  e  gioje  e  grazie  e  versa  e  spande, 
Quasi  del  Gelo,  anzi  del  Sol  ministra, 
La  mano  ancor  sinistra; 
Far  la  destra  potrìa  fregi  e  ghirlande: 
Ed  alla  men  fallace 
Scettro  devrìasi  imperioso  e  grande; 
Se  pur  Parco  di  Cintia  a  lei  dispiace, 
O  quel  d'Amor  disprezza  e  l'aurea  face. 
Ma  perchè  veggio  o  parmi 

Cu  ella  non  sol  può  dar  salute  e  scampo , 


RIME  AMOROSE  3o3 

Ma  palma  e  fama  gloriosa  etema 
Nel  duro  instabil  campo 
Di  nostra  vita,  io  cbieggio  e  palma  ed  armi, 
Armi  di  luce  e  di  virtù  superna, 
O  lauro  almen,  che,  quando  è  notte  e  verna, 
Non  tema  il  ghiaccio  o  la  procella  o  '1  tuono 
O  H  fulmine  ch^  accende  ardente  foco , 
Giammai  per  tempo  o  loco. 
Ma  verdeggi  dì  Febo  al  chiaro  suono. 
Deh  !  quai  fatiche  illustri 
Mi  faran  degno  di  sì  nobil  dono 
Per  volger  d^anni  o  per  girar  di  lustri? 
Sia  almen  pietosa  u^  miei  ^ospir  trilustri! 
Canzon,  tu  sei  pur  lenta,  e  non  t'avanzi} 
La  sorella  maggior  lunge  precorse. 
E  chìer'  mercè  fra  le  Colonne  e  1  Orse. 


CANZONE  XXn. 

Sullo  stesso  argomento. 

Perchè  l'ingegno  perde  % 

In  voi  lodando,  e  manca  il  proprio  spirto. 

Come  al  poggiar  del  sole  il  vento  e  Taura^ 

Qual  d'odorato  mirto, 

O  d'  alloro  vaghezza  in  te  rìnverde  7 

E  chi  le  voci  al  mio  cantar  ristaura? 

Amore,  a  cui  parca  Beatrice  e  Laura 

Umil  soggetto,  or  chi  le  piume  impenna 

Alle  mie  basse  e  faticose  rime. 

Perch'ai  merto  sublime 

Giunga  coir  ali  tue  la  stanca  penna  7 

Tu  spiega  a'  versi  miei 


3o4  HIME  AMOROSE 

n  Tolo^  o  pur  chMo  taccia  almeDO  accenika; 
Che  tu  medesmo  dir  potresti  e  dei 
I  gloriosi  tuoi  cari  trofei* 

Da  poi  che  tu  vedesti 

Più  di  pietà  che  di  vendetta  amiche 

Le  man  che  ponno  armarti  e  fare  inerme, 

A  voi,  belle  e  pudiche, 

U  mio  regno  concedo  e  me,  dicesti: 

Ma  voi,  pietose  delle  parti  inferme, 

Armi  sdegnate  si  pungenti  e  fisrmej 

Dunque  armi  no,  né  sanguinose  spoglie 

Serbo  al  vostro  candor,  poro,  innocente, 

Ma  ciò  che  f  Oriente 

Di  prezioso  a'  vincitori  accoglie, 

E  '1  fortunato  Occaso 

Di  farvi  adorne  par  che  più  sMnvoglie, 

Onde  fiorisce  in  lui  novo  Parnaso, 

Ed  apre  novi  fonti  altro  Pegaso. 

A*  pargoletti  Amori 

Poscia  dicea:  Spiegate  a  lieto  volo 

I  purpurei,  o  fratelli,  e  gli  aurei  vanni, 

E  n  più  felice  suolo 

Scegliete  a  prova  pur  le  rose  e  i  fiori 

Dipinti  ancor  de^  sospirosi  aflGEinni, 

.    £  quei  che  l'or  più  saldi  incontra  gli  anni 
Produce^  e  TOcean  vi  mostri  il  grembo^ 
£  v'offrano  i  suoi  doni  e  quinci  e  quindi 
I  forti  Iberi  e  gl'Indi 

Cui  cinge  il  mar  col  suo  ceruleo  lembo.  — 
Disse,  e  i  veloci  e  vaghi 
Sen  giro  a  stuol ,  come  lucente  nembo 
Che  dall'aure  portato  e  voli  e  vaghi,, 
Cosa  cercando  pur  che  gli  occhi  appaghi 

E  qual  bellezza  ascosa 


RIME  AMOROSE  3o5 

Di  mille  Amori  agli  occhi  alcun  terrebbe? 

O  clii  negar  la  può,  s'Amor  la  brama? 

In  terra  alior  non  ebbe 

Viola  o  giglio  o  pur  giacinto  o  rosa, 

O  gemma  occulta  alla  superba  fama, 

Negata  a  lei  ch^  Amore  onora  ed  ama. 

Anzi  la  Terra,  il  Mar ,Hr Occaso  e  FOrto 

Par  che  s*  adomi  a  prova  e  si  dipinga 

Per  lei  ch'il  ciel  lusinga^ 

E  '1  Sol ,  dal  suo  cammin  lungo  e  distorto , 

Mostra  eh'  i  segui  amati 

Passar  bramando,  il  corso  oltre  sospinga. 

Com'api  intanto  i  pargoletti  alati 

Spoglian  di  fior'  le  piante  e  i  verdi  prati. 
Neil  Occidente  estremo 

Una  parte  dd  ramido  è  bella  e  lieta, 

Là  dove  primavera  etema  stanza , 

La  gloria  ha  doppia  m^ta, 

£  più  benigno  splende  il  ciel  supremo; 

Ride  Natura  in  giovenil  sembianza, 

Zefiro  spira  per  continua  usanza, 

E  s'odon  mormorar  coli' aure  estive 
«  I  vaghi  fonti  e  i  lucidi  ruscelli, 

E  dei  vezzosi  augelli 

Al  canto  rimbombar  l'ombrose  rive; 

E  più  dolce  concento 

Fan  de'  bei  fiorì  ì  levi  spirti  e  snelli, 

E  pare  il  cielo  all'armonia  più  intento, 

Suoni  ed  odori,  a  lui  portando  il  vento. 
Qui,  dopo  lunghi  giri. 

Gli  Amoretti  fermar  l'ali  volanti 

Nel  felice,  odorato,  almo  terreno. 

D'umor  vivo  stillanti 

Altri  i  fior  coglie,  onde  poi  dolce  spiri 
Tasso,  Fol.  IF.  ao 


3o6  RIME  AMOROSEr 

I«a  nostra  Esperia^  altri  il  profondo  seno 
Della  faretra  d^ór  ne  colma  appieno } 
Altri  le  spoglie,  onde  la  destra  ignuda 
Coprir  si  dee,  prima  polisce  e  terge, 
Poi  degli  odori  asperge 
I  quai  felice  pianta  instilla  e  suda; 
Altri  par  che  sepolte 
Tra  bianchissimi  fior  F asconda  e  chiuda; 
E  tutti  alfin  colle  ricchezze  accolte 
Fan  mille  voli  in  ciel,  mille  rivolte. 
Canzon,  fia  tua  ventura  e  grazia  altrui, 
Se  la  man  bella  e  nuda  a  te  si  scopre; 
Baciala ,  e  grida  :  Questo  è  1  fin  ^ell'  opre. 


CANZONE  XXffl. 

In  persona  di  D,  Mattia  di  Capita  conte  di  Falena , 
celebra  un  ameno  colie  ^  dove  era  ita  a  diparto  la 
donna  di  lui,  e  duoln  ch'ella  sia  lontana. 

Già  basso  colle  umile 
Sinché  tu  fosti  albergo 
Delle  selvagge  ninfe  e  de^  pastori, 
Or,  che  donna  gentile 
Ti  preme  o  falda  o  tergo , 
Quanti  ella  coglie  o  frutti  o  fronde  o  fiorì. 
Tanti  sono  gli  onori 
Ch^  accrescon  la  tua  gloria , 
Più  belli  de^  ligustri , 
Ma  perpetui  ed  illustri , 
£  degni  in  terra  dMmmortal  memoria. 
Cosi  trapassi  i  colli, 
E  la  fama  a  tutt'  altri  e  1  pregio  tolU. 


RIME  AMOROSE  807 

Anzi  sei  novo  Atlante^ 

U  qual  sosteone  il  cielo  ^ 
N  In  sostenendo  lei  che  Dea  simiglia; 

Se  non  che  verdi  piante 

Non  spoglia  o  vento  o  gelo 

Al  bel  seren  delle  tranquille  ciglia. 

Ma  con  dolce  famiglia 

Di  vaghi  fiorì  e  d'erba 

Sempre  seguir  la  suole, 

Pur  com' Aurora  o  Sole, 

La  primavera ,  e  '1  suo  tesor  le  serba  ;    ^ 

E,  mutando  stagione, 

Le  sue  pompe  non  perde  o  le  corone. 
Olimpo  ancor  pareggia, 

Sacro  agli  anticlii  Dei, 

0  nella  gloria  a  lui  t'agguaglia  almeno; 
E  divieni  omai  reggia 

D'Amore  e  di  costei, 

Dipingendole  pur  la  chioma  e  H  seno; 

E  ceda  al  tuo  sereno 

Quel  sì  candido  e  puro, 

Talché  non  turbi  mai 

1  tuoi  lucenti  rai 

O  nube,  o  pioggia,  o  vento,  o  nembo  oscuro; 
O  'n  cima  sol  vi  spiri 
L'aura  de'  miei  dolcissimi  sospiri. 
Tu  ve  li  porta,  Amore, 
E  lor  oà  piume  ed  ali. 
Che  tanto  alzar  li  può  celeste  aita. 
Ma  se  di  questo  core, 
Pien  d' ardori  immortali , 
Fosse  tutta  la  fiamma  in  te  sentita  ^ 
E  come  la  mia  vita 
Per  lei  si  strugge  e  sface  ; 


3o8  RIME  AMOROSE 

Etna  nuovo  saresti, 

E  maggior  grido  avresti, 

Che  s  accendesse  in  te  divina  face. 

Deh  !  sian  lodi  supreme, 

Che  sembri  Atlante ,  Olimpo  ed  Etna  insieme. 
Non  fia  miracol  novo , 

Dov^  Amor  vola  ed  ella  , 

Tante  rare  eccellenze  accórre  in  una: 

Ma  qui  dov'io  mi  trovo, 

Né  Sol  miro  né  stella 

Quando  il  ciel  si  rischiara  e  quando  imbruna, 

Ma  piango  mia  fortuna, 

E,  quale  in  secco  ramo 

Solingo  augel  riposa, 

Tal  io  vista  odiosa 

Stimo  pur  ciascun^ altra ,  e  lei  sol  bramo. 

Forse  nulla  si  perde , 

Mentre  il  sereno  io  vo  fuggendo  e  '1  verde. 
Tu ,  che  vagheggi  il  mare 

E  V  arenoso  Udo , 

Ben  ermo  sei  come  t' appeUi ,  o  monte  , 

Or  ch'ella  non  appare, 

E  d'Amor  freddo  è  il  nido  , 

E  turbato  ogni  rivo  ed  ogni  fonte  , 

E  con  oscura  fronte 

Tutti  rimiri  intomo  , 

I  nudi  e  mesti  campi 

Là  dov'orma  si  stampi 

Finch' ella  tomi  lieta  al  bel  soggiorno, 

E  col  suo  dolce  lume 

Quest'alma  rassereni  e  '1  monte  e  '1  fiume. 
Canzon ,  trova  il  mio  core  e  la  mia  donna  , 

Che  da  lei  non  si  parte 

In  alla  e  'n  chiara  o  'n  bassa  e  fosca  parte. 


RIME  AMOROSE  3og 

CAlJzONE  XXIV. 

Per  la  contessa  Cammilla  Guerrieri.  Dice  che  vor» 
rehbe  lodare  tutti  i  sommi  preei  di  tei,  se  non  che 
gli  pare  ch'ella  sia  troppo  crudele  ed  ingrata  i^erso 
lui  che  t  ama  di  costante  e  fedele  amore.  Ma  to- 
sto s*  accorge  die  tale  apparenza  di  crudeltà  e 
ingratitudine  potruz  ben  essere  virtÌÀ;  e  di  qui  tru" 
passa  a  celebrare  quanto  in  lei  più  si  ammira^ 

Bella  Guerriera  mìa^  ben  io  vorrei 

Farvi  cotanto  onore  ^ 

QuantMo  vi  porto  amore  ^ 

Vostre  lodi  agguagliando  alle  mie  pene. 

Vorrei  lodare  U  crìn  che  lega  il  core  ) 

Gli  occhi  y  lume  de^  miei , 

Senza  il  qual  non  avrei 

Giammai  del  viver  mio  ore  serene, 

ChMo  di  vedere  ho  spene 

Alfin  dolce  tremanti; 

£  le  ciglia, stellanti; 

E  la  fronte  ch^or  placida ,  or  severa, 

Or  umile,  or  altera, 

Assicura  e  spaventa  i  vaghi  amanti; 

E  le  guance ,  ove  avete  e  rose  e  gigli  ; 

E  le  labbra,  ove  soli  i  fior  vermigli; 
£  la  candida  gola  e  U  bianco  petto, 

E  quel  eh'  è  dentro  ascoso , 

Assai  più  prezioso 

Caro  tesor  del  Cielo  e  di  natura , 

Che ,  s' al  pensier  si  scopre ,  il  fa  giojoso 

Sì  che  mai  d'altro  obbietto 

Non  ebbe  egual  diletto, 


3 IO  RIME  AMOROSE 

Né  mai  piacer  di  luce  così  pura^ 

Ch^  il  destin  non  F  oscura  y 

Né  la  nemica  sorte  ^ 

Né  '1  tempo^  né  la  morte: 

Serena  luce  di  virtù  celesti , 

D'alti  costumi  onesti, 

Che  son  di  gir  lassù  fidate  scorte. 

Ma  chi  li  turba ,  o  chi  si  pon  fra  loro  ^ 

E  &  men  bello  il  glorioso  coro? 
Farmi  veder  fra  lor  di  loro  indegna 

La  fera  crudeltate, 

La  qual  di  castitate 

Talora  il  nome  e  la  semUanta  prende  ^ 

E  si  dimostra  nelle  luci  amate , 

E  mi  disprezza  e  sdegna: 

Né  sola  v'  é ,  ma  regna 

L' ingratitudin  seco,  e  mi  contende 

Ogni  premio  che  attende, 

Ogni  don  che  richiede 

La  mia  costante  fede  3 

Onde  indamo  dagli  ocelli  amare  stille 

Io  verso  a  mille  a  mille. 

Per  impetrar  da  voi  qualche  mercede: 

£,  se  giammai  la  mi  darete,  io  temo 

Che  sia  la  mercé  prima  il  male  estremo. 
Oh!  che  può  dar  nemica  aspra  di  pace. 

Se  non  la  morte  in  dono? 

Né  già  schivo  io  ne  sono, 

Si  bella  é  la  cagion  del  mio  morire. 

Ahi,  chi  mMnganna?  e  perché  pur  ragiono 

Di  cosa  che  vi  spiace? 

£  perclié  non  si  tace 

Quel  che  puote  inasprirvi  al  mio  martire? 

Pensier,  eh'  ascolti  e  mire 


RIME  AMOROSE  3it 

Ciò  che  dentro  si  cela 

Dove  un  bel  petto  gela, 

Forse  è  virtù,  che  non  alletta  il  volgo. 

Quel  chMo  biasmo  e  divolgo, 

E  mal  fa  chi  la  scopre  e  la  rivela 

Senza  sua  glòria  alle  volgari  genti, 

E  mischia  le  sue  lodi  e  i  miei  lamenti. 
Deh!  non  mi  trasportar  fuor  del  cammino 

Dell^onor  suo,  chMo  segno: 

Schiviamo  odio  e  disdegno, 

E  là  miriamo  ove  1  piacer  c'invita^ 

E  contempliam  quel  chiaro  ed  alto  ingegno 

E  vago  e  peUegnno , 

E  lo  splendor  divino 

Dell^ intema  beltà,  quasi  infinita. 

Vita  della  mia  vita, 

Se  mai  terreno  asciutto 

Rende  a  chi  1  bagna  il  frutto, 

Ovver  pianta  feconda 

Al  coltor  che  F inonda,  * 

Esser  detto  non  deve  ingrato  in  tutto; 

Né  voi,  sebben  di  pianto  io  spargo  un  rivo, 

Che  quel  produce  ai  che  ancora  V  vivo: 
E  vivrò  sempre  un  tempo;  e  se  mai  fia 

Che  1  mio  tepido  fiume 

E  U  vostro  dolce  lume 

Maturi  quello  ondMo  nutrirmi  soglio 

E  raddolcisco  ancora  uso  e  costume  ^ 

AUor  la  vista  mia 

Di  quel  che  'n  voi  desia. 

Tanto  godrà,  qyanto  da  lei  mi  toglio: 

Frattanto  io  pur  m^  invoglio 

Nel  desio  di  lodare 

Quel  lume  che  mi  pare 


3ia  RIME  AMOROSE 

Splendor  celeste,  e  1  bel  sereno  viso, 

E  F  angelico  riso , 

E  le  sembianze  si  leggiadre  e  care  j 

E  la  bella  virtù  della  belPalma, 

A  cui  si  deve  in  terra  alloro  e  palma. 
E  fra  me  dico:  A  voi  già  non  s'agguaglia 

Quella  vergine  antica , 

Forte,  quanto  pudica, 

Ch'andò  sette  anni  dallo  stuolo  errante 

Per  questi  mari,  e  fo  crudel  nemica: 

Né,  scaltra  v' è  che  saglia 

Per  arte  di  battaglia 

In  maggior  pregio,  più  di  voi  si  vante^ 

Ch'armi  celesti  e  sante 

Avete  e  schermi  accorti 

Contra  i  guerrier  più  forti. 

E  chi  più  forte  fu  d'Amore  unquanco? 

Pur  l'avete  si  stanco. 

Che  vendicate  in  lui  ben  mille  torti, 

E  ben  mille  trofei  drizzar  potete 

D'arme  e  di  spoglie  eh' a  lui  tolte  avete. 
Canzon,  se  tua  fortuna 

Ti  guida  ove  sfavilla 

La  mia  nuova  CammiUa, 

Prima  eh' a  lei  ti  mostri,  umil  risguarda 

Se  di  sdegno  par  eh'  arda , 

O  s'abbia  fronte  placida  e  tranquilla: 

Né  t'appressar,  se  di  baciar  non  credi 

La  bianca  mano,  e  a  lei  per  grazia  il  chiedi. 


% 


RIME  AMOROSE  3i3 


CANZONE  XXV. 


Si  duole  che  la  sua  donna  abbia  accettato  un  regalo 
di  frutte  da  un  suo  rivale,  —  Credesi  che  questa 
canzone  fosse  indirizzata  alla  signora  Dea  Folpe 
Losca. 

Piante,  frondose  piante, 

Che  tra  le  foglie  e  i  fiori 

Nutriste  i  frutti  in  bel  giardino  adomo  ; 

E  tu ,  di  Flora  amante , 

Che  ne'  felici  amori 

Soavemente  sospiravi  intomo  3 

Sole,  chMn  quel  soggiorno 

Spiegasti  i  dolci  raggi  ^ 

Fiume,  ch'i  tronchi  e  Ferbe 

Fai  più  lieti  e  superbe, 

Girando  spesso  i liquidi  viaggi, 

Odi  ch'io  mi  querelo: 

Odilo,  ó  terra,  o  cielo.    . 
Madonna  prende  i  doni 

D'amante  insidioso, 

Ed  a'  nemici  occulti  apre  la  via; 

E  gusta  (or  mi  perdoni) 

Dolce  venéno  ascoso 

Nel  caro  cibo  che  fuggir  dovrìa. 

Mortai  dolcezza  e  ria 

Deh  non  l'ingombri  il  petto! 

E  s'attoscar  natura 

Volle  alma  così  pura, 

Fé'  la  mia  morte  nell'altrui  diletto. 

Natura,  iniqua  maga. 

Del  mio  dolor  t'appaga. 


Si4  RIME   AMOROSE 

E  tu^  crudel,  ne  rìdi: 

Ma  rugiade  fur  quelle 

Della  belTalba,  e  pianto  dolce  e  chiaro. 

E,  perch^io  più  difiidi, 

Le  mie  nemiche  stelle 

Sul  dono  lagrìmàr,  che  fu  sì  caro  : 

Dono  a  me  solo  amaro , 

Che  mi  strugge  pensando^ 

Ed  a  me  sol  crudele , 
/  Che  suggo  assenzio  e  fele, 

Dove  ti  colse  il  mio  nemico,  o  quando? 

O  don  che  m'uccidesti, 

Dove,  dove  nascesti? 
Amor,  se  dentro  a'  rami 

Volavi  come  augello, 

Piagar  dovevi  di  mortai  ferita. 

Or,  perchMo  men  rìchiam]. 

Sol  dispietato  e  fello 

Ti  mostri  a  me,  c^ho  si  dogliosa  vita. 

Qual  pianta  è  sì  gradita, 

In  cui  vi  colga  i  frutti, 

Se  d'odioso  germe 

Son  le  speranze  inferme , 

E  la  mia  fede  e  i  miei  sospiri  e  i  lutti? 

Qual  si  lontana  terra 

Che  '1  mar  divide  e  serra? 
Canzone,  io  sono  il  tronco;  e  le  mie  fronde 

Son  mille  miei  desiri} 

E  i  pomi  aspri  martiri. 


RIME   AMOROSE  %iS 


CANZONE  XXVI. 

Parla  il  Tempo  aUe  dònne ,  dichiarandosi  punitore 
inesorabile  del  loro  orgo^. 

Donne ,  voi  che  superbe 

Di  giovinezza  e  di  beltà  n^ andate; 

Voi  che  Tarme  sprezzate 

Di  Venere  e  d' Amore  j 

Voi  sempre  invitte  e  sempre  vincitrici, 

Voi  vinte  pur  sarete 

Dal  mio  sommo  potere. 

I  gran  vanti  e  le  glorie, 
Le  corone  e  le  palme, 
JjB  spoglie  di  tant'alme  , 

Ond'i  vostri  trionfi  adomi  vanno, 

Pur  mia  preda  saranno; 

E  fia  mia  preda  insieme 

Questa  vostra  bellezza  e  questi' orgogÙo 

Che  U  mondo  onora  e  teme. 

II  Tempo  io  sono;  il  Tempo, 
Vostro  nemico,  e  vostro 
Domatore  e  signore. 

Che  posso ,  sol  fuggendo , 
Vie  più  contro  di  voi, 
Che  non  può  Amor  pugnando 
Con  tante  squadre  e  tanti  assalti  suoi. 
Ed  or,  mentre  chMo  parlo. 
La  mia  tacita  forza 

Entra  negli  occhi  vostri  e  nelle  chiome, 
E  le  spoglia  e  disarma. 
Quinci  rallenta  i  nodi. 


3i6  RIME  AMOROSE 

Quinci  le  faci  ammorza  ^ 

Quinci  rintuzza  i  dai^ 

Degli  amorosi  sguardi  ; 

£  quinci  a  poco  a  poco 

L'alta  beltà  disgombra^ 

Il  cui  raggio  e  il  cui  foco 

Tosto  alfin  diverran  cenere  ed  ombra. 
F  fuggo  ^  i'  corro  ;  T  volo; 

Né  voi  vedete  (  alii  cieche  !  ) 

La  fuga^  il  corso,  il. volo. 

Né  men  vedete  come 

Ne.  porti  il  vostro  onore  e  il  vostro  nome  j 

E  voi  medesme  meco; 

E  come  co'  miei  passi 

Ogni  cosa  mortai  ratto  trapassi. 
Ma,  ahi,  par  pur  che  stia 

Qui  neghittoso  a  bada. 

Folli!  deh,  che  vi  giova 

Lusingar  voi  medesme 

Con  volontario  inganno  , 

S'aperto  il  vostro  damio 

Vedrete  alfin  con  dolorosa  prova? 
Tosto  verrà  quell'ora 

Che  con  piena  vittoria  eternamente 

Trionferò  di  voi. 

Scaccerò  in  bando  allora 

Amor  dal  regal  seggio, 

Che  ne'  vostri  occhi  è  posto; 

Ed  in  quel  loco  poi 

Spiegherà  le  mie  insegne 

La  Vecchiezza  e  l'Onore. 
Torrò  di  man  lo  scettro 

De'  vostri  empi  pensieri 

All'alterezza,  cne  nel  vostro  petto 


RIME  AMOROSE  3i7 

Quasi  regina  or  siede: 

K  in  quella  stessa  sede 

Porrò  la  penitenza  y 

Che  con  dura  memoria  « 

De'  beni  andati  e  deli'  andata  gloria , 

Quasi  continuo  verme , 

Roderà  ognor  le  vostre  menti  inferme. 
Vi  farò  a  mio  volere, 

Come  a  vinte,  cangiar  legge  e  costumi, 

Lasciar  il  canto,  le  parole  e  '1  riso} 

I  nuovi  abiti  egregi, 

E  quante  spiega  in  voi  supèrbe  pompe 

Ricchezza,  arte  ed  ingegno. 

Farò  deporvi,  in  segno 

Di  vostra  servitute, 

Qual  uom  ch'in  dura  sorte  abito  mute. 
Queste  cose  or  v'annunzio. 

Perchè,  tra  voi  pensando 

Come  la  beltà  vostra  si  diltgna , 

E  quel  che  poi  ne  segua. 

Cessi  quel  vostro  orgoglio 

Pieno  di  ferìtate. 

Che  di  servirvi  amando 

Ogni  cosa  mortai  indegna  stima: 

Ma  di  voi  stesse  fate 

Come  pietà  vi  detta, 

E  ragion  vi  consiglia, 

Ch'io  coU'istessa  fretta 

N'andrò  seguendo  il  mio  viaggio  eterno. 
Su  su.  Stagioni,  omaij 

Su ,  Giorno ,  Notte  ed  Ore , 

Mia  veloce  famiglia , 

Che  con  moto  superno 

Ab  etemo  creò  l'alto  Fattore, 


5i»  RIME  AMOROSE 

Seraile  il  corso  antiquo 

D^e  vostre  vittorie 

Per  lo  calle  del  ciel  lungo  ed  obliquo. 


CANZONE  XXVn. 

Ad  Imenèo  y  in  occasione  delle  nozze  di  D,  Ftrginio 
Orsini  duca  di  Bracciano  con  D,  FUmu  Perelii 
Montalio. 

Delle  più  fresche  rose  ornai  la  chioma, 
Lieto  Imeneo,  circonda 
Pria  che  tramonti  il  fortunato  giorno, 
E  n'  incorona  i  sette  colli  ;  e  Roma  , 
Ancor  d^  eroi  feconda  , 
Rose  produca  alle  sue  torri  intomo: 
Di  rose  il  Tebro  oltre  Fusate  adomo 
Le  sue  rive  dimostri^ 

Né  siano  in  maggior  pregio  il  lauro  e  gU  ostri, 
Benché,  vinto  il  nemico. 
Di  lor  scornasse  in  quel  buon  tempo  antico 
O  famoso  Africano ,  o  grande  Augusto , 
Che  nova  gloria  agguagua  onor  vetusto. 

Se  la  fronde ,  Imeneo ,  eh'  io  tanto  onoro  , 
Ti  piacque  al  crine  avvolta  , 
Perché  fu  di  valore  antica  insegna , 
Or  cangia  nella  rosa  il  verde  alloro  , 
Ch'in  queste  piagge  é  colta , 
E  più  nova  virtù  dimostra  e  segna  , 
Tal  ch'ogni  fior  per  lei  si  sprezza  e  sdegna 
Dalla  bella  Ciprigna, 
E  di  più  nobil  sangue  ancor  sanguigna 
La  stima  il  fero  Marte 


RIME   AMOROSE  Si^ 

Che  dispìegoUa  in  più  sublime  parte  j 

Talché  degna  la  rosa  è  d^  alti  carmi 

Fra  balli  e  feste,  e  più  fra  schiere  ed  armi. 
Vieni  dunque,  Imeneo ,  cinto  di  rose, 

Colla  novella  Aurora 

Che  8^ adoma  di  rose  il  crine  e  1  grembo, 

E  coir  aure  più  lievi  e  rugiadose , 

Che,  mentre  ella  sMnfiora, 

Spargono  intorno  pur  di  rose  un  fiembo. 

Vedi  fiorir  sino  al  ceruleo  lembo 

Dell'ondoso  Tirreno 

Che  perle  e  gemme  pur  ti  porta  in  seno^ 

Ma  nel  viso  di  Flavia  in  mezzo  1  gelo 

Son  più  belle  che  'n  cielo, 

E  perde  FAlba  se  con  lei  contende. 

Vieni,  vieni,  Imeneo,  che  '1  Sol  discende. 
Vieni,  vieni.  Imeneo,  ch'omai  scintilla 

Esperò,  e  1  elei  sMmbruna; 

Ma  Flavia  più  serena  a  noi  riluce, 

E  con  sembianza  placida  e  tranquilla 

Vince  la  bianca  Luna , 

E  vincerebbe  la  purpurea  luce. 

Vien\  che  t' aspetta  il  valoroso  duce , 

Che  le  luci  divine 

Pur  di  Flavia  sospira  e  '1  biondo  crine. 

Ed  a  que^  dolci  sguardi 

Già  par  tutto  di  foco.  E  tu  ritardi  7 . , . 

Porta  i  diletti  ornai ,  le  noje  sgombra , 

Scuoti  la  face  d' oro ,  e  scaccia  V  ombra. 
Vieni  )  che  senza  te  perpetuo  in  terra 

Non  è  scettro  o  corona^ 

Né  stabil  regno  o  signorìa  costante 

Vien  per  antica  stirpe,  illustre  in  guerra  , 

La  CUI  fama  risuona 


3ap  RIME  AMOROSE 

Oltre  Fnltimo  Battro  e  1  mauro  Atlante. 
Per  te  già  figli  attende  il  casto  amante; 
Tu  degU  avi  la  gloria 
Stendi  a^  nipoti,  e  P immortai  memoria; 
Tu  le  cose  mortali 
Fai  quasi  eteme,  alle  celesti  eguali. 
Scuoti  la  face  d'oro,  e* quasi  stelle 
Siano  intomo  alla  tua  F  altre  facelle. 
Ecco  Im^ìéo:  vedi  la  fiamma  e  '1  lampo, 
Roma  ,  e  'n  fiorita  vista 
La  notte  e  '1  ciel  cui  nulla  nube  attrista; 
E  quasi  mansueti  in  lui  rimira 
L'Orse  e  1  Leon  che  più  lucente  or  gira. 


CANZONE  XXVffl. 

AOa  duchessa  di  Ferrant,  Loda  i  singolari  pregi 
di  lei  —  Questa  canzone  è  intiiolaia  Monile  ;  e 
tale  idea  h  pur  dichiarata  nelle  due  prime  strofe, 
polendosi  in  vero  paragonare  ad  un  monile  Cor^ 
namento  delle  lodi. 

Nel  mar  de'  vostri  onori. 

Come  sian  margherite. 

Queste  lodi  ho  raccolte  e  'nsieme  unite  : 

Lega  il  lor  filo  i  cori; 

Brevi,  ma  belle  sono; 

Picdolo  è  sì,  ma  prezioso  dono. 

Dunque,  Donna  reale, 

Di  gradirlo  vi  piaccia. 

Perch'io  mai  non  mi  stanchi,  e  msd  non  taccia. 
Dunque,  Donna  immortale, 

Se  di  farne  i'  m'ingegno 

Novo  monile,  or  non  raggiate. a  sdegno: 


RIME  AMOROSE  Sai 

Perchè  di  pregio  eguale 

Non  è  lucida  gemma 

A  quella  che  vi  pende  e  1  sen  v'  ingemma  ; 

Né  tra  le  brine  e  '1  gelo 

Ha  raggi  più  lucenti 

Stella  che  desti  gU  odorati  venti. 
Ne  tra  le  brine  in  cielo 
*  Cosi  TAlbd  fiammeggia; 

£  lei  Titone,  ella  voi  sol  vagheggia: 

£  sovra  il  caro  velo 

Vi  sparge  a  mille  a  miUe 

Minute  perle  e  rugiadose  stille: 

£  pare  un  lieto  maggio 

Fiorir  di  vaghi  gigli 

A'  vostri  piedi  ^  e  di  bei  fior  vermìgli. 
£  pare  un  lieto  raggio 

Arder  ne^  bei  vostri  occhi  ^ 

Onde  pace  e  dolcezza  e  gio)a  fiocchi. 

Occhi,  quando  erro  e  caggio, 

La  vostra  chiara  luce 

M^è  scoria  graziosa  e  nobil  duce. 

Luci,  più  bel  zafliro 

Non  vide  Sol  né  Luna; 

Deh  I  non  vi  turbi  il  tempo ,  o  rea  fortuna. 
Luci,  più  bel  desiro 

Non  vidi  acceso  mai 

Ad  altri  cosi  puri  onesti  rai  : 

Né  si  mirabil  giro 

Fa  la  vergine  Astréa, 

Volgendo  intomo,  o  Gntia  o  Citeréa: 

Occhi  e  luci  serene, 

Occhi  e  luci  beate. 

Più  bella  via  di  quella  via  mostrate. 

Tasso,  FoL  IF.  %i 


3aa  RIME  AMOROSE 

Ocelli  e  luci  ripiene 

Di  quel  piacere,  ond^io 

Talor  me  stesso  e  più  la  terra  obblio; 

£  voi,  che  le  Sirene 

Vincete,  o  casti,  o  chiarì 

Soavi  accenti ,  e  tranquillate  i  mari  ; 

£  voi,  pietosi  detti, 

Io  per  voi  cerco  a  volo 

Uun  mare  e  1* altro,  e  Funo  e  T altro  polo. 
£  voi,  pietosi  aiTetti, 

In  cu  r  alma  gentile 

Fuor  si  discopre  alteramenle  umile; 

£  voi,  rubini  eletti, 

D^amor  gioja  e  tesoro. 

Aprite  un  picciol  varco  a^  messi  loro; 

Tu,  bella  mano  e  bianca. 

Fra'  tuoi  serici  stami 

O  fra  le  gemme  serba  i  miei  legami. 
Tu ,  bella  mano ,  e  stanca 

Di  tesser  gemme  ed  ostri. 

Prendi  cortesemente  i  detti  nostri; 

£  tu  lo  sUl  rinfranca , 

Se  dal  soggetto  ei  perde. 

Che  la  palma  e  f  alloro  a  te  rinverde. 

£  non  è  degno  fonte 

Di  lavar  quell'avorio 

Ch'io  di  lodare  e  di  mirar  mi  glorio. 
£  non  ò  degno  monte 

Là  dove  in  treccia  e  'n  gonna 
•  Facciate  d^  un  bei  tronco  a  voi  colonna.     « 

Pur  alla  bianca  fronte 

£d  a'  dorati  crini 

Fami' ombra  spesso  e  lauri  e  faggi  e  pini. 


\ 


RIME   AMOROSE 

£  Febo  a  voi  sospende 
Il  giorno  in  sulP  occaso^ 
E  par  un  picciol  colle  un  bel  I^arndso/ 
£  Febo  a  voi  discende; 

Sprezzando  il  mare^  e  ^n  quello 

Di  vostra  gloria  ei  fa  nido  più  bello. 


3a3 


CANZONE  XXIX. 


Alla  duchessa  di  Ferrara,  Dimostra  com'  eUa  sia 
veramente  ornata  d*  ogni  virtù  regale,  —  //  Tasso 
chiamò  catena  questa  composizione,  non  solo  per- 
chè i  sentimenti  degli  ultimi  versi  di  ciascuna  strofa 
si  concatenano  co*  primi  della  strofa  seguente,  ma 
eziandfo  perchè,  siccome  nella  catena  gli  anelli, 
così  le  vwtìi  sono  V  una  coW  altra  congiunte. 

Illustre  Donna;  e  più  del  ciel  serena  ; 

Da  mille  occulti  lumi 

Mille  versate  ognor  gioje  e  dolcezze  ^ 

E  fanno  preziosa  aurea  catena 

Gli  angelici  costumL 

£  le  vostre  celesti  alme  bellezze; 

E  'n  sì  leggiadri  modi , 

Per  far  più  sempre  un  bel  desio  contento; 

Non  si  congiunse  mai  Foro  e  F  argento. 
L'oro  e  l'argento  in  sì  leggiadri  modi 

Mai  non  s' avvolse  o  prese  ; 

G)me  voi  ne  sembrate  adorna  e  vaga: 

E  tutte  fiamme  son  P  umane  lodi , 

E  vive  stelle  accese 

Son  le  divine;  onde  U  pensier  s'appaga. 

Né  fra'  ventosi  campì  ; 

Se  di  candide  nubi  il  cielo  è  carco  ; 

Tanto  suol  variar  col  suo  beli'  arco. 


3a4  RIME  AMOROSE 

Col  suo  belTarco  iiifra^  yentosi  campi 
Tanti  color  non  mostra 
L'Ifi  cheU  mezzo  cerchio  a  noi  descrìve, 
Fra  quanti' il  vostro  intero  avvien  ch^ avvampi^ 
Che  voi  di  chiostra  in  chiostra 
Fra  le  donne  circonda  e  fra  le  divej 
E  vanno  questi  a  quelli , 
£  quelli  a  questi  raggi,  e  fan  rìtorno. 
Sempre  girando  e  fiammeggiando  intorno. 
£ ,  fiammeggiando  intorno  a  questi ,  a  quelli  ; 
Scende  e  poggia  la  mente, 
Né  per  gli  estremi  alcun  vi  tira  a  basso; 
Ma  chi  si  piglia  a^  più  sublimi  anelli^ 
Rapito  è  dolcemente; 
E  contemplando  va  di  passo  in  passo, 
Perchè  r  innalza  e  scorge 
Con  lieto  aspetto  e  con  sembianza  amica 
Bella  accoglienza  e  cortesia  pudica. 
E  cortesia  pudica  innalza  e  scorge 
L'2[rdire  onde  s^ avanzi, 
Ed  incontra  ornamento  e  leggiadria, 
E  bel  disprezzo  ed  arte  insieme  scorge. 
Ch'anzi  natura,  ed  anzi 
Sembra  dono  del  Ciel  ch^a  lui  cMnvia: 
E  poscia  avvien  che  trovi 
Sdegno,  ch'indegnità  non  prende  a  grado; 
L'accorgimento  è  nell'istesso  grado. 
E  neir  istesso  grado  avvien  che  trovi 
Altro  obietto  che  piace. 
Ed  onor  e  vergogna  insieme  guarda 
Con  atti  cosi  dolci  e  cosi  novi 
In  cosi  bella  pace, 

Che ,  per  mirare ,  il  volo  alFrena  e  tarda  : 
E  par  ch'onori  e  spieghi 


RIME  AMOROSE  3a5 

L'alta  umiltà,  siccome  in  sacro  tempio , 

E  d^  altera  umiltate  un  vero  esempio. 
Un  vero  esempio  par  disonori  e  spieghi 

Poi  la  vaga  beltade 

E  la  bella  vaghezza  a  paro  a  parò, 

E  maraviglia  e  riverenza  il  pieglii 

Per  r  eccelse  contrade  , 

Per  cui  d^ alzarmi  al  ciel  talvolta  imparo: 

E  poscia  a  lor  vicine 

È  dignità  con  maestade  assisa, 

Ch'  in  altri  è  sparsa ,  e  'n  voi  non  è  divisa. 
Non  fia  divisa;  e  poscia  a  lor  vicine, 

Dove  mai  non  s  appigHa 

Mago  che  le  pertnrbi  o  tragga  al  fondo  ^ 

Scorge  virtù  sopra  il  pensier  divine  3 

£  le  produce  e  figlia 

L'alma  real  quando  si  volge  al  mondo: 

Ed  in  bel  giro  accolte  ' 

È  qui  modestia  e  chi 'n  temprar  s'availza^ 

Fide  compagne  omai  con  lunga  usanza: 
Per  lunga  usanza  in  un  bel  giro  accolte 

Chi  hetamente  i  doni 

Raccoglie  e  sparge,  e  la  real  sorella: 

E  v'è  fortezza,  a  cui  si  spesse  volte 

Pon  Tira  acuti  sproni 3 

E  seco  è  chi  l'acqueta  e  rende  ancella: 

E  'n  più  soavi  tempre 

Si  vede  Amor  di  rara  nube  in  grembo, 

E  con  lui  castità  nell'aureo  nembo. 
Nell'aureo  nembo  in  più  soavi  tempre 

Non  stringe  e  non  infiamma, 

E  non  ha  foco  Amore,  e  non  ha  ghiaccio, 

E  par  eh'  altrove  ei  si  dilegui  e.  stempre 

Tra  r  una  e  l' altra  fiamma  : 


3^  RIME  AMOROSE 

È  qui  dolce  misura  e  dolce  laccio  ; 

Onde  talor  s^  affida 

Vera  cleracnza  negli  aurati  seggi; 

E  quella  che  fonuò  P  antiche  leggi  : 
Cantiche  leggi  onde  talor  s^ affida 

Astréa,  che  dentro  Falnfic, 

Da!  ciel  venendo,  ^l^gg^  ì^  primo  albergo. 

Poi  la  virtù  ch^in  alto  cor  s^ annidai, 

Talvolta  allori  e  palme 

Par  che  si  lasce  disdegnaodo  a  tergo. 

In  voi  sempre  dimora, 

E  visse  già  fra^  Cesari  e  gli  Augusti  ; 

E  la  costanza  ha  seco  i  premi  giusti. 
Co^  premj  giusti  in  voi  sempre  (limora 

Quella  cli'è  luce  e  specchio 

E  duce  e  scorta  a^  più  lodati  ingegni; 

E  sotto  i  biondi  crini  omai  s'onora, 

Quasi  canuto  e  vecchio, 
11  buon  consigUo  che  mantiene  i  regni; 
Poi  cara  e  nobil  coppia^ 
Che  delle  cose  frali  e  delle  eterne 
Le  scerete  cagioni  ancor  discerne. 
Ancor  disceme  cara  e  nobil  coppia, 
Cba,  dove  ascenda  e  voli, 
L^ ultimo  grado-,  ove  discende,  il  primo: 
E,  mentre  ch'ei  Tun  vero  e  F altro  accoppia, 
Rinnova  spesso  i  voli 

DallUmo  al  sommo,  o  pur  dal  sommo  alPimo. 
O  pietà  santa,  o  santa 
Religione,  e  più  di  luci J Orse 
Segni  lucenti  a  chi  nel  ciel  trascorse  ! 
Nel  ciel  trascorse,  o  santa 

Religione;  e  tu,  ch^ avvolgi  e  stendi 
Catena  di  splendori,  in  lei  ci  prendi. 


1 


RIME  AMOROSE  s327 


CAN20NE  XXX. 

I 

In  lode  di  Laura  Peperara,  Avendo  invitate  tuUe 
le  Ninfe  a  coronar  la  sua  donna,  celebra  da  prima 
il  nascimento  di  lei ,  poi  descrisse  le  maraviglie  della 
sua  infanzia ,  quindi  le  bellezze  della  àovenlìi ,  e 
finalmeniie  éUce  che  il  mare  e  la  terra  devono  con" 
correre  a  onorarla  co'  loro  doni  pUi  pregiatL  -^ 
Le  stanze  di  questo  componimento  si  presentano 
sotto  T  aspetto  di' altrettanti  madrigali  tessuti  insie-- 
me;  e  perciò  il  Tasso  gli  diede  il  titolo  di  corona, 
avendo  pur  riguardo  a  ciò,  che  ad  ima  corona  si 
possono  veramente  paragonare  le  lodi. 

Vaghe  Ninfe  del  Po^  Ninfe  sorelle^ 
E  voi  de'  boschi,  e  voi  d^onda  marina ^ 
E  Toi  de^  fonti  e  dell^ alpestri  cime, 
Tessiam  or  care  ghirlandette  e  belle 
A  questa  giovinetta  peregrina  ; 
Voi  di  frondi  e  di  bori,  ed  io  di  rime: 
E,  mentre  io  sua  beltà  lodo  ed  onoro, 
Cingete  a  Laura  voi  le  trecce  d'oro. 

Cingete  a  Laura  voi  le  trecce  d'oro 

Dell'arboscello  onde  s'ha  preso  il  nome, 
O  pur  de'  fiorì  a'  quali  il  pregio  ha  tolto  J 
E  le  vermiglie  rose  e  '1  venie  alloro 
Le  faccian  ombra  all'odorate  chiome 
Ed  alle  rose  del  .fiorito  volto: 
E  dell'auro  e  del  lauro  e  de'  bei  fiorì 
Sparga  l'aura  nell'arìa  i  dolci  odorì. 

Sparga  l'aura  Deffarìa  i  dolci  odorì, 

Mentr'io  spailo  nel  cielo  i  dolci  accenti, 
E  li  porti  ove  Laura  udir  li  suole, 
E  dove  Mincio  versa  i  freschi  umori: 


3a8  RIME  AMOROSE 

Portino  ancora  i  mù  cortesi  venti 

n  chiaro  suon  deU^alte  mie  parole 

DoTe  cantaro  già,  quancTelIa  nacque ,  1 

I  bianclìi  cigni  in  fresche  e  lucid^  acque. 

I  bianchi  cigni  in  fresche  e  lucid*  acque 
Morendo  fanno  men  soave  canto 
Di  quel  ch^udi^  quando  costei  nascea: 
E  1  bel  terren ,  dov'  ella  in  cuna  giacque  y 
Tutto  vestissi  di  fiorito  manto} 
£  di  cristallo  il  fiume  allor  parea, 
£  preziose  gemme  i  duri  sassi 
Sotto  gU  ancor  tremanti  e  dubbj  passi. 

Sotto  gli  ancor  tremanti  e  dubbj  passi 
Nascer  facea  la  bella  fanciullctta 
Di  mille  vaghi  fior  lieta  famiglia; 
£,  se  premeva  un  cespo,  o  i  membri  lassi 
Posava  in  grembo  della  molle  erbetta, 
Era  a  vederla  nova  meraviglia» 
Qual  fosse  poi,  tu  dillo,  o  fiume  vago; 
Tu  dillo  altrui,  famoso  e  chiaro  lago. 

Tu  dillo  altrui,  famoso  e  chiaro  lago. 
Come  da  poi,  crescendo  il  biondo  enne, 
Laura  in  te  si  specchiasse  e  gli  occhi  e  '1  viso; 
E  come,  nel  mirar  la  cara  imago 
E  le  bellezze  sue  quasi  divine, 
Rassomigliasse  il  giovine  Narciso: 
Ditelo  augelli,  e  voi  dalie  biandie  ali, 
Voi  che  le  sete  sol  nel  canto  eguali. 

Voi  che  le  sete  sol  nel  canto  eguali. 
Già  tacevate,  o  cigni,  in  verdi  sponde, 
Cantando  Laura  di  dolcezza  piena; 
Ed  eran  tante  le  sue  voci  e  tali. 
Che  parean  mormorando  dir  queli^onde: 
È  per  fermo  costei  nova  Sirena.  — 


[ 


KIME  AMOROSE  339 

Oltre  i  candidi  cigni  ^  onde  beate , 
Son  più  belle  Sireite  in  voi  già  naie. 
Son  più  belle  Sirene  in  voi  già  nate, 
Acque  e  rive  felici,  ove  sicuro 
Il  buon  Titiro  già  pascea  la  greggia: 
Né  per  dolce  armonia  così  lodate 

0  Amarilii,  o  Galatéa  già  fòro, 

Com^  è  costei  che  quel  cantar  pareggia , 
Di  cui  tra  i  boschi  e  'n  picciola  capanna 
Indegno  è  '1  suon  delP  incerata  canna. 
Indegno  è  '1  suon  delF  incerata  canna 
D^ accordarsi  al  bel  canto:  e,  se  F udirò 

1  rozzi  armenti  e  i  semplici  bifolci, 
Per  maraviglia  ciò  che  Falme  affanna 
Obbliàr  questi,  e  quelli  ogni  desiro 
Dell^erbe  verdi  o  pur  dell^ acque  dolci; 
E  di  seguire  il  naturai  costume 
Quasi  scordossi  per  vaghezza  il  fiume. 

Quasi  scordossi  per  vaghezza  il  fiume 
Di  rendere  al  gran  Po  T usato  omaggio, 
Da  cui  tenuta  in  si  gran  pregio  è  Laura, 
Ch^  altra  Ninfa  agguagliarle  ei  non  presume 
Se  Fode  sotto  un  lauro  o  sotto  un  faggio 
Con  dolcissimi  accenti  addolcir  Paura, 
O  se  guidar  la  vede  i  cari  balli 
Sovra  i  candidi  fiori  e  sovra  i  gialli. 

Sovra  i  candidi  fiorì  e  sovra  i  gialli 
Suole  spesso  ballar  Laura  gentile 
Con  leggiadri  sembianti  al  dolce  suono} 
Degna  a  cui  bianche  perle  e  bei  coralli 
Del  nostro  mare  e  del  novello  aprìle 
Le  sia  portato  il  primo  e  ^1  più  bel  dono } 
Degna  a  cui  ne^  vicini  alteri  monti 
Apra  F  antica  madre  i  novi  fonti. 


33o  RIME   AMOROSE 

Apra  r  antica  madre  i  novi  fonti 
Al  bel  viflo  di  Laura^  ed  a  lei  mande 
Verdi  fronde  la  selva  in  queste / piagge: 
E^  inghirlandate  ornai  le  belle  fronti, 
Portin  le  Ninfe  ornai  varie  ghirlande, 
E  Fumili  e  F alpestri  e  le  selvagge: 
E  voi  siate  le  prime  e  le  più  snelle. 
Vaghe  Ninfe  del  So,  Ninfe  sorelle* 


RIME   AMOROSE 


33 1 


OTTAVE 


Introduce  la  Gelosia  a  ragionar  di  sé  medesima.  — 
Questo  componimento  servì  per  intermedio  o  per 
comparsa  in  uno  spettacolo  teatrale.  Forse  furono 
composte  per  una  occasione  simile  o  per  una  ma- 
scherata quelle  stanze  irregolari  dove  s'^  introduce 

a  parlare  il  Tempo  (Vedi  a  car.  3i5  ). 

/ 

Io  son  la  Gelosia  ^  cli^  or  mt  rivelo  ^ 

D' Amor  ministra  in  dar  tormento  a^  cori  ; 
Ma  non  discendo  già  dal  terzo  cielo , 
Dov^Amor  regna  ^  anzi  duo  son  gli  Amorì - 
Né  lassù  mai  sMndura  il  nostro  gelo 
Tra  le  divine  fiamme  e  i  puri  ardori  : 
Non  però  dalP  inferno  a  voi  ne  vegno , 
Ch'ivi  amor  no^  ma  sol  \ìnce  lo  sdegno. 

Forma  invisibil  sono  )  e  mio  ricetto 
È  non  chiuso  antro  od  orrida  caverna, 
Ma  loco  ombroso,  e  verde  e  real  tetto, 
E  spesso  stanza  de^  cuor  vostri  intema  : 
E  formate  ho  le  membra  e  questo  aspetto 
D'aria  ben  densa;  e  la  sembianza  esterna 
Di  color  varj  ho  così  adorna  e  mista, 
Che  di  Giunon  F  ancella  appajo  in  vista. 

Questo  che  mi  ricopre ,  onde  traluce , 
Parte  però  del  petto  bianco  e  terso, 
D'aria  è  bel  velo,' e,  posto  in  chiara  l^ce, 
Prende  sembiante  ad  or. ad  or  diverso.; 
Or  qual  piropo  al  sol  fiammeggia  e  luce, 
Or  nero  il  vedi,  or  giallo,  or  verde,  or  perso, 
Né  puoi  certo  aflfennar  ch'egli  sia  tale; 
E  di  color  si  varj  anco  son  Tale. 


X 


33a  RIME   AMOROSE 

Gli  omeri  alati ,  alati  ho  ancora  i  piedi , 
Si  che  Mercurio  e  'nsieme  Amor  simiglio; 
E  ciascuna  mia  penna  occhiuta  vedi, 
D^ aureo  color,  di  nero  e  di  vermiglio. 
Pronta  e  veloce  son  più  che  non  credi, 
Popol  che  miri  :  il  sa  Venere  e  1  figlio , 
Leve  fanciul  che  fora  un  tardo  veglio; 
.  Ma,  se  posa  o  se  dorme,  io  U  movo  e  sveglio. 

Questa,  cMio  nella  destra,  è  di  pungenti 
Spine,  onde  sferzo  degli  amanti  il  seno: 
Ben  ho  la  sferza  ancor  d^empj  serpenti 
Fatta,  e  'nfetta  di  gelido  veneno; 
Ma  su  le  disleali  alme  nocenti  i 

L' adopro ,  quai  fur  già  Teseo  e  Bireno  : 
L'Invidia  la  mi  die,  compagna  fera 
Mìa,  non  d^Amor;  la  diede  a  lei  Megera. 

Non  son  F Invidia  io  no,  benché  simile 
Le  sia,  com^ha  creduto  il  volgo  errante. 
Fredde  ambe  siam,  ma  con  diverso  sUle: 
Pigra  ella  move,  io  con  veloci  piante, 
E  mi  scaldo  nel  volo;  ella  in  uom  vile, 
Io  spesso  albergo  in  cor  d'illustre  amante: 
Ella  fel  tutta  ,  e  mista  io  di  dolciore; 
Ella  figlia  deirOdio,  io  dell'Amore. 

Me  produsse  la  Tema;  Amore  il  seme 
Vi  sparse,  e  mi  iiudri  cura  infelice; 
Fu  latte  il  pianto  che  dagli  occhi  or  preme 
Giusto  disdegno,  or*  van  sospetto  elice; 
Cosi  il  padre  e  la  madre  assembro  insieme , 
E  ^n  parte  m' assomiglio  alla  nutrice  : 
E  'i  cibo  ancor  che  nutricomroi  in  fiisce, 
È  quel  che  mi  diletta  e  che  mi  pasce. 

Di  pianto  ancor  mi  cibo  e  di  pensiero , 
E  per  dubbio  m'avanzo  e  per  disdegno^ 


RIME  AMOROSE  333 

E  mi  annoja  egualmente  il  falso  e  il  vero^ 
E,  quel  ch'apprendo,  in  sen  fisso  ritegno. 
Né  si  né  no  nel  cor  mi  suona  intero^ 
£  varie  larve  a  me  fingo  e  disegno: 
Disegnate  le  guasto  e  le  riformo; 
E  ^n  tal  lavoro  io  non  riposo  o  dormo. 

Sempre  erro ,  e ,  ovunque  vado  y  i  dubbj  sono 
Sempre  al  mio  fianco,  e  le  speranze  a  lato; 
Ad  ogni  cenno  adombro,  ad  ogni  suono, 
A  un  batter  di  palpebre ,  a  un  trar  di  fiato  : 
Tal  è  mia  qualità,  qual  io  ragiono. 
Principi,  e  voi,  cui  di  vedermi  è  dato: 
Ed  ora  Amor,  fra  mille  lampi  e  fochi, 
Vuol  ch^  io  v^  appaja  ne^  notturni  gioclii  : 

Perchè,  s^avvien  ch^al  sonno  i  lumi  stanchi 
La  notte  inchini  e  la  quiete  alletti. 
Io  vi  stia  sempre  stimolando  a^  fianohi, 
E  col  timor  vi  desti  e  co^  sospetti. 
Perchè  gente  al  teatro  omai  non  manchi, 
Né  sian  gli  altri  suoi  giochi  in  lui  negletti .... 
Ma  vien  chi  mi  discaccia  ;  ond^  io  gli  cedo , 
Ed  invisibii  qui  tra  voi  mi  siedo. 


\ 


334  Rl^^£   AMOROSE 


OTTAVE 

Dopo  avere  sfogata  f  ira  sua  conira  la  beUt%za  delle 
donne,  capone  di  mille  tormenti ,  si  augura  per 
amante  tuta  brutta  fimminaccia ,  sperando  che  al- 
meno  tal  mostro  sarà  tutto  per  lui,  —  Appartiene 
questo  componimento  al  genere  satirico -giocoso. 

Questa^  che  tanto  il  cieco  volgo  apprezza, 
Sol  piacer  delle  donne,  e  sola  cura, 
Caduca  e  fragilissima  bellezza, 
Un  vii  impeclimento  è  di  natura. 
Misero  amante ,  cui,  folle  vaghezza , 
Dà  in  preda  ad  un^ angelica  figura! 
Misero!  chiassai  meglio  entro  alle  porte 
Deir  inferno  placar  potria  la  morte. 

Come  in  bel  prato  tra'  fioretti  e  Terba 
Giace  sovente  angue  maligno  ascoso; 
Come  in  bel  vaso  d'or  vivanda  acerba 
Si  cela,  od  empio  succo  e  velenoso; 
Come  in  bel  pomo  spesso  anco  si  serba 
Putrido  verme,  ond^egli  è  infetto  e  roso; 
Cosi  voglie  e  pensier  malvagi  ed  opre 
Sotto  vel  di  bellezza  altri  ricopre. 

Dove  bellezza  appar,  cortesia  parte; 
L'umiltà,  la  pietà,  la  bontà  fugge: 
Dov'  è  bellezza ,  come  a  propria  parie , 
Superbia  e  ingratitudine  nfugge: 
Il  seme,  il  fior  d'ogni  virtù,  d'ogni  arte 
L'ombra  malvagia  di  bellezza  adugge. 
Bellezza  è  mostro  infame,  è  mostro  immondo, 
Sferza  del  ciel,  con  che  flagella  il  mondo. 


RIME  AMORÓSE'  335 

Siccome  o  noce  acerba^  o  pomo  amaro ^ 
Meglio  cb' altro  maturo  e  dolce  frutto  ; 
Condir  si  puote,  ed  è  bramato  e  caro 
Quando  quelP  altro  è  già  guasto  e  distrutto } 
Cosi  nelle  dolcezze  del  suo  chiaro 
Nettare  Amor  meglio  condisce  il  brutto 
Ch^acerbetto  è  per  s&^  che  non  fa  il  bello, 
D^  ogni  esterno  dolcior  schivo  e  rubello. 

Sia  brutta  la  mia  donna,  ed  abbia  il  naso 
Grande  che  le  faccia  ombra  sino  al  mento; 
Sia  la  sua  bocca  si  capace  vaso, 
Che  star  vi  possa  ogni  gran  cosa  drento; 
Sian  rari  i  denti,  gli  occhi  posti  a  caso, 
D^  ebano  i  denti,  e  gli  occhi  sian  d^ allento; 
K  ciò  di' appare,  e  ciò  che  si  nasconda, 
A  queste  degne  parti  corrisponda. 

Non  temerò  disella  sia  d'altri  amata, 
Ch'altri  la  segua,  o  pur  di' altri  la  miri; 
Non  temerò  s'ella  alcun  altro  guata, 
O  se  mesta  talor  par  che  sos{Hrìj 
Non  chiamerolla  ognor  superba,  ingrata, 
£  perversa,  e  ritrosa  a'  miei  desiri: 
Saranno  i  suoi  pensier  conformi  a'  miei; 
Sarà  mia  tutta ,  ed  io  tutto  di  lei. 


DIÀLOGHI 


PIALOGO   I. 

■ 

DOiVNA.   CAVALIERE. 

(  Il  con/oliere  »  amante  canuto  »  ricerca  varf  argcf^ 
menti  per  indurre  la  donna  a  corrispondere  a* 
suoi  c^etHi  ma  questa  ingegnosamente  lo  deride,} 

m 

DoruSe  colf  età  fiorita 

S^è  dileguato  il  fiore 

Della  vaga  beltà  eh* alletta  Amore, 

In  voi,  canuto  amante, 

Amar  che  debbo? 
Cw.  Fé  salda  e  costante, 

Che  immortai  fia,  sebben  mortai  la  vita. 
jDofi.Com^  esser  può  fedde 

Quegli  in  cui  dubbio  avanza 

E  timor  r incertissima  speranza? 
Cav. Non  teme  la  mia  fede, 

£  certo  è  1  dubbio  mio,  che  di  mercede 

Degni  fiano  i  miei  preghi  e  le  querele. 
Z'oii.Che  pregate?  ch'io  v^ami? 
Cai^.  Che  m*  amiate  vi  prego. 
Z7o/i.S'amor  premio  è  d'amore,  amar  vi  nego^ 

Che  tra  le  nevi  e  '1  gelo , 

Di  che  la  bianca  età  vi  sparge  il  pelo, 

Non  vive  Amor  che  desioso  brami. 
Cai^.  Amor  vive  nelP  alma , 

Che  tragge  dalle  stelle 

U  suo  principio,  ond'ò  immortai  con  elle: 


RIME  AMOROSE  3)7 

E  9  perchè  pur  le  brine 

Mi  spargono  degli  anni  il  mrato  c'I  crine  ^ 

Non  gela  la  mia  fiamma  intema  ed  alma; 

Anzi^  siccome  il  foco 

Talor  nelFaria  bruna 

Si  raccoglie  in  sé  stesso  e  si  raguna 

Tanto  più  for^mente, 

Quanto  è  più  intemo  il  verao  orrido  algente, 

Così  il  mio  ardor  più  forte  è  in  freddo  loco. 
i7on. Ma,  se  quel  eh' è  nascoso, 

Si  conosce  da  quel  che  fuor  si  mostra, 

A  quai  segni  veggio  la  fiamma  vostra? 

Ghiaccio  è  ciò  che  n'appare. 
Cui'.  La  fiamma  mia  per  gli  occhi  miei  traspare, 

Ed  esce  ne'  sospir  foco  amoroso. 
Don.Sono  gli  occhi  fallaci, 

E  fallaci  i  sospiri: 

Ed  io,  perchè  gU  uni  oda  e  gli  altri  miri, 

Non  son  certa  del  vero 

Che  nel  profondo  suo  volge  il  pensiero. 

Né  riconosco  ancor  F  interne  faci. 
Cw.ha  mia  fé  si  promette 

Ch'i  sospiri  e  gU  sguardi 

Troveranno  in  voi  fede  o  tosto  o  tardi. 
DonMa^  se  l'amor  si  pasce 

Di  quel  che  piace,  o  se  ne  more  in  fasce. 

Che  trovar  puDte  in  voi  che  lo  dilette? 
Cai'.  Della  vostra  bellezza 

Avverrà  che  m'allumi 

Ripercosso  il  bel  raggio  ne'  miei  lumi: 

E  rimirando  voi  neOa  mia  fronte. 

Siccome  in  specchio  o  'n  fonte , 

Avrete  di  voi  stessa  in  me  vaghezza. 
Z7o/i.Pur  le  fonti  turbate 

Tasso,  FoL  ir.  aa 


338  RIME  AMOROSE 

Non  rendon  vera  ìmaeo, 

E  ^ndarno  in  lor  si  mira  amante  vago. 
C^f;.  Passerete  più  a  dentro 

In  mezzo  alTalma^  ov*è  d^amor  il  centro: 

Ivi  vedrete  la  mia  fede  espressa , 

Bella  si  che  fia  degna 

Ch'  a  voi  piaccia  cotanto  j 

Quanto  a  me  gli  occhi  vostri  e  H  vostro  canto. 

Questa  è  mia  propria;  questa 

Amando  voi,  sarete  amante  onesta: 

Ch*  anima  bella  in  vii  corpo  non  regna. 
j9an.Se  '1  mio  canto  v*è  grato, 

Canterò  lieta  allora: 

Felicissimo  Amor  che  m'innamora. 

E  tu  y  compagna  mia  y 

Fa  degli  accenti  tuoi  meco  armonia , 

QuaT  Progne  canta  a  Filomena  allato. 

Santo  Amor,  solo  è  bello 

Quel  che  '1  tuo  raggio  rende 

Chiaro  ed  illustre,  e  U  tuo  bel  foco  accende: 

Vero  ardor,  vera  luce 

Non  è  dove  non  arde  e  non  riluce 

Negli  aspetti  e  nell'alme  e  questo  e  quello. 


1F^ 


RIME   AMOROSE  SSg 

DIALOGO    IL 

AMATA,    AMANTE,    AMORE. 

(  U  amata  e  F  amante  espongono  le  loro  reciproche 
querele  ad  Amore ,  il  quale  li  mette  àt  accprdo 
con  qitel  testo  del  suo  codice,  il  qual  dice,  dover 
la  persona  amata  riamar  chi  t  ama,  ) 

jimalo  qui,  signor ,  ne  vegno, 
Non  già  perchè  alle  leggi 
Soggetta  io  sia  del  tuo  amoroso  regno; 
Ma  perchè  tu,  che  puoi, 
Costrìnga  questo  menzogner  fallace 
A  serbar  sua  promessa  e  quella  fede 
Che  sovente  ei  mi  diede ,  * 

Per  Farco  tuo  giurando  e  per  la  face. 
E  ben  dinanzi  a  lei 
Che  di  nostra  natura  in  cima  siede, 
,    Fatto  citar  F  avrei  j 
Ma  costui  pur  si  vanta 
Ch^è  tuo  servo  e  soggetto, 
E  '1  giudicio  d^  ogni  altro  è  a  lui  sospetto. 
Io  te  già  non  ricuso; 
Sebben  straniera,  un  tuo  s^ace  accuso. 

Signor,  costui  mi  fece. 
Non  pregato  da  me,  libero  dono 
l)eir arbitrio  del  core  e  della  mente; 
E  m'affermò  sovente 
ChSo  poteva  a  mio  senno 
Dispor  d^ogni  sua  voglia, 
E  che  d^  ogni  mio  cenno 
£i  si  farebbe  inv'iolabiì  legge. 
Se  dunque  donna  io  sono 


Il» 


f 


340  RIME  AMOROSE 

Deiralma  e  del  suo  core^ 
Deggio  poter  disporre 
'  Com^  ei  ne  fea  prima  ch^  ei  fesse  il  dono  : 
£  siccome  signore 
Può  fare  il  suo  talento 
Di  legittimo  servo, 
Può  cambiarlo  con  oro  o  con  argento, 

0  può  donarlo  altrui, 
Cosi  poss^io  di  lui. 

L* anima  sua,  ch^ ancella 
Si  fe^  del  mio  volere. 
Non  dee  mostrarsi  a^  mìei  desir  nibeUa. 
Ecco  cliMo  le  comando 
Che  volga  ad  altro  oggetto 

1  suoi  pensieri  amando } 
Ecco  caio  vo'  che  serva 
Ad  altra  donpa,  e  sia 
Omai  sua,  non  più  mia. 
Faccia,  faccia  il  mio  impero, 
Né  si  mostri  ritrosa 

Alle  mie  giuste  voglie: 
E  s'ella  irriverente 
Contraddirmi  pur  osa, 
A  te  me  ne  ncliiamo. 
Signor  giusto  e  possente  j 
Opra  tu  i  dardi  e  '1  foco , 
Il  laccio  e  le  catene, 
E  scaltre  hai  nel  tuo  regno 
Più  gravi  e  fiere  pene. 
Sai  che  giusto  egualmente  esser  conviene 
A  chi  regge  e  governa. 
Colla  gente  soggetta  e  coli' estema. 
jimanlì  ver  parla  madonna; 
Ma  rigorosa  e  dura 


RIME  AMOROSE  34 1 

Si  mostra  in  sua  ragion  oltra  misura. 

Son  servo  suo,  noi  niego. 

Né  negar  lo  potrei} 

£  pur^  qual  servo  ^  al  petto 

Con  infiammate  note 

Porto  il  suo  nome  impresso  ^ 

Sì  clì^  altri  il  segno  cancellar  non  puote^ 

Ed  è  ver  che  giurando  ho  a  lei  promesso 

Ch^ognor  del  suo  volere 

Farei  legge  a  me  stesso } 

Ma  che  vuol?  che  comanda? 

Nulla  è  sì  malagevole  e  sì  greve  ^ 

ClVa  me  9  per  obbedirla  ^  < 

Non  sia  facile  e  lieve: 

Non  rapidi  torrenti^ 

Non  inospite  selve 

Piene  d^armi  e  di  belve  ^ 

Non  pioggia,  turbo,  o  vento ^ 

Non  locean  turbato, 

Non  delPAlpe  nevosa 

I  dirupati  sassi  ^ 

Dal  suo  servigio  arresteran  miei  passim 

Vuol  che  col  petto  inerme 

Vada  fra  mille  schiere? 

Vuol  elìsio  assaglia  le  fere 

Dell^ arenosa  Libia? 

O  vuol  che  tenti  il  varco 

Di  Stige  e  d^  Acheronte? 

Ecco  per  obbedir  le  voglie  ho  pronte* 

Ma  se  vuol  cliMo  non  1  ami, 

Se  vuol  ch^arda  e  sospiri 

Per  altra,  e  volga  altrove  i  miei  desiti^ 

Vuol  impossibil  cosa,  e  cosa  ingiusta^ 

Che  non  vorrei  potendo, 

E  non  potrei  volendo. 


34^  RIME  AMOROSE 

Quando  le  feci  il  dono 
Della  mente  e  del  core^ 
Ben  volontario  il  feci; 
Ed  oltre  al  mio  volere^ 
Ciò,  volle  il  Cielo,  e  tu  '1  volesti ,  Amore. 
Ma  posto  cliMo  volessi, 
Per  far  lei  paga  e  lieta, 
Drizzare  i  miei  pensieri  ad  altra  meta, 
Sosterrestil  tu,  Amore? 
Soffrìrebbelo  il  Cielo? 
No  certo.  Or  che  poss'io? 
Posso  sforzar  le  stelle? 
Posso  sforzar  gli  Dei? 

Dunque  in  pace  comporti 
Costei  a  essere  amata; 
Poiché  '1  mio  affetto  è  tale, 
Ch'è  volontario  insieme  anco  e  fatale. 
E  snella  a  strazio,  a  morte, 
Crudel,  pur  mi  condanna, 
Non  ricuso  martire. 
Purché  insieme  si  dica 
Che  sol  per  troppo  amar  Fho  sì  nemica. 
JmoAmay  tu,  come  faij  — 
E  tu  tempra  lo  sdegno: 
Che  ramata  riami  (ben  lo  sai) 
Antichissima  legge  è  del  mio  regno. 


RIME  AMOROSE  V  343 

D  I  A  L  O  G  O    in. 

AMANTE,  AMORE. 
(  V  amante  propone  varf  dubbj\  e  Amore  li  sdogUe,  ) 

jdmaJTuy  ch'i  più  chiusi  affetti  'ì 

Miri  spiando  entro  agli  accesi  petti  ^ 

Sciogli  i  miei  dubbi  ^  Amore  ^ 

£  porgi  dolce  refrigerio  al  core. 

Qualor  madonna  alle  mie  labbra  giunge 

La  sua  bocca  soave, 

Quasi  il  vedermi  seco  a  lei  sia  grave, 
/     '    Chiudendo  gli  occhi  i  suoi  bei  rai  m^  asconde* 
^mo.Questo  pensier  ti  punge? 

Per  questo  si  confonde, 

Da  timor  vano  oppressa 

L^alma,  e  per  questo  la  tua  gioja  cessa? 
Amali  pensier  che  1  annoi 

L^  umiltà  mia,  di  sua  bellezza  indegna  ; 

Questo  timor  m^nsegna,  e  turba  poi 

La  mia  letizia  intema, 

E  m' è  cagion  d^  un^  aspra  pena  eterna. 
^mo.Sai  che  soverchia  gioja 

Fa  che  un^  alma  si  muoja  e  tomi  in  vita  ) 

Però  se  la  gradita 

Tua  donna,  allor  ch'i  dolci  baci  accoglie, 

I  suoi  tremuli  rai  t'invola  e  toglie, 

Ciò  vien  però  che  dolcemente  langue 

La  sua  virtute,  e  lascia  il  corpo  esangue: 

Né  dar  spirto  a'  begli  occhi,  od  alle  membra 

Vigor  più  le  rimembra } 


344  I^^ME  AMOROSE 

Ma  di  eioconda  morte, 

Fiacca  langaendo ,  gode  in  su  le  porte. 
!^ma.Dunqué  eoa  qaal  rimedio 

Potrò  levarle  un  cosi  fatto  assedio, 

Acciò  che  lieto  miri 

Il  lampeggiar  di  due  cortesi  giri  ! 
^nio.Dàlle  pietosamente 

Morte;  che  di  tal  morte  ella  è  bramosa^ 

Che  solo  ha  per  suo  fin  vita  giojosa. 


RIME  AMOROSE  34$ 

t 

SCHERZO    POETICO. 

U  AMANTE  E  L' ECO. 

Darà  fin  presta  morte  al  mìo  dolore^ 
O  lungo  corso  di  molti  anni;  Amore? 

Ore. 
Odo  una  voce.  Amore,  del  mio  suono j 
O  tu  sei  qui;  mentre  il  mio  duol  risono? 
\  Sono.  • 

Invisibil  tu  dunque  ;  Amor,  sei  meco? 
ChMo  non  ti  veggio ,  e  'n  lagrime  m'accieco. 

Cieco. 
Deggio  sperar  di  mai  vederti  in  lei 
Che  ne^  boschi  dal  ciel  tragge  gli  Dei? 

Fia  dunque  breve  il  duol  che  1  pianto  elice , 
E  mi  lice  sperar  d'esser  felice/ 

Lice, 
Ma  quando  ;  Amor?  chèU  viver  m'è  molesto , 
E;  come  posso ,  di  morir  m^ appresto. 

Presto. 
Qual  fia  presto  soccorso  al  mio  tormento, 
Se  mill'anni  agli  amanti  è  un  sol  momento? 

Mento. 
Bugiardo  Amor,  il  mio  duol  prendi  a  gioco, 
JNè  t' incresce  di  lui  molto  né  poco? 

Poco. 
Dunque  è  pur  ver  ch'alquanto  te  n' incresca, 
O  pur  mostri  pietà  perch'io  l'accresca? 

Cresoa. 
Morrò,  se  cresce;  e  fia  rimedio  al  duolo. 
Sol  morte  al  duolo  ^  ond'io  me  ne  consolo. 

Solo. 


346  &IME  AMOROSE 

Cresci  tanto^  mio  duol^  ch*io^  lasso!  pera^ 
Poiché  (T  altra  speranza  il  cor  dispera. 

Spenu 
Spererò  dunque  in  mentitor  fallace, 
Che'l  falso  ol  meno  dice,  e'I  più  si  tace? 

Tace. 
Tace,  ovMo  taccio;  ed  ovMo  grido,  grida j 
Ed  ora  mi  spaventa,  ora  m* affida. 

Fida. 
Vaneggio  certo;  Amor  non  mi  risponde:* 
Ma  venir  può  questa  risposta  altronde? 

Onde? 
Questa  è  la  voce  mia  che  da  me  spira, 
Ed  Eco  k  rimanda  e  la  raggira. 

GÙXL 

Eco,  di  selve  abitatrice  errante. 

Prima  di  me  tu  fusti  al  mondo  amante. 

Anie. 
Or  pietosa  tu  sei  delU  altrui  male , 
Vaga  voce  ne^  boschi  ed  immortale? 

Tak. 


MADRIGALI 


MADRIGALE  1 

In  occasione  che  danzando  colla  sua  donna 
le  potè  stringere  la  mano. 

Non  è  questa  la  mano 
Che  tante  e  si  mortali 
Avventò  nel  mio  cor  fiammelle  e  strali? 
Ecco  che  pur  si  trova 
Fra  le  mie  man  ristretta^ 
Né  forza  od  arte  per  fuggir  le  giova, 
Né  tien  face  o  saetta 
Che  da  me  la  difenda. 
Giusto  é  ben  ch'io  ne  prenda;^ 
Amor;  qualche  vendetta^ 
E,  se  piaghe  mi  die,  baci  le  renda. 

MADWGALE  H. 

Alla  sua  donna  che  contemplava  il  deh. 

Mentre,  mia  stella,  miri 
I  bei  celesti  giri, 
U  cielo  esser  vorrei. 
Perché  negli  occhi  miei 
Fiso  tu  rivolgessi 
Le  tue  dolci  pupille. 
Io  vagheggiar  potessi 
Mille  bellezze  tue  con  luci  mille. 


348  RIME  AMOROSE 

MADRIGALE  Ut 

Scherza  sulla  parola  morire  nel  sigm/ieaia 
di  godere  estremo  diletto. 

Tirsi  morir  yolea^ 

Gli  occhi  mirando  di  colei  cb^  adora  ^ 

Quand^ella,  che  di  lui  non  meno  ardea^ 

Gii  disse:  Oimè!  ben  mio, 

Deh  non  morir  ancora, 

Che  teco  bramo  di  morir  ancliMo!  — 

Frenò  Tirsi  il  desio 

Ch^ebbe  di  pur  sua  vita  attor  finire, 

Ma  sentia  morte  in  non  poter  morire  : 

E,  mentre  il  guardo  pur  fiso  tenea 

Ne^  begli  occhi  divini, 

E  '1  nettare  amoroso  indi  bev^a , 

La  bella  ninfa  sua,  che  già  vicini 

Sentia  i  messi  d^  Amore, 

Disse  con  occhi  languidi  e  tremanti: 

Morì,  ben  mio,  cW io  moro.  — 

Cui  rispose  il  pastore: 

Ed  io,  mia  vita ,  mora  — 

Così  morirò  i  fortunati  amanti 

Di  morte  si  soave  e  si  gradita. 

Che,  per  anco  morir,  tornaro  in  vita. 

MADRIGALE  IV. 

Per  la  guarigione  della  sua  donna, 

Languidetta  beltà  vinceva  Amore, 
Bench^  egli  sì  possente  e  forte  sia  : 


r 


v/ 


J^ 


RIME  AMOROSE  349 

E  se  tanto  potea  mentre  languìa. 

Quanto  or  potrà  che  acquista  il  suo  vigore? 

Olì  pudica  beltà  ^  chMnvitta  sei^ 

£  vincitrice  ancor  d'uomini  e  Dei! 

Un  tuo  breve  languir  natura  appaga. 

Perchè  dopo  il  languir  ti  fa  più  vaga. 


MADRIGALE  V. 

Faraona  il  ronzio  della  zanzara  al  pianto  éP Amore. 

Mentre  in  grembo  alla  madre  Amore  un  giorno 
Dolcemente  dormiva, 
Una  zanzara  zufolava  intomo 
Per  quella  dolce  riva. 
Disse  allor,  desto  a  quel  susurro,  Amore: 
Da  si  picciola  forma 
Com'esce  si  gran  voce  e  tal  rumore, 
Che  sveglia  ognun  che  dorma?  — 
Con  maniere  vezzose, 
Lusingandogli  il  sonno  col  suo  canto, 
Venere  gli  rispose  : 
E  tu  picciolo  sei,^ 

Ma  pur  gli  uomini  in  terra  col  tuo  pianto, 
£  'n  ciel  desti  gli  Dei. 

MADRIGALE  VI. 

Per  una  zanzara  che  punse  il  collo  d'una  bella  donna. 

Questa  lieve  zans^ara 

Quanto  ha  sorte  migliore 

Della  farfalla  che  s'infiamma  e  more! 


35o  RIME  AMOROSE 

L'una  di  chiaro  focO; 

Di  gentil  sangue  è  vaga 

L'altra  che  vive  di  si  hella  piaga. 

Oh  fortunato  loco 

Tra  '1  mento  e  '1  casto  petto  !  ^ 

Altrove  non  fu  mai  maggior  diletto. 

MADRIGALE  VBL 

Per  improvviso  rossore  della  sua  dontìo. 

Donna  y  chi  vi  colora 

Come  vermiglia  e  mattutina  aurora? 

Forse  è  piacer  che  '1  volto 

Cosi  Voma  e  dipinge , 

Star  non  potendo  dentro  il  core  accolto? 

O  vergogna  che  tinge 

Il  candor  della  fede, 

Che  per  difetto  rosseggiar  si  vede? 

Ma  qualunque  tu  sia,        ' 

Color  soave,  della  donna  mia. 

Per  te"  la  colpa  ancor  bella  sana. 

MADRIGALE  Vffl. 

Per  un  cagnoletto  della  sua  donna,  chiamato  Grechino» 
il  quale  gii  riusciva  importuno  co'*  suoi  latrati. 

Grechin,  che  sulla  reggia 
Stai  della  mia  reina , 
La  quale  è  bella  più  di  Proserpina, 
Non  vengo  per  furarti, 
E  non  ho  la  catena 
Da  condurti  legato  in  altre  parti. 


RIME  AMOROSE  35i 

Dunque  non  latrar  più;  lo  sdegno  affrena; 
E  lasciami  passar  sicuramente^ 
*Che  non  t^oda  la  gente. 
Taci  Grechin,  deh  taci! 
E  prendi  questa  oflfella  e  questi  baci. 

* 

MADRIGALE  IX. 

Bach  involato. 

Dolcemente  dormiva  la  mia  Glori, 
E  ^ntomo  al  suo  bel  volto 
Givan  scherzando  i  pargoletti  Amori. 
MiravMo,  da  me,  tolto , 
Gon  gran  diletto  lei. 
Quando  dir  mi  sentii:  Stolto,  che  iai? 
Tempo  perduto  non  s'acquista  mai.  — 
Allor  io  mi  chinai  cosi  pian  piano, 
E,  baciandole  il  viso, 
Provai  quanta  dolcezza  ha  il  paradiso. 

MADRIGALE  X. 

Si  ride  che  sia  di  bd  eeìoso  un  alto  persoìutggio. 

Perchè  di  gemme  t^ncoroni  e  d'oro. 
Perfida  Gelosia, 

Turbar  già  tu  non  puoi  la  gioja  mia. 
Non  sai  che  la  mia  Donna  altro  tesoro. 
Ghe  la  sua  fé,  non  prezza? 
E  flfella  fosse  pur  vaga  d'altezza. 
Chi  n'ha  più  del  mio  core, 
Dov'ha  il  suo  regno  e  le  sue  pompe  Amore? 


v^. 


35a  RIME  AMOROSE 

MADRIGALE  XL 

Brama  (tudire  la  voce  di  Laura, 

Ore,  fermate  il  volo, 

Mentre  sen  vola  il  Sol  rapidamente 

Pìfel  lucido  Oriente; 

Ey  carolando  intomo 

All'aura  mattutina 

Ch'esce  dalla  marina, 

L' umana  vita  prolungate  e  1  giorno. 

E  voi,  aure  veloci, 

Portate  i  miei  sospiri 

Là  dove  Laura  spiri, 

E  riportate  a  me  sue  dolci  voci, 

Si  che  l'ascolti  io  solo. 

Sol  voi  presenti ,  e  '1  signor  nostro  Amore , 

Aure  soavi  ed  ore. 

MADMGALE  XH.     / 

Descrive  F  apparir  delt  aurora  e  il  levarsi  della  sua 
donna  9  adombrata  sotto  il  nome  di  aura. 

Ecco  mormorar  Fonde, 
E  tremolar  le  fronde 
Air  aura  mattutina,  e  gli  arboscelli; 
E  sovra  i  verdi  rami  i  vaghi  augelli 
Cantar  soavemente, 
E  rider  1'  Oriente. 
Ecco  già  Falba  appare, 
E  si  specchia  nel  mai*e, 
E  rasserena  il  cielo. 


j 


RIAqS  AMOROSE  353 

E  le  campagne  imperla  e  '1  dolce  gelo , 

£  gli  alti  monti  indora. 

Oh  bella  e  vaga  aurora! 

L^aura  è  tua  messaggera^  e  tu  dell^aura 

Ch^ogni  arso  cor  rìstaura. 

MADRIGALE  XJH. 

Parla  il  poeta  con  Amore,  Sotto  t  allegoria  del  lauro 
è  adombrata  Laura  Peperara,  L*  ultima  risposta 
d^ Amore  h  fondata  sulla  proprietà  del  lauro  {come 
scrive  Teofiasto)y  dal  quale  y  fregandosi  insieme 
la  scorza  o  i  ramif  suole  uscire  il  fuoco. 

Con  qual  focU  meraviglioso ,  Amore, 
Il  mio  bel  foco  hai  desto , 
E  di  qual  selce  tratto  il  vivo  ardore?  — 

Né  ferro  trasse  il  tuo  vivace  foco. 
Né  fuor  di  pietra  ripercossa  uscio, 
Ma  dalla  scorza  d^  un  bel  lauro  è  nato.  —• 

E  chi  serba  la  fiamma  in  freddo  loco, 
O  chi  la  tempra  in  guisa,  o  signor  mio, 
Che  non  avvampi  T arboscello  amato?  — 

La  natura,  non  io,  con  19Ì0  stupore: 

Suo  miracolo  è  questo  j  ' 

lo  sol  Fesca  v^ appresso,  ch^è  1  nùo  core. 

MADRIGALE  XIV. 

Dice  che  il  suo  desiderio  non  è  <t  amore , 

ma  di  vendetta. 

Donna,  quella  saetta. 

Onde  già  mi  percosse  il  mio  signore, 
Accese  il  miq  voler  d^mmenso  ardore. 
Tasso,  FoL  IV  a3 


354  ^^^^  AMOROSE 

Or^  benché  spenta  sta  nel  petto  mio 

La  brama  e'I  foco,  pur  T  bramo  ed  ardo 

Per  voi 9  cbe  fiera,  quanto  bella,  sete. 

Ma  la  fiamma  delFalma  e  '1  suo  desio 

Già  non  deriva  da  soave  sguardo, 

£  non  è  quel  che  voi  forse  credete. 

Bramo  si,  ma  vendetta; 

E,  se  pur  dee  gioir,  non  per  amore. 

Ma  per  disdegno  ornai  gioisca'  il  core. 

MADMGALE  XV. 

Accetta  con  gioja  le  leggi  impostegli  da  Jmore, 

Colla  saetta  dalla  punta  d^oro, 

Ond^ebbi  al  petto  si  mortai  ferita,. 
Scrisse  per  leggi  Amor  della  mia  vita 
Nel  verde  tronco  d^un  frondoso  alloro: 
m  Ama  ed  ardi;  e  ristoro 
«  Sia  quest^  ombra  alF  ardor  cbe  stilla  il  pianto.  » 
Dolci  mie  leggi  (ondMo  mi  glorio  e  vanto). 
Temute  e  care  (ond'io  gioisco  e  moro), 
Se^  non  basta  nei  bronco.  Amor  v^mprima 
In  questo  cor,  perchMo  ne  canti  in  rima. 

MADMGALE  XVI. 

Dice  cKe^i  resta  abbacato  nel  rimirar  le  bellezze 

della  sua  donna. 

Donna  gentil,  mentrMo  vi  miro  e  canto. 
Mi  passa  un  dolce  ardore 
Di  vena  in  vena,  e  mi  distrugge  il  core. 
E ,  lodando  il  bel  viso  e  '1  vago  petto , 


RIME  AMOROSE  355 

E  le  due  nere  ciglia, 

Dico:  Deli!  qual  diletto 

E  qual  dolcezza  è  questa  e  meraviglia? 

Alfin,  pieno  di  gioja  e  di  stupore, 

Non  so  s'io  veffgia,  o  pur  8*io  prenda  errore. 

Lasso!  io  m'abbaglio;  e  si  conforta  alcuno 

Ne'  begli  occhi  soavi 

Tra  1  color  bianco  e  ^I  bruno , 

Siccome  vuol  chi  tien  del  cor  le  chiavi: 

E  y  dimostrando  a  me  luce  maggiore , 

Per  veder  troj^o  mi  fa  cieco  Amore. 


s 


MADRIGALE  XVH 

Con  tre  rimiUtudini  descrìve  la  bellezza  della  sua  donna 

dopo  la  rìcuperaia  sanità. 

Non  è  A  bello  il  rinverdir  d'uà  fiiggio, 
O  '1  ravvivar  di  lucida  facella , 
O  '1  serenar  di  tenebroso  cielo, 
Come  negli  occhi  vostri  il  dolce  raggio 
Par  di  nuovo  racceso,  e  come  è  bella 
La  rosa  che  s'infiora  a  mezzo  '1  gelo: 
E  se  già  piacque  la  beltà  smarrita. 
Or  che  farà  questa  beltà  fiorita? 


MADRIGALE  XVDI. 

Descrìve  aUegorìcamente  la  coltura  del  suo  lauro , 
che  è  la  sig.  Laura  Peperara. 

Sian  vomeri  il  mio  stile  e  l'aureo  strale, 
Amore,  al  bel  terren  del  novo  alloro j 
Aura  quel  dolce  ventilar  dell'ale 


356  RIME  AMOROSE 

Che  tu  scotendo  vai  purpuree  e  d'oro; 
Acqua  il  mio  pianto  clie  sì  largo  inonda 
Jjsi  coltura  mirabile  el  lavoro: 
E^  ae  non  Terge  al  ciel  da  questa  sponda , 
Le  sia  terra  il  mio  core^  e  tu  1  feconda. 


MADRIGALE  XIX. 

Loda  la  H£.  Laura  Peperata,  «^  Nel  quatio  veno 
allude  alla  favola  di  Mirra.  Poi  descrive  la  patria 
di  quella  dama,  la  quale  non  era  aliar  mariiata. 
In  fine  ha  risguardo  alla  proprietà  del  lauro  di 
non  essere  percosso  dalfidmùm, 

Fon  è  d'Arabia  peregrina  pianta 
Questa  e*  ha  dolce  odore  ^ 
Perch'in  lagrime  stilli  il  suo  dolore: 
Nò  1  ventre  ebbe  giammai  gravoso  e  pieno 
Ma  sovra  lucide  acque 
Nata  ò  di  Manto  nel  tàace  senoj 
Ma^  tal  com'dla  nacque 
(Che  tutti  P onorar,  si  a  tutti  piacque ), 
Immortai  qui  F  onore 
Serba,  siccome  verde  il  suo  colore. 
Caro  pregio  del  Gelo  e  di  natura, 
Che  non  hai  paragone, 
Tua  grazia  a  te  mi  scorga  e  mia  ventura  • 
Ove  lampeggi  e  tuone, 
Perchè  delle  tue  frondi  io  mMncorone, 
Che  di  Giove  il  furore 
Mai  non  offende,  o  T  aureo  strai  d^  Amore. 


RIME  AMOROSE  357 

MADRIGALE  XX. 

I 

Loda  U  amio  di  Laura ,  e  ne  accenna  gli  effcUi 

Non  fonte  o  fiume  lod  aura 

Odo  in  più  dolce  suon  di  quel  di  Laura) 

Né  ^1  lauro  o  'n  pino  o  'n  mirto 

Mormorar  s^udì  mai  più  doke  spirto* 

Oh  felice  a  cui  spira  ! 

E  quel  beato  che  per  lei  sospirai 

Cbè^  se  gF inspira  il  core, 

Puote  al  cielo  aspirar  col  suo  valore. 

MADRIGALE  XXI. 

jtma  la  sua  donna  ^  benché  ella  oda  bd;  e  in  db 
fa  consistere  U  vero  amore* 

Donna  bella  e  gentil,  del  vostro  petto 
Sou  passioni  eguali  odio  ed  amore  j 
Ma  non  già  del  mio  core, 
Dove  Fun  vive,  e  spento  è  F altro  affetto i 
Anzi  piuttosto  non  vi  nacque  mai 
L^ odio. crudele,  e  nascer  non  potrìa: 
Ma  v'amai,  se  m' amaste j  ed  or  non  meno 
Vamo,  che  voi  m'odiate  e  sete  ria, 
Come  alla  mia  fortuna  ed  a  voi  piacque: 
Perchè  non  ama  la  sua  donna  appieno 
Chi  Fama  sol  quando  la  stima  amante 3 
No ,  no ,  non  se  ne  vante. 
Vamo  io  nemica,  e  quinci  onore  aspetto* 


358  RIME   AMOROSE 


MADRIGALE  XXU. 


D^onde  toglieste  il  foco 
Che  mi  consuma  a  poco  a  poco  e  sfiice 
In  guisa  tal  che  mi  tormenta  e. piace 2 
Da  una  gelata  pietra 
Che  non  si  spetta  per  continuo  piantò^ 
Ma,  quanto  più  T irrigo,  più  s^ indura, 
Ed  ha  presa  figura 
Di  voi  che  di  bellezza  avete  il  vanto: 
Onde  con  vostra  pace 
Il  vostro  nome  e  la  beltà  si  tace. 
Felice  la  mia  fiamma. 
La  qual  m'infiamma  così  dolcemente! 
Felice  ancor  pietra  sì  cara  e  bella  ^ 
E  più,  s^  ardesse  anch' ella  I 
Ma  tiene  il  foco  in  seno,  e  A  noi  sente} 
E  quivi  Amor  la  face 
Accende  alPesca  d'un  piacer  tenace. 

MADRIGALE  XXHL 

Alla  Mig.  Lucrezia ....  —  Scherza  su  questo  nome 
composto  di  Lue  {sincopato  di  luce)  e  da  retia, 
i^oce  latina  che  significa  reti. 

Donna,  sovra  tutte  altre  a  voi  conviensi^ 
Se  luce  suona  e  retij  il  vostro  nome  5 


RIME  AMOROSE  35g 

Perchè  m'abbaglio  allo  splendor  del  vìso^ 
E  caggio  poi  con  gli  abbagliati  senai 
Al  dolce  laccio;  e  dalle  bionde  chiome 
Legato  sono,  e  dalla  man  conquiso, 
Che  basta  aUa  vittoria  inerme  e  nuda, 
Più  bella  e  casta  oy^è  men  fera  e  cruda. 


MADRIGALE  XXIV. 

Per%l>.  Maifisa  iEste.  —  Loda  la  belkzza  del 
suo  volto,  ma  più  ancora  quella  delibammo* 

Ha  gigli  e  rose,  ed  ha  rubini  ed  oro, 
E  due  stelle  serene  e  mille  raggi, 
Il  bel  vostro  purpureo  e  bianco  viso; 
Onde  sua  primavera  è  1  suo  tesoro , 
E  gemme  i  vaghi  fiori,  e  lieti  maggi 
Lucide  fiamme  son  di  paradiso: 
Ma  ì  più  bel  pregio  è  la  virtù  dell'alma, 
Ch'è  di  sé  stessa  a  voi  corona  e  pahna. 

MADRIGALE  XXV. 

Sul  medesimo  sof^Uo* 

La  natura  v'armò,  bella  guerriera J 
E  strali  sono  i  guardi,  e  nodi  i  crini, 
E  le  due  chiare  luci  ambe  facelle. 
E  'n  vostro  campo  è  nella  prima  schiera 
L^onor,  la  gloria;  e  stanno  a  lor  vicini 
Gli  alti  costumi  e  le  virtuti  anch'elle. 
Ed  un  diaspro  intomo  il  cor  v'  ha  cinto  ) 
E  voi  sete  la  duce,  Amore  il  vinto. 


36o  RIME  AMOROSE 


MADRIGALE  XXVL 


Loda  I  hegU  occhi  neri  della  sua  donna ,  e  U  desuim» 

sempre  sereni  e  tranquilli. 

Questo  81  puro  e  lieto  e  dolce  raggio 
Non  è  eli  stella,  o  pur  di  bianca  luna, 
Ma  par  di  sole;  e  sole  altro  non  aggio: 
£  mentre  sete  più,  luci,  tranquille,     ^ 
Quasi  un  bel  mare  il  bel  profondo  io^ 
Con  più  soavi  e  lucide  faviHe. 
O  sian  lumi  d^ amore  ardenti  e  chiarì, 
O  dell^alma  gentil  chMn  voi  si  mostra. 
Deh!  non  turbi  fortuna  occhi  sa  cari, 
E  \  bel  sereno  e  V  alta  pace  vostra. 

MADRIGALE  XXVIL 

Si  lamenta  che  la  sua  donna  non  deponga  i  guanti 

Lasciar,  nel  ghiaccio  o  nell^ ardore,  il  guanto 
Amor  più  non  solca 

Da  poi  che  preso  e  'n  suo  poter  m*  avea 
Nel  laccio  d^oro,  ondMo  mi  glorio  e  vanto. 
Mentre  io  n'andava  ancor  libero  e  scarco. 
Il  candor  m'abbagliò  di  bianca  neve 
Sì  che  non  rimirai  la  rete  e  i  nodi. 
Poi  che  fui  cólto,  e,  di  spedito  e  leve, 
Tomai  grave  e  'mpedito  e  caddi  al  varco, 
Coperse  il  mio  diletto ,  e  'n  feri  modi 
Sdegnò  la  bella  man  preghiere  e  lodi. 
Ahi  crudel  mano!  ahi  fera  invida  spoglia! 
Clìi  fia  che  la  raccoglia. 
Né  sdegni  i  baci  e  l'amoroso  pianto? 


RIME  AMOROSE 


36i 


MADRIGALE  XXVffl. 

Persuade  i  proprj  occhi  a  non  perder  toccasiùfue  di 
mirar  le  bellezze  deUa  sua  donna  ;  perchè  è  mi- 
glior t  inavx^rtenza  che  giovi ,  delt  accortezza  che 
non  sia  giovevole. 

Occhi  miei  lassi  ^  mentre  chMo  vi  giro 
Nel  volto  in  cui  pietà  par  che  c^ inviti; 
Pregovi  siate  arditi, 

Pascendo  insieme  il  vostro  e  mio  desiro. 
Che  giova  esser  accorti,  e  morir  poi 
D'amoroso  digiun,  non  sazj  appieno, 
E  fortuna  lasciar  eh' è  sì  fugace? 
Questo  sì  puro  e  sì  dolce  sereno 
Potria  turbarsi  in  un  momento,  e  voi 
Veder  la  guerra  ov'  è  tranquilla  pace* 
Occhi,  mirate,  or. che  n'afiida  e  piace 
U  lampeggiar  de'  bei  lumi  cortesi, 
Con  mille  amori  accesi 
Mille  dolcezze  senza  alcun  martiro. 


MADRIGALE  XXIX. 

Loda  gH  occhi  della  sua  donna. 

Sete  specchi  di  glòria,  in  cui  traluce 
Etemo  raggio  dMmmortal  bellezza, 
Occhi  leggiadri,  e  lucide  finestre, 
E  chiarì  fonti  ancor  di  pura  luce. 
Da  cui  discendo  no  d'alta  dolcezza, 
Non  come  fiume  da  montagna  alpestre  ^ 
E  ruote  e  sfere,  anzi  celesti  segni, 
£  Soli  da  scacciar  nebbie  e  disdegni* 


36i  RIME  AMOROSE 

« 

SMlluminate  voi  T oscura  mente, 

Occhi,  voi  sete  occhi  non  già,  ma  lumi, 
E  '1  seren  vostro  è  1  mio  novo  Oriente  ; 
E  Forror  si  dilegua,  e  F ombra  e  i  fumi 
Fuggop  lungi  da  voi,  luci  serene, 
Ch^ccendete  desio  d^alti  costumi: 
Luci  e  lumi,  il  cui  raggio  al  cor  sen  vene, 
£  'n  lui ,  come  farfalla ,  arde  la  spelte. 

MADRIGALE  XXX. 

Paria  metaforicamente  delle  nozze  della  sig.  Laura 
Peperara  col  conte  Annibale  Turco, 

Questa  pianta  odorata  e  verginella. 
Che,  secura  dal  fulmine  e  dal  gelo, 
Cresce  si  cara  al  mondo  e  cara  al  Gelo, 
Quanto  divien  maggior,  tanto  è  più  bella ^ 
E  giovanetta  mano  or  di  lei  cogue 
I  novi  frutti  e  le  novelle  foglie. 
Oh  fortunata  man,  cui  tanto  lice! 
E  chi  vi  canta  alF  ombra  anco  è  felice. 

MADRIGALE  XXXI 

«Sfitto  stesso  soggetto, 

DelFarboscel  cMia  si  famoso  nome, 
Or  sMia  fatta  Imeneo  la  santa  face, 
E  delle  verdi  fronde  orna  le  chiome. 
Amor,  con  tuo  dolore  e  con  tua  pace: 
E  tu,  che  spesso  gli  volavi  intomo. 
Come  al  suo  cibo  suole  augel  rapace. 
Alla  beir ombra  più  non  fai  soggiorno, 
Pur  con  tua  pace,  Amore,  e  con  tuo  scorno. 


RIME  AMOROSE  363 

MADRIGALE  XXXIL 

Loda  gU  occhi  bianchi ,  mostrando  esser  cosa  lor 

propria  la  sinceriià. 

De'  vostri  occhi  sereni  il  dolce  umore  ^ 
Quasi  un  candido  mare,  ha  picciol  fondo ^ 
Si  che  tràluce  al  mio  pensier  profondo 
Con  dolcissime  voglie  u  nobil  core: 
Anzi  in  quel  lucidissimo  candore  - 
L'alma  si  scopre,  e  noi  perturba  Amore , 
E  non  vi  sono  insidie  o  scogli  o  rirti, 
Né  v'ha  tempesta  d'amorosi  spirti. 

MADRIGALE  XXXm. 

Per  la  malattia ,  e  qtdndi  per  la  guarigione 

della  sua  donna. 

Roche  son  già  le  cetre  e  muti  i  cigni 
Al  languir  vostro ,  e  secco  il  lauro  e  1  mirto  y 
E  con  languidi  rai  pallide  stelle, 
E  Falba  in  manti  oscuri  od  in  sanguigni j 
E  più  si  duole  ogni  gentile  spirto. 
E  son  discordi  i  venti  e  le  procelle, 
E  par  ch'aspetti  di  sì  breve  guerra 

^  n  cielo  un  nuovo  Sole,  un  fior  la  terra. 

Ride  la  terra,  e  ride  il  ciel  sereno, 
E  rota  il  Sol  via  più  lucenti  raggi, 
E  r  immagine  bella  appar  nelPondej 
E,  rallentando  i  fiumi  al  corso  il  freno, 
Cessan  Tire  de'  vénti  e  i  fieri  c^traggi, 


364  I^IME  AMOROSE 

Perchè  alloro  non  perda  o  ramo  o  fronde: 

E  colla  vostra  pace  ha  pace  intanto 

U  mare  e  Farìa^  e  tregua  il  duolo  e  1  piaiilo. 

MAPWGALE  XXXIV. 

Jn  questo  dialogo  fin  il  poeta  ed  Amore  si  dimosira 
come  negU  occhi  della  donna  amata  sia  U  prrmio 
alla  serviàs  dell  amanie» 

DoVè  del  mio  servaggio  il  premio  |  Amore?  — 

In  que^  begli  occiù  al6n  dolce  tremanlL  — 
E  chi  V  innalza  il  paventoso  core  7  — 

Io  3  ma  coli' ali  de^  pensier  costanti.  — 
E  i  ei  8*  infiamma  in  quel  sereno  ardore  7  — 

n  tempran  bgrìmette  e  dolci  pianti.  -— 
Ahi  !  vola ,  ed  arde  j  e  di  suo  stato  è  incerto.  — - 

Soffra;  che  nel  soffrire  è  degno  merto. 


RIME  EROICHE 


\ 


SONETTI 


SONETTO    I. 


ijoda  U  mg*  Oiùfo  aniiquarìo. 


Uivì  Augusti  ed  eroi^  paesi  e  regni 

Sacri  a  Giove  j  a  Minerva ,  a  Febo ,  a  Marte  , 
Opre  raccolte  y  o  pur  vestigia  sparte  y 
E  d'antico  valor  memorie  e  segni ^ 

Ricerchi,  Olivo,  e  desti  i  chiari  ingegni 
Co^  marmi ,  co'  metalli  e  con  le  carte } 
£  maraviglie  di  possanza  e  d'arte 
Dimostri,  e  U  meglio  eleggi,  e  1  vero  insegni. 

E  per  te  più  s'apprezza  e  più  si  stima 
Questa  etate  e  quelP  altre  a  cui  non  furo 
I  regi  avari  e  le  famose  donne  : 

E  i  nomi  guardi ,  e  dall'  obblio  securo 
E  dal  tempo  ten  vai,  se  rode  e  lima 
Le  statue  ignude  e  gli  archi  e  le  colonne. 


368  RIME  EROICHE 

SONETTO  IL 

Teme  che  3  duca  Al/bruo  voglia  ardere  ta  sua 
Genualemoie  liberata. 

Chi  colle  fiamme  qui  di  Flegetonte 

I  fochi  desti  e  '1  gran  rogo  ha  costrutto? 
Questa  d^ohblio  vorago  alia  e  di  lutto 

Si  deriva  da  Lete,  o  da  qual  fonte? 

L'opre  mie,  che  sperai  chMllustrì  e  conte 
Fossero  in  ogni  etate  al  secol  tutto,  ^ 
Chi  consuma  e  sommerge?  E  questo  il  frutto 
Ch*  io  colgo ,  o  Feho ,  nel  tuo  fertil  monte  ? 

Secca  tu  gli  atri  stagni,  e  da  Parnaso 
Corra  a  smorzar  grincendj  etemo  fiume, 
E  n^apra  un  novo  umor  novo  Pegaso} 

E  fede  impenni  alleale  mie  le  piume, 
Si  che,  lunge  lassando  il  mesto  occaso, 
Volino  in  oriente  incontra  il  lume. 

SONETTO  IH. 

Sul  medesimo  eoggetto,  —  Nd  primo  quadernario  PeUude 
aW  Eneide  c£b  Jumuto  impedi  non  foue  oMrucaata. 

Tolse  alle  fiamme  il  glorìbso  Augusto 
La  pietà  che  d'Achille  agguaglia  Vira, 
Onde  ancor  vive,  e  cresce,  e  luce,  e  spira. 
Fama,  T incendio  d^Uion  vetusto. 

n  mio  signor,  che  '1  Mauro  e  f  Indo  adusto 
Sovra  chi  vinse  o  resse  il  mondo  ammira , 
Vorrà  ch'accenda  una  niedesma  pira 
Fido  parto  innocente  e  padre  ingiusto? 

Errò  il  padre  :  il  figliuol  la  fé  scolpita 
In  fronte  porta,  e  sé  ne  gloria  e  vanta, 
Come  servo  fedel,  di  note  impresso. 

L' un  piange  anco  il  suo  fallo ,  e  T  altro  canta 

II  suo  signor:  se  Puna  alP altra  vita 
S'innesta,  ah  vivano  ambo  al  ben  promesso! 


EIME  EROICHE  369 

SONETTO  IV. 

Sul  meduimo  toggeUo.  —  Pare  dagli  uJtdnd  versi  che  abntno  . 
un  esemplare  del  poema  Jbss€  bruciata,    . 

ÀhiI  le  fiamme  d'Europa,  accese  in  questi 
Fogli;  or  son  dunque  d'altre  fiamme  spente? 
E  di  taute  fatiche  e  sì  fervente 
Studio  non  fia  ch'altro  che  duol  ne  resti? 

Già  perduto  n'  è  '1  frutto  !  E  tu  potesti 
Esser  nel  proprio  mal  lingua  sì  ardente , 
Ministra  del  dolor,  non  della  mente , 
Che  gli  effetti  seguir  subito  fésti? 

Tremar  le  mani  al  duro  officio ,  e^  'n  pianto 
Volgesti  gli  occhi;  ed  a  si  degni  scritti 
Riverente  Vulcan  cesse  ampio  loco:  ^ 

Indi  incitato  (  ahi  troppa  fretta  !  )  il  foco         ^  ' 
Gli  arse;  e  al  soo  danno  mille  Spirti  invitti 
Sin  dal  oiel  sospirar  udirsi  intanto^ 

SONETTO  V. 

M  due»  di  Ferrara.  -Glijh  comprendere  come  la  gloria 

affidata  aUa  penka  dìe^U  terUtori  è  la  pia  siabde. 

Quando  nel  del  tra  mille  aurate  sedi; 

Glie  piene  son  de^  tuoi  grandi,  avi  iUustrì  ; 
T  innalzerà  ;  dopo  girar  di  Justri  ; 
Chi  comparte  le  pene  e  le  mercedi;  " 

Sorger  vedrai  sótto  gl'invitti  piedi 
Gl'Imperi;  e. poi  cader  quasi  bgustn 
Frali;  e  capanne  ti  parran  palustri 
Gli  eccebì  letti  de-  tuoi  regi  eredi; 

Di  Menfi  e  di  Babel  cadute  e  sparte 
Le  meraviglie  barbare  ;  e  sepolta 
Roma  fra  le  ruinc;  onde  s'ammira. 

Solo  in  terra  vedrai  farsi  le  carte 

<    Del  cielo  imago  ;  e  'n  lor  tua  gloria  accolta; 
Qoal  vÌ!iro  Sol  ;  se  tua  pietà  m' aspira. 

Tasso,  roL  IF.  ^4 


370  RimiE^  EROICHE 

SONETTO  VI. 
JIgli  Accademici  eritréiy  frtf  quaU  era  staio  OMcriUo  perjkvore 
di  Scip.  Gamaga.  Sotto  P  allegoria  deW  albero  chiamato  taaso 

Poiché  'o  vostro  terrea  vii  tasso  alberga 
Dal  Ren  Iraslato,  omF  empia  mau  lo  svelse 
Là  Ve  par  ch^ egualmente  ornai  F  eccelse 
Piante  e  le  basse  orrida  pioggia  asperga^ 

S'egli  già  fu  negletta  ed  uroil  verga, 
Or,  mercè  di  colui  che  qui  lo  scelse 
Fra'  suoi  bei  lauri,  e  propria  cura  feise, 
Tosto  avverrà  ch'ai  ciel  pregiato  sterga: 

E  caldi  raggi,  e  fresch'aure,  e  rugiade 
Pure  n'attende  a  maturar  possenti 
E  niddolcir  l'amate  frutta  acerbe. 

Onde  il  lor  succo  alT  api  achìfe  aggrade , 
E  mei  ne  stilli  che  si  pregi  e  serbe 
Poscia  in  Parnaso  alle  future  genti. 

SONETTO  VII. 

Serwe  daOa  tua  prigione  al  jù.  Sdpiomo  Coniy  , 

pregando  che  non  vengano  dautc  U  mt  prt^nart, 

Scipio!  o  pietate  è  morta,  od  è  bandita 
Da'  regi  petti,  e  nel  celeste  regno 
Tra'  Divi  albei^a,  e  prende  H  mondo  a  sdegno, 
O  fia  la  voce  del  mio  pianto  udita. 
Dunque  la  nobil  fé  sarà  schernita, 
Ch'è  di  mia  libertà  sì  nobil  pegno? 
Né  fine  avrà  mai  questo  strazio  indegno 
Che  m'inforsa  cosi  tra  morte  e  vita? 
Questa  é  tomba  de'  vivi,  ov'io  son  chiuso 
Cadavero  spirante ,  e  si  disserra 
Solo  il  career  de'  morti....  Oh  Divi  !  oh  Cielo  ! 
S'opre  d'arte  e  d'insegno,  amore  e  zelo 

D'onore  han  prenuo,  ovver  perdono  in  terra. 
Deh!  non  sia,  prego,  il  mio  pregar  deluso. 


RIME  EROICHE  371 

SONETTO  Vili. 
Per  malaitia  dli  D.  Vincwto  Gonzaga, 

Langue  Vincenzo^  e  seco  Amor,  che  seco 
Mai  sempre  vive,  e  seco  e  per  lui  spira, 
E  per  lui  gK  occhi  volge ,  e  'n  lui  li  gira , 
Argo  e  cerviér  per  lui ,  ma  per  sé  cieco. 

Langue  assetato,  ed  or  fontana  e  speco, 
Or  ombre  brama  e  col  pensier  nmira; 
Langue,  e  si  dolce  è  Tatto  ondaci  sospira, 
Ch^Amor,  Dolce  è,  gli  dice,  il  languir  teco. 

Coir  ale  al  volto  i  pargoletti  Amorì 
Rinnovan  T aure;  e  rasitéa  si  piagne. 
Che  par  ch^ imiti  il  mormorar  d^un  tonte, 

E  gli  lusinga  il  sonno;  e  le  compagne 
Van  rasciugando  i  rugiadosi  umori 
Dal  bianco  petto  e  dalla  bella  fronte. 

SONETTO  IX. 
In  morie  della  im^Ue  di  />.  FerroìiU  TauonL 

O  tu  che  passi ,  e  U  cuardo  ai  marmi  giii 
Ch^alzò  Ferrante  alla  diletta  moglie, 
E  le  già  fredde  e  incenerite  spoglie 
Vi  pose,  e  le  scaldò  pria  co^  sospiri; 

Le  note  vi  segnò,  che  incise  miri. 
Ferro  no,  ma  stillar  d^ amare  doglie: 
Amor  fabro  ne  fu,  che  il  cor  gli  scioglie 
In  pianto,  e  fonte  il  fa  d^ altrui  martiri. 

L'anima  sua  non  più  nel  mesto  petto. 

Ma  in  questa  tomba  è  chiusa;  e,  se  talora 
N^esce,  sen  vola  alla  compagna  in  cielo: 

Poi  riede,  e  langue  in  desiar  quelPora 
Ch'abbia  eterno  lassù  con  lei  ricetto, 
E  che  1  suo  velo  unisca  al  caro  velo. 


37a  RIME^  EROICHE 

SONETTO  X. 

Ji  duea.MfimtOf  implorando  la  sua  liòeraMiane 

dal^ 


catccrc 


Me  novello  Ission  rapida  aggira 

La  rota  di  fortuna^  e ^  se  in  sablime 
Parte  m' innalza ,  o  pur  se  mi  deprìme^ 
Sempre  però  m^  affligge  e  mi  martira. 

Piansi  lassuso  ;  ov' entra  il  sole^  e  spira 
L'aura  più  lieta  tra  frondose  cime*^ 
Arsi^  gelai,  languii,  pregando  in  rime^ 
Né  scemai  le  mie  pene  o  la  vostra  ira. 

Or  in  career  profondo  o  son  cresciuti 
I  miei  tormenti;  od  è  più  acuto  e  forte 
Vecchio  dolor,  cui  giro  aspro  aa  cote. 

O  magnanimo  Alfonso,  a  me  si  muti 

Non  sol  prigion,  ma  stato:  e,  se  mia  sorte 
Rotar  pur  vuole,  intorno  a  voi  mi  rote. 

SONETTO  XI. 

Loda  la  memoria  del  card,  lapoUto  (PErte, 
fraieOo  cPErcoU. 

Giace  Ippolito  qui:  la  toga  d^ ostro 
La  spada  ricoprì,  ma  non  la  scinse j 
E  rinato  sembrò,  se  mai  la  strìnse, 
U  togato  Roman  nel  secol  nostro. 

Die,  scrìvendo  ed  oprando,  a  colto  inchiostro 
Doppia  materia:  odj  civili  estinse: 
Frenò  cittadi,  e  guerre  vide  e  vinse: 
Resse  purpurei  padri  in  chiuso  chiostro. 

Pur ' meno  attero  fu  de'  suoi  gran  pregi, 
Che  dell' onor  del  buon  fra  tei  cortese; 
Che ,  se  non  ebbe  trionfando  alloro , 

Nudrì  Parti,  onorò  gl'ingegni  egregi 
Nella  città  del  ferro,  il  secol  d'oro 
Rinnovò ,  lunge  vide;  e  'n  alto  intese. 


'  RIME  EROICHE  878 

SONETTO  xn. 

I 

ter  t  abdicazione  di  Cario  V, 

Di  sostener^  qual  novo  Atlante ,  il  mondo 
Il  magnanimo  Carlo  era  ornai  stanco: 
Vinte  ho,  dioea,  genti  non  viste  unquanco^ 
Corsa  la  terra,  e  corso  il  mar  profondo^ 

Fatto  il  gran  re  ;le^  Traci  a  me  secondo, 
Preso  e  domato 'FASncano  e  U  Franco^ 
Sopposto  al  del  T  omero  destro  e  '1  manco , 
Portando  il  pesa  a  cui  debbo  esser  pondo. 

Quindi  al  frate!  rivolto,  al  figlio  quindi: 
Tuo  Paltò  imperio,  disse,  e  tua  la  prisca 
Podestà  sia  sovra  Germania  e  Roma:  — 

£  tu  sostien^  l'ereditaria  soma   . 

Di  tanti  regni,  e  sii  monarca  agFIndi: 
E,  quel  che  fra  voi  parto,  amore  unisca. 

SONETTO  XIII. 

Spera  che  V  ambra  del  duca  Ercole  impiri  Adonto 

a  liberarlo» 

L'ombra  superba  del  crudel  PeHde 

Chiese  vergine  illustre  al  campo  argivo, 
E,  ingorda  del  real  sangue  cattivo, 
SulFalta  tomba  in  sul  mattin  si  vide. 

Scenda  in  suo  scorno  del  pietoso  Alcide 
L'alma  cortese;  e  pririonier,  che  privo 
Quasi  è  di  vita ,  in  lioertade  e  vivo 
Per  grazia  tonfi ....  Ecco  a'  miei  preghi  arride: 

Ecco  s'  apre  la  terra  ;  o  pure  è  il  cielo 
Che  si  disserra  e  che  dal  manco  lato 
Lampeggia j  o  tuona  il  cielo,  o  U  suol  rimbomba. 

Pur  per  nube  vegg'  io ,  quasi  per  velo , 
Col  padre  il  figUo  in  deità  traslató 
Sovra  aureo  nembo,  ed  odo  on  suon  di  tromba* 


374  RIME  EROICHE 

SONETTO  XIV. 

in  morie  dd  Vermtaf  ^enliluùmo  firrartMt  ^  eeetUmU  mei 
mpfreeenUtr  pereonaggi  tragici  e  ecmmcL 

Giace  il  Yerato  qui  ^  che  'n  real  veste 
Superbo ,  od  in  servii  abito  avvolto^ 
Nel  proprio  aspetto  ,  o  sotto  finto  volto  ^ 
Come  volle  sembrò  Davo  o  Tieste. 

Se  pianse  e  risonò  funebri  e  meste 
Voci,  lagrimò  seco  il  popol  folto 
La  dura  cena ,  e  'udietro  il  Sol  rivolto 
Parve^  ed  in  nubi  ascoso  atre  e  funeste. 

Se  rìse,  rìser  seco  i  bei  notturni 
Teatri  degli  scherzi  e  deDe  frodi , 
Ed  insieme  ammiraro  il  mastro  e  farte. 

Or  le  scene  bramar ,  bramar  le  carte 
Sembran  Falla  sua  voce  e  i  dolci  modi, 
E  sdegnar  altro  pie  socchi  e  cotomi. 

SONETTO  XV. 

Iiuplorm  daWùmhra  del  duca  EreoU  d*Ei$e 
che  gli  «M  renduta  gùulÙM. 

O  di  valor  non  già  y  ma  sol  secondo 
Di  nome  Alcide ,  glorioso  e  forte , 
Che.  mentre  al  mortai  corpo  eri  consorte, 
Facei  bella  la  terra  e  lieto  il  mondo! 

Manda  dal  delo  un  messaggier  giocondo, 
Che  d'Astréa  la  bilancia  in  terra  porte 3 
Che  r  altre  popolari  or  son  si  torte  j 
Cile  in  lor  virtù  non  si  conosce  al  pondo. 

Quivi  r  antica  colpa  e  '1  già  sofferto 
Castigo  in  un  si  libri  ^  e  dall^un  lato 
SUan  ^i  error  miei,  dalF altro  ogni  mio  merto 

Poscia  il  tuo  figlio  e  mio  signor  laudato 
Pesi  col  bene  il  mal,  col  dubbio  il  certo, 
Qual  Giove  in  del  ])esa  il  valore  e  M  Cita 


RIME  EROICHE  375 

SONETTO  XVI. 

Si  duole  tessere  stato  abbandonato  da  un  iunico 

9uW  avvertita. 

Sotto  il  giogo  9  ove  Amor  teco  mi  strinse  ^ 
D^  amicizia  solcai  campo  fecondo  ; 
E  d^ogni  afTetto  tuo  mesto  o  giocondo 
Si  scolpì  Palma  dentro^  e  fiior  mi  pinse. 

Poiché  me  duro  caso  in  imo  spinse  y  ' 

Tu  che  premer  dovei  fistesso  fondo , 
O' trame  me^  ti  sottraggesti  al  pondo  j 
Che  '1  vii  uso  del  volgo  anco  te  vinse. 

Ecco  y  omai  pur  risorgo ,  e  già  non  lasso 
Il  giogo,  io  no,  ma  sol  tutto  il  sostegno, 
E  di  mia  fede  i  tuoi  difetti  adempio. 

Sparga  ancor  semi  Amor,  ch^  i  solchi  io  segno, 
£  segnerò  fin  atf  estremo  passo , 
Felice  no,  ma  glorioso  esempio. 

SONETTO  XVII. 

Prega  il  duca  Ercole  di  Ferrara  che  vofflia  dal  cido  rendergli 
benigni  i  suoi  figlif  i  quali  con  iniolite  arti  cerca$Hmo  di  perderlo. 

Alma  grande  d^ Alcide,  io  so  che  miri 
K aspro  rigor  deUa  real  tua  prole. 
Che ,  con  insolite  arti ,  atti  e  parole 
Trar  da  me  cerca,  onde  ver  me  s^ adiri. 

Dal  gran  cerchio  di  latte,  ove  li  giri 
Sovra  Ferranti  stelle  e  sovra  il  sole. 
Un  mcssaggier  di  tua  pietà  sen  vole , 
E  spirto  in  lor  d^umanitade  inspiri; 

E  suoni  sovra  il  cor:  Perchè  traligni 

Da  me,  mio  sangue?  e  perchè  si  discordi 
Da  quel  valor  onde  ten  vai  sì  altero? 

Tu  clemente ,  tu  giusto ,  al  dritto ,  al  vero , 
A^  messaggi  del  Cielo  aver  vuoi  sordi 
Gli  orecchi  sempre  ed  al  cantar  de^  cigni? 


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376  RIME  EROICHE 

SONETTO  XVIII. 
Per  la  prima  graindanza  di  D.  Marfita  tFEne. 

Donna ,  al  pudico  tuo  grembo  fecondo  y 
In  cui  delle  mortali  umane  vesti 
Pargoletto  bambin  pria  non  chiudesti  ^ 
Sia  quel  ch^or  pasci,  dolce  e  leggier  pondo: 

Esca  ornai  novo  peregria  del  mondo 

Dal  nobil  chiostro^  ove  a  lui  fur  contesti 

I  nodi  della  vita,  a  mirar  questi  * 

Campi  delParìa  e  '1  lume  almo  e  giocomlo; 

E  gli  errori  del  sole,  e  i  certi  giri 

Di  questo,  gbe  si  volge  a  noi  d^ intomo, 
Tempio  etemo  immortai,  fanciullo  ammiri:  , 

E  dimostrarsi  realmente  adomo 

Entro  e  di  fuor  sMngegni,  e  quinci  aspiri 
A  far  per  altre  strade  al  ciel  ritorno. 

SONETTO  XIX. 

Scnt»e  dal  carcere  di  S.  Anna  al  duca  Guglielmo  Gonnagap 

invocattdo  la  sua  protezione 

Signor,  nel  precipizio  ove  mi  spinse 

Fortuna,  ognor  più  caggio  invér  gli  abissi} 
Né  quinci  ancor  alcun  mio  prego  udissi, 
Né  volto  di  pietà  per  me  si  piuse. 

Ben  veggio  il  Sol,  ma  qual  talora  il  cinse 
Oscuro  velo  in  tenebrosa  eclissi  j 
E  veggo  in  cielo  i  lumi  erranti  e  i  fissi: 
Ma  chi  d^atro  pallor  cosi  li  tinse? 

Or  dal  profondo  oscuro  a  te  mi  volgo, 

E  grido:  A  me,  nel  mio  gran  caso  indegno, 
Dammi ,  che  puoi ,  la  destra ,  e  mi  solleva  y 

Ed  a  quel  peso  vii  che  si  Faggreva, 
Sottraggi  r  ale  del  veloce  ingegno, 
E  volar  mi  vedrai  iunge  dal  volgo. 


RIME  EROICHE  377 

SONETTO  XX. 

in  morie  di  D*  Gio.  tJPjiustna,  tnncitore  della  batlagìia  di  Lepanto.  — 

Paragona  il  Turco  a  Serse* 

Quel  che  F  Europa  col  niirabil  ponte 
Air  Asia  giunse^  e  sulle  strade  ondose 
Guidò  cavalli  ed  armi,  e  le  sassose 
Fé'  piane  a^  legni ,  aperto  al  mare  un  monte, 

Ingiurioso  con  percosse  ed  onte 

(  Com'  a  lui  parve  )  i  ceppi  a  Nettun  pose  j 
Tal  dianzi  il  Trace  vincitor  propose 
Far  servo  il  mar  con  minaccevcà  fronte: 

Già  minacciava  il  giogo  e  le  catene 

A'  lidi,  non  che  ali^ acque,  allor  che  vólto 
In  fuga  rinnovò  F  antico  esempio. 

Ma  tu,  che  lui  fugasti,  in  quali  arene, 
O  'n  qual  libera  terra  or  sei  sepolto? 
Qual  trofeo  s^  erge  in  tua  memoria  o  tempio  ? 

SONETTO  XXI. 
In  morie  di  ttn  Cappuccino.  Infoca  la  sua  assisterua. 

Spirto  immortai,  che  saggio  e  'nsieme  ardito 
Nel  mortai  campo  alte  vittorie  avesti. 
Di  voglie  schife  armato  e  d^  atti  onesti , 
Del  corpo  carco  no,  ma  sol  vestito; 

Or  che  sei  vincitore  al  ciel  salito 

Dopo  lunghe  contese ,  in  guerra  mesti 
Noi  qui  lasciando,  deh!  risguarda  or  questi 
Chiostri,  ov^erì  cotanto  a*  buou^  gradito: 

E  noi  seguaci  tuoi,  ch'incontra  il  mondo 
Te  nell'opre  e  nel  dir  possente  duce 
Seguimmo,  mira  dal  trionfo  eterno; 

E  ne  scorgi  col  ver  di' a  te  riluce, 
A  ben  oprare,  e  nel  cor  nostro  interno 
Suona  ancor  più,  che  non  solei,  faconda 


37S  RIME  EROICHE 

SONETTO  XXII. 
Iktold  col  tmrd,  Mktmo  che  Potm  di  Bernardo  TauOf   jm» 
padre  f   Steno  roNocfe  senxa  degno  sepolcro  f  e  io  prega  m 


Alban ,  F  ossa  paterne  anco  non  serra 
Tomba  di  peregrini  e  bianchi  marmi , 
Di  prosa  adorna  e  di  l^giadri  carmi  ^ 
Bla  in  alto  aen  Finvolve  oscura  terra. 

Lasso  I  e  pietà  ^  che  in  onorar  non  erra 
I  nomi  amati  9  potea  pur  dettarmi  : 
M  n  Tasso  è  questi;  che  tra  r^  ed  armi 
u  Cantò  A  dolcemente  in  pace  e  Vi  guerra  ; 

«  Ed  oprò  molto  e  seppe.  »  E  'n  nobil  tempio 
Potea  la  tomba  ornarne,  ove  passando 
n  dimostrasse  il  peregrino  a  dko; 

Ma  lo  yietò  dura  fortuna  1  Or  quando 

Fia  pieno  il  mio  desir  che  tardi  adempio? 
Sia  per  te  pago  in  terra,  e  Vi  ciel  gradito! 

SONETTO  XXIII. 

Psaìa  della  ri/òrma  del  suo  poemmi  ma  duiàa  S  conseguire 

P  aggradimento  del  PuMico. 

Scrissi  di  vera  impresa  e  d^  eroi  veri , 
Ma  gK  accrebbi  ed  ornai,  quasi  pttore 
Che  finga  altrui ,  di  quel  clr  egli  è ,  maggiore , 
Di  più  yagfai  sembianti  e  di  più  alteri. 

Poscia  con  occhi  rimirai  severi 

L^opra;  e  la  forma  a  me  spiacqne  e  1  colore; 
E  r altra  ne  formai,  mastro  migliore; 
Né  so  se  colorirla  in  carte  io  speri: 

Ch*  egro  e  stanco  dagli  anni ,  ove  più  rare 
Tenti  le  rime  far,  men  piaccìon  elle, 
E  'n  minor  pregio  io  son  che  già  non  era. 

Pur  non  langoe  la  mente,  e  prigioniera 
Esce  dal  career  suo;  né  quel  che  pare, 
Ma  l'orme  scorge  e  vere  e  pure  e  belle. 


RIME  EROICHE  379 

SONETTO  XXIV. 
In  lode  di  Scipione. 

Dopo  Romulo  e  Cosso  ^  a  Giove  ofiferse 
Le  terze  spoglie  del  re  Gallo  opime 
Il  gran  Marcello^  e  riportò  le  prime 
Palme  de^  Mauri  ch'ei  vinse  e  disperse.  ' 

Nola  il  sa  ben^  che  lui  fra  schiere  avverse^ 
Qual  fra  gli  augelli  V  aquila  sublime , 
O  qual  saetta  in  suU^  eccelse  cime 
Di  sacre  querce^  impetuoso  scerse. 

Non  Paolo,  o  Claudio,  ch^Asdruballe  astrìnse, 
Agguagliò  Roma  alla  fulminea  spada, 
Ma  sol  del  vecchio  Fabio  il  cauto  scudo: 

• 

Perchè  rìpresse  Funo  Annibal  crudo, 
E  r  altro  il  tenne  con  molt^  arte  a  bada  : 
Pur  Paltò  Scipion  fu  quel  che  vinse. 

SONETTO  XXV. 
Sopra  Ù  suo  poema  dellf  Gerusalemme  lìberaU* 

1/ arme  e  '1  duce  cantai  che  per  pietate 
La  terra  sacra  a  genti  empie  ritolse, 
In  cui  già  Cristo  di  morir  si  dolse, 
E  immortai  fe^  la  nostra  umanitate. 

E  sì  fu  chiaro  il  suon,  che  questa  etate 
Ad  ammirar  F  antico  onor  rivolse  ] 
Ma  né  pedoni,  né  destrieri  accolse^ 
Che  gissero  oltre  il  Tauro,  oltre  F Eufrate. 

Né  so  sM  vaghi  spirti  al  ciel  rapiva, 
Ma  ben^  sovente  di  pietoso  affetto 
Si  colorò  chi  le  sue  note  udiva: 

Me  talor  rapì  certo,  ed  alcun  detto 

Dal  cirl  spirommi  o  Musa  od  altra  Diva; 
Deh!  spiri  or  sempre,  e  di  sé  m'empia  il  petto. 


38o  RIME  EROICHE 

SONETTO  XXVI. 

M  Gwtlmgo.  Parìa  del  calamajo  che  B.  Ttuso,  suo  padre, 
gU  lasciò  morendo,  e  eh*  egU  at^ea  rtcam  daW Àfrica. 

Qaest^arca  fu  di  preziosi  odori  ^ 

Ch'or  è  Taso  d' incbiosiro ;  e^  fra  k  prede 
Ch'egli  acquistò  nell^ afincana  sede^ 
Ancor  lui  tolse  il  mio  buon  padre  a^  Morì: 

E  ^n  questo  uso  adoproUo^  e  i  vaghi  amori 
Per  lui  fé'  conti,  e  la  sua  stabil  fede^ 
Né  del  gran  Carlo  o  del  felice  erede 
Senza  lui  celebrò  Tarme  e  gli  allori: 

Ed  oltra  l'Alpe  e  la  famosa  Ardenna 
Nell'esilio  portoUo,  e  nella  morte 
Lasciollo  a  me,  cara  memoria  acerba! 

Cualengo,  a  me  fortuna  ancora  il  serba: 

Deh!  quando  io  lodo  il  saggio  Alfonso  e  forte. 
Mai  non  sia  scarso  alla  mia  stanca  penna. 

SONETTO  XXVII. 

M  jP.  Meustro  Agostino  B^ini,  a  cui  s^  incomincioim 

a  infieuoline  la  tnsta. 

Perchè  la  lunga  etate  i  lumi  esterni; 

Righino,  adombri,  e  h  mortai  tua  vista, 
Onde  i  colorì  e  questa  luce  mista 
Colle  tenebre  oscure  a  pena  scemi. 

Aperti  hai  gli  occhi  della  mente  interni 
Nel  di  che  mai  non  perde  e  non  acquista. 
Là  've  nube  non  vela  o  verno  attrìsta 
Il  lieto  lume  degli  obietti  etenii^ 

E  '1  Sol  che  d'alta  luce  è  fonte  immenso 
Ed  infinito,  ed  indi  uscir  rìsguardi 
Tutti  i  rivi  d'angelici  splendorì^ 

£  dell'acque  e  de'  rai  t'irrighi,  e  n^ardi 
In  modo  tal,  che  noi  conosca  il  senso  ^ 
Alzando  il  cor  fra  i  benedetti  corì. 


RIME  EROICHE  38 1 

SONETTO  XXVIII. 
So/nvi  V  effigie  dd  dtfimio  Cario  G,  (Jòrse  Carlo  Goiaag«i). 

Carlo  ^  questi  sei  tu^  che  del  bel  volto 
Io  riconosco  ben  Paria  gentile, 
E  F  ór  terso  de'  crini ,  a  cui  simile 
Altro  non  fu  mai  sparso  o  iir  treccia  avvolto. 

Lasso!  sei  tu;  ma  finto:  e  non  ascolto 
La  dolce  voòe  mansueta  umile, 
Né  mi  dimostra  insieme  il  dotto  stile 
La  bella  man  eh'  all'  altre  il  pregio  ha  tolto , 

Si  ch'io  la  baci!...  Dunque  il  vero  aspetto 
Fia  ch'io  sempre  lontano  ami  e  sospiri, 
E  le  care  accoglienze  e  i  detti  accorti? 

Ben  par  che  tu  m^  ascolti ,  e  par  che  spiri 
Un'aura  dolce  di  pietoso  affetto 
Dal  freddo  smalto  eh' a  sperar  m'esorti. 

SONETTO  xxix. 

jf  $uoi  UlftL  Brama  che  nelle  proprie  opere^  si  trasfondano 
i  pregi  ch'egli  ammira  in  essi. 

O  testimoni  del  valore  illustri, 

Per  cui  spiando  il  vero  io  vo  sovente  ; 
Per  cui  spira  e  ragiona  e  m'  è  presente 
Tal  che  mori  già  tanti  e  tanti  lustri; 

Mentre  pur  cerco  come  l'uom  s'illustri, 
E  'n  me  rinnovo  un  desiderio  ardente 
Che  m' accendea  la  giovinetta  mente , 
Continuando  Fopre  mie  trilustri. 

Fra  voi  dimoro ,  e  sos[Hrando  i'  dico  : 
Deh!  fosse  in  loro  il  dolce  siile  e  farte 
Ch' a  morte  fa  si  glorioso  inganno, 

Perchè  agguagliasser  quei  che  poi  verranno, 
Leggendo  spesso  le  mie  dotte  carte , 
U  novo  Alfonso  ad  ogni  vostro  antico. 


\ 


384  RIME  EROICHE 

SONETTO  XXXIV. 
Jn  morta  di  D.  Jf/òmo  Dm^alo  muwduMt  del  Vutt/K 

Cadesti 9  Alfonso^  e  ruinoso  il  ponte 

Te  con  arme  ed  armati  in  mar  sommerse, 
£  'ndietro  il  corso  per  timor  converse 
Àlféo,  né  giunse  al  desiato  fonte. 

Tu,  che  sembravi  air  animosa  fronte 
Orazio  9  e  chiuso  il  yarco  avresti  a  Serse 
Quando  il  giogo  co'  ceppi  il  mar  sofferse, 
E  vendicar  potei  gli  oltraggi  e  P  onte , 

Davalo,  tu  cadesti!  Ad  opre  eccelse 
Nato  di  forte  padre  e  d^avo  invitto, 
Da  qual  altro  avrà  '1  nome  il  lido  e  l' onde  ? 

Orrìbil  caso ,  egual  (  se  1  vero  è  scritto  ) 
A  quel  che  dalle  nostre  antiche  sponde 
Parti  Sicilia  per  tempesta  e  svelse! 

SONETTO  XXXV. 
Per  la  tuperma  nmiattia  dei  prindfm  di  MmUmm. 

Per  assalire  il  mio  Signor  la  Morte 

Prese  avea  Tarme,  e,  di  sue  spoglie  altera^ 
Mali  e  dolori  accolti  in  lunga  scluera 
Ed  immagini  avea  dolenti  e  smorte, 

E  ciò  clie  dentro  alle  tartaree  porte 
Spaventa  Talma  ove  del  ciel  dis|>era; 
Ma  'ncontra  turba  si  spietata  e  fiera 
Trovò  mille  difese  e  mille  scorte: 

E  Virtù  fiammeggiò  tra  l'empie  larve ^ 
Come  in  Flegra  solca  sovra  i  giganti , 
E  Gloria  accesa  d^un  celeste  lampo, 
'  E  Poesia  )  talcliè  partissi  e  sparve , 

Dicendo:  Ahi!  qui  non  ho  di  ch'io  mi  vanii, 
Benché  vincessi:  or  viva:  io  cedo  il  campo. 


RIME  EROICHE  385 

SONETTO    XXX VL 
In  lotU  di  B9i;gamo. 

Virtù  fra  questi  colli  alberga  j  e  ^n  prima 
Vi  crebbe;  e  sovra  al  più  sublime  ed  erto 
Monte  rOnor  poggiando  ascese  al  merlo 
Che  ^n  faticoso  pre^o  ha  laude  e  stima. 

Coglie  la  Gloria  ancor  ghirlande  in  cima  y 
£  mostra  lauri  e  palme ,  el  calle  aperto^ 
Perch^akri  non  travie  con  piede  incerto 
Là  dove  Tozio  ogni  valore  opprima. 

Né  qui  spiegar  le  pompe  sue  disdegna 
Fortuna  anuca ,  e  1  largo  pian  rimira 
Ove  il  carro  domar  V  orrido  Marte 

Potrebbe;  né  più  lieto  in  altra  parte 

Splende  il  Sol;  ride  il  suolo,  e  Taura  spira , 
Né  più  sicura  Astréa  vi  scende  e  regna. 

SONETTO    XXXVII. 
Sut  medesimo  soggetto. 

Alta  cittìi,  più  del  tuo  verde  monte 
Cha  di  sue  forti  mura  ampia  corona^ 
T'assicura  la  Fede  e  tMncorona, 
Onde  puoi  lieta  al  cielo  erger  la  fronte. 

Te,  fra  le  genti  al  bene  oprar  sì  pronte, 
*  A  degne  imprese  Cantate  sprona  ^ 
Per  te  Febo  ritrova  altro  Elicona, 
V hanno  le  Muse  e  l'ombre  el  fiume  e  '1  fonte. 

In  te  s'acquista  pregio  altro  che  d'armi^ 
Ed  ove  splende  pur  dMnvitto  duce 
L'antica  rama,  el  trae  d'oscura  tomba, 

La  gloria  d'altri  figli  anco  riluce 

In  dolci  e  vaghe  rime  e  'n  dotti  carmi  : 
Che  più  darti  potrà  mìa  lira  o  tromba? 
Tasso,  To/.  /r.  a5 


386  RIME  EROICHE 

SONETTO    XXXVIII. 
Sui  medenmo  sof^eOo» 

Terra,  che  '1  Seno  bagna  e  1  Brembo  inonda, 
Che  monti  e  valli  mostri  all^una  mano, 
Ed  air  altra  il  tuo  verde  e  largo  piano, 
Or  ampia  ed  or  sublime  ed  or  profonda  j 

PerchMo  cercassi  pur  di  sponda  in  sponda 
Nilo,  Istro,  Gange,  o  s'altro  è  più  lontano, 
O  mar  da  terren  chiuso,  o  F Oceano 
Che  d^ogni  intomo  lui  cinge  e  drconda, 

Riveder  non  potrei  parte  più  cara 
E  gradita  di  te,  da  cui  mi  venne 
In  riva  al  gran  Tirren  famoso  padre. 

Che  fra  Panne  cantò  rime  leggiadre; 
Benché  la  fama  tua  pur  ri  rischiara 
E  si  dispiega  al  del  con  altre  penne. 

SONETTO  XXXIX. 
Si  duole  d^  casi  della  sua  vitaf  e  si  mostra  dubbioso 

déW  at^venirt» 

Fertìl  pianta  che  svelta  è  da  radici: 
Percnè  Paura  le  spiri  e  splenda  il  sole, 
I  tronchi  rami  rimenar  non  suole, 
Né  produr  frutti  in  sua  stagion  felici. 

Tal  di  mìa  terra  io  tratto,  e  T infelici 
Fronde  perdute,  e  non  le  fronde  sole. 
Quando  e  dove  risorgo?...  Inutil  mole 
Sembro  sterpata  con  infausti  auspici. 

lyaura  etema  e  di  Sol  gli  spirti  e  i  rat 
Almi  e  lucenti ,  e  di  sant'  acque  e  pure 
Aspettar  debbo  i  benedetti  umori? 

Verdeggerò  traslato ,  e  darò  mai 

Frutti  a^  digiuni?  o  pur  ondare  e  ristori 
A  chi  sia  stanco  per  gravose  cure? 


RIME  EROICHE  387 

SONETTO  XL. 
\  In  morte  di  ¥aghissimo  povintUo. 

Spento  è  il  Sol  di  bellezza:  or  questi  abissi 
Cbi  più  ne  alluma  ed  apre?  or  chi  ne  porge 
L'ali  al  pensier  che  giace?  e  chi  lo  scorge 
Là  ov^ei  nel  cielo  al  suo  Fattore  unissi? 

Lasso  !  e  qual  danno  mai  più  grave  -udissi  ? 
Poiché  tra  F  ombra  il  giorno  or  non  risorge  ^ 
Ma  sol  mesto  coU^  ombra  un  fiume  sorge 
Agli  occhi  immersi  in  tenebroso  ecclissi. 

Tu  che  di  là  lo  vedi^  angelo  eletto^ 
Requie  n^  infondi  e  lume  3  e  tu  cMnspira 
A  dir  le  palme  onde  te  stesso  onori: 

Chèy  se  lo  sul  risponde  al  gran  concetto  ^ 
Or  eh' anco  il  mondo  il  tuo  valor  sospira 
Chi  fia  ch'oda  i  tuoi  merti  e  non  t'adori? 

SONETTO  XLI. 
A  papa  CUmenU  Vili.  Ife  implora  la  protezione. 

Mentre  fulmina  il  Trace^  e  i  monti  e'i  campi 
Di  morte  ingombra^  e  d'atro  sangue  inonda; 
Mentre  Francia^  di  guerre  ancor  feconda, 
Produce  il  seme  onde  sé  stessa  avvampi; 

Tu  di  lontan  prevedi  i  tuoni  e  i  lampi 
E  i  venti  incerti  e  '1  ciel  turbato  e  l' onda  y 
E  per  fortuna  avvei'sa  e  per  seconda 
Da  gran  perìglio  altrui  difendi  e  scampi. 

E;  benché  sia  pensier  l'imperio  e  il  regno 
Dell'alta  mente ,  in  me  pietoso  inchina 
Gli  occhi,  quasi  in  negletto  ed  umil  verme. 

Tal  Providenza  di  lassù  divina, 

Perché  il  ciel  volga,  già  non  prende  a  sdegno 
La  bassa  terra  e  le  sue  parti  inferme. 


388  RIME  EROICHE 

SONETTO  XLII. 

AiPvnpertuhr  Bukl/ò  e  ad  Enrico   re  ili  Fronda t  etortan' 
doli  ti  amotfer  P  turni  contra  U  Titrco. 

Ridolfo  e  Enrico^  a^  quali  il  Signor  diede 
I  duo  scettri  maggior  del  secol  nostro, 
Perchè  ornai  contra  il  crudo  e  fiero  mostro 
Non  volger  Tarmi  ed  aggrandir  la  Fede? 

Il  fiaccargli  le  coma  ben  si  vede 
Esser  posto  da  lui  in  poter  vostro  : 
Queste  la  vera  via  ch^egli  v^ha  mostro 
Di  gire  alla  beata  etema  sede. 

n  pianger  de^  meschini  a  voi  s^ appressi, 
Da  Quel,  che  del  suo  sangue  non  fu  scarso 
Al  mondo,  per  sua  grazia  a  voi  commessi 

Pietà  vi  mova  omai  il  veder  sparso 

Tanto  sangue  cristiano,  e  tanti  oppressi 
Pi  cruda  fame,  e  vie  più  d^^in  tempio  arso. 

SONETTO  XLIIL 

M  *ig'  Atcanio  Mori  da  Ceno  in  mart$ 
tPtin  suo  JìgiiuoUitó. 

Mirar  due  meste  luci  in  dentro  ascose, 
Una  pallida  fronte,  un  corpo  esangue, 
E,  dileguando  dalle  guance  il  sangue. 
Gelar  le  brine  e  impallidir  le  rose; 

Padre-,  ahi!  padre,  sentir  voci  pietose, 
E  questa  e  auella  man  fredda  com^  angue  j 
E  la  madre  languir,  se '1  figlio  langue, 
Ch^a  pena  è  viva,  e  di  morir  propose; 

Di  morte  un  volto  pien,  T altro  di  pianto, 
Dell'immagine  sua  dolente  impresso, 
E  cader  tuo  sostegno  e  tua  speranza  ; 

Quinci  silenzio,  e  quindi  strida  intanto. 

Per  tutto  orror,  è  duol  ch^ogni  altro  avanza, 
Ascanio;  ma  tu'!  vinci,  anzi  te  stesso. 


RIME  EROICHE  389 

SONETTO  XLIV. 

M  ConsaìpOj  scrittore  ipdgpuolo  di  tragedie.  Dice  che  iolo  dt^  t^ersi 
di  lui  egli  ritrae  solUevo  a'  tuoi  qffànnL 

Chi  può  temprar  ;  Consalvo,  il  gran  disdegno 
Che  per  alta  cagion  si  move  e  desta  ; 
£  tranquillar  il  verno  e  la  tempesta 
De^  miei  pensieri  e  dell^ affetto  indegno, 

Se  tu  non  sei?  Teco  a  dolermi  io  vegnoj 
E,  se  doglia  per  doglia  è  più  molesta*^ 
Come  si  cara  e  dilettosa  è  questa 
Che  d^  antico  dolor  porto  e  sostegno? 

Chi  m'addolcisce  del  mio  pianto  amaro^ 

Le  fonti,  e  F aspro  duol  che  Palma  ingotnbra^ 
Se  non  se  i  tuoi  soavi  e  ciliari  accenti^ 

Cosi  y  piangendo  e  sospirando ,  imparo 
Che  la  vita  sparisce  a  guisa  d^  ombra, 
E  dolce  è  la  pietà  d'altrùi  lamenti* 

SONETTO  XLV.   '     * 
jti  €onU  di  Pedeno,  Confida  nel  suo  ^patrocìnio. 

Di  pender'  grave  e  d'anni,  e  'nfermo  il  fianco, 
£  già  vario  la  chioma,  e  tardo  il  piede, 
Né  d'altro  più  che  d'altrui  danno  erede, 
E  per  morte  bramar  vivo  pur  anco: 

Ma,  di  pregare  e  di  lodar  già  stanco. 

Pur  con  mio  scorno,  e  a  aspettar  mercede, 

Temo  ch'empia  fortuna  avare  prede 

Di  me  non  faccia,  e 'mpallidisco  e  'mbianco^ 

Siccome  in  alpe  suol  gelida  pietra; 
Ma  l'alta  vostra  cortesia  m'affida, 
E  per  suo  raro  don  risorgo  e  scampo* 

Oh  I  se  grazia  maggiore  alfin  m' impetra , 
Bench'io  ^ia  men  possente  in  duro  campo, 
Non  temerò  lei  che  minacela  e  sfida* 


390  RIME  EROICHE 

SONETTO  XLVI. 
In  lode  di  Tonmuuo  SdgUanL 

Stigliali  y  quel  canto  onde  ad  Orfeo  simile 
Puoi  placar  V  Ombre  dello  stigto  regno  y 
Suona  tal^  ch'ascoltando  ebro  ne  vegno^ 
Ed  aggio  ogii^  altro  e  più  '1  mio  stesso  a  vile. 

E 9  s^ autunno  risponde  ai  fior  d^ aprile, 
Come  promette  il  tuo  felice  ingegno, 
Varcherai  chiaro  ov*  erse  Alcide  d  segno  ^ 
Ed  alle  sponde  delT  estrema  Tile. 

Poggia  pur  dall' umil  volgo  diviso 

L' aspro  Elicona ,  a  cui  se'  in  guisa  appresso  y 
Che  non  ti  può  più  1  calle  esser  preciso. 

Ivi  pende  mia  cetra  ad  un  cipresso: 
Salutala  in  mìo  nome,  e  dàlie  avviso 
Ch^io  son  dagli  anni  e  da  fortuna  oppresso. 

SONETTO    XLVII. 

ÌA)da  il  duca  JUònto  y  che  die  U  wù  nome  «1  Monte  Alfontoy 
eVumiUàdeUa  ducheua  di  Ferrane 

L'invitto  Alfonso  ;  ove  il  suo  merto  è  degno, 
Alzò  l'illustre  nome  e  'i  diede  al  monte, 
E  d'alte  mura  incoronò  la  fronte 
Per  frenar  de'  nemici  orrido  sdegno. 

Ma  la  vostra  umiltà  n'estima  indegno 
Sasso  che  più  s'induri  e  più  sormonte 
E  stia  co'  nembi  e  colle  nubi  a  fronte, 
E  potea  darlo  al  gran  celeste  regno  j 

Perchè  la  parte  sua ,  eh'  è  più  serena , 
Più  rassomiglia  in  voi  le  pure  luci, 
E  '1  suo  candor  col  vostro  invan  contende  : 

Anzi,  s'egli  s'infiamma  o  rasserena, 
Ogni  steUa  benigna  a^  sommi  duci 
Per  nomarsi  da  voi  più  chiara  splende. 


RIME  EROICHE  391 

SONETTO  XLVIII. 

Paragona f  amù  antatone  D.  EKtab,  Farnese^  duchessa  di 
Ferrara  f  a  Diaonef  per  beUezxa  f  Jèìicià  e  i^irtù. 

Quanto  ^gìà  F  altra  Elìsa  al  duro  amante 
Bramò  che  fosse  il  vento  e  U  mar  nemico, 
Quando  nel  regno  di  Latino  antico 
Cercava  sede  peregrino  errante; 

Tanto  costei  col  suo  real  sembiante, 
E  col  pensier  sì  casto  e  sì  pudico  , 
Rende  a^  giusti  nepoti  il  Cielo  amico, 
Per  cui  r Affrica  trema  e  ^1  vecchio  Atlante: 

Nova  e  più  bella  e  più  felice  Elisa, 
Che  non  accusa  il  su^  amator  crudele, 
O  'nganno  avaro  del  fratello  infido; 

Al  cui  pregar  si  placherebbe  in  guisa. 
Ch'indietro  ancor  riporterìa  le  vele 
Zefiro  ed  Austro  da  contrario  lido. 

SONETTO  XLIX. 

Ad  Elena  MiroaUa^  tedesca,  in  occasione  della  morte  della 
duchessa  Barbara  f  sua  signora.  Paragona  gVHUgiuimi  amori 
d'Elena  greca  to'  legittimi  di  questa  EUna  germana. 

Non  fu  sì  chiara,  per  le  fiamme  ardenti 
Ond'arse  Troja  e  incenerissi  alfine. 
La  bella  Greca  che  U  dorato  crine 
Troncò  da  poi  con  dolci  alti  lamenti. 

Come  voi  per  le  vostre:  e  i  vostri  accenti 
Fecer  pietose  in  del  Palme  divine. 
Quando  lasciò  Ferranti  e  peregrine 
Quella  ch'or  vive  fra  T eteme  menti. 

Né,  per  fuggir  dal  vostro  sposo  eletto, 
Varcaste  lidi  o  tempestosi  mari, 
Né  sete  voi  cagion  di  fera  guerra. 

Ma  d^alma  pace;  e  quanto  intenso  affetto 
V  innalzerà  fra'  tempj  e  fra  gli  altari , 
Tanto  e  sol  resta  abbandonato  in  terra. 


> 


393  RIME  EROICHE 

SONETTO  L- 

Loda  la  dueh.  di  Pafma  Mar^hgrUa  d^AìUfbria.  iVel  «^.  7  «  Mf^, 
aiiude  a'  due/rateUi,  V uno  mtorto,  e  PaUro  ancor  t4$H>, 

Gemma  delf  Occidente  ^  anà  det  m<xido  -, 
Tesoro  e  gloria  dell* invitto  padre;  - 
Luce,  cbe  scacci  F ombre  oscure  ed  adre; 
Mar  di  gran  senno  e  di  valor  profondo^ 

Nata  del  quinto  Carlo,  a  cui  secondo 

Rimase  il  primo  in  opre  alte  e  leggiadre^ 
Figlia  pia,  casta  moglie ,  e  santa  madre ^ 
Col  Ciel  partisti  il  glorioso,  pondo, 

Perchè,  se  Tun  quaggiù  splende  e  nluce, 
U altro  le  stelle  illustri,  e  non  si  vanti 
Due  Soli  in  un  sol  tempo  aver  la  terra. 

Pur  ambo  gli  hai  nel  core  e  nei  sembianti, 
E,  come  vive  col  fratel  Polluce, 
L^uno  è  nell'altro,  e  Funo  e  P altro  in  guerra. 

SONETTO  LI. 

Mentre  loda  tZ  j^.  FaHo  Gonzaga,  ti  dichiara  vicCfo. 
ad  accostard  aWaliezaa  cft  tale  orgomenÈo, 

Fabio,  io  lunge  credea  col  basso  ingegno 
Sovra  me  stesso,  in  voi  lodando,  akarmi, 
Ed  agguagliar  co*  più  lodati  carmi 
Quel  valor  che  di  fama  etema  è  degno. 

Ma,  più  d'appresso,  or  più  sublime  s^o 
E  la  gloria  veggMo  d'imprese  e  d^armi. 
Cui  alzarsi  dovrian  metalli  e  marmi. 
Non  ch'umìl  laude:  e  tal  s'avrebbe  a  sdegno. 

Così  maggior  si  scopre  antica  torre 
Od  alto  monte  a  chi  vicino  il  guarda , 
E  pogo^ar  non  vi  pnote  uom  l^to  e  carco. 

Però  si  ferma  al  periglioso  varco 

Del  vostro  onor  la  penna,  e  noi  trascorre. 
Già  leggiera  e  veloce,  or  grave  e  tarda. 


RIME  EROICHE  393 

SONETTO  LU. 

MmeduimOf  eor^nnandoìo  a  due  gran  uittorief  Puna  di  tè  ttesiOf 
e  Paiira  del  dettino  a  lui  i ai  Tasso)  at^erto. 

Signor  j  cli^  imtnortal  laude  aveste  in  guerra  , 
Là  Ve  i  rapidi  fiumi  agghiaccia  il  verno, 
In  pace  ancor  s^  acquista  onore  etemo , 
E  mano  inerme  apre  Elicona  e  serra. 

Tu  nella  tua  famosa  e  nobil  terra 

Deh  I  non  aver  due  gran  vittorie  a  scherno  : 
li  ima  di  te,  che  1  tuo  nemico  intemo 
Puoi  raffrenar  quando  ei  vaneggia  ed  erraj 

L'altra  di  mia  fortuna  e  d'empie  e  felle 

Luci:  e  se  '1  Cielo  e  1  Fato  lia  ingiusta  forza, 
Chi  vide  mai  più  gloriosa  palma  7 
'Molti  vinser  la  terra,  e  tu  le  stelle; 
,Tu  signoreggi  il  ciel  che  tutto  sforza, 
Rendendo  vera  liberiate  all'alma. 

SONETTO  LUI. 

Loda  D,  Maria  Danàio,  Pria  parla  di  FfapoU,  dicendola  imagine 
del  delog  poi  timiglia  la  beUà  di  qj^Ua  dama  al  tole. 

Questa  delgpuro  ciel  felice  imago 
Nobilissima  terra,  e  '1  mar  Tirreno, 
Specchio  lucente  di  splendor  sereno 
Là  dove  il  Sol  di  rimirarsi  è  vago, 

Ha  voi  per  Faltro^  e  non  errante  o  vago. 
Né  per  occaso  mai  v'attende  in  seno; 
Ma  sedendo  illustrate  il  bel  terreno^ 
E  lui  ch'ora  somiglia  un  queto  lago: 

E  fate  illustri  ancor  sublimi  ingegni; 
Né  v'alberga  leone  o  tauro  o  mostro, 
Ma  dal  suo  cerchio  Astréa  per  voi  discende. 

E  rilucete  qui  per  tanti  segni , 

,    Quante  ha  belle  virtù  l'animo  vostro 
Che  'n  varie  forme  a  noi  riluce  e  splende.  « 


394  RIME  EROICHE 

SONETTO  LIV. 
In  lode  deUa  mg.  Barbara  Sametmino 

Questa  d'Italia  beOa  e  nobil  figlia 
È  vivo  esempio  del  valor  primiero, 
E  della  gloria  antica  il  novo  impero 
Pur  infiammar  potrebbe  (oh  meravigliai); 

E  col  seren  ddle  tranquille  ciglia 

Quetar  Tardilo  Franco  e  U  forte  Ibero^ 
E  scaltro  si  possente  o  sì  guerriero  * 
Fece  del  sangue  altrui  Fonda  vermiglia. 

E  tu^  che  FAffrican  da  noi  dividi , 

Tu  non  circondi ,  o  mar,  né  prima  nacque 
Barbara  più  gentile  in  altri  lidL 

Ma  vincer  non  curò  la  terra  e  Tacque, 
Perch'i  vinti  consoli  e  parte  affidi, 
Preso  il  bel  nome  die  lodossi  e  piacque. 


CANZONI 


CANZONE  I. 


j^ila  Clemenza.  Cercatala  in  varie  pani  del  mondo 
e  appresso  varf  principi ^  la  trova  alfine  nelt  animo 
e  nelle  opere  di  S.  o.  Sisto  V;  onde  lo  invoca  a 
suo  favore.  ^ 


oanta  Virtù,  che  dairorror  profondo, 
Che  le  qose  ascondea  nel  rozzo  seno, 
Pria  con  volto  sereno 
I  secoli  spiegasti  in  chiara  luce, 
E ,  le  tenebre  scosse ,  apristi  al  mondo 
Le  varie  forme,  e  di  colori  adomo 
DalP oriente  il  giorno, 

En'1  Sol  che  nel  suo  grembo  il  di  conduce, 
E  lei  che  bianca  e  fredda  indi  riluce; 
Tu  fra  le  fianlme  e  T  indurato  gelo 
Posta  hai  la  sedè,  e  tu  1  conserva  e  guarda, 
Perchè  fra^  suoi  contrarj  ei  non  si  stempre  ; 
E  con  soavi  tempre 
Tu  disponi  la  terra  e  'nsieme  il  cielo: 
Ah!  fia  che  tutto  incenerisca  ed  arda. 
Se  muti  albergo:  e  chi  '1  partir  più  tarda? 

Ove  degg'io  cercarti?  ove  s^ accende 
La  negra  turba  al  raggio  estivo  e  tinge? 
O  dove  fiumi  strìnge, 
E  le  paludi  e  i  man  il  ghiaccio  indura? 
Nò  de^  miei  detti  il  suono  ivi  s^ intende, 
r^è  ciò  che  vergar  può  la  tosca  penna  3 


3g6  RIME  EROICHE 

Ma  fere;  e  non  accei\na 

Barbaro  Marte  con  sembianza  oscura. 

Deh!  qual  legge  di  falò  o  di  natura 

È  si  mutata?  o  qual  crudele  stella 

Si  mi  ^persegue,  o  Dea,  (se  dir  convienai) 

E  solo  offende  me ,  s*  altrui  minaccia  y 

Con  spaventosa  feccia? 

Alma  io  non  sono  al  mio  signor  nibella. 

Perchè  le  colpe  spesso  io  pianga  e  pensi 
*  Or  con  gelidi  spirti ,  or  con  aòcensL 
Sei  dove  sparve  TOrsa?  io  pur  mi  volgo 

AI  bel  paese  in  cui  m^  affida  a  pena 

L*  accoglienza  serena , 

Benché  la  terra  ivi  toccassi  in  prima, 

Che  poi  nutrìmmi ,  e  non  com^  uom  del  volgo 

Deh!  qual  altra  più  degna  e  nobil  sede 

Il  sol  girando  vede 

Con  più  tepidi  raggi  in  altro  clima? 

Dov'  e  r  aura  più  dolce  in  verde  cima  ? 

Dove  i  guerrieri  armenti  alberga  e  pasce 

Più  fortunata  piaggia  o  più  feconda? 

Dov'  è  più  bello  U  monte  o  '1  piano  o  H  lido  ? 

Dov'il  suo  proprio  nido 

Sotto  ciel  si  benigno  in  altre  fasce? 

Qual  terra  più  de^  suoi  gran  doni  abbonda? 

O  dove  più  ne  porta  il  vento  e  Fonda? 
Tu  pur  soléi  già  ritrovar  sovente. 

Quivi  d^ altre  Virtù  felice  schiera, 

Quasi  in  celeste  spera, 

Che  non  è  parte  a  lei  tanto  simile; 

E  v'era  Astréa,  com'è  nel  ciel  lucente, 

Discesa  a  Carlo  :  e ,  se  lassù  V  accolse , 
^Scorpìo  allor  si  raccolse. 

Or  non  so  dove  sia,  fra  Satiro  e  Tile, 


RIME  EROICHE  397 

O  fra  gente  selvaggia  ^  o  fra  gentile. 

Ma  spesso  il  mìo  pensier  non  lunge  alPÀmo    ^ 

Mi  suol  guidar^  quasi  di  riva  in  porto, 

Mentre  misuro  pur  F  arene  e  '1  mare 

Colle  mie  pene  amare, 

Perch^o  non  pensi  di  cercarla  indamo 

Là  \e  un  gran  duce,  a  cui  l'occaso  o  Torto 

JSfon  vede  eguale,  emendi  il  nostro ' torto. 

Mai  vela  non  spiegò  si  presto  volo. 
Nave  spingendo  già  leggiera  e  scarca , 
Come  u  pensier  sen  varca 
Là  dove  alberga  liberta  te  e  pace. 
Presso  Pun  mare  e  l'altro,  in  nobil  suolo ^ 
O  dove  innalza  la  frondosa  fronte 
Imperioso  monte 

Che  die  riposo  a  «hi  V  invitto  Trace 
Vincer  potea  (la  fama  il  ver  non  tace) 
Là  dove  la  gran  quercia  i  colli  adombra. 
Ferma  ad  ogni  procella,  ad  ogni  nembo: 
Deh  !  non  mi  scacci  dagli  ombrosi  rami , 
Perch'  io  pur  mi  richiami , 
Dove  il  buon  padre  mio  cantava  all'ombra. 
£  talor  penso  a  voi ,  Po ,  Mincio  e  Brembo  : 
Ap^mi  almeno,  alta  mia  patria,  il  grembo. 

Pòi,  quasi  da  un  mio  grave  e  lungo  sogno 
Io  mi  riscuoto,  e  dico:  Ahi  gran  letargo! 
A  cui  le  rime  spargo, 
Nutrito  di  speranze  incerte  e  false? 
Che  pur  attendo  omai?  che  pur  agogno. 
Già  stanco,  e  sotto  grave  e  doppia  salma, 

.  Palma  giungendo*  a  palma , 
In  guisa  d'^uom  cui  sol  di  gloria  calse, 
E  per  tempo  girò  Parnaso  e  '1  salse, 
Ma  no  '1  tuo  monte,  o  Sisto,  in  cui  t'adoro? 


3ga  RIME  EROICHE 

O  padre  y  e  solo  in  terra  e  vivo  esempio 
Defla  Clìiesa  di  Dio,  ch^è  in  cielo  eterna^ 
Ove  fia  ch'io  la  scema? 

Più  bella  y  che  'n  avorio  ^  o  ^n  marmi,*  o  'n  oro 
Opra  di  Fidia,  in  te  (se  U  ver  contempio) 
Ha  la  Clemenza  e  nel  tuo  core  il  tempio. 

Seco  è  la  Fede  in  un  medesmo  petto, 
Che  non  ha  forse  al  mondo  altro  nfugio: 
Dehl  più  non  faccia  induco 
Alle  promesse  ond' altri  a  me  fu  parco. 
La  mia  salute  e  b  tua  grazia  aspetto 
Dalla  tua  santa  man  che  lega  e  solve, 
^Prìa  che  converso  in  polve 
Sia  questo  grave  mio  tenace  iucarco  : 
Vedi  c^ho  già  vicin  f  ultimo  varco. 
A  chi  non  sa ,  di  perdonare  insegna  j 
Però  grido:  Perdona  a  chi  m* offese^ 
Che  la  fraude  coprir  di  falso  amore 
È  troppo  grave  errore: 
Quasi  guerrier  sotto  mentita  insegna, 
Perdona  mille  scorni  e  mille  offese, 
Mille  gelide  invidie  ed  ire  accese. 

Né  sol  io  dalla  grazia,  io  che  mi  pento, 

10  che  FoOeso  fui,  rimanga  escluso; 
Tante  volte  deluso, 

Quante  pregai,  quante  sperai  perdono: 

£,  mentre  il  mondo  alla  tua  gloria  intento, 

Là  've  in  sua  vece  il  Re  del  eie!  ti  scelse , 

Mira  fopre  tue  eccelse, 

Rimbombi,  come' suol  lucido  tuono, 

La  tua  clemenza,  e  corra  intorno  il  suono; 

E  non  pur  F  oda  il  bel  Sebeto ,  e  U  Tebro , 

E  r  Amo,  e  '1  gran  Tirreno,  e  'I  mar  che  frange 

11  Po  turbato,  e  T Appennino,  e  rAl|)e, 


I 


RIME  EROICHE  399 

Ma  l'jnge  Abila  e  Calpe^ 
Parnaso,  ed  Alo,  ed  Achelóo,  ed  Ebro, 
Istro,  Tamigi,  Senna,  e  Nilo,  e  Gange j 
E  U  mondo  tutto  aspra  sentenza  or  cange. 

Voi,  cui  d'Italia  il  freno  in  mano  ha  posto 
Fortuna,  o  regi;  e  voi,  ctf avete  in  guerra 
Soggiogata  la  terra, 

Di  gloria  alteri  e  d^alta  stirpe  e  d'armi. 
Vizio  è  Tira  crudele  e  Podio  ascosto. 
In  magnanimo  core  r  e  d' uomo  esangue 
Quasi'  pascer  il  sangue  , 
Vivendo  d'altrui  pena,  indegno  panni. 
Non  aspetti  il  perdono  i  preghi  o  i  carmi; 
Non  ritardi  aspettato,  e  tosto  incontra 
Si  faccia  a  mitigar  T altrui  cordoglio. 
Se  medicina  ha  il  male,  o  pur  restauro. 
Anco  il  leone  e  '1  tauro 
Atterra  ciò  eh'  opponsi  e  ciò  che  'hcontra , 
Non  offende  chi  giace;  e  'n  alto  scoglio 
Fulmina  il  Cielo,  e  'n  più  superbo  orgoglio. 

Vola,  canzone,  ove  in  sublime  seggio 
Fanno  i  purpurei  padri  alta  corona 
Al  vicario  di  Cristo:  a  lui  davante 
T'inchina,  e  '1  pie  gli  bacia,  e  parla,  e  prega. 
Quinci  poi  F  ali  spiega , 
E  grida:  Ove  Clemenza  altrui  perdona, 
Strìngendo  amici  cori,  è  più  costante 
Che  catena  di  lucido  diamante. 


4oo  RIME  EROICHE 


CANZONE  DL 


Dopo  aver  chiamato  tutto  il  creato  ad  esaliar  ia 
gloria  delt etemo  Fattore,  s* apre  la  via  ad  ac- 
cennare I  pregi  ptf  auali  deve  il  mondo  tributar 
di  lodi  la  Santità  di  papa  Grrgorio  XI F. 

Da  msL  lode  immortal  del  Be  superno 
Abbia  quella  del  re  principio  in  terra; 
Anzi  laudisi  quel  ch'i  regi  esalta^ 
Padre  e  mgnor  che  n^  apre  il  cielo  e  serra, 
E  le  tartaree  porte  al  cieco  Inferno, 
Onde  antico  avversario  ancor  n^  assalta. 
Lodate  Dio  dal  cielo ,  e  insin  dalTalta 
Parte  s'oda  la  santa  e  chiara  tromba , 
O  Angeli;  o  Virtù  del  sommo  coro;     ^ 
S'oda  il  canto  sonoro 
Dove  null^  altra  voce  al  cor  rimbomba  j 
Lodai  tu,  etemo  Sol,  eh* il  giorno  iHostri, 
O  Luna ,  tu  che  fai  men  folta  F  ombra  ; 
Loda  tei  voi,  sublimi  ed  auree  stelle^ 
Lodilo  il  lume  onde  son  chiare  e  belle 
Quando  la  nera  notte  il  mondo  adombiy/, 
Lodatel  voi,  di  pura  luce  illustri 
GeU  de'  cieli  j  e  per  girar  di  lustri 
Non  cessin  mai  lassù  lode  e  concenti: 
Lodatel  sovra  il  cielo,  acque  lucenti 

Perch'ei  comanda,  e  solo  etemi  e  fissi 
Sono  i  suoi  detti  ;  ogni  altro  vola  e  passa  : 
Que*  no,  benché  trapassi  il  cielo  e  '1  mondo. 
Lodate  lui  dall*  ima  sede  e  bassa , 
Dragoni,  (s  serpi,  e  tenelirosi  abissi, 
Foco,  ghiisiccio,  contesa  in  mar  profondo 


/ 

RIME  EROICHE  4oi 

De^  venti,  che  '1  perturbi  insin  dal  fondo j 
U  lodin  tutti  i  colli  e  gli  aspri  monti , 
I  cedri y  i  lauri,  i  mirti,  i  pini  e  i  faggi: 
Voi  colti,  e  voi  selvaggi, 
Ch^ incoronate  le  più  alpestre  fronti; 
Voi,  fere  belve,  e  voi  eh' all' aspre  some 
Porgete  '1  dorso,  e  voi,  congiunte  gregge. 
Voi,  pesci,  e  voi  deirarìa  augei  volanti: 
Lodate  lui,  lasciando  i  proprj  vanti. 
Re  della  terra 3  e  voi,  ck'afTrena  e  regge 
Colla  lor  verga,  amici  al  santo  nome, 
Vergini  sacre,  e  con  recise  chiome  . 

Giovani  casti,  età  canuta  e  stanca: 
Ch'ogni  altra  lode  cade  alfine  e  manca. 
Ma  sovra  gli  altri  or  tu,  famoso  Tebro, 
E  tu,  d'antichi  eroi  madre  e  d'Augusti, 
Alza  il  suo  nome  al  ciel  con  auree  penne  3 
Ch^egli  a  te  die  Cesari  invitti,  e  giusti 
Pastori;  e  questi  ch'io  tardi  celebro. 
Dato  da  lui,  sol  per  sua  grazia  or  venne. 
Egli,  che  volge  il  cielo  ovunque  accenne, 
E  cangiar  puote  al  sole  il  ratto  corso, 
E  dalla  destra  a  noi  Giove  e  Saturno, 
Centra  1  giro  diurno. 
Mostrare ,  ei  pronto  move  al  tuo  soccorso  : 
Ei  volse  a  te  pietose  luci  e  sante, 
A  te  d'imperio  grande  antica  donna, 
Che  piangevi  duo  padri,  al  nero  occaso 
Giunti,  pur  come  sia  fortuna  o  caso, 
O  quasi  manchi  al  ciel  doppia  colonna, 
E  minacci  mina  il  vecchio  Atlante: 
Ei  gli  altri  accolse  in  te,  grave  e  tremante, 
E  fra'  più  gravi  e  saggi  or  questo  ei  scelse  , 
Nato  pier  mitre  e  per  corone  eccelse. 

Tasso,  Voi  IV.  a6 


4o?  RIME   EROICHE 

Di  stirpe  degna  e  di  più  degno  padre , 
Quasi  novo  Gregorio,  al  mondo  nacque 
Questi  y  che  dal  prìmier  s^  appdUa  e  noma  y 
Perchè  la  fama^  che  garriva  e  tacque, 
E  fra  le  nubi  tenebrose  ed  adre 
Nascose  il  capo  e  la  canuta  chioma , 
Più  si  vergogni^  e  taccia  Atene  e  Roma 
E  Tebe  antica  e  la  feroce  Sparta 
Del  suo  Alcide  e  di  Marte  ^  o  pur  JEgéo; 
Né  Romolo  o  Teseo, 

De^  quai  si  chiara  loda  al  mondo  è  sparta, 
Di  progenie  gentil  si  glorii  a  prova; 
Né  d^ Alessandro ^  uom  conosciuto  al  sangue, 
Del  re  suo  padre  non  contento  e  pago, 
Si  narri  il  parto,  o  '1  favoloso  drago, 
O  r ignudo  fanciul  ch^usci  dell'angue, 
Che  le  favole  prische  ancor  rinnova; 
Ma  casta  nobiltà ,  eh'  antica  e  nova 
Virtute  e  gloria  insieme  adoma  or  rende. 
Coli' alte  insegne  sue  fiorisce  e  splende. 
Cosi  nascendo,  mansueto,  umile, 

Seguisti,  o  sommo  Padre,  impresse  l'orme 
Del  tuo,  lunge  d'error  prisco  e  novello. 
Chi  vide  mai  nelle  cangiate  forme 
Miracolo  maggiore?  al  santo  ovile 
Prima  giacesti  semplicetto  agnello, 
Poscia  al  fonte  lavasti  il  bianco  vello , 
E  chi  travia  reggesti ,  e  clii  vaneggia , 
Fatto  sacro  Pastor  con  sacra  verga. 
£  là ,  dov'  egli  alberga  , 
Parve  la  mandra  sua  sublime  reggia, 
E  s' udian  risonar  le  selve  e  V  onde 
De'  sacri  accenti  e  de'  più  colti  versi, 
Onde  più  chiaro  fu  Scamandro  ed  Ida. 


/ 


RIME  EROICHE  4o3 

Pastore  or  de^  Pastori^  e  santa  guida, 
Da  duo  lati  del  mondo  assai  diversi 
Tutti  gli  aécogli  in  suU^  antiche  sponde , 
E  di  là  've  'i  sol  nasce  o  pur  s^  asconde 
Tieni  delPalto  Re  vece  e  sembianza: 
Oh  meraviglia  che  tutt^  altre  avanza  ! 

Qual  mastro  suol,  ch'in  aureo  e  breve  giro 
L'immagin  del  gran  mondo  impressa  mostri 
Con  tutto  ciò  che  'n  terra  o  'n  ciel  contempio  j 
Tal  dimostrar  solevi  agli  occhi  nostri 
Della  Chiesa  di  Dio,  che  lieta  or  miro, 
La  vera  forma  in  men  sublime  tempio. 
Ora  in  questo  sì  grande  il  vero  esempio 
Vedrem  per  te  di  quella  idea  celeste, 
Ove  i  suoi  Cori  il  ne  del  ciel  distinse. 
£  chi  più  ne  dipinse 
La  mente  mai,  cui  vela  il  corpo  e  veste? 
Or  quanto  con  duo  mar  circonda  intomo 
Del  famoso  terren  la  rìgid'Alpe, 
£  FAppennin  divide,  a  te  s4ncbina; 
£d  a  questa  del  mondo  alta  regina 
Pirene  istessa  più  lontana  e  Calpe, 
Sì  che  puote  obblì'ar  l'antico  scorno. 
Deh  !  qual  si  loda  magistero  adorno  7 
O  qual  r^o,  o  qual  re,  cui  1  Mauro  o  flndo 
Raffreni,  si  disegna  in  Ato  o  'n  Pindo? 

Dunque  ogni  loda  il  mondo  a  te  converta, 
A  cui  d'ogni  suo  dono  illustra  Palma 
Il  Padre  etemo  de'  celesti  lumi. 

.    Oh  scelto  a  gloriosa  e  grave  salma, 
£  degno  pria  della  corona  offerta. 
Santo  d'opre,  di  mente  e  di  costumi, 
Brama  mutar  il  corso  il  re  de'  fiumi, 
Perch* altri  il  suo  cammin  non  turbi  o  rompa, 


4o4  RIME  EROICHE 

Ed  occulto  passar,  di  seno  in  seno. 
Brama  nel  mar  Tirreno; 
Adda  y  a  venirne  alla  romana  pompa , 
Quasi  dal  sito  par  si  mova  e  cange, 
E  Cremona  e  Mitan  cli^  a  te  verrebbe , 
Già  figlio  ;  or  padre  alzato  a  tanta  gloria  ; 
Che  mai  trìonto  o  sede  alta  o  vittoria 
DMmperador  non  vi  pervenne  o  crebbe 
Per  dispiegar  F  insegne  alFIndo,  al  Gange, 
O  dove  F  Istro  e  U  Ren  percuote  e  frange  : 
E  se  corona  è  in  ciel,  la  tua  rassembra, 
Mentre  ancor  vesti  le  terrene  membra. 
Oh  qual  (sian  tardi,  prego,  a  volger  gli  anni) 
Là  \e  Sol  di  giustizia  i  raggi  spande, 
Corona  di  giustizia  a  te  si  serba! 
Questa  ancor  si  lucente  e  bella  e  grande, 
In  cui  Roma,  mutando  i  fieri  affanni 
In  santa  pace,  mutò  frondi  ed  eriia. 
Giusto  premio  è  del  merto,  a  cui  superba 
Forza  cede  e  furor  d^ empia  fortuna: 
Parlo  del  proprio,  e  tacio  il  merto  antico 
Ch^ebbe  Paolo  sì  amico; 
Tacio  il  nome  immortai  che  nulla  imbruna , 
Perchè  tenebre  oscure  asperga  il  tempo; 
Tacio  F  arti ,  gli  studi ,  il  culto  e  '1  senno , 
E  d' anUca  eloquenza  i  rari  pregi. 
Questo  giudizio  approva  il  Re  de^  Rcgi| 
Che  move  il  mondo,  e  gira  il  cielo  a  cenno, 
E  F  alte  grazie  sue  comparte  a  tempo  : 
E  quelli  adoro ,  in  cui  pensar  m^  attempo , 
Profondi  abissi  di  consigli  e  d^Qpre, 
E  la  lucida  nube  ov^  ei  si  copre. 
A  voi  mi  volgo  ancor,  d^ elettro  e  d^auro 
Angeli  in  ciel  lucenti  ;  a  voi'  che  sempre 


i 
j 


RIME  EROICHE  4o5 

Siete  de^  i*^ggì  ài  sua  gloria  accensì. 
£  tu,  Sol,  che  rìsplendi  a'  vaghi  sensi, 
Aspira  al  mio  concento  in  dolci  tempre, 
Perchè  si  sparga  il  suon  dall'Indo  al  Mauro, 
Verdeggi  al  novo  canto  il  mirto  e  '1  lauro, 
Fra'  marmi  e  fonti  e  seggi  ombrosi  e  foschi 
Risonando  Gregorio  il  fiume  e  i  boschi. 


CANZONE  m. 

Jn  lode  di  pi^Ki  Clemente  VITI*  Allude  al  nome 
di  lui;  accenna  molle  particolarità  della  ifita  di 
sì  eccelso  personaggio,  e  n'  esalta  i  pregi  piìi  b^ 
minasi. 

Questa  fatica  estrema  al  tardo  ingegno 
Concedi,  o  Roma,  e  tu  che  movi  e  reggi 
L'alto  ciet^  l'umil  terra  e  '1  mar  profondo* 
A  lui  che  di  tue  sacre  eteme  leggi 
È  vivo  spirto,  e  del  celeste  regno 
Sostien  le  chiavi,  e  porta  il  grave  pondo, 
E  quasi  folce  in  Vaticano  il  mondo. 
Sacro  la  mefte,  il  cor,  la  penna  e  i  carmi* 
Questa  è  la  meta  eccelsa,  a  cui  d^ intomo 
Si  volge  notte  e  giorno 
Il  mio  pensier  j  né  di  vittorie  e  d' armi 
Cantate  fama  eguale  o  pregio  attende: 
Ma  fine  o  meta  a  quel  valor  non  miro 
Che  fiammeggia  fra  noi  con  luce  eterna. 
Qual  dunque  in  ampia  via  del  ciel  superna^ 
S  avvolga  omai  nel  glorioso  giro 
Delle  sante  virtù  eh' a  lui  risplende, 
La  stanca  mente  pur  ch'in  alto  intende: 
Né  strada  già  più  certa  al  Sol  prescrìsse 
U  suo  Fattor  fra  stelle  erranti  e  fisse. 


4o6  RIME  EROICHE 

Ned  eiy  chMl  mondo  illustra^  è  più  lacente 
Simulacro  di  Dio,  che  1  giusto  e  saggio 
Ch'in  sua  vece  e  sembianza  il  del  disserra; 
Ma  se  vob  talor,  di  raggio  in  raggio, 
InBno  al  sonmio  Sol  Tardità  mente 
Ch^  in  lui  pensando  non  vaneggia  od  erra  y 
Non  chini  Tale  ruinose  a  terra , 
Siccome  avviene  a  chi  si  piega  e  volve 
Dairalta  luce,  che  il  pensier  tranquilla, 
Ad  oscura  favilla 

Ed  a  poca  ombra  algente  e  poca  polve, 
Né  di  cosa  mortai  più  curi  o  pensi; 
Ma  là  s'acGueti  ove  la  gloria  è  pace, 
Ove  cede  al  silenzio  il  suono  e  1  canto. 
E  s^a  parlar  di  te  si  scoglie  intanto, 
Sommo  padre  e  signor,  la  lingua  audace, 
Tu  rischiara  le  voci,  e  purga  i  sensi 
Al  tuo  gran  nome,  e  li  miei  spirti  acoensi. 
Ma  ignoto  è,  come  il  fin,  di  te  parlando. 
L'alto  principio:  e  dove  il  cerco,  o  quando? 

Ovunque  io  miri,  o  sia  T occaso  o  Torto 
Del  tuo  corso  vìtal,  divino  assembra, 
E  pajon  d'ogni  età  segni  celati: 
Vestito  appena  di  terrene  mèmbra  , 
Dall'  esempio  degli  avi  al  cielo  scorto , 
Ad  opre  gloriose  il  cor  volgesti, 
E  d'onor  gradi  infra  le  stelle  ergesti; 
Gradi  d^  onore  in  disusata  foggia , 
Rivolti  al  cielo,  ov'uom  giammai  non  salse 
Con  fame  indegne  e  false. 
Ma  sol  vero  valor  v'  ascende  e  poggia. 
Quinci  dalla  città  ch'Arno  diparte, 
Nel  lungo  raggirar  d'anni  e  ai  lustri  , 
Salirò  sovra  il  Sol  le  nobil  ahue^ 


I 

I 


RIME  EROICHE  407      ^ 

Ivi  cercando  al6n  corone  e  palme 

Di  loro  imprese  e  di  lor  fatti  illustri; 

E  'n  questa;  che  fu  sacra  al  fiero  Marte ^ 

Volte  V  antiche  e  le  moderne  carte , 

Pur  d^  ostro  adomo  il  tuo  fratel  si  scorse  ^ 

Che  te  per  altra  strada  al  ciel  precorse. 
Quinci  ti  rimirò  dall^alto  cielo 

Astréa^  mentre  ivi  1  sole  i  raggi  vibra  ; 

Con  ferme  voglie  a  gravi  studi  intese; 

E  là  Ve  notte  e  giorno  appende  in  libra , 

Cìnta  la  testa  di  ceruleo  velo, 

Dalle  celesti  porte  a  te  discese: 

Cessero  al  suo  passar  F  ingiuste  offese, 

E  la  discordia  e  '1  suo  furor  maligno 

Ch'  i  miseri  mortali  affligge  e  sferza , 

E  con  pungente  sferza 

Fa  spesso  i  monti,  i  campi  eU  mar  sanguigno; 

Uonte  cessero  ingiuriose  e  i  danni; 

Ebber  pace  le  gregge  e  i  vaghi  armenti 

Ne^  verdi  prati,  e  nell^ antiche  selve 

Deposero  la  rabbia  orride  belve, 

E  fér  tregua  col  mar  gF  irati  venti  ; 

La  terra  s^ allegrò  nel  fin  degli  anni. 

Poi  disella  dispiegò,  fuggendo,  i  vanni. 

Col  secol  d^oro^  e  degli  antichi  tempi 

Al  suo  tornar  conobbe  i  santi  esempi. 
E  dove  il  Tebro  le  famose  fronti 

Mira  de^  colli  e  le  lor  parti  eccelse , 

Per  vie  secrete  occulta  ella  sen  venne; 

E  'n  vece  di  stellante  albergo  scelse 

Quel  tuo  che  sorge  in  mezzo  a^  sette  monti, 

Ch^  oltre  tutti  i  più  adomi  a  lei  convenne. 

Quivi,  quanto  vergar  F antiche  penne, 

Mentre  di  libertà  lieta  e  superba 


4o8  RIME  EROICHE 

Fu  Roma^  e  quanto  d^ogni  estranio 
Poscia  raccolse  o  prima. 
Quasi  caro  tesor  s  aduna  e  serba 
Descrìtto  in  carte:  e  te  conobbe  involto 
Fra^  Muzj  e  Paoli,  e  fra'  più  sa^  e  sacri 
ChMmposer  leggi  al  glorioso  impero 
Ed  a  lei  ch^ adorò  Clemente  e  Piero, 
Ch^ora  di  nova  gloria  orni  e  consacri, 
Simile  a'  padri  antichi  in  opre  e  ^n  volto; 
IS  '1  suo  prisco  sermone  a  te  rivolto , 
Disse:  «  Or  che  tu  risplendi,  e  U  vero  insegni, 
Viver  Bruto  ameria  ne  vostri  regni. 

«Né  Fabbrizio  la  corte  a  sdegno  avrebbe. 
Né  Catone  il  servir;  ma  lieto  or  guarda 
Cli^ ottuso  ha  la  Clemenza  il  ferro  e  Tira, 
Né  di  scender  con  lei  dal  ciel  ritarda 
La  pura  Fede  a  cui  del  mondo  increbbe, 
E  1  sacro  stuol  delle  Virtù  rimira: 
Or  questo  meco  a  te  benigno  aspira, 
Né  premj  usati  al  tuo  valor  promette, 
Ma  gloria  etema  e  podestà  suprema. 
Ostro,  manto,  diadema. 
Mitre  e  corone  al  tuo  voler  soggette; 
E  sovra  i  regi,  e  sovra  il  grande  Augusto, 
Alta  sede  e  soolime  a  te  prepara. 
Ma  ^  quando  reggerai  V  Itaua  e  Roma , 
Della  Clemenza  pur  t'onora  e  noma. 
Che  non  fia  al  mondo  di  tua  grazia  avara, 
Perché  F asprezza  sua  contempri  al  giusto. 
Che  per  troppo  rigor  diviene  ingiusto; 
Ma  tutte  sarem  teco  in  •  sacro  albergo , 
Né  senza  te  daremo  al  mondo  il  tergo.  »• 

Cosi  dissocila:  e  tu  Licurgo  e  Numa 

Sembrasti  a  Roma,  anzi  fra  taoni  e  lampi 


RIME  EROICHE  409 

Quel  ch^ebbe  le  sue  leggi  in  viva  pietra; 
E  di  santo  e  divino  ardore  avvampi, 
Che  la  tua  mente  informa  e  tutta  alluma  j 
Onde  aue  grazie  in  contemplando  impetra  j 
Mentre  il  profano  e  l'empio  indi  s^ arretra 
Dove  profondo  orrore  anco  ricopre 
E  sacra  nube  intorno  asconde  e  vela 
Quegli  a  cui  Dio  rivela 
Il  volto  suo,  non  pur  gli  afletti  e  Topre; 
E,  dove  il  monte  folgoreggia  e  luce, 
Tu  non  temi  quel  suon  ch'alto  rimbomba, 
Ma  sol  r  appressi ,  e  '1  tuo  frateUo  è  teco. 
Qual  meraviglia  più  d^  ombroso  speco 
Roma  ci  mostra?  o  'n  qual  più  nobil  tomba 
Ricerca  l'ossa,  e  riverenza  induce? 
Ma  tu  sei  vivo  spirto  e  viva  luce, 
E,  ricercando  or  quelle  genti  or  queste. 
Tornasti  a  lei  qual  messaggier  celeste. 
Te  del  mondo  mirar  le  parti  avverse, 

Ond' Austro  e  Borea  il  del  di  nube  ingombra, 

E  quei  ch'Alpe  e  Pirene  e  '1  mar  disgiunge; 

E,  dove  assai  più  dura  il  gelo  e  F ombra. 

L'estranio  clima  al  tuo  splendor  converse. 

Ch'alto  spargea  purpurei  raggi  e  luoge, 

Quei  che  sua  vera  fede  a  te  congiunge 

Regni  e  popoli  amici,  a  trar  non  scarsi 

Ned  a  versar  per  la  tua  grazia  il  sangue; 

Né  la  memoria  or  langue    * 

De'  tesori  del  Ciel  donati  e  sparai: 

E  invitti  regi  d' auree  spoglie  adorni , 

C hanno  a'  barbari  posto  un  duro  morso. 

La  tua  santa  eloquenza  a  lui  ristrìnse, 

Vincendo  invitto  cuor  che  tutto  vinse. 

Tal  dal  mondo  placato  e  quasi  scorso 


4 IO  RIME  EROICHE 

Senz'  armi  e  aeoz^  offese  a  noi  ritorni , 
Giunto  all^onor  de'  tuoi  perfetti  giorni; 
Tale  il  lacro  teaor  dispensi,  e  spieghi 
Le  grazie  e  i  doni,  e  sciogli  insieme  e  leghi 
Tale  ascendi  alla  sacra  antica  sede; 
Né  potenza  terrena  ivi  f  esalta, 
Ne  coniglio  o  favor  d^ amica  stella, 
Ma  Provvidenza,  e  chi  da  sé  t'appeUa 
(Ch'ogni  fortuna  é  men  sublime  ed  alta), 
E  Pietà  con  Giustizia  e  viva  Fede 
Ch'ogni  altezza  quaggiù  soggetta  or  vede. 
Né  giunge  laude  al  grado,  e  solo  il  merto 
Trapassa  il  del  ch'é  di  tua  mano  aperto. 


CANZONE  IV- 

In  lode  del  cardinale  S/bndnUo. 

ComMl  Sole  a  scoprir  l'eterna  luce, 

Signor,  mai  non  attende  o  canto  o  pregili, 

Ma  tosto  avvien  che  spieghi 

Dall'aurato  Oriente  i  dolci  raggi, 

E,  seguendo  gli  obbliqui  erti  viaggi. 

Fa  con  perpetue  leggi  a  noi  ritorno. 

Per  riportarne  il  giorno; 

Cosi  vostra  virtù  pronta  riluce , 

Ch'alia  fortuna  sua  medesma  é  duce; 

E  no^  pregata  giova,  anzi  previene 

Le  preghiere,  che  già  son  vecchie  e  lente, 

Di  lungo  spazio;  e,  non  lodata  ancora, 

Sé  di  sé  stessa  onora, 

Tutta  de'  raggi  di  sua  gloria  ardente; 

E  per  le  vie  dell'alto  ciel  serene 


RIME  EROICHE  411 

Pigra  è  colei  che  suol  volar  repente  ^ 
Né  U  volo  appressa  di  sì  noUl  mente. 

Tarda  fu  la  fortuna  al  vostro  merto. 
Non  solo  a  quel  di  lui  che  d'alta  sede 
L'ostro  a'  merti  concede; 
Tarda  è  la  lode  che  voi  segue  ^  e  bassa  ; 
Né  giunge  a  lei  che  tutto  addietro  or  lassa 
L'oscuro  mondo,  e  solo  al  cielo  aspira: 
Tarda  si  volve  e  gira 
La  fama  e  1  grido  suo  ùìao  ed  incerto , 
Che  solo«  in  voi  lodando  ^  é  vero  e  certo. 
Voi,  tardo  no,  ma  grave  e  d'alto  ingegno, 
Là  sete  giunto  ove  si  svela  e  scopre 
L^uom  che  d'ostro  si  fascia  e  d'or  s'ammanta. 
Come  sia  bella  e  quanta 
La  verace  virtù,  elove  s'adopre, 
Già  Roma  il  mira  ed  ogni  estranio  regno, 
Intento  a'  modi,  alle  parole,  all'opre, 
Quasi  in  teatro,  poiché  nulla  il  copre. 

Là  in  dipinto  cristallo  accesi  lumi, 
E  statue -mute  infra  colonne  ebume, 
E  pompe  alte  notturne 
Fortuna  variando  altrui  dimostra: 
Qui,  dove  il  sacro  manto  a  voi  s'inostra. 
In  voi  si  veggon  lumi  eterni  e  santi. 
Virtù  vive  e  spiranti 
Tra  reali  e  divini  alti  costumi; 
E  tutti  avvien  che  di  splendore  allumi 
Quel  sommo  Sol  che  non  in  Tauro  o  'n  Libra, 
Ma  ne'  cuor  nostri  e  nelle  menti  alberga. 
Quindi  con  mille  raggi  altrui  risplende 
Quella  ch'in  alto  intende 
Là  dove  l'altre  alfine  indrìzzi  ed  erga, 
E  Giustizia  i  suoi  premj  appende  in  libra; 


4ii  RIME  EROICHE 

E  seco  ogni  altra  in  cui  s^  adorni  e  terga 
L^alma  gentil  cui  nullo  orrore  asperga. 
Ma  tutte  fa  più  care,  anzi  più  illustri, 
Gentilezza  di  saneue  antica  e  d^alma 
Yirtute  infusa,  ed  alma 
E  fama  ornai  canuta  e  gloria  prisca, 
A  cui  s^ inchini  Europa,  e  riverisca 
La  memoria  delFavo  al  del  traslato 
Sovra  il  mortale  stato, 
E  mille  anni  la  serbi  e  mille  lustri, 
O  pur  finché  la  terra  e  1  ciel  s*  illustri , 
E  ueta  cortesia  con  dolci  modi 
E  'n  amici  sembianti  e  'n  saggi  detti 
Sempre  i  migliori  affida,  e  parte  accoglie. 
Dalle  purpuree  spoglie 
n  fasto  fugge  in  più  superbi  petti; 
Fugge  il  rigor,  fuggono  inganni  e  frodi ^ 
E  v^ hanno  albergo  sol  pensieri  eletti, 
Atti  e  virtù  sublimi  e  puri  affetti. 
Oh  come  è  bella  Italia  e  Roma  altera. 
Anzi  lieta  F Europa  e  lieto  il  mondo. 
Mentre  reggete  il  pondo 
G>1  vicario  di  Cristo,  e  quelF  incarco 
Che  gloria  accresce  a  chi  n'è  grave  e  carco! 
E  come  il  chiaro  Sol  dal  primo  Sole 
Prender  sua  luce  suole, 
E  più  bella  rotar  celeste  spera. 
Cosi  da  voi  lume  immortai  si  spera. 
Mentre  spargete  altrui  del  sommo  Padre 
Le  grazie  e  i  sacri  doni  in  nobil  parte 
Del  mondo,  ch^è  di  Dio  lucido  tempio: 
E  con  divino  esempio 
Egli  per  voi  F  accresce  e  le  comparte 
A  questa  delle  genti  antica  madre, 


RIME  EROICHE  41 3 

Che  tolse  a  Giove  i  tempj  e  tolse  a  Marte  ^ 
Sacrando  a  Cristo  in  terra  altari  e  carte. 

Squallidi  sono  e  tenebrosi  i  regni  ^ 

Di  boschi  in  guisa  e  d^  arenose  piagge^ 

Deserte  o  pur  selvagge 

Le  Provincie  y  orbi  i  regi^  e  i  feri  duci 

Privi  del  giorno  e  delF amate  luci, 

Dove  di  santo  ardor  raggio  non  ferve, 

Tra  genti  o  sciolte  o  serve; 

Ma  vivon,  come  sian  del  Sole  indegni, 

Quei  che  mosser  del  cielo  i  tardi  sdegni, 

Più  de^  Gmmerj^  a  cui  perpetua  F  ombra 

Fa  la  vita  mortale  orrida  e  'ncolta , 

O  scaltra  gente  al  più  gelato  cielo 

Nell'altissimo  gelo 

E  'n  tenebroso  orror  vive  sepolta. 

Deh!  quale  altro  splendor  la  notte  sgombra, 

O  fa  di  tanti  error  F  ombra  men  folta 

Che  Fumil  plebe  al  precipizio  ha  volta? 

n  peso,  a  cui  s^ appoggia  Italia  e  Roma, 
Meglio  ei  sostien,  canzon  mia  stanca  e  frale. 
Che  tu  la  gloria  sua  con  debil  carme  ; 
Però  gli  scettri  e  V  arme 
£  la  pompa  superba  e  trionfale 
Potrìa  forse  parer  men  grave  soma: 
Ma ,  benché  non  sia  laude  al  merto  eguale , 
Pov'egli  sparge  i  rai  tu  spiega  Tale. 


4i4  RIME  EROICHE 


CANZONE  V. 

Nel  ritomo  in  Italia  di  monsig.  Annibale  di  Capua^ 
arcivescùvo  di  Napoli,  e  NunsUo  di  Polonia. 

Italia  mia^  che  le  più  estranie  genti 
E  più  lontane  dalle  vie  distorte 
Onde  il  Sol  vita  e  morte 
Suol  recare  alle  cose  errando  intorno^ 
Venir  vedesti  al  sacro  seggio  adomo 
Anzi  colui  che  Dio  somiglia  in  terra  ^ 
Qual  di  pace  o  di  guerra 
Messaggiero  aspettato  unqua  rammenti, 
O  pur  qual  risonare  intorno  senti 
Cosi  degno  di  gloria  e  vera  e  salda, 
Compii  Signor  ch'a^  nostri  dolci  campì 
Dall* estremo  d'Europa  amato  or  rìeae, 
Mentre  i  velli  al  leone  il  sol  riscalda? 
Per  lui  d'atra  tempesta  i  tuoni  e  i  lampi 
Non  turban  pura  pace  e  pura  fede; 
Per  lui  Marte  non  fiede, 
Né  face  scuote  ond^alta  fiamma  avvampi; 
Per  lui  schiere  non  movi  o  'n  guerra  accampi* 

Ma  pria,  dove  del  mar  regina  afflitta 
LMra  ardente  del  Ciel  grave  sostenne, 
L'una  e  F altra  ei  mantenne, 
E  giustissimo  fu  tra  pochi  e  giusti. 
Oltre  i  confini  poi  d'Italia  angusti 
La  sua  fama  onoraro  Augusto  e  i  regi 
Co'  peregrini  egregi 

A  cui  segnò  la  via  che  solo  è  dritta;    ' 
Ei  magnanimo  re  di  gente  invitta 


RIME  EROICHE  ^iS 

Fe^  più  divoto  al  successor  di  Piero, 
E  parve  un  chiaro  Sol;  cosi  disperse 
La  folta  nebbia  e  i  tenebrosi  orrori  ^ 
E;  delle  carte  illuminando  il  vero, 
A  guisa  di  fantasma  il  falso  ei  scerse 
Di  tanti  antichi  ed  ostinati  errorì: 
Né  sol  gli  umani  cori 
Ch^eran  già  chiusi  alle  fortune  avverse, 
Ma  1  ciel  con  altre  cliiavi  ancora  aperse. 

La  terra  istessa,  ove  sì  lunga  adombra 
La  fredda  notte ,  e  fra  le  nevi  e  '1  gelo 
Taior  non  vede  il  cielo, 
Lieta  meravigliando  al  novo  raggio 
La  fronte  alzò  senza  temer  oltraggio: 
M  Qual  luce  è  questa  sì  serena,  ed  onde 
Yien  che  lei  nulla  asconde. 
Ma  '1  carro  illustra .  e  U  pigro  Arturo,  e  sgombra 
Col  suo  cliiaro  splendor  i  orrore  e  F  ombra  7 
Scesa  è  certo  dal  ciel,  ch^a  nullo  è  scarso 
De^  suoi  tesori  e  delle  grazie  eterne  3 
Angelo  è  certo  e  donator  di  pace, 
A  cui  simil  di  rado  è  in  terra  apparso. 
Passi  il  suo  raggio  alle  mie  parti  interne. 
Pereti^  io  nulla  paventi  il  fero  Trace. 
O  viva  e  santa  face. 
Al  tuo  splendor  chi  può  temenza  averne, 
Se  piovi  in  noi  tante  virtù  superne?  » 

Cosi .  diss*  ^lla.  Or  che  ^1  valor  e  '1  nome 

Non  pur  là  sotto  TOrse  è  chiaro  e  grande. 

Ma  Tali  intorno  spande. 

Più  che  non  fe^  passando  il  duce  Mauro, 

E  toma,  Italia,  a  te,  né  pompa  o  lauro 

Basta  a^  meriti  suoi  si  varj  e  tanti, 

Ben  ch^  altrì  più  si  vanti 


4i6  RIME  EROICHE 

Di  schiere  anciae,  o  pur  d^  oppresse  e   dome 
Genti  ^  ei  non  chiede  ali^  onorate  chiome 
U ostro  con  mani  ancor  di  sangue  tinte; 
Né  porta  spoglie  d^  ór  superbo  a^  tempj  : 
Ma  paga  è  la  virtù  senz^  altra  gloria. 
Ei  pacifico,  inerme,  ha  Tire  estinte. 
Presi  gli  animi  altrui  j  terrore  agli  empj, 
£  de^  buoni  è  rifugio  :  oh  gran  vittoria  ! 
Per  qual  nova  memoria, 
A  auesti  già  turbati  avari  tempi, 
Looiam  più  gloriosi  e  santi  esempi? 

L*onor,  che  Forme  di  virtute  impresse 
Sempre  ricerca ,  e  'utorno  a  lei  sol  usa 
(Gie  sovente  il  ricusa) 
Lusingando  girarsi  e  quasi  a  forza. 
Or  perchè  non  si  move  e  non  si  sforza  ? 
Facciasi  incontro  a  quel  sublime  ingegno 
Che  fa  Fonor  più  degno, 
£  giunge  merto  alle  virtuti  istesse, 
Là  dpve  nobil  vita  un  tempo  elesse. 
Perchè  noi  trae  da^  foschi  e  verdi  seggi 
Rooui  a'  suoi  colli  ed  a'  suoi  dolci  fonti 
£  'n  quella  luce  che  a  lei  sol  risplende  7 
Gli  altari  e  i  tempj  e  le  romane  leggi 
n  pregio  omai  delle  più  degne  fronti 
Tutti  chiedon  per  lui  ch^n  alto  intende: 
Prega  Italia  e  r  attende^ 
£  i  passi  accusa  al  suo  voler  meu  pronti: 
All'amico  Annibal  chi  spiana  i  monti? 

Napoh  ancor,  mentre  la  gloria  antica 
Per  volger  d'anni  e  per  girar  di  lustri 
Fa  gli  avi  suoi  più  illustri, 
L^  aspetta  alf  onorata  e  sacra  verga 
Là  \e  le  gregge  sue  pasce  ed  alberga  ^ 


RIME  EROICHE  417 

£  U  proprio  ovile  a  cosi  nobil  fonia 
Fortunato  si  chiama; 

E  U  fiume  e  '1  moate  e  quella  piaggia  aprica^ 
Cui  mormorando  il  mar  Tirreno  implica^ 
Serbano  al  suo  *  Pastor  mille  corone , 
Ch^ ardore  o  ghiaccio  non  scolora  e  «sfronda, 
Come  fior  d^ Elicona  o  di  Parnaso: 
E  del  suo  nome  avvien  ch'omai  risuone 
Noti  pur  Sebeto  e  F  arenosa  spoqda, 
Ma  quanto  già  da  noi  lunge  è  rimaso 
Fra  Borea  e  U  nero  Occaso^ 
E  dove  più  s^  indura  il  gelo  e  V  onda , 
Par  clì^il  gelido  mare  al  suon  risponda. 
Taci  j  canzon  mia  roca  ^  e  frena  i  vanni  : 
Odi  quel  ch'ai  mio  core  ornai  rimbomba, 
O  sia  di  sacra  fama  un  novo  canto, 
O  suon  d^ acque  lucenti  abbiam  da  presso, 
O  silenzio  divio,  cui  chiara  tromba 
Non  può  agguagliarsi;  e  rìveriisci  intanto 
Del. vicario  di  Cristo  il  fido  messo, 
Quasi  dal  Gel  promesso: 
E,  mentre  a  Ini  s^ìnostra  il  grave  manto > 
Si  volga  in  unùl  prego  altero  canto. 


Tasso,  FbA  /^.  27 


ì 


4.8 


RIME  EROICHE 


CANZONE  VI. 

Inin)duce  la  Toscana^  dopo  la  fnorte  del  granduca 
Francesco,  a  pregar  successione  alla  serenissima 
Casa  de'  Medici ^  ed  a  vedere  adempiti  i  suoi  %^od 
con  la  nascita  di  Cosimo  primogenito  del  granduca 
Ferdinando, 

Al  cader  «Tuo  bel  ramo  che  si  svelse^ 

Pur  come  quel  che  sterpa  orrido  nembo , 

Sparso  alla  terra  il  grembo 

De*  suoi  bei  fiorì  e  delle  spoglie  eccelse^ 

Vedova  pianta,  ond^Appennin  s^ adombra, 

Parea  dolera,  e  Flora  in  negro  manto 

Urne  versò  di  pianto; 

L^Amo  e  i  monti  addoppiar  T orrore  e  Fombr^; 

Né  sparve  il  fiero  duo!  chMl  volto  ingombra, 

Bencnè  sopra  le  stelle 

Translato  il  nobil  ramo  e  quasi  offato 

Sia  tra  Palme  più  belle, 

Più  bel  di  quello  ond^è  F Inferno  aperto, 

Perch^egli  aperse  il  cielo,  e  fu  suo  merlo: 

Ma,  com'esce  di  tomba 

O  da  tronco  talor  voce  rimbomba, 

Tal  studia  nel  lamento 

Delle  preghiere  sue  mesto  concento. 
«Padre  del  cìel  (parea  Toscana  e  tutto 

Pregare  il  glorioso  almo  terreno. 

Di  mestizia  ripieno). 

Tempra  d^Itaua  il  grave  affanno  e  ^1  iiitto; 

Mira  di  questi  eroi  la  stirpe  antica 

Che  prodiicea,  siccome  fronde  e  fiori. 

Le  vittorie  e  gli  allori 


RIME  EROICHE  419 

Mentr^ebbe  il  Cielo  e  la  fortuna  amica, 

Senza  il  bel  ramo  suo.  Sorte  nemica 

n  gran  ramo  le  toglie, 

Come  sia  tocco  da  tempesta  o  gelo} 
'  O  pur  tua  mano  il  coglie, 

£,  s^in  terra  ei  fioriva,  ei  splende  in  cielo. 

Deh!  se  ti  mosse  mai  pietoso  Ifcelo 

Di  quel  ran^o  eh'  è  tronco , 

Germogli  il  glorioso  e  nobil  tronco. 

Da  radici  alte  e  ferme, 

Di  virtuti  e  d'onore  il  tiovo^  germe. 
«Padre  e  cultor  delle  più  sagge  genti, 

Que'  fiorì  di  leggiadri  alti  costumi 

Or  son  celesti  lumi, 

£  fiammeggian  lassù  fra  luci  ardenti  j 

Ma  qui  si  duol,  quasi   d'ingiusto  oltraggio, 

L'arbor  sempre  fiorita  e  gloriosa, 

S'aUa  sua  chioma  ombrosa    . 

Non  splende  di  tua  grazia  il  dolce  raggio: 

Succeda  ancor  più  lieto  il  maggio  al  maggio, 

E  tutta  ella  s'  asperga 

Della  rugiada  tua  pura  e, celeste, 

£  si  dispieghi  ed  erga 

Senza  timor,  di  tuoni  o  di  tempeste. 

Deh ,  se  ti  mbsser  mai  pregliiere  oneste , 

Se  lagrime  non  false. 

Se  dell'onor  d'Italia  unqua  ti  oiilse. 

Nasca  il  figliuol  ch'io  braino. 

Quasi  in  vetusta  pianta  il  novo  Iramo! 
«Nasca  a  Fernando  Cosmo;  indi  la  chioma 

Colla  corona  del  sno  Antico  adorni 

Ne'  suoi  perfetti  giorni,     . 

E  trionfante  il  veggìa  Italia  e  Roma; 

Veggia  di  novp  il  Vaticano  e  '1  T?bro 


4^o  RIME  EROICHE 

lyàtj  cTostrOy  cf  anni  altera  e  sacra  pompa^ 

Me  fortuna  interrompa 

La  gloria  che  sperata  ornai  celebro. 

Ma.  porti  invidia  alTAmo  Anfrìso  ed  Elbro.  » 

Cosi  Toscana  disse; 

E'I  Re  del  del  tonò  con  chiarì  lampi, 

£  stelle  erranti  e  fisse 

Volse  benigno  in  più  sublimi  campì. 

Or  tutta  daliegresza  avvien  ch^  avvampi 

Fiorenza  y  e  par  imago  « 

Dell^  ampio  ciel  che  più  di  lumi  è  vagoj 

E  dell'alta  speranza 

Parie  s'adempiei  e  parte  ancor  n'avanza. 
Così  d'animo  agguagli  il  re  di  Fella , 

D'anni  pareggi  e  di  fortuna  Augusto ^ 

E  di  giustizia  il  giusto 

Ch'oltre  all'Istro  domò  gente  rubellai 

E  quanti  mai  Cesari  invitti  e  Regi 

L^gi  diero  alla  guerra,  arme  alla  pace, 

Vincendo  o  Mauro  o  Trace  ^ 

E  quanti  fur  mai  peregrini  egregi: 

Cosi  degli  avi  suoi  rinnovi  i  pregi , 

£  sovra  orridi  monti 

Spoglie  innalzi  e  trofei;  colonne  ed  archi 

Porti  sull'acque,  e  ponti , 

Onde  l'amica  terra  e  '1  mar  si  varchi; 

Cosi  di  varie  prede  adomi  e  carchi 

Da'  barbarici  regni 

Vengan  a'  lidi  Toschi  i  Toschi  legni; 

E  fortuna  seconda 

Spieghi  l'insegne  sue  di  sponda  in  sponda. 
Appena  ella  fermando  i  passi  erranti 

Sovra  le  sfere  del  celeste  regno 

Avria  maggior  sostegno/ 


\ 


RIME  EROICHE  4it 

Né  d'altro  in  terra  più  si  glorìi  e  vanti ^ 
E;  benché  pnr  si  cangi  e  vaiìi  e  volga 
£  ingiuriosa  faccia  alte  contese^ 
In  magnanime  imprese 
Non  fia  ch^al  mìo  signor  la  gloria  tolga. 
Virtù  par  chMl  fanciullo  in  seno  accolga, 
Qual  celeste  nutrice, 
£  (F ambrosia  divina  ancor  F instille, 
Acciò  che  men  felice 
Fosse  Romolo  invitto  p  1  fero  Achille  ; 
£  se  lassù  di  raggi  e  di  scintille 
Splende  il  Centauro  e  d^  armi , 
£  qui  r antica  fera  in  bianchi  marmi, 
Virtù  ira  noi  si  cole, 
£d  imagine  e  tempio  ha  sopra  il  Sole. 
Cerca  tra  fonti  e  selve  e  statue  e  logge, 
Canzon ,  la  real  cuna , 
E  di^  :  Senza  favor  d^  altra  fortuna , 
Fra  mille  arti  leggiadre , 
Virtù  m^  affida  e  cortesìa  del  padre. 


CANZONE  VE 

In  tode  di  Mantova  e  della  successione  de*  suài 
principi^  e  partìcolannenle  della  Casa  Gonzaga. 

Qual  de'  tuoi  duci  o  de^  tuoi  fatti  illustri, 
Città  felice  dell'antica  Manto, 
Gloria  maggiore  o  vanto  • 

T'accrebbe,  o  pur  ti  fece  il  grembo  adorno? 
O  quel,  ch'in  ampio  sen  d'onde  palustri 
Tu  raccogliesti  net  materno  esigho, 
Figlio  di  Manto,  e  figlio 


4^^  RIME  EROICHE 

Del  Tosco  fiume,  quando  a  te  J intorno^ 
Facendo  con  Apollo  Astréa  soggiorno, 
Sorger  le  nuove  mura  in  mezzo  alF  acque 
Vedesti,  e  tutte  alla  superba  mole 
Meravigliar  le  Ninfe  e*i  Dei  selvaggi, 
E  partir  F  ombre  oscure  e  i  caldi  raggi 
Con  giusta  lance  più  sereno  il  Sole? 
O  pur  quel  di  fu  a  te  più  caro  e  piacque. 
Quando  Virgilio  nacqpe,  ^ 
Ch'ebbe,  dov'odi  anpor  la  chiara  tromba, 
Famosa  cuna  appo  famosa  tomba? 
O  pur  quando  a  Tedaldo  il  sacro  Augusto 
Del  paterno  valore  il  premio  diede  ^ 
E  tu  di  tanta  fede 

La  mercè  fosti,  anzi  Fonor  più  demo? 
O  quando  al  giusto  padre  ancor  più  giusto 
Successe  il  figlio,  e,  come  luciJonda 
Dal  fonte  in  fiume  inonda, 
'   Derivò  in  lui  virtù  d' almv  e  d' ingegno  ? 
Ovver  più  lieta  di  femmineo  regno 
Eri  talor  quando  la  tiobil  donna 
E  vincitrice  fu  d'empio  contrasto, 
E  diede  aitimi  sì  gloriosi  esempj, 
Sacrando  in  varie  parti  altari  e  tempj, 
E  '1  cor  più  d'ogm  tempio  e  puro  e  casto, 
Qi;iasi  fosse  d^l  cielo  alta  colonna  ? 
Ch'in  ogni  cbr  s'indonna 
Amor  del  giusto ,  e  'n  onorata  impresa 
S'obblìa,  per  nova  grazia,  antica  offesa. 
O  ouando  t' assalì  d' intomo  e  cinse 
Ezzelino,  il  feroce  empio  tiranno. 
Nel  glorioso  afianno 
Fosti  più  lieta  del  sonoro  grido? 
Perch'  m vitto  guerrìer  che  tutto  vinse 


RIME  EROICHE  .  4a3 

Con  quella  man  eh* era  assai  pronta  a^  carmi; 

Ma  vìa  più  forte  alT  armi ,  •  t 

Lo  scaccjò  dal  tuo  verde  ombroso  lido^ 

Pur  come  di  virtù  nemico  infido , 

E  spesso  ruppe  le  sue  sclyere  e  sparse. 

Ower  di  fama  più  onorata  i  fregi 

Avesti  allor  chMn  periglioso  campo  ^ 

Via  più  veloce  che  fulmineo  lampo 

(  Tacio  r  altre  sue  spoglie  e  i  cari  pregi  )  ^ 

Vincitore  in  un  di  tre  volte  apparse? 

O  per  lagrime  sparse 

A  Finamente  9  alTumil  plebe  amico , 

Rimembri  con  diletto  il  duolo  antico? 

O  quando  9  vinto  pria  Manfredi  in  guerra  ^ 
Contaminato  del  paterno  oltraggio  ^ 
Col  re  possente  e  saggio 
Guido  lece  d^onor  più  raro  acquisto 
Là  Ve  di  sangue^  Finfelice  terra 
Ondeggiava,  e  tra  spoglie  ed  armi  sparte 
Orribil  Morte  e  Marte 
Corfean  con  volto  lagrimQso  e  tristoì 
O  quando  il  vecchio  figlio ,  a  tempo  avvisto , 
Macchia  non  volse  onde«ronor  s* asperga, 
Ma  'n  sé  dolente,  e  'ncontra  Amor  severo, 
DMngiusto  scorno  in  quelT  ingiusto  sangue 
Lavar  si  volle ,  e  feM  tiranno  esangue  ? 
Eli,  come  degno  sol  di  giusto  impero, 
Insegnò  altrui  come  f  onor  si  terga, 
Come  8^ innalzi  ed  erga. 
Come  più  bel ,  dopo  V  ingiurie ,  ei  splenda , 
Ed  oppressa  virtù  più  forte  ascenda. 

Tu  ricca  d'avi,  jalma  città  famosa. 
Fosti  non  pur,  ma  fortunata  al  mondo j 
Di  nipoti  ei  feccmdo: 


4^  RmCE  EROICHE 

Anzi  accrebber  raa  gloria  e  qa^  e  questi, 
Ma  chi  nel  se»  delFalta  notte  ombrosa 
Ardisce  nmnerar  le  vaghe  stdle^ 
Opre  antiche  e  novelle 
Racconti  y  e  i  nomi  onde  ta  gloria  avesti , 
Perchè  sopita  grazia  ornai  si  desti 
D'antico  fatto,  e  1* fosco  obbho  noi  cx^ra 
Degl'ingrati  mortali ,  onde  sovente 
Del  passato  s^ oscura  alta  memoria^ 
E  parte  aspira  alla  moderna  gloria 
De*  novi  eroi ,  ch^  è  quasi  un  Sol  lucente , 
Lo  qual,  rotte  le  nubi,  i  raggi  scopra. 
Ben  fu  mirabil  opra, 
Perchè  le  sue  non  vanti  Asia  od  Egitto^ 
Fare  invitta  magone  a  duce  invitto. 
Di  barbariche  genti  alta  possanza 

n  varco  in  te  non  tenta,  e  non  Paperse; 
E,  qual  Porsenna,  o  Serae 
^  Che  fece  oltraggio  al  mar  di  novo  ponte, 
Attila  parte ,  e  quel  eh'  orni  empio  avanza  ^ 
E  Federigo  al  fte  del  ciel  rubeUo: 
Ma  lieto  onore  e  bdlo, 
E  nobii  pompa,  «  senza  oltraggi  ed  onte. 
Duo  grandi  Augusti  in  coronata  fronte, 
Pria  Sigismondo  e  poscia  Carlo  accolse: 
Quegli  a  Francesco  onore  accrebbe  e  grado, 
£  r  aquile  e  .la  croce ,  altero  e  grande 
Dono ,  cui  la  sua  stirpe  innalza  e  spande  ; 
Questi  al  figliuol  di  lui,  che  *i  fosco  guado 
Fece  sanguigno  allor  ch^al  ciel  le  sciolse. 
Onde  Franaa  si  dolse. 
Cosi  trionfi  di  fortuna  incerta , 
Chiusa  alla  guerra,  e  solo  in  pace  aperta. 
Così:  la  gloria  deir  invitto  padre 


RIME  EROICHE  4^5 

Accresce  il  figlio^  e  palme  aggiunge  a  palme ^ 
Le  città  pr^ide  e  Y  alme  ; 
là  altro  figliuol  la  terra  e  V  onde  varca , 
E  segue  Carlo,  e  tra  T addite  squadre 
Primo  chiede  i  perigli  y  i  premj  estremo  : 
Alfin^  duce  supremo, 
•Era  secondo  a  chi  sedea  monarca, 
Quando  il  filo  troncò  F  invida  Parca. 
Cosi  Guglidmo  al  ciel  F  erede  Ha  scorto, 
D^  altre  città  sicnor,*  eh* affrena  e  regge, 
£  la  gloria  degli  avi  in  lor  rinnova  ; 
E  r  uno  i  greci  Augusti  j  e  V  altro  a  prova 
Orna  i  romani,  i  quai  diero  arme  e  ieggje-y 
E,  mentre  sogeìogàr  F  occaso  e  F  orto , 
Qui  Yirtute  eUìe  il  porto, 
La  Fede  Olimpo,  Febo  altro  Parnaso ^  s 

Ed  altro  Sol  che  non  conosce  occaso. 
Qui  Fauro  e  '1  lauro  il  mio  signor  corona  ^ 
Né  d'altrui  fosti  mai  più  altera  o  lieta, 
Né  man  più  giusta  il  freno  allenta  o  stringe, 
O  più  cortese  a  clii  sMnchìna  umile, 
Né  più  dotta  alla  spada  e  'n  dolce  stile: 
E  te  di  vero  amor  circonda  e  cinge 
Muro  sublime  più  di  Pindo  e  d^Eta; 
Né  la  tua  fé  s^ acqueta,  • 
Benché  fili  forte  e  di  sicura  possa , 
E  sovra  Olimpo  é  minor  Petia^  ed  Ossa. 


4i6  RIME  EROICHE 


CANZONE   Vffl. 

Celebra  la  sig.  D.  Eleonora  de'  Medici  Gonzaga, 
principessa  di  Mantova. 

Quando  ritardo  a^  miei  peiuieri  il  cono,  • 
Donna  dMmperìo  degna  ;  i  vostri  pi^ 
Tesser  volendo  e  1  nbme  vostro  in  rime. 
Veggio  farmisi  innanzi ^  al  primo  occorso^ 
Invitto  duce  e  cavalieri  egregi: 
Perch'  io  portar  di  Pindo  ali  alte  cime 
Tema,  id  suon  più  sublime, 
Spoglie ,  palme ,  trofei ,  X  insegne  e  F  armi 
£  U  lucia  ostro  e  le  corone  io  veggio 
£  '1  sacro  manto  e  1  seggio; 
£,  perchè  d'ogni  ardire  io  mi  disarmi, 
Mute  quasi  le  cetre  e  bassi  i  canni. 

Talché  dico  fra  me  :  Chi  poggia  or  tanto , 
Quanto  la  fama  lor  s'innalza  e  spande? 
Qual  mai  virtù  me'  vinse  in  casi  avversi? 
Questa  è  materia  da  stancar  nel  canto 
Febo  e  Parnaso,  ove,  in  stil  chiaro  e  grande, 
Di  gloriosa  laude  •ordisca  i  versi. 
Merti  così  diversi, 

O  più  raro  valor,  più  demi  esempi, 
Italia  non  mirò,  da  poi  ch'atterra 
Vide  il  suo  imperio  m  euerra. 
Benché  rammenti  pur  gu  antichi  tempi; 
£  quasi  gli  alzerebbe  aitar»  e  tempi. 

Così  pensando,  i  miei  desiri  intenti 

Stanchi  già  sonò  aim  eh'  io  parli  o  scriva  ; 
Ma  cortesia  deh  I  non  mi  prenda  a  scherno , 


I^IIME  EROICHE  427 

E  gradisca  il  silenzio,  o  i  gravi  accenti, 

O  '1  *puro  affetto  oncT  il  parlar  deriva. 

Né  già  men  bel  dello  splendore  intemo 

È  quel  chMn  voi  discemo 

Di  fuor,  perle,  rubini,  avorio  ed  oro,  . 

E  rose  sparte  in  bianca  e  viva  neve, 

E  .'n  dolce  spazio  e  breve , 

Di  natura  e  d^Amor  gloria  e  tesoro: 

Ma  chi  dipinge  quel  eh'  io  dentro  onoro  ? 

Quai  saranno  i  colori  e  F  ombre  e  i  lumi, 
Onde  possa  ritrar  leggiadro  stile 
Quelle,  virtù  di  cui  già  sete  adorna  7 
O  pietra,  in  cui  scolpire  alti  costumi 
Alcun  possa  talor  d^alma  gentile? 
O  penna  che  descrive,  e  poi  distoma 
Quel  che  man  dotta  adorna, 
£  'n  varie  guise  pur  colora  e  parte? 
Ben  si  potrian,  lodar  (  non  forse  appieno  ) 
Gli  occhi  e  '1  volto  sereno  ;« 
Ma ,  in  descriver  di  voi  V  in  tema  parte  , 
Vinti  sarìan  gF ingegni,  e  vinta  Parte. 

E  come  in  ciel  veggiam  la  bianca  luna, 
0  chi  vicino  a  lei  si  volge  errante , 
O,  più  loptan.  Marte,  Saturno  e  Giove, 
Ma  contar  non  possiam,  qualor  imbrana-, 
Deir immagini  sue,  che  son  cotante. 
Ogni  stella  che  tarda  o  presta  move; 
Tal  neUa  mente ,  o  dove 
L'alma  del  suo  splendor  sMUustra  e  splende, 
Lucenti  raggi  il  mio  pensiero  adombra, 
Quasi  per  nube  ed  ombra; 
Ma  de'  vostri  alti  doni  a  pena  intende 
La  minor  parte,  e  se  n'abbaglia  e  accende. 

Ed  a  quelli  ch'ei  scorge^  il  dir  non  basta 


4i8  RIME  EROICHE 

Di  fingna  che  A  sciolga  in  pigre  ▼oc!  ; 
Però  nelTalina  il  meguo  ascondo  e  celo. 
Portino  il  vostro  nome,  o  bella ^  o  casta ^ 
Mille  cigni  canori  e  piò  veloci 
Dal  Mincio  alPAmo,  anzi  dalFAmo  al  cielo  ^ 
Mentre  con  paro  zelo 
^  Vergo  statua  nel  cor  quasi  o  colonna. 
Bella  è  la  chiara  ed  onorata  fama 
Dove  gloria  più  s'amaj 
Ma  più  bella  virtù  d^eccdsa  donna 
Ch'  m  cima  siede  ^  e  del  suo  cor  s**  indonna. 
Gmzon,  perchè  alto  sorga^ 

E  sii  nelle  sue  lodi  adoma  e  Ueta, 
Ella  tocca  ffonor  più  nobil  meta. 


CANZONE  IX. 

Per  la  nasdia  del  primogenito  di  D,  ^incenso  Gonzaga 

prìncipe  di  Mantova. 

Celeste  Musa,  or  che  dal  ciel  discende 
Nova  progenie  in  terra , 
E  pace  han  di  lor  guerra 
L'aria  e  Tonde  tranquille,  e  cheto  è  il  vento, 
Prendi  la  cetra  ;  é  dov'  inchina  ed  erra 
n  Sol  per  via  distorta,  e  dove  ascende, 
L'alto  suon,  che  s'attende. 
Spargi,  e  delle  sue  lodi  alto  concento, 
Qual  di  corso  lassù  veloce  o  lento; 
Perchè  il  vecchio  Saturno,  e  '1  padre  e  '1  figlio 
Che  '1  sospinse  in  esiglio, 
E  tanti  lor  nipoti ,  ond^  è  ripieno 
Mar,  terra  e  ciel  sereno, 


V    ' 


RIME  EROICHE  429 

Meu  chiai-o  esempio^  danno ,  ove  si  vanti 

L^  antica  età  di  mostri  e  di  giganth 
Qui  non  vedesti  guerre  inteme  o  sdegni^ 

Non  discordie  e  furori^ 

Non  favolosi  amori , 

Che  quasi  han  fatto  vergognar  le  carte  *^ 

Ma  verdeggiar  le  palme  e  i  sacri  allori^ 

Tra  r  alme  tnon&ii  e  i  ciliari  jiugegni^ 

Via  più  che  'n  mille  regni, 

Come  sol  vide  il  buon  popol  fli  Marte, 

Ed  ornar  la  natura  a  prova  è  l'arte 

Cittate  antica  e  mansueto  impero 

D'invitto  cavaliero 

Che  d'elmo  rìcopria  canuta  chioma, 

Qual  Qqcinnato  in  Roma: 

Poi  di  tre  guerre,  e  saggio  e  forte  e  giusto  ; 

A  prova  trionfò  col  grande  Augusto. 
.   Di  questo  nobil  seme  e  di  celeste 

Principio  al  mondo  nacque 

Qui  sovra  lucid*  acque 

11  Gglio  ed  altri  eroi  famosi  in  armi, 

I  cui  pregi  la  fama  allor  non  tacque , 

Anzi  Tali  spiegò  veloci  e  preste. 

Ricordar  ven  dovreste 

Voi  che  date  gran  pregio  agli  alti  carmi, 

Talché  l'hanno  minor  metaUi  e  marmi 3 

E,  più  dell'alti^,  lu  che  cerchi  intorno 

U  ciel  di  lumi  adomo. 

Onde  scendon  fra  noi  dall'auree  stette 

L'alme  leggiadre  e  belle,   • 

Onde  questa  volò  con  auree  piume*, 

Ch'or  apre  gli  occhi  vaghi  al  novo  lume. 
Mentr'ella  giù  venia  di  sfera  in  sfera 

Ne'  sereni  Viaggi, 


43o  RIME  EROICHE 

Tra  cerchi  e  lumi  e  Vaggi , 

E  tra  forme  lucenti  e  segni  etemi 

DL  fere  che  non  fanno  air  alme  oltraggi^ 

Perchè  la  gente ,  oltra  ragione  altera^ 

Qua  giù  languisca  e  pera 

£  vegeia  rinnovar  gli  orridi  verni, 

Tutti  romaro  a  prova;  e  qu(^^  superni 

Regni  lasciando  e  gli  alti  seggi  a  tergo, 

Qual  natio  caro  albergo  , 

Ella  parea  portar  diletto  e  pace , 

E  ciò  che  gì  va  e  piace; 

E  lieta  le  spargea  di  fiori  1  grembo 

La  terra ,  sparsa  d^  un  celeste  nembo. 

E  '1  Mincio  fé*  pafer  chiarì  cristalli 
E  puro  argento  Tonde; 
£  nell'antiche  sponde 
Di  smeraldo  parean  le  foglie  e  Ferbe; 
E  gemme  in  sulle  rive  e  *'n  fra  le  fronde 
I  fiorì  somigliar  vermigli  e  gialli; 
E  fiorìr  prati  e  valli  ; 
E  le  piante  mostraro  alte  e  superbe 
Fiorìta  vista  di  bellezze  acerbe; 
E  le  gregge,  pascendo,  assai  più  bello 
Fecero  e  chiaro  il  vello; 
E  Taure  mormorar  con  dolci  spirti 
Tra  pini  e  faggi  «  mirti; 
E  risonò  di  cigni  il  dolce-  canto , 
E  tre  volte  s^udì:  Felice  Manto! 

E  le  voci  sonora  e  lieta  imago 
Replicava  tre  volte; 
E,  perchè  ogn'uom  F ascolte. 
Tre  volte  le  portò  la  Fama  a  volo 
Per  F abitate  parti  e  per  F incolte: 
Ed  io,  quasi  presago,  * 


EIME  EROICHE  43i 

Sovra  il  suo  puro  lago 

L' intesi ,  onde  leniprai  V  intemo  duolo. 

Signor,  che  questo  reggi  e  F altro  polo, 

Tal  ch'uà  tuo  picciol  cenno  al  ciel  profondo 

È  Itgge,  e  legge  al  mondo, 

Conferma  le  speranze  e  i  detti  Bostri 

Dagli  stellanti  chiostri; 

E  se  nube  lontana  il  ciel  adombra, 

La  scacci  la  virtù  che  '1  mal  disgombra: 

Onde  cresca  il  fanciullo ,  e  'n  lui  rìsplenda  , 
Pur  come  raggio  o  luce, 
Del  padre  e  d' alto  duce 
E  di  tanti  avi  suoi  la  fama  illustre: 
E  se  vera  virtute  al  ciel  conduce , 
Né  fortiSna  né  fato  invan  contenda, 
£i  glorioso  ascenda 

Colle  sue  membra,  e  s^ni  il  suol  palustre  ' 
D^alti  vestigi  il  suo  valor  trilustre  ; 
E  tra  r  arti  di  pace  ancor  s' avanzi , 
Anzi  tra  V  arme ,  ed  anzi 
Tra  gli  aurd  scettri:  alfia  d^  Olimpo  in  cima^ 
Ove  la  fede  é  prima. 
Poggi  alla  gloria,  e  con  serena  fronte 
Fiammeggi  armato  in  quel  famoso  monte. 

Tu  giacer  il  vedrai,  canzone,  in  fasce, 
E  l'aquile,  sostegno  all'aurea  cuna, 
Segni  d'alta  fortuna, 

Quasi  voglian  portarlo  in  grembo  a  Giove. 
Pur,  meutre  ancor  non  move, 
Se  l' ali  il  sonno  od  altro  afirena  o  lega , 
Tu  veloce  e  leggiera  al  del  le  spiega. 


43a  RIME  EROICHE 


CANZONE  X. 


Nella  conmamone  di  D.  Vincemo  Gama^ 
duca  di  Mantova. 


Blusa,  discendi  ornai  dal  verde  monte 

Sul  chiaro  Mincio,  e  cingi  il  crìu  di  lauro. 

Mentre  il  corona  d^auro 

Quel  che  le  fronde  tue  non  ebbe  a  ad^no } 

Spargi  sue  lodi  ancor  dairindo  al  Mauro, 

Quasi  gran  fiume  dal  tuo  puro  fonte, 

E  dell^  altera  fronte 

D  novo  onore  illustra  e  U  chiaro  ingegno, 

Che  di  loco  senile  il  fa  più  degno. 

L*una  corona  or  prendi,  &  T  altra  or  canta. 

Cui  non  crollò  fortuna,  e  non  impose 

Con  mani  ingiuriose,  • 

Ma  natura  e  virtù  che  si  F ammanta, 

Fatta  matura  in  sulP etate  acerba, 

E  lieta  in  tanta  gloria  ,  e  non  superba. 

izi  molte  virtù  Fhan  fatto  adorno: 

Quella  che  lunge  vede  e  ^n  alto  intende, 

E  chi  tutti  difende 

E  più  riluce  d^  amorosa  stella , 

Se  vaghi  raggi  innanzi  ì  Sole  accende, 

O  da  poi  ch^è  sparito  al  cielo  il  giorno; 

E  stanno  a  lei  d  intorno 

Fortezza ,  e  ciascun^  altra  onde  sì  svelle 

O  tronchi  voglia  alla  ragion  nibella , 

E  non  pajon  ristesse,  e  non  diverse 

Nel  loro  abito  eletto  e  ne^  sembianti  ;  • 

Pur,  come  stelle  erranti. 


RIME  EROICHE  433 

1!  una  vèr  V  altra  con  amor  converse  ; 
Queste  corona  danno  e  chiara  palma  ^ 
Anzi  corona  son  di  gloria  all'alma. 

Di  queste  ella  si  cinge  ^  e  vibra  i  raggi  ^ 
Più  che  lucide  gemme  in  Oriente, 
Del  suo  splendor  lucente} 

^    Per  queste  antica  fama  ancor  s' avanza , 
E  vola  incontra  il  Sol  dall'Occidente^ 
Ed  oltra  i  suoi  ritomi  e  i  suoi  viaggi  j 
Con  queste  i  forti  e  i  saggi 
Agguaglia,  e,  per  natura  e  per  usanza, 
Ogni  stato,  ogni  sf(H*zo,  ogni  possanza. 
Taccia  intanto  Fortuna  ostro  e  diadema 
D'Assiri  e  Medi  e  dell'imperio  afflitto, 
E  di  Persia  e  d'Egitto 
Estrania  pompa,  o  d'altra  gente  estrema 
Arme  ed  insegne  prese  in  breve  guerra , 
Scettri  e  seggi  calcati  e  sparsi  a  terra. 

Perchè  la  gloriosa  e  nobil  sede. 
Che  Luigi  innalzò,  fera  tempesta 
Di  fortuna  molesta 

Non  turba  già  tant'anni  e  non  la  move; 
E,  incoronando  l'onorata  testa. 
Questo  suo  novo  successor  possiede 
Ciò  eh'  a  lui  si  concede , 
Come  sia  grave  salma,  ond'ei  linnove 
L'antiche  glorie,  e  cresca  ancor  le  nove. 
Ornai  la  dotta  penna  e  '1  dolce  earme 
Erano  scarse  lodi  e  scarsi  onori , 
Né  bastavan  amori , 

E  '1  frenare  i  cavalh ,  e  '1  mover  l' arme  j 
Tanto  il  senno  viiicea  l' etate  e  l'opre, 
E  tesoro  ei  parea,  se  terra  il  copre. 

Or  ha  ben  largo  campo  in  cui  si  mostri 
Tasso,  FoL  IF.  a8 


434  BIME  EROICHE 

Fra  popoli  e  città  famose  e  liete  ^ 
£  'n  cui  le  regga  e  quetp^ 
O  pur  le  mova;  e  'n  cui  si  volga  e  stenda 
>    Più  che  'n  teatri  e  'n  cerchi  o  'ntomo  a  mete; 
E  'n  cui  seco  talor  contenda  e  giostri^ 
Né  per  gli  affetti  nostri 
Si  turbi,  o  men  sereno  altrui  risplenda ^ 
Ma  quasi  Olimpo  in  verso  il  cielo  ascenda 
Sovra  le  nubi  (animo  tranquillo 
Dove  non  s^ode  mai  procella  o  pioggia^ 
Né  Borea  od  Austro  poggia  | 
E  dove  sua  natura  e  'i  cid  sortillo^ 
E  sotto  fremer  senta  e  sdegno  ed  ira^ 
Qual  tuono  o  nembo  che  trascorre  e  gira. 
Il  mio  signor,  nel  chiaro  alto  sereno 
Che  nulla  passìon  maligna  adombra, 
Con  pura  mente  e  sgombra 
Gode  in  sé  stesso  di  perpetua  pace, 
E  fuori  la  conserva;  e  sotto  T  ombra 
Di  sacre  penne  lieto  é  il  bel  terreno 
A  cui  fiorisce  in  seno 
Tutto  quel  che  ne  giova  in  terra  o  piace. 
Con  amicizia  e  con  amor  verace. 
Virtù,  crescete  in  quest'età  feconda: 
Agli  alti  ingegni  è  largo  campo  aperto. 
Ha  favore  ogni  merto. 

L'industria  ha  loda,  e  de'  suoi  doni  abbonda: 
Arti,  sorgete,  e  poesia  risorga; 
Suoni  il  suo  nome  e  Tebro  e  Mincio  e  Sorga. 
Canzon,  dove  ne  vai,  rozza  ed  inerme, 

Fra  gemme  ed  ostro  ed  oro?  e  dove  accampi, 
Quasi  muta  alle  trombe,  e  cieca  a'  lampi? 


RIME  EROICHE  435 

CANZONE  XI. 


Al  sig.  Scipione  Gonzaga.  Loda  ì  marchesi 

della  sua  Casa. 


Qual  di  pianta  gentil  felice  verga 
Diviene  arbor  novella ,  e  verdi  fronde 
Di^iega  a  prova ,  e  fior  purpurei  e  biai^chi) 
Tal  la  tua  stirpe  avvien  ch^  innalzi  ed  erga 
Al  delo  i  rami^  ove  con  lucid^onde 
Bel  fiume  invita  i  peregrini  e  stanchi  : 
£^  perchè  nulla  manchi 
Di  vero  onore,  ornai  T  antica  agguaglia, 
£  sacra  palma  e  trionfale  alloro 
In  lei  s'innesta,  e  Foro 
Vi  riluce  coli' ostro,  e  gli  occhi  abbaglia  3 
Cantano  alTombra  i  cigni,  ed  ode  il  canto 
U  Tebro  e  Roma,  e  non  pur  Mincio  e  Manto. 

Par  che  mille  eccellenze  in  uno  accolga. 
Per  dar  materia  al  più  lodato  carme, 
Di  quante  il  Sol  n^ illustra  errando  in  giro; 
E  '1  leon  de'  Boemi  annidi,  e  tolga 
L'aquile  de'  Romani,  e  i  nomi  e  Tarme, 
E  quell'  arti  ond'  i  Greci  ancor  fiorirò  : 
Qual  Tessaglia  ed  Epiro 
Duo  Pini  esalta,  e  coli' invitta  Roma 
Yespasian,  eh' è  forte  e  largo  e  giusto, 
^on  sol  di  nome  Augusto; 
E  Giulio  dal  suo  antico  in  lei  si  noma; 
£  teco  a  prova  Scipio  oggi  risplende , 
Mentre  del  tuo  splendor  suo  lume  accende. 

E  '1  valor  di  Casliglia  ancor  risuona 
E  d'Aragon  fra'  merti  onde  Ferrante 


436  RIME  EROICHE 

Si  mostra ,  e  più  mostrossi  Alfonso  adorno. 

E  se  ^n  vece  di  scettro  e  di  corona 

È  la  real  virtù  d'alma  costante, 

Chi  più  n^ha  dentro,  o  più  ne  scopre  intomo? 

Ma  indietro  a  voi  ritomo, 

Luigi  e  Cario,  gloriosa  coppia. 

Ed  a'  Franchi,  a'  Germani  opporvi  ardisco, 

Qual  uom  che  fugge  rìsco, 

E  poi  sen  pente,  e  i  suoi  perìgli  addoppia; 

Perchè  se  'n  questo  arringo  a  terra  io  caggio, 

È  lode  la  caduta,  e  non  oltraggio. 
Ma  la  vostra  virtù,  chMn  parte  aggiunse 

Dove  fortuna  suol  poggiar  di  rado. 

Grand' onor  impetrò  d^ Augusti  e  regi; 

Né  quel  ch'Abita  e  Calpe  in  mar  disgiunse, 

O  di  Stige  tentò  l'oscuro  guado. 

Ebbe  di  fama  si  onorati  fi^gi  ; 

Né  Teseo  i  vostri  pregi 

Oscurar  può,  ma  la  sua  luce  appanna. 

Benché  Ippolita  splenda,  e  care  spoglie 

Abbia  dell'altra  moglie^ 

E  d' Elena  si  canti  e  d'Arianna; 

E  da  quegli  all'inferno  è  '1  calle  aperto. 

Al  ciel  da  voi,  ma  più  solingo  ed  erto. 
E  se  nascean  nell' affricana  terra 

Mille  giganti,  ove  l'un  cadde  esangue, 

Tutti  cadeano,  e  si  partia  la  gloria; 

Ancor  domi  i  Centauri  in  breve  guerra 

Avreste  insieme,  e  l'idra  e  '1  toro  e  l'angue. 

Di  Sciron,  di  Procuste  alta  vittoria. 

Ma  di  più  vera  istoria 

Fur  soggetto  il  valore  e  i  merti  vostri, 

Che  sotto  un  giusto  re  nasceste  a  tempo, 

£  'n  più  felice  tempo 


RIME  EROICHE  43? 

Che  non  fu  di  giganti  e  d^empj  mostri  ^ 
Né  dì  si  gravi  colpe  ancor  fecondo^ 
Né  maggior  meraviglia  apparve  al  mondo. 
Ganzon^  comete  e  fiamme 

Ed  altri  il  ciel  mostrò  turbati  segni, 
E  d  archi  e  di  corone  ei  si  dipinse  ; 
E  poi  tosto  r  estinse  ] 
'  Ma  questa  luce  apparsa  a  tanti  regni  y 
Questo  splendor  di  cavalieri  e  d'opre. 
Ancor  per  gloria  sua  rivela  e  scopre. 


CANZONE  Xn. 

Nella   malattia   del  duca  Alfonso   II  e  d^  j 
Descrii^e   il   lutto   di  Ferrara ,   e   invoca  la  Dea 
deUa  sanità. 

Chi  vide  il  Sol  lucente  e  puro  il  giorno , 
E  Paria  senza  nubi  e  chiare  l'onde, 
£  spirar  Faure  e  i  più  sereni  venti, 
E  poi  d'orrido  vel  coprirsi  intomo 
II  ciel  oscuro  e  '1  mar  eh'  all'  alte  sponde 
Si  frange,  e  tra  le  nubi  i  lampi  ardenti, 
E  tempesta  cnidel,....  pensi  e  rammenti 
L' immagine  turbata  ,  e  F  assomigli 
Al  già  si  lieto  albergo,  ed  or  si  mesto, 
Che  par  quasi  funesto , 
Là  dove  or  langue  il  buon  Alfonso  e  i  figli: 
Cosi ,  Fortuna ,  lor  turbi  e  scompigli  ! 

Quai  cerchiam  di  natura  infermi  e  frali 
Più  chiarì  esempi,  e  'ncontro  acerba  morte 
Chi  n'  assicura  e  ne  difende  in  terra  7 
Tanti  guerrierì  suoi ,  quant'  aspri  mali , 


438  RIME  EROICHE 

Tant^  arme  son ,  quanti  dolori  :  il  forte 

E  r  saggio  cavalier  temuto  in  guerra, 

Cui  né  di  grave  lancia  incontro  atterra^ 

Né  spada  mossa  da  possente  braccio, 

Aneli  egli  giace  e  langue  ! . . .  Or  che  far  ponno^ 

Vigor  perduto  e  sonno , 

Egre  donne  e  fanciulli?  i  servi  io  taccio , 

Che  sono  or  quasi  fiamma,  or  quasi  ghiaccio. 

Ond^liscir  tanti  mali,  e  di  qual  parte 
Sen  volaro  a  turbar  la  festa  e  'i  gioco? 
£  senza  dipartirsi ,  oimé  !  vi  stanno  3 
E|  per  volger  antiche  e  nuove  carte, 
Medicina  o  rimedio  ancor  vai  poco, 
Onde  si  tempri  si  gravoso  affanno. 
Ahi  Ferrara  1  ahi  Ferrara  !  a  questo  danno, 
Perché  mostri  rea  sorte  anco  turbarse, 
Altro,  se  dritto  estimo,  egual  non  fora. 
Leggesti  di  Pandora, 
Che  già  di  tutti  i  doni  adoma  apparse; 
Ma  questa  ha  più  le  stelle  avare  e  scarse. 

Scopria  di  vaga  donna  il  ricco  vaso 
Ardita  mano,  e  parte  a  schiera  a  sdùera 
Repente  i  mali  uscian,  pur  come  alati, 
E,  dall'Orto  giungendo  infin  F Occaso, 
Tutto  quello  ond'uom  giaccia  af&itto  o  pera. 
Fra'  miseri  mortali  a  morir  nati, 
Spargeasi  al  sommo,  all'imo,  a  mezzo,  a'  lati: 
Sol  la  Speranza  ivi  rimase  al  fondo , 
Che  volar  non  potè,  rinchiusa  Fuma. 
Or  bella  mano  eburna 
Serra  la  nostra  speme,  e  '1  grave  pondo 
Sopra  v'  impone  :  e  che  n'  aspetta  il  mondo  ? 

O  Dea,  tu  che  discacci  i  mali,  e  lunge 
Li  mandi,  tu  in  lor  volgi  il  dolce  sguardo, 


RIME  EROICHE  439 

Rasserenando  il  verno  e  la  tempesta^ 
Se  giusto  prego  insino  al  cielo  aggiunge. 
Deh  !  movi  ornai ,  ch^  ogni  altr^  a juto  è  tardo  : 
E  se  teco  or  ne  vien  pietate  ^  e  resta  ^ 
Né  giammai  senza  te  si  trova  o  desta , 
Non  consentir  ch^  estingua  morte  avara 
Onestate  e  valor  ^  bellezza  e  senno  ^ 
Ch^alto  lume  già  fenno^ 
Ma  le  tenebre  nostre  aprì  e  rischiara, 
Che  così  d^  adorarti  il  mondo  impara. 
Deh!  qual  novo  pittor  t'adorna,  o  Diva, 
Un  tempio  in  questa  riva? 
Chi  l'immagin  con  note  erge  e  sospende. 
Mentre  dal  Cielo  il  tuo  favor  s*  attende  7 


CANZONE  Xin. 

In  lode  di  D.  Matteo  di  Capua^  prìncipe  di  Conca  f 

e  della  sua  Casa. 

Spirto  gentH,  ch'i  più  lodati  esempj 
Segui  d'alto  valor  che  forte  o  giusto 
Affrìcano  od  Augusto 

Lasciasse  al  mondo,  od  altro  invitto  ducej 
Quel  tuo  maggior,  ch'adorni  i  sacri  tempj 
Fé'  di  novi  sepolcri,  e  'a  bianchi  marmi 
Spiegò  l'insegne  e  l'armi, 
E  giunse  a'  chiari  nomi  e  fama  e  luce, 
Segnò  quel  calle  ove  pietà  conduce: 
Tu ,  da  lei  scorto  ,  al  tenebroso  inferno 
Od  a'  felici  campi 

Per  favolose  vie  non  movi  il  passo , 
Ma  poggi  al  tempio  dell'onore  eterno, 


44o  RIME  EROICHE 

Del  cai  ardente  desio  nelPalma  avvampi  ^ 
Perchè  gloria  più  salda  in  lei  si  stampi^ 
Ch'in  bel  raelallo  o  'n  sasso, 
Ed  abbia  gli  anni  in  terra  e  1  tempo  a  scherno, 
Come  han  Talme  lassò  Stige  ed  Avemo. 
E,  mentre  d'Ademaro  in  ciel  risplende 
L'ardente  spirto  più  ch'in  lucid' ostri, 
E  gli  stellanti  chiostri 
Tutti  della  sua  luce  orna  e  rischiara, 
Qui  la  sua  fama  antica  il  volo  stende 
Oltre  '1  corso  del  Sol  che  '1  dì  riporta 
Per  via  lunga  e  distorta, 
E  innanzi  a  lui  bella  si  scorge  e  chiara^ 
E  gli  altri,  ch'ascondea  la  terra  avara 
Là  've  perpetua  e  cieca  notte  adombra 
Il  suo  profondo  seno , 
Sono,  la  tua  mercè,  famosi  e  conti. 
Ma  dell' antichith  la  nube  e  F  ombra 
Sparisce,  come  a'  raggi  in  bel  sereno 
debbia,  compressa  d'atro  umor  terreno. 
Chi  fia  che  lor  racconti. 
Se  folta  selva,  quando  il  gel  si  sgombra. 
Di  tante  frondi  non  s'adorna  e  'ngombra? 
Felice  stirpe,  otide  il  più  nobil  regno 

Ch'il  nostro  mare  inondi  o  1  sole  illustri^ 

In  gran  girar  di  lustri 

Si  gloria  (  oh  gran  favor  di  stelle  amiche  !  )  y 

E  perchè  quattro  volte  il  fero  sdegno 

D'aspra  fortuna  abbia  gittato  a  terra, 

Con  perigliosa  guerra. 

Tante  corone  de'  suoi  regi  antiche. 

Movendo  l'arme  al  sommo  onor  nemiche ^ 

E  svelti  i  tronchi:  da  radice  a  forza, 

Quest'anco  innalza,  e  spande 


RIME  E^^OICHE  441 

La  nobil  chioma ,  e  cento  rami  e  cento, 
Ch'empia  tempesta  non  la  crolla  o  sforza , 
Bench'ella  sorga  pur  fiorita  e  grande , 
E  si  faccia  d^onor  sacre  ghirlande; 
Senza  tema  e  spavento, 
E  di  sua  lode  adoma  in  verde  sdorza, 
Via  più  con  gli  anni  acquista  onorò  e  forza. 

E  quando  il  regno  aggiunse  al  grande  impero, 
£  quando  il  diede  al  successor  di  Carlo 
Chi  sol  pol^a  donarlo, 
Quasi  un  bel  premio  delF imprese  eccelse; 
E  poich'ai  fine  il  glorioso  Ibero 
D'Aragon  venne  folgorando,  e,  spinti 
I  suoi  nemici  e  vinti, 
Difese  lei  che  1  fece  erede  e  scélse, 
E  quanto  il  tenne ,  e  proprio  albergo  ei  felse 
Finché  successe  il  buon  nipote  al  figlio. 
Ella  si  stese  e  crebbe: 
Né  senza  quella  chiara  invitta  fede 
De'  tuoi  maggiori  in  pace,  o  'n  gran  perìglio 
D'  aspra  contesa ,  alcuno  a  regnar  ebbe  ; 
E  degno  grado  a  quel  valor  si  debbe, 
Sostegno  alPalta  sede, 
D' animo  ognor  costante  e  di  consiglio , 
E  per  guerra  e  per  morte  e  per  esigilo. 

Ma  co'  regi,  che  fati  avari  e  scarsi 

Ebber  sovente  in  guerra,  e  '1  regno  islesso 
Or  predato ,  or  oppresso ,  • 

E  da  giogo  crude!  talora  afHitto, 
Non  poteva  ella  insino  al  cielo  alzarsi. 
Né  fu  si  ampia  la  fortuna  o  '1  clima. 
Come  il  merto  si  stima  : 
Poi  ch'ai  gran  Carlo  ed  a  Filippo  invitto 
Non  ha  meta  o  confine  il  Ciel  prescritto 


44^  RIME  EROICHE 

In  barbarica  terra  o  'n  mar  profondo; 

Ma  la  giusta  possanza 

Trapassa  le  Colonne  ^  e  i  sacri  altari 

La  dona ,  ed  a  lei  sembra  angusto  il  mondo. 

Poche  ha  la  litirpe  tua  sembianti  o  pari 

Fra  rorìiJAlpe  e  i  duo  famosi  mari^ 

E  'n  te  sé  stessa  avanza, 

E  '1  primo  re  le  aspira  e  1  Gel  secondo 

A  sostener  di  gloria  antica  il  pondo. 

E  perchè  d^  ostro  altri  s*  adomi  e  d^  oro , 
È  scettro  imperioso  in  guerra  ei  porti: 
Altri  spesso  riporti; 

Vinto  il  nemico  in  campo ,  altera  pabna, 
E  cinga  il  crin  di  trionfale  alloro; 
Altri;  il  re  difendendo ,  a  morte  il  toglia; 
Porpora  sacra  e  spoglia 
E  prisca  fede  e  gloria  ardente  ed  alma 
Sono  a  te  cara  ed  onorata  salma  ^ 
Dagli  avi  imposta;  e  la  sostiene  e  regge 
E  'n  sé  stessa  T  aduna 
La  tua  virtù  che  non  vacilla  e  manca , 
Ma  di  seguir  tanto  valore  elegge , 
Con  più  destra  e  seconda  alta  fortuna , 
Sin  dalle  fasce  e  dalla  nobil  cuna; 
Né  mai  8^  allenta  o  stanca , 
E  quasi  a  sé  medesma  è  viva  l^ge. 
Mentre  i  popoli  tuoi  frena  e  corregge. 

Sigrlbr^  deh  mira!  come  Italia  e  Spagna ^ 
Le  più  belle  del  mondo  e  care  parti. 
Hanno  diffusi  e  sparti 
Gli  onori  e  Tarme  e  le  vittorie  intorno 
Dovunque  Y  Ocean  circonda  e  bagna , 
E  come  avvien  chMn  più  tranquilla  faccia 
In  lor  suo  albergo  faccia 


RIME  EROICHE  443 

Fortuna  e  Marte  d^  auree  spoglie  adomo , 
Né  più  stimi  del  mondo  altro  soggiorno. 
E  qual  nelTalto  Egeo  noccliiero  accorto 
Spande  ventosa  vela 

Quando  è  placida  Faura^  e  1  mar  s^  acqueta  ; 
£  1  ciel  rìsplende  dall^  Occaso  alFOrto^ 
Che  nulla  nube  a  mezzo  giorno  il  vela, 
Spiega  tu  cortesia ,  cli^  invan  si  cela  y 
A  gloii'osa  meta  9 

Sin  che,  nel  mar  gittando  il  ferro  attorto^ 
Lieto  alfin  prenda  il  più  felice  porto. 
Canzon  mia,  non  può  ingegno  o  stil  più  colto 
Darti  colori  e  lumi 
Si  varj  y  che  di  lor  tutta  rìsplenda  j 
Ma  quel  signor  c^ha  le  tue  Muse  accolto 
In  degno  albergo,  al  suo  splendor  t^ allumi: 
E  se  parer  più  bella  altrui  presumi  ^ 
Fa  ch*egU  in  grado  U  prenda , 
E  di':  Quel  ch'in  me  splende,  o  poco  o  molto, 
Raggio  è  suo.  solo,  e  '1  vero  in  luce  avvolto. 


CANZONE  XIV. 

Loda  la  nobiltà  e  il  valore  di  D,  Cario  Gesualdo  y 
principe  di  Venosa,  e  particolarmente  la  sua 
grande  eccellenza  nella  musica. 

Musa,  tu  che  dal  cielo  il  nome  prendi, 
E  corone  hai  lassù  di  stelle  e  d' oro , 
Non  sol  di  verde  alloro 
Cingi  in  Parnaso  la  serena  fronte, 
Da'  bei  giri  celesti  a  me  discendi 
Con  alta  lira  che  'n  mirabil  tempre 


444  AIME  CKOICHE 

Orni  9  suoni  e  contempre. 

Se  non  disdegni  il  seggio  ombroso^  e  1  monte^ 

E  '1  dolce  mormorar  del  chiaro  fonte, 

Qui  siedi,  e  spazia  tra'  bei  fiori  e  Terba 

Nella  stagione  acerba: 

Qui  da  cipressi  è  cinto  ombroso  chiostro^ 

E  di  palme  il  bel  colle  ancor  verdeggia. 

Lascia  teatro  o  reggia, 

Se  1  ciel  lasciasti,  e  d^auro  i  premj  e  d'ostro 

Ch^ altrui  promette  e  serba, 

Musa  mia,  non  severa  e  non  superba. 
E  meco  qui  tra  la  fontana  e  '1  verde 

Canta  del  novo  Carlo  i  nomi  e  i  pregi, 

E  i  suoi  famosi  regi, 

E  degP  invitti  eroi  la  stirpe  antica 

Che  lieta  in  lui  s^  innalza  e  'n  lui  rinverde^ 

Né  sol  Venosa  or  sotto  P ombra  ammanta, 
^  Che  pur  si  gloria  e  vanta 

Di  nobii  cetra  al  grande  Augusto  arnica^ 

Ma  quella  terra  fortunata ,  aprica , 

Ch'inonda  e  parte  a  più  felici  genti, 

Coir  onde  sue  correnti, 

L'Au6do  che  da  lunge  anco  risuona. 

Sin  dove  il  seggio  a  lui  fortuna  scelse. 

Tu  nelle  parti  eccelse 

Quei  ch'ebber  già  d^  Italia  alta  corona 

Vedesti,  e  dire  or  tenti 

Uarmi  e  '1  nome  di  raggi  e  d'or  lucenti. 
Tu  li  vedesti,  ov'io  lo  slìl  non  ergo, 

Sovra  il  gran  sole  e  gU  stellanti  giri. 

Tu  che  vedi  e  rimiri 

Lo  spirto  ignudo  dal  suo  fragil  velo  : 

E,  venendo  quaggiù,  reale  albergo 

Fra  la  virtute  e  '1  glorioso  onore 


RIME  EROICHE  445 

Nel  magnanimo  core 

Di  lui  t^ eleggi,  e  FassoinìgU  al  cielo. 

Né  si  quaggiù  si  tempra  ardore  o  gelo 

Nella  stagion  che  non  sMnfiamma  o  verna 

Nella  sua  vece  eterna 

Per  magistero  mai  d^alma  natura, 

Siccome  tu  gli  tempri  il  core  e  U  petto  ^ 

E  d'ogni  vago  affetto 

Dolce  legge  tu  sei  j  dolce  misura  y 

Quasi  armonia  superna, 

E  'n  lui  rìsuoni  pur  la  voce  intema. 
Nò  sol  in  mezzo  al  cor  la  chiara  tromba 

Dell'opre  ascolta  gloriose,  illustri, 

Che,  già  cento  e  più  Iqptrì, 

Die  fama  a  Gesualdo  in  pace  e  'n  guerra; 

Ma  del  grandmavo  il  nome  anco  rimbomba, 

Ch'  a'  nostri  dì  fu  quasi  un  chiaro  Sole 

Dell'onorata  prole. 

Tal  ch'oscurar  noi  può  F invida  terra 

Che  lui  col  padre  insieme  involve  e  serra. 

Questa  è  la  nobil  voce  e  '1  chiaro  canto 

Ch'  entro  pur  s' ode ,  e  'ntanto 

L'alma  lusinga  al  suon  di  gloria,  e  molce; 

Qual  meraviglia  è  se  risuona  a^  sensi. 

Perchè  di  lei  si  pensi, 

L' altro  <ii  fuor  cosi  sonoro  e  dolce  7 

E  qual  più  altero  vanto 

N'ha  Tebe  o  Smima  o  la  città  di  Manto? 
Già  mentre  al  mondo  die  terrore  e  legge 

Coir  arme  gfavi  il  buon  popol  di  Marte, 

Ed  ogni  estrania  parte 

Soggetta  fece  al  suo  possente  impero , 

Gracco  al  soave  suon,  come  si  legge, 

I  fulmini  temprò  d'ardente  lingua. 


446       ^  RIME  EROICHE 

Perchè  Fardor  s^  estingua 

Che  spesso  accende  un  cor  superbo  e  fero: 

Tu  del  tuo  generoso  alto  pensiero , 

Che  per  desio  d^onor  s^attretta  e  'nfiamma, 

Qual  veltro  appresso  damma  ^ 

Non  sospingi,  signor,  né  fermi  il  corsa 

Con  sonora  armonia  d^ estrama  voce; 

La  tua  sola  veloce 

Può  farlo  e  lento ,  e  porgli  un  saldo  morso , 

E  puote  a  dramma  a  dramma 

Scaldare  il  gelo  e  'ntepidir  la  fiamma. 

£  quel  che  d^Asia  i  regi  oppresse  e  vinse, 
A  più  feroce  suon  de^  greci  carmi 
Correa  veloce  alFarmi, 
Ma  poi,  mutata  legge,  il  tenne  a  freno, 
E  la  sua  fiamma  im|)etuosa  estinse. 
Tu  medesmo,  Alessandro  all'alte  lodi, 
Timoteo  a'  novi  modi, 
Sei  d'armonia  celeste  entro  ripieno*, 
E  tu  plachi  te  stesso,  e  fai  sereno 
L'animo  tuo  sublime  e  1  chiaro  ingegno. 
O  d'ogni  onor  già  degno, 
O  d'antica  progenie  a'  novi  tempi 
Serenissima  luce  e  vivo  raggio; 
O  buono,  o  forte,  o  saggio. 
Ch'illustri  di  virtù  lodati  esempi; 
O  mia  speme  o  sostegno. 
Gloria  d  Italia  e  del  suo  nobil  regno! 

E  se  questa  d'eroi  famosa  madre. 

Che  già  sostenne  il  grave  e  nobil  pondo 
Dell'imperio  del  mondo, 
Diece  a  te  di  bontate  avesse  eguali , 
All'imprese  dì  uovo  alte  e  leggiadre 
Valore  insieme  e  cortesia  risorta 


RIME  EROICHE  44/ 

Fóran  più  fida  scorta; 
E  giustizia,  ch^al  ciei  rivolte  ha  Pali, 
Si  fermeria  «  tra'  miseri  mortali: 
E  seco  il  mondo  pur  farebbe  adomo 
In  placido  soggiorno, 
Dando  a^  yizj  più  gravi  etemo  esiglio, 
Intrepida  fortezza  e  prisca  fede, 
Che  più  sicura  sede 

Non  trova,  e  teme  pur  danno  e  perìglio, 
Ma  più  vergogna  e  scorno, 
E  sol  tarda  pietale  il  suo  rìtorao. 
Musa,  dal  ciel  venuta,  al  ciel  aspira 
Gol  nobil  peso  ove  dimostra  e  segna 
Al  buon  Carlo  d'Olimpo  il  dritto  calle 
Vera  e  certa  virtù,  non  pur  sublime. 
E  s'io  le  basse  rime 
Inchino  come  augel  palustre  in  valle, 
Piana  via  non  si  sdegna. 
Ch'altissima  umiltà  sovente  insegna. 


CANZONE  XV. 

In  lode  del  cardinale  di  S.  Giorgio  Ondo  Aldobrandinì^ 
nipote  di  papa  Clemente  VIIL 

Ecco  già  d'  Oriente  i  raggi  vibra 
Il  novo  Sole,  e  1  desiato  giorno, 
Ch'ò  già  promesso,  lieto  alfin  risplende; 
E ,  mentre  ei  notte  e  giorno  agguaglia  in  libra , 
Ecco  già  P  ostro  io  veggio  al  crine  intomo 
Del  mio  signor,  che  'n  degno  grado  ascende: 
Ecco  il  suo  premio  al  suo  valor  si  rende; 
Ecco  Fonor  s'adegua  e  giunge  al  merto, 


448  RIME  EROICHE 

Seguendo  lui  che  gli  assicura  il  varco 

D^  alzarsi  fin  al  ciel  ch^  egli  apre  e  serra  : 

Parte  regge  la  terra  ^ 

Sostenendo  di  Pietro  il  grave  incarco; 

Ma  nello  stato  si  dubbioso  e  'ncerto. 

Come  buon  padre  esperto  , 

Grave  ha  U  giudicio^  e  non  avaro  o  parco  ^ 

Però  giammai  non  erra, 

Sia  in  pace  il  mondo  ^  o  *n  perigliosa  guerra. 

Roma  j  e'  ha  del  valor  corone  e  palme  y 
Non  pur  men  cari  e  gloriosi  pregi  ^ 
Ben  se  n* avvide,  ha  già  molti  anni  e  lustri^ 
E  '1  mio  signor,  fra  le  più  nobili  alme, 
Degno  stimò  de'  più  onorati  fregi 
Che  faccian  lieti  i  suoi  famosi  illustri. 
Né  Roma  sol,  ben  cli^a'  suoi  rai  s^ illustri^ 
E  le  tenebre  antiche  apra  e  disperga, 
Ma  qual  esposta  all'indurato  gelo 
È  d^  Europa  più  eulta  e  nobil  parte 
Conobbe  i  modi  e  Parte 
E  r  alto  ingegno  a  lui  dato  dal  Ciclo , 
E  cpme  per  tai  gradi  ascenda  e  s'erga; 
Ed  or  ch'in  sé  1  alberga. 
L'alta  Roma,  dico  io,  non  Qnto  o  Ddo^ 
Mille  virtù  cosparte 
In  lui  rimira,  e  le  consacra  in  carte. 

Ben  l'antiche  e  le  nove  ei  volge,  e  prima 
Con  sollecito  studio  anco  rivolse. 
Per  arricchir  d'un  bel  tesoro  eterno; 
E  da  questo  e  da  quello  estranio  cUma  ^ 
Ove  l'industria  de'  miglior  s^ avvolse. 
Peregrinando  pur  la  state  e  1  verno, 
Ei  sapere  adunò,  eh' è  bene  interno, 
Lo  qual  fortuna  non  invola  o  toglie 


^      BIME  EROICHE  449 

Come  suo  dono^  e  non  8en  gloria  o  vanta. 
Cosi  vide  egli  e  seppe  ^  e  'n  suo  profondo 
Ingegno  accolse  il  mondo 
Cmla  scorta  del  Ciel  sicura  e  santa} 
Q,sl  pri.  meritó  puT„.re.  .pogfe, 
Gli  alLn  pur  se  n^mvogue. 
Di  cui  si  glorioso  alfin  s^  ammanta , 
Cliiesto  all'onor  secondo; 
Ma  degno  è  di  portar  del  primo  il  pondo.. 

E  nell'  età  più  grave  e  non  acerba  j 

Ch'onor  veste  e  virtute^  innanzi  alT  ostro 

£i  la  vesti  come  abito  celeste; 

E  fortuna^  che  fa  Palma  superba^ 

Nulla  ha  d!  imperioso  in  lui  dimostro , 

Brame  destando  alla  ragione  infeste; 

E  mover  non  poirìa  nembo  o  tempeste 

Che  perturba^&  il  suo  pensier  tranquillo  y 

E  del  saggio  intelletto  il  bel  sereno , 

Lo  qual  in  bene  oprar  sé  stesso  avanza: 

E  'n  sua  maggior  possanza 

Sotto  un  modesto  e  mansueto  freno 

Tien  la  fortuna  a  cié  lo  Gel  sortiilo  ^ 

Come  Scipio  o  Cammilloy 

Di  saper  ^  di  bontàWomito  a  pieno  ^  . 

Grave  in  umil  sembianza. 

Oh  d'Italia  e  d'Europa  alta  speranza! 

Quel  che  di  tre  corone  il  crìn  circonda; 
L'altre,  come  a  Dio  piace ,  e  com'è  giusto ^ 
Può  tórre  e  dar  con  infallibil  leg^e 
E  col  potere  onde  mai  sempre  abbonda  ^ 
Non  da  Cesare  dato  e  non  da  Augusto^ 
Ma  da  lui  eh'  ab  eterno  in  del  l' elegge  j 
E  d' alto  il  basso  mondo  e  move  e  regge  ; 
Lunge  rimira  ove  d' orrore  ingombra 
Tasso,  FoL  IF.  29 


45o  RIME  EROICHE 

Empia  fortana  ancoY  le  parti  estreme  ^ 
£  ai  vii  giogo  animi  alteri  indegni} 
Vede  più  feri  sdegni 
Del  ciel  turbato  che  si  cangia  e  freme , 
£  qual  ivi  sovrasta  onrihil  ombra  ^ 
E  quinci  e  quindi  adombra 
L'Orto  e  FOccaso  che  si  crolla  e  teme^ 
£i  quai  vapori  o  segni, 
Quasi  disfatte  le  corone  e  i  regni 
E  sembra  il  buon  nocchier  ch'i  mesi  e  gli  anni 
MelPEgéo  corse,  e  passò  Scille  e  Sirti, 
S'ode  fremer  da  lunge  o  Fonde  o  '1  vento, 
E  del  mar  teme  insidiosi  inganni, 
£  '1  variar  de^  tempestosi  spirti. 
Lontana  nube  in  rimirare  intento  ^ 
Veloce  al  provveder,  ma  grave  e  lento 
A  scior  le  vele  ed  a  levar  il  morso 
Che  tiene  i  legni  ove  più  il  cielo  avvampi. 
Intanto  agli  altri  insegna,  e  d'alta  seda 
H  governo  lor  crede  ^ 
E  predice  il  sereno  a'  tuoni,  a'  lampi 
Del  periglio  uncino ,  ^  pur  trascorso , 
Nel  lungo  e  dubbio  corso  3 
O  come  ^  assicuri  o*  Pir  si  scampi 
Con  animosa  fede 

Dal  mar  eh'  usurpa  le  più  ingiuste  preda 
Canzon  mia,  tardi  nata  e  tardi  adoma, 
Or  vedi  com'  appresso  il  ciel  riluce , 
E  con  alto  rimbombo  anco  risuona, 
E  lieta  Roma ,  e  i  colli  e  i  sacri  tempi , 
Perchè  i  turbati  tempi 
Volge  fortuna  ove  lampeggia  e  tuona. 
Tu  nella  pura  e  più  vicina  luce 
Guida  non  cerchi  o  duce  3 


RIME  EROICHE  ^  45i 

Ma,  dorè  di  sua  gloria  ei  sMncorona, 

Pur  con  gli  anliclii  esempi 

Della  sua  grazia  i  tuoi  difetti  adempì 


CANZONE  3CVI. 

Ptr  le  nozze  del  prìncipe  Vincenzo  di  Mantova 
con  D.  Eleonora  de'.  Medici 

Italia  mia,  che  FAppemiin  disgiunge , 

£  da  mille  suoi  ronti 

Mille  fiumi  a  duo  mari  infonde  e  versa, 

Quel  ohe  parti  natura,  amor  congiunge, 

Talché  non  ponno  i  monti 

E  i  gran  torrenti,  onde  è  la  terra  aspersa, 

Far  Funa  all^  altra  avversa. 

Amor,  le  tue  divise  e  sparse  voglie 

Or  unisce  e  raccoglie, 

E  spiana  Talte  vie  nel  giogo  alpestro 

Dal  tuo  sinistro  lato  al  iato  destro. 
Ei  la  testa  canuta  e  U  petto  e  i  fianchi 

D'orroì*  dispoglia,  e  sgombra 

I  duri  passi  e  le  più  rozze  piante , 

E  mille  sedi  a'  peregrini  e  stanchi 

Prepara,  e  poi  s^ ingombra 

Di  lieta  pompa  in  più  gentil  sembiante. 

Talché  r  invidia  Atlante. 

Altro  eh'  Oreade  or  miri  e  Dei  selvaggi 

Tra  pini,  abeti  e  faggi; 

Altro  che  pie  di  capro,  o  fronte  adorna 

Di  verde  fronda  o  pur  d' acute  coma. 
Or  di  beltà  celeste  e  di  costumi 

Scorgi  4onne  e  donzelle, 


45a  RIME  EROICHE    . 

Qual  frescbe  rose  al  dolce  estivo  gelo^ 

E  quando  notte  accende  i  tanti  lumi^ 

Come  notturne  stelle^ 

E  quando  Falba  scioglie  il  fosco  velo: 

£  se  duo  Soli  in  cielo 

Fur  visti  già,  del  ciel  turbati  segni, 

E  sue  minacce  e  sdegni, 

Or  duo  Soli  congiunti,  e  non  s'attrista. 

Mira  la  nostra  età:  mirabil  vistai 
Duo  Soli  di  valore  e  di  bellezza. 

Ambo  nelT  Oriente 

Rotano  i  raggi  incontra,  o  stanno  a  paro; 

L*un  per  T  altro  fiammeggia  e  per  vaghezza 

DelT altrui  foco  ardente, 

E  Fun  per  F altro  è  pur  sereno  e  chiaro; 

Né  mai  destino  avaro 

Ce  gli  asconde  o  sommerge,  e  'n  giro  alterno 

Non  fanno  state  o  verno; 

£  sempre  sono  eguali  i  raggi  e  i  passi, 

Perch'un  mai  F  altro  non  oscuri  o  las^. 
Tu  già  colosso  altero  al  Sol  drizzasti. 

Rodi,  al  buon  tempo  antico: 

Chi  due  n'innalza  a  questi,  e  chi  gF indora? 
.    Qual  simulacro  fia  che  avanzi  o  basti 

Al  secòl  nostro,  amico 

Di  nove  meraviglie  ondaci  s'onora? 

Altra  cittade  ancora 

Mira  del  Sol  che  in  fronte  a  lei  rìsplaide; 

Altre  belFopre  attende, 

E  sovra  i  monti  e  i  nembi  in  aria  sparsi 

Del  suo  gran  fondatore  il  nome  alzarsi 
Ma  questa  doppia  luce  altrove  gira 

n  suo  bel  corso  intanto, 

£  '1  suo  vivo  splendor  dispiega  altrove. 


^  RIME  EROICHE  453 

Onde  Flora  ne  piange  e  ne  sospira 

Fra  mille  gioje^  e  Manto 

Accresce  le  sue  latidi  antiche  e  nove^ 

E  quasi  incontra  or  move 

Dal  suo  puro^  tranquillo  e  dolce  lago^ 

Dal  seggio  fresco  e  vago. 

Dalle  fiorite  sponde  e  dalle  valli, 

Da'  suoi  lucenti  è  liquidi  cristalli  : 
Fra  tante  palme  omai,  fra  tanti  lauri , 

Fra  tante  eccelse  spoglie, 

Tanti  alteri  trofei  d'arme  famose 

Che  furo  tolti  à'  Garamanti,  a'  Mauri, 

Il  bel  Vincenzo  accoglie 

E  Falta  Leonora,  alme  pietose. 

Chi  gigli  sparge  e  rose 
Dove  la  bella  coppia  or  posi  e  giaccia, 
Ch'Amor  di  nuovo  allaccia, 
E  di  rossore  e  di  pallor  dipinge, 
E  castìtate  i  nodi  ordisce  e  strìnge? 
Canzon,  di  raggio  in  raggio 
Segui  la  nova  e  gloriosa  luce 
Clral  pensier  mio  riluce: 
Ma,  perchè  non  t'accenda  e  non  avvampi. 
Per  sua  pietà  candida  man  ti  scampi. 


454  RIME  EROICHE 


CANZONE  XVn. 


/ 


Per  la  nascita  del  tenogenito  del  Duca  di  Maniova. 
{V.  Senu8i,  T.  II,  £  196.) 

Crescan  le  patine  al  Blindo  e  i  novi  allori 

Or  nel  fcaioe  parto  y 

Che  già  precede  il  quarto,  * 

Per  la  speranza  de*  suoi  novi  onori  ^ 

£  le  sue  rive  di  smeraldo  infiori 

n  fiume  ch'ascoltò  la  nolnl  Musa, 

Per  cui  di  Siracusa 

Ha  maggior  pregio  la  tebana  Manto , 

£  più  rimbomba  il  canto, 

£  non  pur  d'armonia  le  selve  ingombra, 

Ma  /  gran  teatri  ,  ove  discende  alT  ombra 

Non  sol  Pan  d'Arimanto, 

Ma  Febo  stesso,  e  'n  suon  più  grave  e  dolce 

Arbori,  sassi  e  fere  aOrena  e  molte. 
Ben  è  ragion ,  poi  eh'  i  soavi  accenti 

Degna  d'udir  il  padre. 

Degna  d'udir  la  madre 

Con  gli  alti  ingegni  a  vera  gloria  intenti. 

Ma  qual  delF  auree  fiamme  in  ciel  lucenti 

Fu  pari  alla  sua  stella, 

Pari  neir esser  bella? 

Fu  Marte  che  splendea  più  lieto  in  vista, 

E  per  usanza  pur  turbato  attrista? 

O  1  Sol  che  raggi  più  lucenti  or  vibra. 

Mentre  sen  passa  da  leone  a  libra , 

E  più  la  notte  acquista , 

Puro  mostrando  il  bel  seren  notturno? 

O  quel  che  pare  a  noi  pigtt)  Saturno  ? 


RIME  EROICHE  455 

Pari  ben  sono  a  voi,  celesd  lumi^ 
Di  chiara  stirpe  antica 
Ch^ebbje  fortuna  arnica^ 
Gli  onori,  le  virtù ,  gli  alti  costumi , 
Che  tra  T  ombre  del  mondo  oscure  e  i  fumi 
Splendon  con  vivi  raggi: 
I  forti  y  i  giusti  y  ì  sagrì  ^ 

I  magnanimi  duci  e  gU  alti  ingegni 
Produsse  a  scettri  y  a  regni 

Questa  stirpe ,  d'eroi  sempre  feconda , 

La  cui  gloria  fra  noi  vola  e  circonda 

Oltra  gli  altari  e  i  segni 

D^  Alessandro  e  d^  Alcide  ^  e  gira  intomo 

E  dove  sorge  e  dove  incliina  il  giorno. 
Talché  par  quasi  fato^  e  ben  conviene 

Che  questa  invitta  prole 

Risplenda  come  Sole 

Ch^apra  le  nubi  intomo  e  U  ciel  serene, 

E  che  s'  agguagli  ornai  la  nova  spene 

Coir  antica  memoria, 

E  Puna  e  T altra  gloria, 

Io  dico  di  nipoti  e  d'  avi  illustri  ; 

£  d^ altre  imprese  ancora  e  d'altri  pregi 

S' onori  e  d'  altri  più  lucenti  fregi 

Per'  cento  e  cento  lustri , 

E  rinnovarsi  paja  il  tempo  veglio 

Che  Hi  d'ogni  valor  lucido  speglio. 
Altri  opprima .  gì' iniqui ,  e  sparga  il  sangue 

Degli  empi  e  degr  ingiusti , 

O  pur  da'  grandi  Augusti 

II  seggio  impetri  ov'è  il  tiranno  esangue^ 
Altri  vinca  il  leone  orrido  e  l'angue, 

E  segua  illustre  esempio 
D'alzar  famoso  tempio 


456  RIME  EROICHE 

Alla  Vittoria 9  e  cento  spoglie  d'oro 
E  del  Trace  e  dei  Moro; 
Altri  al  fiume  sanguigno  il  ratto  corso 
Tardi  co'  morti  corpi  ^  e  ponga  il  morso 
Coronato  d'alloro; 
Altri  di  sostenere  il  ciel  si  vante, 
E  sembri  novo  Alcide  a  noTO  Atlante. 
Canzone  ^  io  son  già  stanco  y 
Né  ben  raccoglier  posso  in  breve  carta 
Quella  gloria  eh' è  in  terra  e  'n  del  cosparta. 


CANZONE  XVm. 

Loda  la  granduchessa  di  Toscana  Giovanna  iAu- 
stria  y  figlia  dtU  impcrator  Ferdinando*  Dopo  aver 
esaltata  la  grandezza,  il  valore  e  la  nobiltà  pa^ 
tema,  celebra  la  propria  virtù  di  lei  e  la  propria 
bellezza,  e  F  assomiglia  nel  suo  venire  in  Italia 
ad  angelella  che  scende  dal  cielo  ;  e  qui,  pas- 
sondo  a  celebrare  la  grandezza  e  la  felicità  della 
Casa  de'  Medici,  attribidsce  alle  nozze  di  Gio- 
vanna la  pace  dltaUa, 

Deggio  forse  lodar  l'aurato  albergo 

In  cui  dimori,  o  quello  in  cui  nascesti? 

Questi  o  que'  pregi,  o  queste  glorie  o  quelle? 

O  '1  tuo  valore,  a  cui  mi  sveglio  ed  ergo^ 

Qual  uom  già  lasso  eh' a  gran  di  sii  desti? 

S'errò  col  raggio  4i  minute  stalle, 

Vede  cose  più  belle 

Allo  splendor  che  le  colora  c^orna. 

Ma  chi  porta  lontan  sì  care  salme, 

E  coglie  allori  e  palme? 

Chi  poggia  incoiitr'  al  sole ,  e  chi  soggiorna  ? 

E  chi  giunge  alle  mete,  e  chi  ritorna) 


RIME  EROICHE  457 

Pur  io  dirò  che  nella  reggia  antica 
Di  sacri  Augusti  avea  con  auree  penne 
Gran  simulacro  e  con  favor  secondo^ 
Ma  spesso  trapassò  fortuna  amica 
D'una  stirpe  nelF altra ,  e  quasi  tenne 
La  terra  ^otto  V  ale  e  '1  mar  profondo  : 
Or  più  felice  è  1  mondo; 
Non  sorte  ^  ma.  virtù  trionfa  e  regna  ^ 
Non  idolo  scolpito  in  oro  o  'n  marmi  | 
Né  di  corone  e  d'armi 
Falso  splendor  9  ma  vera  gloria  e  degna 
Del  cielo  ornai  che  di  saUrvi  insegna. 

Vera  gloria  dal  ciel  deriva ,  e  nasce  ^    ^ 

Dove  nacque  il  fratello  e  '1  padre  augusto 
£  gli  avi  tuoi  che  trìonf&r  la  terra; 
E  son  fede  e  pietà  le  prime  fasce', 
Ed  amor  d'onestate,  amor  del  giusto;  . 
Son  Parme  sue  fortezza  e  senno  in  guerra  ; 
Né  già  vaneggia  ed  erra 
D' un  tétto  in  altro ,  come  a'  primi  tempi , 
Né  trascorre  dall'  uno  ali'  altro  sangue , 
Né  per  vecchiezza  or  langue; 
Ma  ferma  con  più  helli  ed  alti  esempi 
La  sede  in  Occidente  incontra  gli  empi. 

Indi,  per  arricchir  d'un  bel  tesoro 

(Che  gemme  sono  i  fi^Ii,.onde  risplenda 
La  gran  Toscana  ) ,  a  lei  volgesti  i  passi 
Con  odorato  crin  di  lucid'oro, 
Come  angeletta  che  fiammeggi  e  scenda, 
E  quei  cerulei  campi  addietro  lassi. 
Gli  altri  ingegni  son  bassi , 
E  tutti  rochi  sono  i  nostii  accepli 
In  lodar  te,  che  l'umiltade  inchina, 
Donna,  duce  e  regina; 


458  RIME  EROICHE 

Ma  tutti  sono  ad  onorare  intenti 
I  segff,  in  cui  tu  regni  alti  e  lucenti. 

Te  questo  albergo  trion&nte  accoglie^ 
A  cui  iT  intorno  udì  sì  dolce  canto 
n  nobii  Amo  e  chi  da^  fior  si  noma: 
Altri  recò  le  gloriose  spoglie; 
Altri  n^  usd  che  la  corona  e  1  manto 
Portò  di  Pietro  ^  e  sacra  aatica  soma  : 
Talché  r  Italia  e  Roma 
Quinci  r imperio  alFonor  suo  converso, 
Quinci  Tede  colei  che  gli  alti  imperi 
£  dona  i  regni  interi , 
Né  Puno  air  altro  per  disdegno  avverso , 
Né  monte  scorge  o  mar  di  sangue  asperso. 

E  ^n  te  rimira  si  leggiadre  forme 
Di  felice  virtù,  che  meno  apprezza 
Barbare  e  Greche  o  pur  Romane  illustri, 
E  tutti  inverso  al  cielo  i  pasà  e  Forme, 
E  i  figli  vaghi  dUmmortal  bellezza , 
Cui  non  disfiora  il  trapassar  de^  lustri: 
E  mentre  più  gV illustri, 
Né  crudel  guerra  i  nostri  lidi  infiamma , 
Né  rischiara  il  tuo  nome  acerbo  esiglio, 
Non  morte  né  periglio,       / 
Non  piaga  o  serpe  e  non  accensa  mamma. 
Né  ferro  che  scuffini  a  viva  fiamma. 

Canzon,  vince  sé  stessa 

L' alma  reale ,  e  V  una  e  V  altra  sorte , 
Essendo  la  più  casta  e  la  più  forte. 


RIME  EROICHE 


459 


CANZONE  XIX. 

Nel  vinaio  della  duchessa  di  Ferrara  pé  suoi 
.  Stati,  ^rega  P  abbondanza  e  la  serenità  che  tac-- 
compagnino.  Poi  tocca  i  sommi  capi  delle  cose 
che  si  offriranno  alla  sua  vista j  e,  con  àmiUtU' 
dini  tratte  dd  segni  celesti,  esalta  ftH  omamenii 
dello  Stato  ferriarese.  Indi  passa  aa  anteporre  il 
duca  Alfonso  ti  re  di  Sparta,  e  la  duchessa  Mar-' 
^rita  alle  regine  spartane  ed  egizie,  lodando  la 
cortesia,  t  unultà  e  C  altre  sue  virtù. 

Tu  die  segui  la  pace,  e  fai  cT intorno 
La  terra  più  felice  e  più  feconda, 
£  porti  i  dolci  frutti  e  i  vaghi  fiorì}  — 
E  tu,  che  U  ciel  sereni  e  Paura  e  Fonda^ 
Uscite  insieme  il  desiato  giorno 
Che  Margherita  e  le  compagne  onori. 
*^Pene,  affanni  e  dolori, 
Pioggia  di  lagrimar,  nebbia  di  sdegno, 
Strazio  o  tormento  indegno 
Non  turbino ,  o  sospiri  a  mille  a  mille , 
Parti  cosi  tranquille; 
Né  fortuna  il  viaggio  o  tardi  o  rompa, 
Ma  vi  spieghi  reale  altera  pompa. 

Dall^uno  ail^  altro  mare  a  lei  si  mostri 
Quanto  d'Ercole  invitto  il  figUo  regge, 
£  quanto  almo  paese  accoglie  e  serba , 
E  i  popoli  cui  frena  antica  legge, 
E  serici  trapunti  e  gemme  ed  ostri, 
Che  far  non  ponno  alma  gentil  superba} 
E  coir  etate  acerba 
A  prova  la  natura  in  ogni  cenno 
Scopra  valore  e  senno 


46o  BIME  EROICHE 

In  teatro  ;  in  consiglio,  in  giostra,  in  dama, 
Non  sol  varia  sembianza, 
£  varie  ins^e  e  penne  sparse  a*  venti  ^ 
E  co'  destrier  feroci  arme  lucenti. 

SÒL.  che  Topre  mortali  e  le  fatiche 
lUustrì  da  si  grande  ed  aureo  cinto 
Che.  la  fortuna  e  ì  fato  annoda  e  serra  ^ 
Ed  albergando  colle  stelle  amiche, 
Di  varie  forme  vedi  il  cidi  dipinto, 
E  teco  ogni  altro  che  si  volge  ed  erra , 
Mira  la  nobil  terra, 

.    Quasi  gran  fiiscia  che  F Italia  fenda, 
£  fra  due  mar  si  stenda: 
Ha  questa  il  suo  bel  Sok,  e  chiari  lumi 
Sono  i  santi  costumi  j 

E  '1  carro,  a  cui  son  Tore  intomo  ancelle^ 
È  virtù  non  soggetta  a  fere  stelle. 

E  qui  Tallero  Po,  di  cui  T imago 
Nel  ciel  rìsplende,  e  fortunata  nave 
Che  gloriosi  eroi  conduce  e  porta*, 
£  con  bellezza  phcida  e  soave 
Giusta  vei^e  ancor  :  né  fero  drago , 
Né  scorpio  incontra  la  sua  bella  scorta } 
Né  capo  o  chioma  attorta 
D' orribili  serpenti  a^  suoi*  viaggi 
Sparge  infelici  raggi, 
Ma  gregge  mansueto,  e  senza  tosco 
Fere  in  campagna  e  'n  bosco  j 
Né  vi  rugge  leon  che  Tire  accoglia. 
Ma  d'Alcide  é  trofeo  più  ricca  spoglia. 

Altre  spoglie,  altre  palme,  altra  corona. 
Altre  fatiche  guarda,  e  'n  altre  imprese 
Più  libero  valor  e  'n  altro  campo  : 
Né  mi^n  saldo  di  quel  che  poi  difese 


^  RIME  EROICHE  46i 

Mortali  strette  y  o  vìnse  a  Maratona  ^ 

Ch^  a'  Persi  non  giovò  riparo  o  scampo  ^ 

Splender  con  chiaro  lampo  ; 

Né  cTun  regno  due  regi  or  degni  estima^ 

Come  fe^  Sparta  in  prima  ^    * 

Una  sola  città ,  ma  'n  tre  succede 

Ài  padre.il  figlio  erede ^ 

E  ^  in  tre  luoghi  fermando  un  seggio  altero  ; 

È  tre  volte  possente,  e  tre  guerriero. 

In  così  bella  parte  e  sì  felice 

Le  grazie  intomo  ella  cosparga  e  versi , 

Qua!  nova  luce  i  raggi  e  la  rugiada  j 

E  mieta  chiara  gloria  in  dolci  versi 

Più  d^  Artemisia  o  Porzia  o  Berenice , 

O  colei  eh'  adoprò  V  amata  spada. 

Lieta  e  vaga  contrada, 

Fortunato  paese,  almo  terreno, 

Àer  puro  e  sereno , 

Valor  senza  onestà  fra  noi  non  serpe, 

Come  troncata  serpe, 

Ma  in  lei  veggio,  s'altri  il  divide  e  spezza, 

Com'è  perfetto  onor  casta  bellezza. 

Ella  non  mostra  mai  barbaro  orgoglio,  ' 
Come  solca  regina  in  Menfi  adorna, 
O  F  altre  che  son  già  nude  ombre  e  polve} 
Ma  cortesia  con  umiltà  soggiorna  ^ 

Dov'ella  siede,  e  fugge  ira  ed  orgoglio ,'^ 
£  '1  timor  si  dilegua  e  si  dissolve. 
£  s'ella  a  te  si  volve. 
Atti  non  vede  o  portamenti  estrani. 
Non  sembianti  inumani, 
Non  ode  feri  accenti,  aspra  favella 
Di  gente  a  Dio  rubella. 
Non  diverso  parlare  o.  suon  discorde, 
Qual  armonia  di  mal  distese  corde. 


4fi%  RIME  EROICHE 

Canson  mia.  d^ onorarla 
Vedrai  più  che  1  poter  la  veglia  pari: 
Fra  i  monU  alpestri  e  i  mari,      ^ 
Ta  di\  ae  trovi  intoppo  al  tuo  deao: 
Son  della  turba  anchMo, 
E I  fra  cavalli  ed  anni  e  chiara  tromba  , 
Margherita,  il  tuo- nome  in  me 


CANZONE  XX. 

* 

In  lode  della  granduchessa  di  Toscana  Bianca  Cap- 
pello, Con  bett  artifizio  s^  apre  la  via  ad  esaltar 
pure  I  pregi  del  granduca  suo  consorte  ,  e  mas- 
sime il  discemimenio  di  lui  siweriore  a  quello  di 
Teseo  e  di  Paride:  perche  Élena,  giuoKOia  da 
essi  per  la  più  virtuosa  e  la  pus  bella ,  cagano 
la  rovina  ds  Troja  ;  laddove  Bianca  Cappello , 
eletta  da  lui  in  moglie,  assicurò  la  pace  e  la  con^ 
cordia  de*  suoi  Stati. 

Talvolta  sovra  Pdio,  Olimpo  ed  Ossa 
Portò  l^giere  salme  augel  volante, 
E  sovra  il  mauro  Atlante, 
E  sulle  nubi  ove  mai  strai  dalParco 
Non  giunse,  e  non  sali  turbo  spirante^ 
Ma  col  volo  mancò  Tardità  possa, 
Perchè  innalzar  non  possa 
Peso  maggiore  e  più  gravoso  incarco  : 
Tal  io,  se  mai  cantando  al  ciel  men  varco 
Con  picciol  nome  in  sull'alzate  pemìe. 
Veggio  sotto  le  valli  e  i  monti  e  i  poggi  3 
Né  cerco  ove  riposi ,  ove  m' appoggi , 
Ma  dove  stilo  il  vostro  onor  sostenne 
Par  di  cadere  accenne^ 


RIME  EROICHE  4SS 

£  sMn  alto  mi  spazio  e  non  vacillo  ^  ' 

Mi  glorio  in  del  tranquillo , 
Che  spargendo  gran  fama  onor  s'impetra, 
£  pregio  acquista  ogni  sonora  cetra. 

Ma,  cantando  per  voi,  sublime  Donna, 
La  nobiltà  sia  fonte  in  cui  si  versi 
Alta  materia  a'  versi  y  ^ 

Indi  '1  principio  s'apra,  indi  s'ordisca 
Ogni  alta  laude,  e  vinca  i  casi  avversi     • 
La  nobiltà,  eh' è  del  valor  colonna. 
In  cui  si  ferma  e  'ndonna, 
Perdi' altri  pur  F onori  e  riverisca, 
Come  origine  suol  famosa  e  prisca, 
ISè  per  contraria  sorte  oppressa  giacque. 
A  voi  die  cuna  il  mare^  il  mare  in  grembo 
V'accolse,  e  nd  ceruleo  e  vago  lembo,  < 

Dove  alato  leon  la  terra  e.  F  acque 
Tiene  com'  al  Qd  piacque  ;  . 
£  fra  palme  cresceste  e  pompe  ed  ostri 
DegU  avi  egregi  vostri  j 

£  '1  vostro  merto  è  un  mare ,  e ,  s' ora  il  solco. 
Ritornerò  come  Giason  da  Coleo. 

Altre  più  vere  maraviglie  e  belle, 

Ona'ha  F etate  antica  invidia  e  scorno. 

Dentro  son  e  d' intomo  ; 

Né  già  bugiarda  fama  altrui  le  finse. 

Ne  favolosi  onori  in  rime  adomo: 

Non  Teti'in  mezzo  alFonde,  o  le  sorelle 

Ninfe  leggiadre  e  snelle; 

Non  conca  o  bianche  spume,  in  cui  dipinse 

Greco  pittor  la  Dea  che  '1  pregio  vinse:* 

Ma  son  vera  bellezza  e  vera  gloria. 

Vero  candore,  anzi  splendor  sereno 

Cli'  abbaglia  occhio  terreno , 


464  RIUE  EROICHE 

Demi  di  gran  poema  o  pur  (Tistorìay 
Ch  iUustn  alta  memoria^ 

,    £  1  bel  nome  che  piace  a^  vaghi  sensi  ^    . 
Ove  sen  parli  o  pensi  j 
E  vero  e  casto  amor  di  nobil  alma 
Sotto  giudice  grande  ha  certa  palma. 

Qiè  dove  il  padre  augusto  alzò  Giovanna  ^ 
E  grandezza  di  scettri  e  di  corone^ 
Nudo  amor  vi  ripone^ 
Amor  grande^  amor  saggio ^  amor  pudico ^ 
Che  prima  non  segui  selvaggia  Enone  ^ 
Amor  che  non  si  turba  e  non  s^  inganna  j 
Né  '1  biasma  e  noi  condanna 
Mente  sublime  :  or  ceda  esempio  antico  ; 
Ceda  amante  e  pastor  di  farsi  amico 
A  lui  che  la  Toscana  adoma  e  regge  ^ 
Giudice  di  beltà  più  dotto  e  scaltro^ 
Che  non  fu  già  quelP altro: 
£  s^  ella  pur  lo  sprona^  ha  fren  di  legge  , 
Non  tra  ruvide  gregge^ 
Non  tra  gli  armenti  usato  e  tra*  btfolci, 
Ma  tra  studj  più  dolci; 
Che  Paltò  imperio  già  non  perde  in  guerra^ 
Ma  cresce  novo  onor  d'antica  terra. 

£  direi y  non  facendo  al  vero  oltraggio: 
Cedale  il  domator  del  reo  Procuste^ 
Che  d^imprese  più  giuste 
Gloria  maggior  invitto  core  attende } 
E  son  or  quasi  oscure  e  quasi  anguste 
Lodi  antiche  e  lontane  al  vivo  raggio 
Di  lui  ch^è  forte  e  saggio. 
£  se  pur  Fun  dalF  altro  a  noi  discende  ^ 

'     Né  più  fama  canuta  omai  contende^ 
Ch'akò  quasi  del  tempo  un  bel  trofeo  ^ 


RIME  EROICHE  465 

O  sey  qual  pianta  e' ha  gran  rami  ed  ombra  y 

U anticnitade  adombra, 

Siasi  eguale  al  gran  duce  il  gran  Teseo  ^ 

Né  si  vanti  d'Egeo, 

Per  Atene  e  Fiorenza,  il  nome  e  Fopre 

Che  lunga  età  non  copre, 

Ma  questo  amor  quanto  n'udirò  innanzi, 

£  questa  fede  ogni  memoria  avanzi. 
Oh!  quanto  è  più  felice  il  novo  esempio. 

Quanti  diversi  effetti,  e  in  quanti  modi 

Hanno  più  chiare  lodi 

Di  quel  lungo  rimbombo  indi  raccolto! 

Ivi  mirìam  due  ratti  e  mille  frodi, 

Altari  violati  ed  arso  tempio, 

E  Funo  e  F  altro  scempio 
'Di  Polidoro  tronco,  e  guasto  il  volto 

D^ Ettore  sanguinoso  e  non  sepolto; 

Di  tanti  figli  orbo  e  dolente  il  padre, 

Schiere  in  fuga  rivolte,  accesi  legni. 

Estinti  fochi  e  non  estinti  sdegni, 

E  morti  e  roghi  e  faci  oscure  ed  adre; 

Mesta  e  piangente  madre  ; 

Troja  in  fiamme  conversa;  a  faccia  a  faccia 

Europa  Asia  minaccia 

Con  fulminanti  duci,  e  sponde  a  sponde. 

Venti  a  venti  centrar),  ed  onde  ad  onde. 
DalF  altra  parte  il  passar  vostro  alF  Arno 

Bellezza  accrebbe,  e  grand* onor  gli  aggiunge, 

E  due  città  congiunge, 

Due  famose  città  fra  '1  mare  e  i  monti. 

Talché -non  le  perturba  o  le  disgiunge 

Quella  discordia  ond'io  mi  struggo  e  scarno, 

Ma  par  ch^  il  tenti  indarno  ; 

Ed  al  cielo  alzeramio  amiche  fronti  , 

Tasso,  Voi  IF.  3o 


466  AIME  EROICHE 

E  desili  concordi  avranno  e  pronti , 
Presti  i  cavalli  j  e  'n  mar  le  navi  e  farme^ 
Mentre  il  fiero  Ottoman  ripone  e  serba 
IVelP  alta  mente  sua  T  ingiuria  accisa  : 
E  dove  tromba  suoni  il  fero  carme, 
Perch^  uom  s' infiamnù  ed  arme  y 
Non  fia  chi  più  si  mova  e  più  sfaccenda, 
*  E  più  s*  adorni  e  splenda  : 
\  t         Cosi  fermi  legami  annoda  e  tesse 

.  Casta  beltà  cli^  alto  giudicio  elesse. 
Canzon,  tu  non  vedrai  tra  fera  turba 
Donna  amata  odiosa ,  o  vana  imago, 
Là  Ve  adorare  il  volgo  i  mostri  volse  3 
^  Ma  dove  a  Marte  idolo  antico  ei  tolse, 

Né  falso  re  v'onora  o  vero  mago, 
Latrante  cane  o  drago, 
Fra  mille  suoi  devoti  e  fidi  servi 
Or  ti  raccolga  e  servi 
Pudica  moglie  in  lieta  pace  e  santa. 
Che  di  candore  e  d'onestà  s'ammanta. 


CANZONE  XXL 

Cekbm  le  nozze  del  duca  d*  Urbino  con  D.  Lucrezia  d^Este^ 

lodando  V  una  Casa  e  t  altra, 

• 

Lascia,  Imeneo,  Pamhso,  e  oui  discendi 
Ove  fra  liete  pompe  il  nobu  fiume 
Col  canto  de'  suoi  cigni  a  sé  t'appella. 
Ben  sai  eh' a'  tuoi  ritorni  ognor  tu  rendi, 
Quasi  per  certa  legge  e  per  costume. 
Vie  più  lucente  e  più  fiorita  e  bella 
Questa  non  pur  famosa  riva  e  quella  , 


RIME  EBcOICHE  467 

Ma  U  vecchio  Tebpo  -e  1  Nilo  e  1  più  lontano 

Lido  dell'Oceano: 

Quinci  Italia  d^eroi  sempre  è  feconda  3 

Quinci  al  Franco,  al  Germano 

Mille  rivi  comparte,  e,  quasi  un  mare, 

Nulla  scema  in  se  stessa  ancor  a^  appare  (^). 

Quinci  non  pure  altera  e  gloriosa 
Sen  va  la  terra,  e  palme  e  verdi  allori 
Con  più  felice  sen  nutre  e  produce, 
Ma  la  parte  immortale  e  luminosa 
Par  che  di  nuove  stelle  indi  s'onori, 
E  splenda  a  noi  con  più  serena  luce  ; 
Perchè,  siccome  già  Teseo  e  Polluce, 
Romulo  e  quel  che  presso  a  lui  s'asside, 
Neir aureo  albergo  peregrini  accolse, 
Tal  da'  mortali  ei  tolse 
I  Guelfi  e  gli  Azzi,  e  l'uno  e  l'altro  Alcide, 
E  sol  per  sé  li  volse , 
E  vede  fiammeggiar  i  duci  illustri, 
O  sotto  o  sopra  il  Sol  rimiri  e  lustri. 

Vieni,  vieni y  Imeneo,  spiegando  l'ale 
Là  've  pudico  amante,  in  cui  sfavilla 
Celeste  amor,  te  brama  e  te  sospira. 

(*)  Questa  stanza  manca  d*un  Terso,  ed  è  rottalo; 
onde  il  verso  undedmo  non  ha  riscontro  di  rima.  Una 
tale  mancanza  è  in  tutte  le  stampe  da  noi  vedute;  né 
sappiamo  che  alcun  editore  prima  di  noi  se  ne  accor- 
gesse. Mentre  pertanto  desideriamo  che  altri,  coll^ajuto 
d*  un  testo  fedele ,  v*  introduca  la  sincera  lezione ,  noi 
proponiamo,  a  modo  di  lontana  coniettura,  la  corre- 
zione seguente: 


Suesta  non  pnr  famosa  riva  e  ouella, 
a  qiiaote  il  vecchio  Tebro  e  4  Nilo  inondai 
E  gP  iperborei  campi  e  ^1  più  lontano 
Lido  aell^ Oceano:  ep. 


468  RIME  EROICHE 

Oh  che  degna  f  invita  ed  immortale 
Schiera!  qui  seco  è  placida  e  tranqplla 
Bellona ,  e  Marte  senza  ferro  ed  ira } 
Che  r  armi  ond^  egli  a  gloria  eterna  aspira  ^ 
Ed  a  domar  ciù  mosse  guerra  al  cielo  ^ 
In  un  de'  suoi  gran  rami  ora  depone: 
Qui  senza  il  fier  Gorgone 
E  Palla  in  bianca  yéste  e  'n  puro  veb; 
Qui  Febo  alte  corone 

Di  lauro  al  crin  le  tesse ,  e  par  che  'ntanto 
Empia  altrui  di  sé  stesso  e  svegli  al  canto. 
Qui  vedrai  fra  le  Grazie  e  fra  le  Muse 
La  vergine  seder  timida  e  lieta, 
Cui  Ciprigna  è  nel  volto,  e  Delio  in  seno.... 
Ma  ecco  aprir  le  vene  algenti  e  chiuse 
La  terra  aiFaura  or  eh' è  sì  dolce  e  queta; 
Ecco  rider  intomo  il  del  sereno; 
Ecco  quasi  un  vermiglio  aureo  baleno: 
Imeneo  scuote  in  pna  man  la  face 
Mei  foco  accesa  onde  nel  cielo  ardenti 
Son  le  superne  menti  ^ 
Nell'altra  un  laccio  lucido  e  tenace 
Ch'innanzi  agli  elementi 
U  Fabro  etemo  di  mirabii  tempre 
Formò,  perdi' egli  stringa  e  piaccia  sempre. 
Solvi,  o  feuce  sposo,  il  casto  cinto. 
Che,  severo  custode,  a  te  riserba 
Puri  e  in  cielo  graditi  almi  diletti } 
Vivi ,  or  che  puoi ,  tra  qua'  bei  nodi  avnnto, 
Che  Marte  omai  questa  tua  etade  acerba 
Par  che  a  diverse  sue  fatiche  affretti: 
Par  che  veder  dalla  tua  destra  aspetti 
Senna  e  Reno  placati,  e  '1  Trace  invitto 
Sin  qui  (vergogna  pur  del  nostro  nome!) 


RIME  EROICHE  46g 

Gemer  sott' aspre  some, 
E  le  campagne  del  fecondo  Egitto 
Tutte  trascorse  e  dome. 
Onde  il  grandmavo  tuo  pieni  rimiri 
'Per  te,  sua  viva  imago,  i  suoi  desiri. 
Cigni  del  Po ,  cui  tal  dà  cibo  ed  ombra  , 
Che  men  fora  Permesso  a  voi  giocondo, 
Alzate  il  canto,  e  1  volo  alzate  insieme 
Ch'i  fólgori  non  teme; 
Però  che,  mentre  Tali  il  nobil  pondo 
De'  nomi  aggrava  e  preme, 
V arride  il  Ciel  di  nulla  avaro  e  parco, 
Perchè  v'alziate  a  lui  còl  degno  incarco. 


CANZONE  XXn. 

Per  ìe  nozze  di  D,  Marfisa  dEste 
col  prìncipe  di  Massa. 

Già  il  notturno  sereno 
Di  vaga  luce  indora 

La  stella  che  d'amor  scintilla  e  splende  ; 
E,  rugiadosa  il  seno, 
I  crin  stellanti  all'ora 
Spiega  la  notte,  e  '1  ricco  vel  distende: 
Ed  Imeneo  già  scende. 
Trattando  l'aria  e  i  venti 
Colle  dorate  piume  ) 
E  mentre  sparge  il  lume 
Dell'aurea  face  in  mille  raggi  ardenti. 
Destro  il  ciel  gli  si  gira, 
E  gli  arride  la  terra ,  e  l' aura  spira. 


f 


470  RIME  EROICHE 

Ardon  le  piagge  e  Fonde 

Di  legittimo  foco 

Al  lampeggiar  delle  celesti  faci; 

S*ode  tra  fronde  e  fronde^ 

Qual  di  colombe  y  un  roco 

Dolce  interrotto  mormorar  di  baci  ; 

Con  nodi  più  tenaci 

U  edera  il  tronco  abbraccia  ^ 

E  circondan  le  viti 

GF infecondi  mariti, 

Né  'n  tana  o  *n  nido  è  chi  solingo  giaccia^ 

Ed  in  spelonca  e  'n  bosco 

Lascian  F  ira  i  leoni ,  i  serpi  il  tosco. 
O  Dio,  tu  pur  congiungi 

All'opre  aella  vita 

Sotto  giogo  di  fé  concordi  amanti; 

E  poi  risani  ed  ungi 

Di  mele  ceni  ferita, 

Si  che  stiUa  per  gli  occhi  in  dolci  pianti: 

Tu,  che  d'unir  ti  vanti 

Dentro,  un  istesso  petto 

Pensier  casti  e  lascivi, 

£  lusinghieri  e  schivi 

Rendi  i  vaghi  sembianti  e  1  vago  aspetto, 

Tu  sei  che  pungi  il  core 

In  cui  spuntò  le  sue  quadretta  Amore. 
Questa  bella  guerriera, 

Che  o  contra  Amor  s'accinga, 

O  per  lui  cinga  F  arme ,  è  vincitrice , 

Dall'amorosa  schiera 

Lunge  sen  va  solinga 

E  scompagnata,  in  guisa  di  fenice; 

Però  eira  lui  non  Uce 


RIME  EROICHE  471  . 

Frenarla,  e  si  contenta , 

Snella  taior  non  sdegna,  « 

Di  seguir  Falla  insegna, 

Si  eh'  altrui  piaghi ,  e  piaga  in  sé  non  senta  : 

Ma  non  s'agguagli  teco 

Fanciul  nato  di  furto,  ignudo  e  cieco. 
Santo  Imeneo,  deh!  guarda 

L'amante  a  cui  non  cale 

D'altro  diletto,  ed  odi  ornai  la  voce 

Che  l'ombra  lenta  e  tarda, 

E  chiama  te  senz'  ale , 

Pigro  cursor  dietro  a  cursor  veloce  j 

E  qual  destrier  feroce 

Che  l'ardente  disdegno 

In  fumo  accolto  spiri, 

E  '1  fren  morda  e  s'aggiri, 

£  di  canora  tromba  aspetti  il  segno, 

Tal  ei  par  che  s'accenda, 

E  '1  dolce  invito  di  battaglia  attenda. 
Già  veggio  e  sento,  o  parmi. 

Sonar  lo  strale  e  l'arco, 

E  chiara  fiammeggiar  F  aurea  facella  : 

Ecco  punta  è  dall'  armi , 

Quasi  cervétta  al  varco, 

E  già  sente  costei  fiamma  novella; 

Ma  talvolta  rubella 

Si  mostra  nel  sembiante , 

E  vaga  e  ritrosetta 

Minaccia  e  'nsieme  alletta. 

Or  di  guerriera  in  atto  ed  or  d'amante; 

E  'n  un  dubbia  e  confusa. 

Fra  vergogna  e  desir  brama  e  ricusa. 
Va  fra  gli  sdegni,  ed  osa, 

Pudico  amante;  alfine 


471  RIME  EROICHE  y 

Pietosa  lìa  questa  bdtà  cradele. 

Si  coglie  intatta  rosa 

Fra  le  pungenti  spine, 

E  fra^  morsi  deli^api  il  dolce  mele.    * 

E  benché  asconda  e  cele 

Sue  voglie,  e  ti  contrasti, 

Rapisci:  più  graditi 

Sono  i  baci  rapiti, 

Tanto  soavi  più,  quanto  più  casti: 

Non  cessar  fin  che  '1  sangue 

Si  versa,  e  vinta  ella  sospira  e  langue. 
Sacra  un  Ueto  trofeo 

Del  l)el  cinto  disciolto 

E  deir  altre  sue  spoglie  in  questa  parte; 

E  i  giochi  d^  Imeneo 

Rinnova  in  nodi  accolto 

Più  bei  di  qne'  ch^  uiìir  Ciprigna  e  Marte  : 

Perchè,  se  Febo  in  parte 

li  vero  a  me  discopre, 

Dal  bel  grembo  fecondo 

FigU  verranno  al  mondo. 

Per  cui  rinnoveransi  i  nomi  e  Fopre, 

Famose  in  pace  e  'n  guerra , 

Di  quei  ch^ ornano  il  cielo,  ornar  la  terra. 
Ma  ecco  in  Oriente 

Appar  la  stella  amica 

Gli  a  noi  la  nova  e  chiara  luce  apporta. 

Facciasi  a  questa  ardente 

Lusinghiera  fatica 

Tregua  ch^  a  pugna  invita  e  riconforta  ; 

E  la  fanciulla  accorta 

Gli  occhi  tremanti  abbassi , 

E  sull'amato  fianco 

Appoggi  il  capo  stanco: 


RIME  EROICHE  4?^ 

Versi  fiorì  Imeneo  suf  membrì  lassi, 
E. temprino  gli  ardori 
Colle  penne  dipinte  i  vaghi  Àmon. 
Canzone,  i  chiari  ingegni 

Sveglia  in  questa  famosa  antica  sponda , 
Che  debil  voce  alta  armonia  seconda. 


CANZONE  XXHL 

In  occasione  delle  nozze  di  D,  Cesare  d^Este 
con  D,  F^irginia  d£  Medici, 

Ciò  che  Morte  rallenta ,  ^jnor  restringi  ^ 
Amico  tu  di  pace ,  dia  di  guerra , 
E  del  suo  trionfar  trionfi  e  regni  ; 
E  mentre  due  belPalme  annodi  e  cingi, 
Così  rendi  sembiante  al  cid  la  terra, 
Che  d^  abitarla  tu  non  fuggi  o  sdegni. 
Non  sono  ire  lassù  :  gli  umani  ingegni 
Tu  placidi  ne  rendi,  e  Podio  intemo 
Sgombri,  signor,  da*  mansueti  cori^ 
Sgombri  mille  furori, 
E  quasi  fai,  col  tuo  valor  superno. 
Delle  cose  mortali  un  giro  etemo. 

E  'n  questa  parte ,  ov^  è  si  bello  il  mondo , 
E  81  conforme  al  del,  perchè  riluce 
Tutto  de^  suoi  celesti  e  chiari  lumi. 
Del  suo  primo  splendor  splendor  secondo, 
E  di  sua  luce  accendi  un^ altra  luce, 
DalPArao  ritornando  al  re  de*  fiumi. 
Tornano  i  graziosi  alti  costumi 
Che  morte  estinse ,  e  quel  valor  rinverde  3 
Fiorisce  la  beltà  di  riva  in  riva, 


474  RIME  EROICHE 

La  gloria  si  ravviva, 
La  grazia  si  rinnova  e  nulla  perde  ^ 
Che  s' alcun  ramo  è  secco ^  il  tronco  è  verde: 
Anzi  i  duo  tronchi  e  le  due  stirpi  eccelse, 
Onde  si  volge  alla  sua  gloria  anùca 
L'Italia,  e  quasi  tocca  in  ciel  le  stelle^ 
E  nelle  fronde  la  virtù  si  scelse 
Felice  nido ,  e  sotto  V  ombra  amica 
Fiorir  gP ingegni  e  leggiadre  arti  e  belle; 
£  quinci  incontra  a  nembi  atri  e  procelle 
D'Adria  Funa  s'innalza  e  i  venti  sprezza, 
E  quindi  l'altra  è  sovra  il  mar  Tirreno, 
E  'ngombra  il  largo  seno 
D'odor,  d'ombre,  ^i  fiori  e  di  vaghezza, 
E  quel  eh'  asconde  è  pari  a  tanta  altezza. 
Qual  vergine  viola  o  bel  giacinto 
Lega  un  sol  filo,  ed  una  mano  istessa 
Due  piante  ingemma  in  più  mirabil  modo, 
Tal  Cesare  a  Virginia  or  semM  avvinto, 
(di' a  Cesare  Virginia  è  già  promessa), 
E  l'arte  e  la  coltura  insieme  io  lodo» 
Gemma  par  l' uno  e  l' altra ,  ed  occhio  e  nodo  : 
Nodo  di  pura  fé  saldo  e  tenace; 
Occhio  d'Amore,  e  preziosa  gemma 
D'onor  ch'Italia  ingemma, 
Ond'ella  splende  e  mira  e  stringe  in  pace 
Duo  germi  illustri ,  e  più  s' onora  e  piace. 
Per  questi  spera  ancor  di  nuovo  ornarsi 
D' Ippoliti  e  d' Alfonsi ,  e  'n  lido  o  'n  monte 
Alzar  novo  trofeo  di  sposUe  e  d'armi, 
E  più  lieta  che  prima  e  bella  farsi  y 
E  d' altre  torri  incoronar  la  fronte , 
Segnata  di  fin  oro  i  blandii  marmi. 
Dolci  rime  frattanto  e  vaghi  carmi 


RIME  EROICHE  475 

L^  orrido  verno  ascolti ,  e  si  rallegri 
A'  varj  balli  e  rassereni  il  cielo  ^ 
E  intepidisca  il  gelo^ 
E  nulla  turbi  in  terra  i  giorni  allegri, 
Né  delle  fauste  notti  i  corsi  integri. 
Canzon ,  vedrai  pompe  notturne  e  giochi , 
Lampi  in  teatri  e  fochi, 
E  città  finte  in  vere ,  e  V  false  larve 
Beltà  verace,  in  cui  si  rado  apparve. 


CANZONE  XXIV. 

IfèUe  nozze  di  D.  Alessandro  Gonzaga 
con  D.  Francesca  Guerrieri, 

Spiega  F ombroso  velo, 

E  de'  più  vaghi  fiori 

Orna  e  dipingi,  o  terra ^  il  crine  e  *1  seno. 

Aure,  spargete  il  cielo 

De'  più  soavi  odori, 

Facendo  il  di  più  chiaro  e  più  sereno. 

Non  ricusate  il  freno, 

O  minacciosi  venti. 

Deposto  il  fiero  orgoglio, 

E,  chiusi  in  qualche  scoglio. 

Non  dispergete  invan  gli  altrui  lamenti^ 

E  regni  un  anno  lieto 

Zefiro  mansueto. 
Tu  canta,  o  puro  lago. 

Che  Quasi  u  mar  simigli , 

E  nell'  aòque  d*  argento  hai  rena  d' oro  : 

Tu,  Po}  tu,  Mincio  vago; 

Tu,  suo  figlino!;  voi,  figli 


476  RIME  EROICHE 

Di  monti  alpestri,  or  &te  un  lieto  coro: 

Voi  di  canne,  io  (F alloro 

Coronati  cantiamo  3    ^ 

Voi,  pini,  abeti  e  faggi, 

Voi  colti  e  voi  selvaggi. 

Più  raddolcite  il  suon  di  ramo  in  ramo) 

L'alno  all^ acqua  risponda, 

Ed  al  fiume  la  fronda. 
Cantiamo,  o  cigni,  il  giorno 

Ch'Alessandro  e  Francesca 

Con  sì  felice  nodo  aggiunge  insieme. 

E  '1  Sol  di  luce  adorno 

Là  si  ritorni,  ond'esca 

Più  lieto  poi  dalle  contrade  estreme  ^ 

Né  più  la  dolce  speme 

Egli  ritardi  ornai  3 

Né  foco  aggiunga  al  foco 

Ch'in  gentil  core  ha  loco, 

Ma  spenga  in  mezzo  F  onde  i  caldi  rai  : 

Che  fresca  notte  accoppia 

Meglio  si  bella  coppia. 
Ha  la  notte  i  suoi  pregi, 

n  rischio  e  le  contese, 

Le  sue  chiare  vittorie  e  le  sue  palme  ^ 

Né  mai  de'  vinti  regi 

Più  bel  trofeo  sospese 

Alcuno,  o  riportò  più  care  salme. 

Presi  i  corpi  e  non  l'alme. 

Qui  non  cinto  o  bipenne, 

Non  elmo,  non  lorica    - 

Di  spietata  nemica. 

Non  scudo  che  man  fera  alto  sostenne^ 

Fan  gloriose  or  queste 

Spoglie  belle  ed  oneste: 


RIME  EROICHE  477 

Ma  bellezza  e  valore, 

Nobiltà,  cortesia  ; 

Caste  YogUe  e  pensier  leggiadro  ed  alto. 

L^  inespugnabil  core 

Tu  pna  vincesti,  e  pria 

Rompesti  lo  suo  duro  e  freddo  smalto 

Nel  caro  e  dolce  assalto; 

A  te  prima  risplende 

Pietà  ne^  vaghi  lumi, 

Ove  ancor  ti  consumi; 

£  guerriera  gentil  vinta  si  rende 

Dolcemente  e  s'adira, 

Parte  langue  e  sospira. 
E  mentre  il  tuo  fratello 

I  più  lodati  agguaglia 

Coli' opre  in  guerra  appresso  il  Reno  algente, 

Più  del  vinto  rubeUo 

In  notturna  battaglia 

Ella  ti  fa  giojoso,  ella  possente. 

Dell'estremo  Occidente 

Qual  preda  o  qual  tesauro 

Tanto  s!  estima  e  prezza , 

Quanto  viva  bellezza 

Di  perle,  di  rubin',  d'avorio  e  d'auro? 

Questa  vince  e  possedè 

Forza  non  già,  ma  fede. 
Canzon,  più  non  si  vanti  istoria  o  carme 

D'Ercole  e  di  Teseo, 

Mentre  io  chiamo  Imeneo. 


478  RIME  EROICHE 

CANZONE  XXV. 

Nelle  nozze  del  me.  Ercole  Tasso 
colla  sìg.  Lelia  Jgosia. 

Terra  gentil^  ch'inonda 

n  chiaro  Serio  e  U  Brembo^ 

£  voi,  frondosi  colli  e  yaghi  monti ^ 

G>lorite  ogni  sponda 

Nel  fresco  ombroso  grembo, 

E  coronate  le  serene  fronti: 

Temprino  il  vino  i  fonti; 

Né  vaghezze  selvagge 

Solo  dimostri  intomo 

L'almo  paese  adorno 

Ch'  invidia  move  all'  arenose  piagge , 

Ma  la  città  sia  lieta 

Più  che  non  fu  già  Tebe  antica  o  Creta: 
Perdi' un  Ercol  novello 

Or  di  concordi  voglie 

Prende  una  bella ,  una  pudica  Augusta; 

Né  così  nobil  vello 

Ebbe,  o  sì  care  spoglie 

L'altro,  mal  grado  di  matrigna  ingiusta: 

Questa  é  mercè  più  giusta 

Del  suo  valore  umano 

E  del  fedele  amore  ; 

E  vie  più  bello  onore, 

Ch'irsuta  pelle  ad  uom  per  doglia  insano, 

O  donna  che  '1  richiami 

Ad  opra  indegna  de'  suoi  vaghi  stami. 
Tu,  vaga  fama,  or  taci 

Quell  amor  si  disciolto  ; 


RIME  EROICHE  479 

Or  è  sotto  le  lesgi  e  morde  il  freno. 

Bergamo  vide  i  naci 

Nel  bel  virgineo  volto, 

Per  cui  Bologna  obblia  col  picciol  Reno; 

E  'n  quel  sì  casto  seno 

Tu  puoi  bramato  sposo 

Deporre  i  tuoi  desiri. 

Percliè  dunque  sospiri? 

Qual  altro  piacer  brami  o  qual  riposo 

Di  si  dolce  fatica 

Nell'ombre  oscure  della  notte  amica? 
E  tua,  sposo  felice: 

Duro  custode  il  passo, 

Legge  o  vergogna  F uscio  a  \e  non  serra; 

Ire  e  tornar  ti  lice. 

Né  trovi  al  pie  già  lasso 

Più  caro  albergo  o  più  sicoro  in  terra  ^ 

Sia  pace  o  crudel  guerra, 

Il  ciel  sereno  o  fosco, 

E  crollin  feri  spirti 

In  mar  le  navi,  e  i  mirti 

E  i  pini  e  i  faggi  nell'ombroso  bosco. 

Godila  dunque  intanto, 

E  loda  tu  la  notte:  il  giorno  io  canta 
Io  canto  il  di  eh'  aggiunge 

Bellezza  e  cortesia, 

Onestade  e  valor  con  dolci  nodi; 

E  fo  sonar  più  lunge 

L'alma  tua  stirpe  e  mia, 

A  cui  tu  cresci  belle  e  chiare  lodi. 

E,  mentre  leggi  ed  odi 

Il  merto  di  tuo  padre, 

E  le  virtudi  e  i  pregi 

De'  cavalieri  egregi, 


48o  UME  EROICHE 

E  Fopre  lor  A  conte  e  si  leggiadre , 
Ne  rinnovi  F  esempio  , 
£  rende  grane  il  tuo  fratello  al  tempio. 
Nascan  figli  e  nepoti  al  nostro  Alcide, 
E  fra  le  schiere  e  Farmi 
Cantino  i  nostri  carmi. 


CANZCNE  XXVI. 

Nette  nozze  det  principe  di  Conca  Matteo  di  Q^ua 
e  D,  Giovanna  di  Zunicax 

S'era  fermo  Imeneo  tra  Ferto  monte 

£  '1  mai*e  in  cui  sovente  Austro  risona 

Là  Ve  cinge  e  incorona 

Napoli  d^alte  mura  antica  fronte^ 

Napoli;  che  di  gloria  e  d'or  corona 

Impone  a  tanti  duci. 

Quante  serene  luci 

Non  ha  la  notte  allor  che  '1  velo  spiega: 

Qui  con  Amor,  ch'avvolge  i  cori,  e  lega 

L'anime  pellegrine, 

Facea  ghirlande  al  crine. 

Ed  allori  giungendo  insieme  e  palme, 

Ei  tessea  i  nodi  preziosi  all'alme. 
NelF  aureo  albergo  in  cui  la  stirpe  antica 

E  di  Caspi  e  di  Troja  ancor  si  vanta, 

E  qual  traslata  pianta 

Adombra  ove  quel  mar  la  terra  imphca, 

Or  delle  Muse  a  prova  i  versi  canta, 

Or  delle  Parche  il  coro. 

L'uno  e  F altro  canoro^ 

E  dove  tace  Fun,  F altro  risponde. 


RIME  EROICHE  481 

Ed  alternali  le  note  i  monti  e  fonde: 

Uun  le  passate  cose 

Ancor  più  gloriose^ 

E  Peltro  rende  le  future  illustri ^ 

A  cui  fan  quasi  velo  e  gli  anni  e  i  lustri. 
Dice  il  primìer:  Da  que^  felici  campi ,  -  * 

Dove  per  merto  sono  in  pace  accolte 

L'alme  dal  vel  disciolte, 

La  cui  gloria  qual  fiamma  avvien  eh' av  vampe , 

Siate  voi,  prego,  al  nostro  suon  rivolte: 

Voi  che  varcaste  i  mari, 

Fuggendo  i  tetti  avari; 

Voi  che  spargeste  per  la  patria  il  sangue  ) 

Voi  che  feste  il  nemico  in  terra  esangue  ) 

Voi  che  salvaste  i  regi, 

Guerrier',  voi  duci  egregi;    , 

E  voi  con  sacro  manto  e  lunghe  chiome; 

Ch'oggi  s'eterna  il  sangue  vostro  e  '1  nome. 
Nasca,  dice  il  secondo,  al  novo  erede 

Di  gloria,  di  valor,  d'alto  consiglio, 

L' un  dopo  l'altro  figlio 

Che  prenda  esempio  dall'antica  fede; 

Ivi  più  forte,  oV'è  maggior  periglio, 

Nasca  agli  scettri,  all'armi. 

Tra  l'ostro  e  i  bianchi  niarmi; 

Nasca  a  regger  le  schiere  armate  in  gueiTa , 

A  possedere  in  pace  amica  terra: 

E  ne'  rami  si  scorga 

Come  virtù  risorga  ; 

L'arbore,  in  vece  pur  di  fiorì  e  foglie, 

D' alti  trofei  s' adorni  e  d' auree  spoglie. 
Poscia  d'ambo  s'udia  quasi  un  concento. 

Più  ch'altro  fosse  mai  sonoro  e  dolce, 

Ch'  altrui  lusinga  e  molce , 
Tasso,  Fol  IF.  3i 


483  &1ME  EROICHE 

£  queta  il  mar  sonoro ^  e  queU  il  vento: 
Arride  il  Re  del  ciel  ^  che  T  mondo  folce^ 
Ed  ogni  nube  oscura 
Di  nemica  ventura 

Si  sgombra  al  senno ,  e  1  Sol  più  chiaro  intorno 
•  Par  che  luce  raddoppi  al  novo  giorno; 
La  notte  in  vel  più  vago 
Spiega  ogni  etema  imago} 
Uè  d^  avversa  fortuna  sìlcun  si  lagna  ^ 
Mentre  è  lieta  e  felice  Italia  e  Spagna. 
Anzi  quel  mare  e  questo  e  gemme  ed  oro 
Lor  porta  "^  e  bianche  perle  e  lucidi  ostri  ^ 
Perchè  s^  adomi  e  mostri 
D^  influite  ricchezze  un  bel  lavoro  3 
£  gU  eroi  d^  Occidente  e  i  duci  nostri 
Par  che  splendano  a  prova 
In  vbta  altera  e  nova 
Per  onorar  la  bella  e  nobil  coppia 
Ch'ambe  F Esperie  in  un  sol  nodo  accoppia. 
Pace  ha  intanto  e  riposo 
La  terra  e  1  mar  ondoso; 
E  '1  collo  a  sciolto  bue  si  fa  più  moHe^ 
E  non  impiaga  aratro  o  campo  o  colle. 
La  fama  i  detti  sparge 

Sin  là  Ve  per  Teseo  pianse  Arianna, 
E  nova  fede  antico  error  condanna. 


RIME  EROICHE  483 

CANZONE  XXVn. 

Ptr  le  nozze  di  Ferdinando  I  mtnduca  di  Toscana 

con  Cristina  di  Lorena, 

Odo  sonar  d'Italia  intorno  i  monti 
Delle  più  colte  e  più  leggiadre  rime, 
£  crollar  Palte  cime 

Gli  olmi,  i  pini,  gli  abeti,  i  lauri,  i  faggi, 
Per  cui  facean  concento  i  fiumi  e  i  fonti, 
Insin  dall^alpe  all'arenose  sponde; 
E  '1  mar  con  tutte  Fonde 
Mormorando  cessò  gli  usati  oltraggi, 
E  dalla  crespa  fronte  ardenti  raggi 
Incontra  '1  Sol  vibrò  purpurei  e  a  oro, 
A  cui  sospende  Parco  e  la  faretra, 
Onde  i  figli  di  Miobe  irato  estinse, 
Febo,  e  prende  la  cetra, 
Com'allor  ch'i  Giganti  in  Flegra  ei  vinse. 
Coronato  d'  alloro  : 
Ecco  dal  suo  canoro 
Giogo  lunge  le  Muse,  e  lunge  avvampa 
Di  nuove  faci  una  congiunta  lampa. 

n  giorno  lieto  e  1  suo  splendor  conosco, 
£  la  pompa  real  ch'Italia  accoglie; 
E  con  mutate  spoglie 
Te,  Ferrando,  veder  lontano  or  parme: 
Te ,  prima  gloria  del  paese  Tosco , 
Te  canta  il  coro  (e  Febo  a'  suoi  concenti 
Ti  molce  l'aria  e  i  venti) 
Che  già  cantò* de'  tuoi  la  gloria  e  l'arme; 
£  1  Greco  a  te  misura  il  nostro  carme  : 
Ma  non  cessan  le  Grazie,  o  cessa  Amore 


484  RIME  EROICHE 

Intanto  di  versar  rose  e  giacinti , 

E  ouanti  fiori  il  maggio  a  noi  produce^ 

O  1  aprile  ha  dipinti 

A  Questa  ch'onestate  e  fé  conduce , 

Di  aè  stessa  maggiore  ^ 

Per  farle  eterno  onore; 

Benché  non  bastin  fiori;  ombre  e  ghirlande ^ 

E  ciò  ch^nstilla  il  ciel,  la  terra  spande. 
Che  non  è  degno  onde  si  faccia  il  manto, 

Od  altro  che  le  membra  orna  e  circonda , 

Ciò  che  si  scuote  e  sfronda , 

Per  serico  trapunto ,  o  tesse  e  pinge: 
'  E  di  verdi  sorelle  indegno  è  1  pianto 

Che  s^  aduna  stillando  al  freddo  cielo 

Per  cristallo  che  'n  gelo 
Di  vecchia  neve  più  s^ndura  e  stringe , 
E  quello  che  di  conca  umor  dipmge: 
£  quanto  sceglie  in  più  lucenti  arene 
Avara  man  dell'Ermo  o  pur  del  Tago, 
Non  basta  al  culto  onde  si  mostra  adorna, 
Quasi  del  cielo  imago; 
Né  sotterra  ;  ove  il  di  giammai  non  toma^ 
Di  preziose  vene 
Pietra  a  lei  più  conviene; 
Né  splende  a  par  di  lei,  dov'ella  appare , 
Perla  o  gemma  che  mandi  il  ricco  mare. 
Ma  coli'  animo  vince  ogni  ricchezza , 
Ogni  tesoro  ;  e  giunge  in  nobil  parte 
Che  più  ne  serba  e  parte; 
E;  mentre  Foro  sparge,  onore  aduna, 
E  gloria  miete  :  e  ^n  più  sublime  altezza 
Clii  siede?  E  se  non  parve  il  seggio  angusto 
Alla  figlia  d'Augusto, 
Chi  più  si  può  vantar  d' ampia  fortuna , 


RIM£  EROICHE  4^5 

O  di  chiaro  valor  che  non  imbruna 

Per  volger  d' anni  o  per  girar  di  bistri , 

Quand^ella  terra  e  ciel  mesce  e  perturba? 

Anzi  lucente  è  qui,  non  pur  ser^io, 

S^  air  animosa  turba 

Ralleiìtò  mai  F ingiuriosa  il  freno, 

Nemica  a'  fatti  illustri: 

E  quinci  par  che  illustri 

Toscana  tutta  e  le  rischiari  il  giorno, 

E  corona  le  fa  di  raggi  intomo. 
Quinci  r  ava  passò  le  gelidi  alpe, 

Ch'ad  invitto  d^  Europa  antico  regno 

Giunse  quasi  sostegno , 

E  diede  i  successori  al  grande  Enrico: 

Oltre  Pirene  ancora  ,  Àbila  e  Calpe , 

L'una  e  T altra  d'Alcide  alta  colonna 

Incliinan  Falta  donna 

E  la  figUa  che  fece  al  padre  amico 

Lo  sposo  eh'  era  dianzi  aspro  nemico  : 

Qui  torna  la  nipote  y  e  più  feUce ,    • 

Onde  colei  parti,  costei  riporta 

Gioja  e  speranza  pur  di  novi  figli, 

Quasi  una  istessa  porta 

Ch'aperse  il  passo  al  ferro  ed  a'  perigli 

Dell'Italia  infelice, 
'    Or  sia  più  grata  in  vice: 

Ed  onde  Marte  i  nostri  campi  infiamma 

Senza  incendio  Imeneo  scuote  la  fiamma. 
£  qui  pur  lega  Amor  due  nobil  almej 

Qui  il  sangue  Lotteringo  in  un  si  mesce 

Con  quel  eh' a'  Toschi  accresce 

L'antica  gloria,  e  novo  onore  aggiunge^ 

E  qui  due  stirpi  invitte  in  un  congiunge, 

E  ciascuna  di  fama  ha  ricchi  fregi 


486  RIBIE  EROICHE 

Tra  peregrini  egregi^ 

E  trìonli  e  corone  e  scettri  e  palme. 

Siringe  b  fede  qui  due  fide  palme: 

E  d^una  parte  castità  risplende 

Con  bella  pura,  e  nobiltà  pareggia , 

E  ciò  ch'in  donna  più  s'onora  e  piace; 

D' altra  quasi  fiammeggia 

Valor I  senno,  di  guerra  arte  e  di  pace; 

Spirto  dì' al  cid  intende, 

Astréa  eh' a  lui  discende; 

E  mentre  l'una  mano  il  ferro  vibra, 

L^  altra  giuste  bilance  appende  e  libra. 
Ma  di  più  grave  carme  e  d'dtra  penna 

Degna  è  quella  virtù  che  n  l'esalta, 

E  di  lode  più  alta; 

Che  questa  si  disperde  al  lieto  grido, 

E  parlo  e  scrìvo  in  guisa  d'oom  ch'accenna, 

Mentre  Imeneo  si  canta  al  cid  notturno^ 

E  più  bello  ch'ebumo 

Suona  il  teatro  e  '1  bel  paterno  nido, 

E  l'Apennino  e  l'arenoso  lido. 

Vivan  dunque  felici;  e  '1  breve  dono 

Usino  dell'età  che  vola  e  fugge 

Più  veloce  che  strai,  né  toma  indietro; 

Ch'  ogni  cosa  si  strugge  : 

Ecco  chi  saldo  pare,  è  quasi  un  vetro; 

£  di  color  che  sono. 

Sol  d  rimane  il  suono 

E  la  fama  che  parla  in  guisa  d'ombra  : 

L'altre  cose  la  morte  e  '1  tempo  sgombra. 
Vivan  felici  adunque, 

E  dian  figli  e  nipoti  al  Tosco  impero, 

E  premio  alla  virtude  e  luce  al  vero. 


RIME  EROICHE  487 


CANZONE  XXVin. 


j4Ua  duchessa  di  Mantova*  Si  studia  di  mostrarti 
riconoscente  de"  segnalati  benefizj  da  lei  rìcevutL 
Ella  cooperò  molto  per  la  liberazione  del  Tasso 
dal  carcere  di  S.  Anna. 

Caro  agli  egri  mortali  il  lucido  auro, 
E  d'Oriente  son  le  gemme  e  gli  ostri; 
E  i  fonti  e  i  verdi  chiostri 
E  Popre  varie  di  colorì  e  i  marmi  3 
Cara  è  la  gloria ,  e  del  famoso  lauro 
L'antico  pregio  e  F  onorato  grido  ; 
Lo  qual  di  lido  in  lido. 
Là  Ve  non  sono  intesi  i  nostri  carmi, 
Spare[e  il  canoro  suon  di  trombe  e  d^armi: 
Ma  dono  di  salute  al  corpo  esangue 
Tuttì  altri  avanza,  ove  la  mente  e  Falma 
Sgombran  quasi  compagne  il  duolo  acerbo. 
Fa  la  vittoria  il  vincitor  superbo, 
Ed  obblì'ando  la  sua  nobil  palma. 
Per  diletto  ei  talor  vaneggia  e  langue^ 
Ma  le  spoglie  di  sangue 
Tinte ,  alla  nave  altrui  che  tutta  spalma  , 
Son  de'  tesori  assai  men  grave  salma. 
Ma  la  salute  fa  più  lieto  il  corso 
D'umana  vita,  che  fra  scogli  e  sirti 
Le  vele  a'  feri  spirti 
Di  fortuna  dispiega,  e  cerca  iT porto. 
Questa  portaste  voi ,  eh'  in  mio  soccorso 
Veniste  a  me,  quasi  celeste  Diva, 
Quand'io,  sospinto  a  riva. 
Più  splender  non  vedea  F  Occaso  e  FOrto: 


488  RIME  EROICHE 

Luce  al  cieoo  dona^,  e  vita  al  morto. 

Doni  celesti  fur  cli^obblio  noo^copre; 

Voi  dal  ciel  li  prendeste ,  alma  divina: 

Voi  sete  luce  in  quel  gran  Sole  accensa 

Ch'i  santi  raggi  suoi  spai^  e  dispensa j 

E  vita  sete  voi  ch^indi  dechina 

A  far  vìva  quaggiù  la  fede  e  Fopre: 

Per  voi  chiaro  si  scopre 

Che  grana  sforza  il  Òiel  ch'altrui  destina 

La  morte  in  sua  giustizia  o  'n  sua  rapina. 

Voi  la  vinceste:  oh  che  leggiadra  schiera 
Venne  con  voi  d'alte  virtuti  elette, 
Quando  nel  cor  ristrette 
Le  mie  già  vinte  ebber  rifugio  e  scampo  ! 
Altre  scendean  dalla  superna  sfera; 
Altre  in  voi^  nate  allo  splendor  ch'informa, 
Presa  han  sembianza  e  forma, 
E  tutte  folgorar  con  chiaro  lampo. 
Morte  crudele,  e  fuggitiva  in  campo , 
Come  fera  cacciata  al  folto  bosco, 
("aceva  a'  regni  oscuri  indi  ritorno, 
Cedendo  la  mia  grave  inferma  spoglia. 
Ed  io,  tremante  più  ch^ arida  foglia, 
Apersi  gli  occhi  stanchi,  e  vidi  u  giorno 
Men  ohe  pria  non  solea  turbato  e  fosco: 
Or  me  stesso  conosco, 
E  del  mio  vaneggiare  ho  dogUa  e  scorno. 
Parte  il  trofeo  del  vostro  nome  adomo, 

E  di  quella  pietà  ch'ai  primo  sguardo 

Scacciò  la  tnorte  e  '1  gran  timor  eh'  adduce, 
E,  mentre  in  voi  riluce. 
Fa  deir  anima  vostra  un  puro  tempio.  ' 
Ma  perchè  sono  a  celebrar  si  tardo 
Tant'altre?  anzi  fra  via  l'onoro  e  passo, 


\ 


RIME  EROICHE  489 

Quasi  impedito  e  lasso , 
£  U  dover  e  U  desìr  sì  male  adempio? 
Bellezza  e  castità  di  raro  esempio 
Congiunte  in  voi  ^on  si  tenaci  nodi , 
Che  scioglier  non  li  può  fortuna  o  morte , 
Qual  penna  porterà  ch^al  del  più  8\erga? 
E  pronta  cortesia  che  seco  alberga^ 
E  quella  ond^  alta  donna  è  giusta  e  forte  y 

'  In  quali  carte  avran  più  ciliare  lodi? 
O  'n  quai  più  degni  modi, 
Coir  altre  air  al  ciel  fidate  scorte, 
In  voi  s^ onorerà  valore  e  sorte? 

Io ,  eh' aU^ispano  Ibero,  alPindo  Idaspe 
Or  non  posso  mandarne  il  chiaro  suono, 
Di  voi  nel  cor  ragiono 
E  nella  parte  di  me  stesso  etema; 
Benché  la  Parca  il  breve  filo  inaspe, 
E  'n  mortai  grana  di  caduca  vita, 
Iti  è  da  me  scolpita 
Ove  scorger  sol  può  la  vista  intema: 
E  chi  fia  che  V  onori  o  che  la  scerna 
In  queate  pigre  mie  membra  terrene? 
Ma  pur  dove  il  gravoso  e  fragil  manto 
Nulla  di  vero  a'  puri  spirti  asconde, 
Essi  vedran  com^al  mio  dir  risponde, 
E  sarà  noto  in  più  sonoro  canto 
D'altre  Muse  lassù,  d'altre  Sirene. 
O  sol  felice  spene! 
Or  chi  ricerca  fra'  mortali  intanto 
Dal  Borea  all'Austro  maggior  fama  o  vanto? 

E  s' avverrà  che  mia  fortuna  incerta 
Faccia  giammai  per  me  cavalli  e  navi , 
E  con  aure  soavi, 
O  con  turbate ,  pur  di  regno  in  regno 


490  RIME  EROICHE 

Porti  la  mia  ne^  suoi  perìgli  esperta, 
Già  non  mi  converrà  gittare  al  fondo  ^ 
Come  dannoso  pondo, 
La  mia  salute,  e  dimostrarmi  indegno 
Del  vostro  dono;  e  '1  combattato  ìeffìo 
La  fede  condurrà;  né  rupe  o  scoglio^ 
Né  procelloso  nembo  o  fero  vento, 
Uh  la  sommergerà  Carìddi  o  Scilla, 
Quando  più  si  |)erturba  onda  tranquilla. 
Care  merci  nel  mar  novo  spavento 
Perde  talvolta;  io,  per  turbato  orgoglio 
Saggio  più  che  non  soglio, 
L'amata  soma  salverò  contento. 
Perchè  si  sparga  pur  Foro  e  T argento. 
Riverente,  canzone,  inchina  e  prega 
Quella  che  rozzo  stile  in  te  dipinse. 
Anzi  adombrò  come  il  suo  onor  rìsplenda  y 
Già  d'Amo,  ora  del  Mincio  etema  gloria; 
E  dille  pur  che  segua  alta  vittoria, 
£  salute  a  quest'alma  e  pace  or  renda. 
Vinca  fortuna  ancor,  se  morte  vinse, 
£  fugata  respinse; 

E,  dove  l'arco  in  me  rivolga  e  tenda. 
La  sua  pietà  mi  copra  e  mi  difenda. 


/. 


RIME  EROICHE  491 

•      CANZONE  XXK. 

Celebra  le  moUe  virtù  della  duchessa  di  Mantova , 
e  lo  splendore  deUa  sua  Casa. 

Come  nel  fare  il  cielo  il  Fabro  eterno 
Le  pure  e  somme  parl^  e  più  lucenti 
Prese  dagli  elementi, 
£  nel  formar  le  stelle  erranti  e  fisse} 
Così  F  anima  vostra  ali^alte  menti 
Simile  ei  fece^  e  '1  magistero  intemo 
Al  lavoro  superno 

D^ agguagliar  simigliando  allor  prefisse, 
£  mille  varie  forme  in  sé  descrìsse. 
Quinci,  D^ogni  virtute  il  sommo  io  soglio, 
Disse,  per  farla  a  meraviglia  adoma;  — 
Talché  Palma  gentil  ch'in  voi  soggiorna, 
È  d'ardente  splendor  lucido  speglio, 
£  del  pili  bello  il  meglio: 
Né  raggi  tanto  chiarì  e  lieti  or  vibra 
Apollo  in  tauro  o  ^n  libra, 
Quanti  ne  sparge  il  Sol  ch'in  voi  rìsplende. 
Onde  ogni  altro  il  suo  lume  accresce  o  prende. 

In  voi  pradente  è  la  giustizia,  e  giusta 
È  la  prudenza,  e  pudicizia  é  forte 
Nell'amor  del  consorte, 
£  fortezza  é  pudica  (oh  bella  schiera!), 
eh'  il  fato  non  temea  ,  non  V  empia  sorte , 
Non  fuga,  esigilo,  e  non  prìgione  angusta, 
Non  morte  o  forza  ingiusta, 
Non  fiamma  o  spada  e  non  tiranno  o  fera: 
Or  non  è  men  costante  e  meno  altera, 
Né  temerìa  quel  ferro  onde  s'aperse 


/ 


49^  RIME  EROICHE 

Lucrezia  il  petto,  e  '1  foco  acceso  e  F angue 
Che  depreda  gli  spirti  e  Wetta  il  sangue , 
Sol  per  sottrarsi  alle  fortune  avverse  ^ 
Né  di  Pompeo  e  di  Serse: 
E  del  petto  faria  con  novo  esempio 
Tomba  non  pur,  ma  tempio  ^ 
Né  sarebbe  di  vita  avara  e  parca 
Al  vostro  sposo,  e  sprezzeria  la  Parca. 
Ma  come  varie  schiere  na  duce  invitto 
Spesso  raccolte  in  onorata  impresa  ^ 
E  pur  senza  contesa 
Vince  talvolta,  e  fa  più  nobil  opra^ 
Così  vostra  ragion,  per  far  difesa, 
Squadra  molte  virtù;  ma  U  core  afflitto 
Per  doglia  o  per  despitto 
O  per  ira  o  timor  non  vien  che  scopra, 
Né  'n  contrasto  nojoso  unqua  s^adopra. 
Né  trova  cosa  al  nel  desio  molesta  ^ 
Ma  lieta  la  fortuna  e  '1  Gel  benigno  : 
L'altare,  il  serpe,  la  corona  e  1  cigno, 
Ed  ogni  stella,  ch'é  lassù  contesta, 
A  favorirvi  è  presta. 

Non  sol  Giove  e  Satqmo  e  gli  altri  erranti 
Con  plàcidi  sembianti 
Rimiran  Falto  albergo  ove  pria  nacque, 
E  questo  sì  lucente  in  riva  all^  acque. 
E  come  nave  può,  ch'arbori  e  sarte 
Abbia  e  vele  e  governo,  i  venti  e  Fonde 
Solcar,  benché  profonde, 
Nel  tempestoso  Egeo  di  notte  oscura  y 
Ma  pur  sempre  eUa  avendo  aure  seconde, 
E  1  mar  tranquillo  intorno,  e  'n  ogni  parte 
Senza  nubi  cosparte 
Serenissimo  il  giorno  e  Tana  pura, 


RIME  EROICHE  493 

Spiega  le  vele  all'Aquilon  secura^ 

£  vola  per  F ondoso  instabil  regno: 

Tal  nei  perìgli  in  voi  pronta  sarebbe 

La  vostra  alta  virtù ,  poi  eh'  ella  crebbe. 

Né  sono  pigre  Farti  o  U  chiaro  ingegno^ 

Né  di  fortuna  sdegno, 

O  fero  occaso ,  od  apparir  di  stella 

Non  move  atra  procella, 

E  '1  ciel  ride,  il  mar  tace,  e  splende  il  raggio, 

E  l'aura  spira,  e  non  vi  turba  oltraggio. 

Oh  fortunata,  in  qual  lucente  albergo 
Era  fortuna  in  ciel  quando  nasceste 
Con  bellezza  celeste. 
Con  ogni  aspetto  ed  ogni  stella  amica? 
Or  la  corona  pur  del  padre,  o  questa 
Deggio  lodar,  mentre  le  carte  F  vergo 
E  col  pensier  più  m'ergo? 
Ei  dove  il  nostro  mar  la  terra  implica, 
E  fra  gente  più  strana  e  più  nemica. 
Si  fa  temer  col  suo  valor,  colFarmi; 
E,  quanto  gira  il  Sol,  dispiega  e  spande 
Nome  famoso  ed  onorato  e  grande  : 
Ei  saggio,  ei  largo,  erge  metalli  e  marmi. 
Lodato  in  mille  carmi  ^ 
Egli  fonda  città,  non  pur  corregge^ 
Ed  egli  é  viva  legge. 
Ove  i  preroj  e  le  pene  altrui  compàrta. 
Più  che  di  Tebe  re,  d'Argo  e  di  Sparta. 

Ma  '1  signor  vostro  in  sul  fiorir  degli  anni. 
Nell'oriente  del  suo  di  sereno, 
Non  sol  vi  porta  in  seno. 
Ma  nel  cor  vi  tien  viva  e  'n  mezzo  ali' alma  j 
E  cresce  il  vostro  amor  senza  veneno. 
Senz'ire,  senza  liti  o  senza  affanni. 


49(  BUIE  EROICHE 

Batte  frattanto  i  vanni 

Xid  vostra  Tama  gloriosa  ed  alma: 

Voi  cT onestate,  ei  di  Talor  la  palma 

Ha  fra  milTaltri;  ei  legge  o  canta  o  scrÌFe 

Leggiadri  versi,  o^  d^ onorata  polve 

Sparso,  gli  alti  destrieri  ei  frena  e  volve 

Da  mover  guerra  all^affricane  rive^ 

£,  mentre  in  pace  or  vive, 

D^armi  coperto  il  porterìa  sul  dorso, 

Vincendo  i  venti  al  corso. 

Tal  ch^  insieme  può  far  F  imprese  illustri, 

Ed  istoria  di  sé  per  mille  lustri. 

Così  ei  diviene  efenio:  e  voi  nel  figlio 
Perpetuo  il  fate;  e  la  real  sembianza 
Vi  dà  gloria  e  speranza 
Che  sia  stirpe  imraortal  de'  figli  vostri: 
E,  dovunque  volgete  intomo  U  ciglio, 
Vedete  come  giunto  in  un  s'avanza 
Il  senno  e  la  possanza, 
E  si  loda  il  valor  con  puri  inchiostri*, 
Vedete  alti  palazzi  e  pompe  ed  ostri, 
Scettri,  corone,  imprese,  opre  leggiadre, 
Varj  pregi  e  trofei  d^  eccelse  spoglie, 
E  quanti  insieme  adoma  e  quanti  accoglie 
Il  suocero,  il  fratel,  lo  sposo,  il  padre. 
Or,  gemme  ed  arme  e  squadre, 
E  quanti  innalzan  tempj,  e  quanti  altari. 
Terre  soggette  e  mari. 
Città,  popoli,  navi  in  sen  profondo, 
E  tutto  intento  ad  onorarvi  il  mondo. 

Canzon,  tante  virtù  con  tanti  onori, 
Tante  grazie  del  Ciel,  tanta  fortuna 
Vedrai  dove  tMnvio,  ch'ai  primo  sguardo 
Dirai:  Per  questa  altezza  il  volo  ò  tardo; 


RIME  EROICHE  4g5 

E  ciò  ch^ altrove  è  sparso,  or  qui  s^ aduna, 

Tal  ch'altra  luce  imbruna. 

Pur  osa  dirle  neghittosa  e  lenta, 

S' alcun  giammai  ne  tenta  : 

Questa  a  eterno  ardor  poca  favilla, 

£  d^  infiniti  abissi  è  breve  stilla. 


CANZONE  XXX. 

Al  cardinale  Sfondrato,  Si  vale  di  parecchie  compa" 
razioni  per  esprìmergli  la  propria  gratitudine^  come 
^a  suo  oenefattore  e  protettore. 

Nella  stagion  che  più  sdegnoso  il  cielo 
Si  mostra,  e  Febo  con  turbato  aspetto 
Breve  n'apporta  e  nubiloso  il  giorno. 
La  madre  antica  dall' afflitto  petto 
Manda  sospiri ,  e  del  suo  ingiusto  scorno 
Si  duole  avvolta  in  tenebroso  velo. 
Vedendo  sé  dal  pigro  orrido  gelo 
D'ogni  onor  priva,  e  quasi  in  tutto  estinta 
La  gloriosa  sua  diletta  prole  3 
Ma  quando  torna  a  noi  più  vago  il  sole, 
£,  la  rabbia  brumai  distrutta  e  vinta, 
Il  di  più  lungo  rende  e  più  giocondo, 
Gioisce  allor  la  terra,  e  nel  fecondo 
Ventre  virtù  riceve,  onde  di  fuori 
Con  ogni  pianta  sua  sé  stessa  adoma. 
Simil  gioja,  signor,  in  me  soggiorna^ 
Che,  dopo  tanti  guai, 
Or  consolato  alfin  da'  vostri  rai 
Spero  per  voi,  mio  Sol,  far  frutti  e  fiorì, 
£  racquistare  i  miei  perduti  onori. 


4g6  RIME  EROICHE 

Nella  istessa  stagion^  qaando  più  appanna 
Oscura  nebbia  il  sole,  e  ghiaccio  e  neve 
Al  vomero  nasconde  e  'ndura  il  solco , 
Un  anno  a  lai  sembrando  il  giorno  breve, 
Sta  mal  suo  grado  in  oùo  il  buon  bifolco, 
Chiuso  nell^  umil  sua  casa  o  capanna  ; 
£  quivi  s^ange  invano,  invan  s'affanna, 
Che  lungo  verno  il  suo  lavor  distorm, 
£  vieti  a  torto  il  giusto  culto  ai  campi: 
Ma  tosto  poi  che  con  più  chiarì  lampi 
Discopre  il  gran  pianeta  i  colli  adonu^ 
Levando  air  aria  il  velo  oscuro  ed  atro^ 
Lieto  riprende  il  villand  F aratro, 
£  i  carì  semi  al  buon  terren  dà  in  pegno, 
Per  trame  usura  a  più  maturo  tempo. 
In  si  trist'ozio  anch  io  tenuto  un  tempo. 
Signor ,  da  stagìon  ria , 
Or  che  '1  bel  lume  vostro  a  dò  m'invia^ 
Ritomo  a  coltivar  F  inculto  ingegno, 
Per  trame  fratto  che  di  voi  sia  degno. 

La  nobil  pianta ,  di  cui  fu  inventore 
Nelle  sue  gloriose  alte  fatiche 
Il  gran  figliuol  di  Semele  e  di  Giove, 
Mentre  giace  fra  i  pruni  e  fra  l'ortiche 
Non  può  frutti  proaur,  che  non  ha  dove 
S'appoggi  e  mostri  il  suo  natio  vigore; 
Ma  se  cortese  man  d'alcun  pastore 
Da'  tristi  vepri  e  dall' inutil  erbe 
La  solleva,  e  l'aggiunge  ad  olmo  o  salce, 
AUor  con  più  d'un  pampano  o  d'un  troice 
Si  spande  ed  alza,  e  tra  le  foglie  acerbe 
D' uve  alfìiì  si  dimostra  adorna  e  grave , 
Pel  cui  dolce  liquore  almo  e  soave 
£lla,  che  si  vii  dianzi  e  neglett'era^ 


\. 


RIME  EROICHE  4g7 

Poscia  tenuta  vien  cara  e  gentile. 
Cosi  la  mia  virtute  a  terra  umile 
Sterile  a  forza  giacque; 
Ma,  poi  ch^ alzarla  e  sostenerla  piacque 
A  voi,  signor,  col  vostro  appoggio  spera 
Di  farsi,  oprando,  gloriosa  altera. 

Allor  che  nel  leon  più  caldo  il  raggio 
Apollo  spiega,  e  par  eh' a  noi  vicino 
Guidi  il  gran  carro  Ó! òr  novo  Fetonte, 
Sul  mezzo  giorno  errando  il  peregrino 
Per  solitario  alpestre  orrido  monte, 
Astretto  di  seguir  F aspro  viaggio, 
Se,  dopo  cammin  lungo,  un  fonte,  un  faggio 
Trova  fuor  di  sua  speme ,  ov'  arso  e  stanco 
Le  labbra  immolli,  e  posi  i  membri  lassi. 
Quivi  spegne  la  sete,  e  quivi  stassi 
Sovra  1  Verde  terren  posando  il  fianco 
Presso  al  bel  rio  che  1  vicin  ramo  adombra; 
Poi  grato  a  si  fresch' acque ,  a  si  dolce  ombra, 
Neir  aspra  scorza  e  nella  pietra  dura 
Scrìve  con  laude  lor  gli  obblighi  suoi. 
Tal  io,  già  ristorato  appien  da  voi. 
Fonte  di  mia  salute, 
E  pianta  d'ogni  onor,  d'ogni  virtute. 
Le  glorie  vostre  e  tanta  mia  ventura 
Farò  in  voi  conte  ad  ogni  età  futura. 

Quando  per  terminar  alte  contese 
Col  faUace  parer  del  cieco  Marte 
Crudo  guerrìer  s'accinge  all'altrui  danno; 
O  quando  per  voler  più  di  sua  parte 
La  violenza  in  uno  opra  e  T  inganno 
Contra  chi  forse  lui  mai  non  offese  ; 
Mira  l'oppresso  del  natio  paese 
Fiamma  vorace  accender  le  contrade. 

Tasso  ,  Fot.  ir.  3a 


:i 


4^  RIME  EROICHE 

Che  non  ha  fona  oncF  a  lai  possa  Of^na  : 

Ma  se  gli  giungon  pcn  fidi  soccorà 

D'amiche  genti  ardite,  allora  cade 

A  ouel  crudel  ForgogUo,  e  'n  fuga  rìede, 

E  '1  vincitor  d'onor  carco  e  di  prede 

Serba  nel  petto  suo  grata  memoria 

Di  chi  '1  sottrasse  a  man  rapaci  e  ladre. 

Tal  ìoy  da  voi  soccorso,  (^  le  squadre 

D^  empia  fortuna  a  terra 

Traggo  dopo  un*  ingiusta  orrìbil  guerra , 

£  (u  si  fortunata  e  gran  vittoria 

Se  la  salute  è  mia ,  vostra  è  la  gloria. 

E  '1  già  stanco  nocchier,  che  ^ndamo  accorto 
Non  potendo  schermir  F  aspra  procella 
Va  col  suo  legno  in  preda  ai  venti,  alTonde, 
S'awien  che  sorte  o  pur  benigna  sldla 
Le  già  sdrucite  e  sconquassate  sponde 
Dopo  diverso  error  sospinga  in  porto  ; 
Sicuro  si|  ma  in  viso  afilitto  e  smorto 
Vassene  umile  al  tempio  a  sciorre  i  voti 
Fatti  a  Nettun  ne*  suoi  maggiori  afEanm^ 
£  quivi  appende  co*  bagnati  panm 
O  cera,  o  legno,  ove  i  perìgli  noti 
Renda  e  1  felice  suo  scampo  alle  gentL 
Tal  io,  signor,  che,  da  centrar)  venti 
Ck>mbattuto.  gran  tempo ,  alfin  pur  sono 
Scorto  al  lido  da  voi  con  chiaro  lume. 
Nel  tempio  delia  Gloria  al  vostro  nume, 
Grato  di  tanta  aita. 

Questa  man,  questo  ingegno  e  questa  vita, 
Che  da  voi  tengo  e  riconosco  in  dono, 
Col  cor  pien  d^  umiltà  consacro  e  dono. 

Ben  veggio  il  nobil  tuo  giusto  desio, 
Canzon;  ma  invan  t* affanni,  indarno  speri 


RIME  EROICHE  499 

Mostrar  con  ombre  intemi  affetti  e  veri. 
Se  di  scoprir  pur  brami 
ÀI  mio  signor  quantMo  P  onori  ed  ami, 
Di',  che  quanto  conviensi  a  mortai  Dio, 
Tanto  è  vèr  lui  T  amore  e  Ponor  mio. 


CANZONE  XXXI. 

Ptr  la  nascita  del  serenissimo  principe  di  Mantova. 
Presagisce  di  lui  effvgie  prove  di  virtù  e  di  valore. 

Nasci,  e.  del  casto  e  fortunato  ventre 
Uscendo,  scarca  la  tua  madre  ornai 
Di  tante  doglie  e  guai 
Ond'or  grave  P  opprimi ,  o  nobil  pondo. 
Nasci,  parto  gentile,  or  nasci;  e,  mentre 
A'  tuoi  gran  genitori  e  a  noi  ti  dai , 
Con  più  lucenti  rai 

Dia  segno  il  Sol  del  tuo  bel  lume  al  mondo: 
Che  se  mai  giorno  fu  fausto  e  giocondo 
Al  nascer  d'uom,  cui  fato  alto  e  felice 
Donasse  aspetto  di  benigne  stelle. 
Gioir  nel  tao  natale  a  noi  ben  licej 
Poiché  lassù  nel  ciel  regnano  or  quelle 
Che  quaggiù  in  terra  fan  Popre  più  belle. 

Teco  la  bella  Astréa  nelP  Oriente 
Veggio  vaga  apparir,  augurio  e  segno 
Che  nel  suo  antico  regno 
D'esser  per  te  riposta  ancor  ha  speme; 
E  '1  divm  nunzio  a  lei  scorgo  presente. 
Saggio  pianeta,  per  donarti  ingegno 
Pronto  e  sublime  e  degno 
Della  tua  stirpe  e  del  tuo  nobil  seme: 


/ 


5oo  RIME  EROICHE 

La  Dea  (Tamor,  e  M  padre  e  Favo 
Al  sommo  già  del  ciel  poggian  viciiìi 
Tra  lor  conversi  iu  vista  dolce  e  cara: 
Raro  influsso,  disonori  alti  e  divini, 
Ov*  altri  aspira  indamo ,  a  te  prepara 
Non  pur  di  scettro ,  ma  d"*  incenso  e  d* 
Ma  ben  ch^or  teco  ogni  buon  astro  sorga , 
E  i  rei  vìnca,  disperga,  opprima,  o  ceU 
Con  forti  e  folti  veli 
Per  provvidenza  dell^  etèma  dura^ 
Ben  ch^  altera  di  te  speme  mi  porga 
n  favor  cMiai  nascendo  oggi  da'  Qeli, 
£  'n  quei  chiar  si  riveli 
Gran  parte  già  di  tua  virtù  futura, 
Più  però  assai  m'affida  e  m'assicura 
La  propago  immortai  che  per  tant'anni 
Ha  data  al  mondo  il  tuo  gran  ceppo  veccliioi 
TSè  temo  che  '1  mio  ardir  altri  condanni. 
Se ,  innanzi  avendo  così  vivo  specchio , 
A  predir  le  tue  glorie  or  m'apparecchio. 
Tu,  nato,  prima  col  sereno  volto 

Cliiaro  indisio  darai  che  'n  te  non  hngoe 
Il  valor  del  tuo  sangue, 
Sembrando  il  padre  alle  fattezze  conte; 
Poi,  come  Alcide  già,  ch'appena  sciolta 
Dalle  fasce  afferrò,  strinse,  ed  esangue 
Rendè  l'uno  e  l'altro  angue 
Con  fanciullesche  mani  ardite  e  pronte. 
Così,  perchè  non  men  di  te  si  conte. 
Fin  dalla  culla  prenderai  baldanza 
Di  cose  oprar  maravigliose  e  nove , 
Ond'abbian  poi  le  genti  anco  speranza 
Ch'  escan  del  tuo  valor  col  tempo  prove 
Eguali  a  quelle  del  figliuol  di  Giove^r 


RIME  EROICHE  5oi 

£  quando  poi  da^  pueril  costumi 

T'avran  ridotto  a  tal  giudizio  i  tempi, 
Che  da'  rei  vizj  ed  empi 
Ogni  contrario  lor  per  te  si  scema  ; 
£  mirar  nelle  istorie  e  ne'  volumi, 
Quasi  in  ampi  teatri  e  'n  sacri  tempi, 
Possi  que^  degni  esempi 
Che  fama  avranno  a  par  dd  cielo  etema; 
Allor,  quai  dalla  rota  alta  e  supema 
Sono  al  suo  moto  i  minor  cercni  tratti  ^ 
Tal  contra  '1  monAo  e  i  torti  giri  suoi 
Le  drìtt'orme  seguir,  le  lodi  e  i  fatti 
Sarai  costretto  degli  antichi  tuoi 
Tutti  pregiati  e  gloriosi  eroi. 

Quindi  sul  fior  della  tua  Terde  etade 
Non  fia  di  te  chi  negli  eletti  studi 
Più  s'affatichi  e  sudi, 
O  '1  tempo  con  virtù  meglio  dispensi; 
Né  fian  aonor  men  dure  altrui  le  strade. 
Né  chi  'n  disagi  o  'n  esercizi  cradi 
Più  !1  corpo  avvezzi  e  studi 
Per  aver  ciò  eh' a  vero  eroe  conviensi: 
Di  pareggiarti  alcun  giammai  non  pensi, 
Né  quando  a  pie  farai,  col  braccio  invitto, 
Chi  contra  ti  verrà,  pentito  e  stanco. 
Né  quando  in  finto  o  'n  vero  aspro  conflitto 
Ti  converrà  mostrarti  ardito  e  franco, 
A  spumoso  destrìer  pungendo  il  fianco. 

Cosi  in  virtù  con  gli  anni  ognor  crescendo, 
Altrai  prima  avanzando,  e  poi  te  stesso. 
Pria  di  te  '1  grido  impresso 
Nel  mondo  avrai,  eh' a  ferma  età  sii  giunto; 
Né  so  s'io  debba  dir  dando  o  togliendo 
Gloria  al  tuo  sangue ,  il  cui  splendore  appresso 


5o2  RIME  EROICHE 

Al  tuo  temo  cV  oppresso 

Non  resti  dal  maggior  lame  consunto: 

E  qual  fia  poi  stupor  veder  coi^unto 

In  te  con  tal  saper  animo  tanto? 

£  questo  insieme  sacro  a  Palla  e  a  Marte  ? 

Oh  quante  lingue  allora  in  ogni  canto 

Di  te  diranno!  oh  quante  dotte  carte 

Saran  del  nome  tuo  vergate  e  sparte! 

Deh!  piaccia  a  i  Geli  a  me  tanto  di  vita 
Serbar^  e  al  Dio  che  sì  veraci  carmi 
Or  mi  detta,  donarmi 
Tal  parte  alior  del  suo  ricco  tesauro^ 
Che  con  gli  occhi  veder,  e  con  più  ardita 
Lingua  cantar  di  te  Pimprese  e  rarmi^ 
E  col  tuo  ajuto  farmi 
Possa  famoso  dal  Mar  indo  al  mauro; 
Che,  s*a  corona  d^ onorato  lauro 
Alto  soggetto  mai  degno  poeta 
Sospinse,  o  pur  d^anior  vive  fiiviOe^ 
Sperar  ^trò  coU^  alma  altera  e  Ueta , 
Seiìza  invidiar  al  grande  Omero  Achille, 
Di  viver  teco  anch^io  milFanni  e  nulle. 

Vattene  ardita  innanzi  al  mio  signore, 
Canzon,  nata  dal  core;  e  al  suo  cospetto 
Giunta,  dirai  con  voce  alta  e  sonora: 
Felìee  u  figlio  a  cui  per  padre  eletto 
Tha  '1  suo  destino!  e  tu  felice  ancora, 
Cui  di  tal  successore  il  Gelo  onora! 


RIME  EROICHE  5o3 


CANZONE  XXXn. 


jil  duca  di  Ferrara  Alfonso  IL  Scrive  dal  carcere 
di  S.  Arnia ,  implorando  pietà  e  demenza. 

O  magnanimo  figlio 

D^ Alcide  glorioso. 

Che  '1  paterno  valor  ti  lasci  a  tergo; 

A  te^  che  dall^esiglio 

Prima  in  nobil  riposo 

Mi  raccogliesti  net  reale  albergo, 

A  te  rivolgo  ed  ergo 

Dal  mio  career  profondo 

U  cor,  la  mente  e  gli  occU  ; 

A  te  chino  i  ginocchi, 

A  te  le  guance  sol  di  pianto  inondo , 

A  te  la  Ungaa  iscioglio  ; 

Teco  ed  a  te,  ma  non  di  te  mi  doglio. 
Volgi  gli  occhi  clementi, 

£  vedrai,  dove  langue 

Vii  volgo  ed  egro  per  pietà  raccolto. 

Sotto  tutti  i  dolenti 

Il  tuo  già  servo  esangue 

Gemer,  pieno  di  morte  orrida  il  volto, 

Fra  mille  pene  avvolto 

Con  occhi  foschi  e  cavi. 

Con  membra  immonde  e  brutte, 

£  cadenti  ed  asciutte 

Dell'umor  della  vita,  e  stanche  e  gravi, 

£  'nvidiar  la  vii  sorte 

Degli  altri,  cui  pietà  vien  che  conforte. 
Per  me  pietade  è  spenta 

£  cortesia  smarrita, 


Sci  RIBIE  EROICHE 

S^in  te,  aienor,  non  nasce  e  non  si  trova* 
Lasso!  qua!  me  tormenta 
Nova  scniera  infinita 
Di  mali?  o  che  più  mi  diletta  o  giova? 
Ah!  congiurate  a  prova 
In  del  le  stelle,  e  'n  terra 
G)ntra  me  son  coloro 
Che  8^ Oman  d'ostro  e  d'oro; 
£  contra  il  mio  Parnaso  ognun  fa  guerra: 
Ed  io  pietà  pur  chiesi 
A  milk,  e  te  via  (HÙ  d*ogn' altro  ofEuL 
Ma  che?  Giove  s'offende; 
Ed  offeso,  co'  voti 

Si  placa,  onde  dipon  poi  Famie  e  Pire. 
Ed  io  perch^ Jforrende 
Saette  tue  che  %coti 

Sovra  me,  mentre  fiamma  e  sdegno  qiire, 
Far  non  potrò  che  gire 
In  più  ocuosa  parte, 
Renìdendo  i  numi  amici 
Con  voti  e  sacrifici, 

E  'n  te  onorando  or  Giove ,  or  Febo,  or  Marte, 
Che  tutte  lor  virtudi 
Nel  tuo  petto  reale  ed  altre  cliiudi? 
Ma  non  oso,  signore, 
Stender  la  lingua  audace 
Nelle  tue  lodi,  e  dir  gli  scettri  e  Tarme; 
Che  forse  indegno  onore 
A'  tuoi  pregi  di  pace 
E  di  guerra  sarebbe  il  nostro  carme. 
Ed  io  pavento ,  e  panne 
Che  '1  mio  cantar  t'annoi; 
^    Onde,  sebben  del  canto 
Forse  m' appago  e  vanto , . 


RIME  EROICHE 

Temo  ,cigno  infelice  i  fulimn  taoi  ^ 
E  sol  pronte  le  penne 
Colà  saran  dove  il  tuo  ciglio  accenne. 
Trova*,  canzon,  il  grancT  invitto  dace 
Fra  le  dne  suore  assiso} 
Che  '1  vedrai  forse  più  demente  in  vi 


5o5 


CANZONE  XXXra. 

Alle  principesse  di  Ferrans.  Scrina  da  S,  Anna  , 
confessandosi  reo^  ma,  dolente  del  fallo  commesso^ 
in  cìd  per  altro  il  cuor  suo  non  ebbe  parte  alcuna, 
e  invocando  tolta  mediazione  deUe  medesime  ap- 
presso il  duca  Alonso  lorojhaiello. 


O  figlie  di  Renata, 

Io  non  parlo  alla  pira 

De^  fratei,  che  né  pur  la  morte  pnio; 

Che  di  recnar  malnata 

Voglia  e  cosdegno  ed  ifa 

L'ombre,  il  cener.  le  fiamme  anco  partio: 

Ma  parlo  a  voi,  che  pio 

Proausse  e  real  seme 

In  uno  istesso  seno, 

Quasi  in  fertil  terreno 

Nate  e  nodrite  pargolette  insieme. 

Quasi  due  belle  piante. 

Di  cui  serva  è  la  terra,  e  il  cielo  amante. 
A  voi  parlo,  che,  suore 

Del  grand' Alfonso  invitto, 

Avete  onde  sprezzar.  Giuno  e  Diana , 

Ed  ogni  reffio  onore 

Di  quelle  cain  Egitto 


So6  RIME  EROICHE 

Più  ristrinae  co*  suoi  legge  profana^ 

Che,  se  moglie  e  germana 

Ofin  chioma  votiva 

Ch'ornò  il  del  di  faville, 

Voli  vostri  ben  mille, 

Passando  ove  sua  luce  a  pena  arriva^ 

Ardon  nel  primo  cielo 

Anzi  il  gran  Sol  dUnestinguibil  zelo. 
A  voi  parlo,  in  cui  fanno 

Sì  concorde  armonia 

Onestà,  senno,  onor,  bellezza  e  gloria; 

A  voi  spiego  il  mio  affanno, 

£  della  pena  mia 

Narro,  e  'n  parte  piangendo,  aceiba  istoria: 

Ed  in  voi  la  memoria 

Di  voi,  di  me  rinnovo. 

Vostri  effetti  cortesi, 

Gli  anni  miei  tra  voi  sperà, 

Qual  son,  oual  fui,  che  chiedo,  ove.  mi  trovo^ 

Chi  mi  guidò,  chi  chiuse, 

Lasso  1  cni  m'afBdè,  chi  mi  deluse. 
Queste  cose,  piangendo, 

A  voi  rammento,  o  prole 

D'  eroi,  di  regi  gloriosa  e  grande  : 

E,  se  nel  mio  lamento 

Scarse  son  le  parole, 

Lagrime  larghe  il  mio  dolor  vi  spande. 

Cetre,  trombe,  ghirlande. 

Misero  !  piango;  e  piagno 

Studi,  diporti  ed  agi. 

Mense,  logge  e  palagi, 

Ov'or  fui  nobil  servo  ed  or  compagno, 

Libertade  e  salute, 

E  leggi,  oimè!  d'umanità  perdute. 


i 


RIBIE  EROICHE  5o7 

Da^  -nepoti  cF  Adamo  ^ 

Oime!  chi  mi  divìde? 

O  qual  Circe  n^i.  spinge  infra  le  gr^ge? 

Oimè  !  che  in  tronco  o  in  ramo 

Augel  vien  che  s'annide^ 

£  fera  in  tana  ancor  con  miglior  legge: 

Lor  la  natura  regge; 

E  pure  e  dolci  e  fresche 

Lor  porge  Tacque  il  fonte; 

E  '1  prato  e  U  colle  e  '1  monte 

Non  mfette  salubri  e  faci!  esche; 

E  '1  cìel  libero  e  Paura 

Lor  luce  e  spira,  e  lor  scalda  e  rìstaura. 
Merlo  le  pene;  errai: 

Errai ,  confesso  ;  e  pure 

Rea  fu  la  lingua,  il  cor  si  scusa  e'n^r 

Chie4o  pieta^  ornai; 

£,  sfalle  mìe  sventure 

Non  vi  piegate  voi,  chi  lor  si  piega? 

Lasso!  cni  per  me  prega 

Nelle  fortune  avverse, 

Se  voi  mi  sete  sorde? 
,    Deh!  se  voler  discorde 

III  si  grand^  uopo  mio  vi  ùl  diverse , 

In  me  fra  voi  T  esempio 

Di  Mezio  si  rinnovi  e  '1  duro  scempio. 
Quell^armoma  si  nova 

Di  virtù  che  vi  face 

Sì  belle,  or  bei  per  me  faccia  concenti. 

Si  ch^  a  pietà  commova 

Quel  signor,  per  cui  spiace 

Più  la  mia  colpa  a  me,  che  i  miei  tormenti^ 

Lasso  I  benché  cocenti  ; 

Ond'a  tanti  e  sì  egregi 


5o8  RIME  EROICHE 

Utoli  di  sue  glorie, 
A  tante  sue  vittorie  ^ 
A  tanti  suoi  trofei ,  tanti  suoi  finegì  y 
Questo  s^ aggiunga  ancora: 
Perdono  a  chi  F  offese  ed  or  F  adora. 
Canzon,  vìrtute  è  là  dov'io  t? invio: 
Meco  non  è  fortuna: 
Se  &  non  hai^  non  nai  tn  scorta  aknma. 


CANZOBTE  XXXIV. 

P^uolH  che  questa  cantone  sia  stata  scritta  alla  Corte 
d'Urbino,  a  cui  allude  la  quercia  descritta  nella 
prima  stanza.  Si  duole  della  sua  fortuna. 

O  del  grand*  Appennino 
Figlio  picciolo  Aj  ma  glorioso, 
E  di  nome  più  duaro  assai  che  d^onde! 
Fugace  peregrino 

A  queste  tue  cortesi  amiche  sponde 
Per  sicurezza  vengo  e  per  riposo. 
Lealtà  quercia  che  tu  bagni  e  feconde 
Con  dolcissimi  umori,  omTella  spi^ 
I  rami  di ,  Mi  monti  e  i  mari  ingombra, 
Mi  ricopra  coli*  ombra  : 
L'ombra  sacra,  ospitai,  ch'altrui  non  n^ 
Al  suo  fresco  eentu  riposo  e  sede, 
Entro  al  più  denso  mi  raccoglia  e  chiuda, 
Sì  ch'io  celato  sia  da  quella  ciiida 
E  cieca  Dea,  eh' è  cieca  e  pur  mi  vede, 

.    Bench'  io  da  lei  m' appiatti  in  monte  o  'n  valle, 
E  per  solingo  calle 
Notturno  io  mova  e  sconosciuto  il  piede } 


RIME  EROICHE  5og 

E  mi  saetta  si,  che  ne'  miei  mali 

Mostra  tanti  occhi  aver,  quanti  ella  ha  strali. 

Oimè!  dal  di  che  pria 

Trassi  V  aure  vitali ,  e  i  lami  apersi  t 

In  questa  luce  a  me  non  mai  serena, 

Fui  delP  ingiusta  e  ria 

Trastullo  e  segno  ;  e  di  sua  man  soffersi 

Piaghe  che  lunga  età  risalda  a  pena. 

Sassel  la  gloriosa  alma  Sirena 

Appresso  u  cui  sepolcro  ebbi  la  cuna: 

Cosi  avuto  v'avessi  o  tomba  o  fossa 

Alla  prima  percossa  ! 

Me  dal  sen  della  madre  empia  fortuna 

Pargoletto  divelse:  ah!  di  que'  baci, 

Ch'ella  bagnò  di  lagrime  dolenti, 

Con  sospir  mi  rimembra,  e  degli  ardenti 

Preghi  che  sen  portar  Paure  fugaci, 

Ch'io  giunger  non  dovea  più  volto  a  volto 

Fra  quelle  braccia  accolto 

Con  nodi  co^  stretti  e  si  tenaci! 

Lasso!  e  seguu  con  mal  sicure  piante. 

Quale  Ascanio  o  Cammilla,  il  padre  errante. 

In  aspro  esiglio  e  'n  dura 

Povertà  crebbi  in  quei  si  mesti  errori; 

Intempestivo  senso  ebbi  agli  affanni^ 

Ch'anzi  stagion  matura 

L'acerbità  de'  casi  e  de'  dolori 

In  me  rendè  l'acerbità  degli  anni. 

L'egra  spogliata  sua  vecchiezza  e  i  danni 

Narrerò  tutti  or  che  non  sono  io  tanto 

Ricco  de'  proprj  guai,  che  basti  solo 

Per  materia  cu  duolo? 

Dunque  altri ^  ch'io,  da  me  dev'esser  pianto? 

Già  scarsi  al  mio  voler  sono  i  sospiri; 


Sio  &IME  EROICHE 

E  queste  due  dTumor  si  larehe  vene 
Non  agguaglian  le  lagrime  alle  pene. 
Padrei  o  buon  padre^  che  dal  del  rimiri  , 
Egro  e  morto  ti  piansi ,  e  ben  tu  il  sai  j 
E  gemendo  scaldai 

La  tomba  e  il  letto:  or  che  negli  alti  giri 
Tu  godi^  a  te  si  deve  onor,  non  lutto; 
A  me  servato  il  mio  dolor  sia  tutto. 

(  Manca  il  retto  in  tuUe  k  slampe 
da  noi  vedute,  ) 


CANZONE  XXXV. 

Per  la  nascita  del  prìncipe  di  Toscana,  GU  propone 
per  esempio  della  sua  condotta  i  suoi  grana  avi 
della  Casa  de*  Medici,  e  gU  presagisce  jelicissinuM 
vita  e  gloriosa. 


y  Musa,  le  cetre  e  le  ghirlande 
Di  mirto  e  i  bei  mirteti  ove  talvolta 
Dolce  cantasti  lagrìmosi  carmi  ^ 
E  lieta  prendi  altera  cetra  e  grande  ^ 
Coronata  d^allór;  che  a  clii  ne  ascolta, 
Canto  si  dee  ch^  uguagli  il  suon  delTarmi. 
Or  tuo  favore  a  me  non  si  risparmi 
Più  ch^a  quei  che  cantar  Dido  e  Pelide; 
Che,  sebben  lodo  pargoletto  infante, 
È  1  ragionar  d'Atlante 
Minor  soggetto,  e  U  Gel  già  sì  gli  arride, 
Che  può  in  cuna  agguagliar  Topre  d'Alcide. 
Già  può  domare  i  mostri,  ed  or  lo  scudo 
Tratta ,  or  cotf  elmo  scherza ,  e  Palla  e  Marte^ 
L'asta  gli  arruota  Tun,  T altra  la  spada: 


-RIME  EROICHE  5ii 

Ed  egli,  al  folgorar  del  ferro  ignudo, 

Intrepido  sorride^  e  con  lor  parte 

L'ore,  né  scherzo  alcun  tanto  gli  aggrada 

Mentre  a'  feri  trastulli  intento  Dac(a. 

Soave  canto  di  nutrice  o  vezzi 

Non  gli  lusinghi  gli  occhi  al  sonno  molle  j 

Ma  '1  suon,  ch'alto  s'estolle, 

Lo  svegli,  e  già  i  riposi  e  l'ozio  sprezzi, 

£  vere  laudi  ad  ascoltar  s'avvezzi. 

Quinci  Lorenzo  e  quindi  Cosmo  suone 
Alle  tenere  orecciiie,  e  'n  lor  si  stille 
Dolce  ed  alta  armonia  di  fatti  egregi.  — 
Tal,  ma  in  più  ferma  età,  dal  suo  Chirone 
Udia  cantar  l'avventuroso  Achille 
Del  genitore  e.  del  grand'  avo  i  pregi.  — 
Oda  che,  scinti  d'arme,  in  toga,  i  regi 
Temuti  in  guerra  e  i  capitani  mvitti 
Agguagliar  di  fortuna  e  di  valore; 
Oda  che  al  primo  onore 
L'arti  greche  e  romane  e  i  chiari  scrìtti 
Tomaro  a  sollevar  gl'ingegni  afflitti. 

Di  Giulio  ancor  la  vendicata  morte, 
Ch'ehbe  alf  antico  Giulio  egual  fortuna. 
Sappia,  e  per  duol  ne  pianga  e  ne  sospiri; 
Sappia  eh'  in  ciel  traslato  or  gli  è  consorte 
D^ onore:  e,  quando  F orizzonte  imbruna, 
Fra  l'altre  stelle  lampeggiar  rimiri 
La  Giulia  luce  e  vigilar  ne'  giri. 
Mentre  ad  ogni  alma  al  sangue  suo  rubella 
Con  orrido  splendor,  con  fiera  faccia 
Sangue  e  morte  minaccia. 
Teman  pur  gli  empj  i  rai  dell'alta  stella. 
Che  o  custodire  o  vendicar  puot'ella.  ' 


5ia  RDOS  EROICHE 

Oda  poi  laudi  più  famose  e  conte 
De  lor  due  grandi  e  generosi  eredi 
Del  sacro  peso  ddT imperio  -onusti^ 
I  miai  di  tre  corone  ornar  la  fronte^ 
Calc&r  gli  scettri .  e  dal  gran  Èeg^o  i  piedi 
Porser  so?ente  a  regi  ed  agli  Augusti  : 
Oda  come  fur  saggi  e  forti  e  giusti; 
G>me ,  per  liberar  T  Italia  e  Roma , 
L'uno  e  Faltro  sudò  sotto  il  gran  manto: 
E  'nsieme  onori  il  canto 
Gli  altri  che  d'ostro  e  d'or  fregiar  la  cfaioma, 
E  lei  che  Francia  armata  in  eonna  ha  doma. 

Ma  sovra  mitre  e  scettri  alti  e  diademi 
S  innalsin  d' un  guerrier  V  arme  onorate  y 
Che  fu  scudo  d' Italia  e  spada  e  scampo  y 
Per  cui  poteva  a'  prischi  onor  supremi 
Di  novo  ella  aspirar;  ma  in  verde  etate 
Passò  I  quasi  nel  del  trascorre  un  lampo. 
Vedova  la  milìzia  ed  orbo  il  canq>o 
Rimase  y  e  de^  hdroni  arte  divenne 
Quella  che  nelle  tue  superbe  scuole , 
Marte y  apprender  si  suole; 
E  8^ ammutir^  quando  il  gran  caso  avvenne, 
Le  lingue  tutte ,  e  ai  stemprar  le  penne. 

Ma  pur  figlio  lasciò  Falto  guerriero, 
Onde  il  natio  terren  si  fé'  giocondo 
Per  nova  spene,  e  non  fu  già  fallace; 
Che  i  fondamenti  del  toscano  impero 
Fermò  poi  si,  che,  per  crollar  del  mondo, 
Nulla  si  scuote  e  sta  sicuro  in  pace, 
E  l'onora  l'Ibero  e  '1  Franco  e  '1  Trace. 
Questo  lo  specchio  sia,  questo  l'oggetto 
A  cui  rivolga  vagheggiauao  i  lumi; 


RIME  EROICHE  5i3 

Quinci  i  regi  costumi^ 

Quinci  1  valor  e  1  senno  il  pargoletto 

Tragga,  e  nMmpriiHa  e  informi  il  molle  petto. 

Ma  rivolga  ancor  gli  occhi  a'  veri  e  vivi 
Spegli  d'ogni  valor:  miri  il  gran  padre 
Tra  1  fratel  sacro  e  tra  Tarmato  assiso j 
Quinci  anco  i  semi  di  virtù  nativi 
Maturi,  e  d'alte  immagini  leggiadre 
S'empia  e  fecondi,  e  i  baci  lor  nel  viso 
Lietamente  riceva,  e  mostri  al  riso 
Com'  ei  ben  li  distingua  ;  indi  la  mano 
Al  fianco  del  gran  s^io  secura  stenda , 
E  la  spada  ne  prenda,  « 
Ed  a  sé  volga  (onore  alto  e  sovrano) 
Trofei,  vittorie,  il  Nilo  e  l'Oceano. 

Gran  cose  in  te  desio  ;  ma  ciò  che  fora 
Mirabile  in  altrui ,  lieve  in  te  sembra , 
O  discesa  dal  ciel  progenie  nova: 
Ch'a  te  ridon  le  stelle,  a  te  s'infiora 
Anzi  tempo  la  terra,  a  te  le  membra, 
Qual  pargoletta  al  ballo,  orna  e  rinnova; 
Si  placa  il  vento,  e  Faria  e  F acqua  a  prova 
A  te  si  raddolcisce  e  rasserena, 
E  depongon  per  te  le  fere  il  tosco; 
Stilla  a  te  mele  il  bosco; 
A  te  nudre  il  mar  perle,  ed  ór  F arena, 
E  scopronti  i  metalli  ogni  lor  vena. 

Mille  destrieri  a;  te  la  Spagna  serba, 
E  mille  altri  ne  pasce  il  nobil  regno 
Che  si  bagna  nell'Adria  e  nel  Tirreno, 
De'  quai  parte  con  fronte  alta  e  superba 
Erra  disciolta,  e  parte  altero  sdegno 
In  fumo  spira  e  morde  il  ricco  freno;  % 

E  ducisi  il  Carrarese,  e  manni  a  pieno 

Tasso,  Voi  IF.  33 


/ 


5i4  RIME  EROICHE 

Non  slima  aver  in  cui  s'affretti  e  sudi 
Per  formar  tempj  ed  archi  e  simulacri 
In  tua  memdrìa  sacri} 

'    E  Mongibel  rimbomba,  e  *n  su  Pincudi 
Ti  fan  già  Farmi  i  gran  giganti  ignudi. 

Canzon,  s'a'  pie  reali 

Tua  fortuna  t'invia,  P^g^;  ^^  ^^^3 
£  '1  pregar  sia  con  umiltà  di  baci. 


CANZONE  XXXVL 

• 

in  morie  ìT  Ercole  Gonzaga  cardinale  di  Meuttowt, 
Accenna  il  comun  lutto ,  ma  specialmente  di  Ronuu 
Indi  Jinge  che  C  illustre  dijimto  apparisca  in  sogno 
al  suo  inclito  nipote  Francesco ,  eccitandolo  a  li- 
berar la  Chiesa  dagli  empj ,  mostrandogli  la  mi- 
seria delle  cose  limane^  ed  esortandolo  a  volger 
r  animo  al  solo  verace  bene  che  h  in  cielo. 

Già  s'  era  intomo  la  novella  udita 
Della  morte  d^ Alcide,  alle  cui  spalle 
La  Chiesa  il  suo  gran  peso  avea  commesso; 
L' ItaKa  si  dolea ,  che  ^i  dubbio  calle 
Vedea  di  Dio  la  greggia  errar  smarrita, 
E  gr  inimici  lupi  aver  già  presso. 
E  qual  è  di  dolor  segno  si  espresso. 
Che  non  mostrasse  allor?  dicanlo  i  rivi, 
A  cui  col  suo  gran  pianto  accrebbe  Fonde^ 
Ditel  voi,  che  di  fronde 
Con  gli  accesi  sospir,  boschi,  vi  ha  privi; 
Eco ,  di'  '1  tu ,  eh'  altronde 
Tanti  mai  non  udisti  aspri  lamenti. 
Ne  gF  iterasti  in  si  pietosi  accenti. 


RIME  EROICHE  5i5 

Ma  neir  alma  città  ch^nonda  il  Tebro, 
Com^ella  maggior  parte  ebbe  nel  danno  ^ 
Cosi  di  duolo  maggior  segno  apparse, 
Qual  mostrò  allor  che  ì  suo  fiero  tiranno , 
Di  furore  e  di  sdegno  insano  ed  ebro, 
Lei  di  voraci  fiamme  intorno  sparse, 
E  le  colonne  e  gli  archi  e  i  tempj  le  arse , 
£  ciò  che  prima  alzar  gli  arilichi  Augusti, 
Cile  memoria  del  fatto  anco  non  langue^ 
E  sol  poscia  col  sangue 
Forse  bramò  degV  innocenti  e  giusti 
(Àlii  più  crudel  d^ogni  angue!) 
Spegner  F  incendio  rio  che  'u  un  sol  punto 
L^opre  di  tanti  lustri  avea  consunto. 
Or  nel  danno  comun,  nel  novo  lutto 
DelFumil  plebe  e  degli  eccelsi  padri, 
Fra  querele  e  sospir'  si  spesse  e  tanti, 
Dentro  premendo  i  pensier  foschi  ed  adri , 
Sol  mostra  il  gran  Francesco  il  ciglio  asciutto, 
Ed  assai  men  turbati  atti  e  sembianti: 
Ma  pur,  benché  di  nero  il  mondo  ammanti 
U ombra  che  fuor  del  terren  grembo  sorge, 
E  H  ciel  spieghi  i  bei  lumi  in  lui  contesti. 
Egli  tien  gli  occhi  desti, 
Né  quiete  alle  membra  afflitte*  porge , 
Ned  agli  spirti  mesti} 
E,  mentre  pensa  all^ aspre  sue  sventure. 
Ondeggia  in  ampio  mar  d'acerbe  cure. 
Alfin ,  quando  ogni  lampa  in  cielo  appare 
Piò  fosca  ,  quasi  lume  a  cui  già  manche 
Il  nutritivo  umor  che  lo  mantiene. 
Gli  serpe  a  forza  il  sonno  entro  le  stanche 
Luci ,  e  i  sogni  it'  apporta ,  onde  gli  pare 
D^  esser  traslato  in  parti  alte  e  serene. 


5i6  RIME  EROICHE 

Ed  ecco  quivi  intanto  a  lui  ne  vìoie 

Il  sacro  Alcide  :  oli  come  ha  gli  occhi  e  il  ▼olio 

Venerando  ed  altero,  e  com'è  queto 

10  vista!  oh  com'è  lieto 

In  atti!  oh  come  in  quei  dimostra  sciolto 
Del  suo  core  il  secreto! 

Cinto  ha  d' ostro  le  membra ,  e  1  crin  di  stelle, 
E  quinci  e  quindi  sparge  auree  fiammelle. 
Repente  un  novo  orror  per  Fossa  scorre 
Al  saggio  suo  nipote,  e  gli  s'agghiaccia 

11  sangue  intomo  al  core  e  si  costrìnge: 
Pur  distende  ver  quel  l'amiche  braccia; 
Ma,  qual  chi  cerca  tra  le  man  raccorre 
GU  atomi ,  ^ol  il  vento  e  l' aria  strìnge  : 
Onde  nel  volto  di  rossor  si  pinge; 

Poi  dice:  Padre,  a  me  chi  ti  riduce? 
Forse  ritorni  ad  abitar  laggiuso, 
O  pur  ha  noi  deluso 
Vano  rumore,  e  tu  d'umana  luce 
Godi  nel  corpo  chiuso? 
Che  pura  forma  e  di  materia  scossa 
Com'è  ch'esser  degli  occhi  oggetto  possa? 
Allora  quei  da  luogo  eccelso  e  chiaro, 
E  di  lucenti  e  spesse  stelle  adomo, 
Le  quai  mente  divina  informa  e  move^ 
Incominciò:  «  Verace  fama  intomo 
Di  me  si  sparse,  e  1  passo  altrui  si  amaro 
Lieto  varcai,  ch'i  pie  mi  resse  Giove; 
Or  vuol  l'amor,  eh' a  mille  segni  altrove 
Già  d^ averti  dimostro  a  te  rimembra. 
Che  te  de'  fatti  tuoi  renda  presago. 
Io  di  lieve  aer  vago 

Formalo  a  me  medesmo  ho  queste  membra  ^ 
Del  corpo  vana  imago} 


RIME  EROICHE  Sr? 

Ma,  perchè  punto  il  tempo  unqua  non  tarda, 
Miei  detti  accogli  e  serba,  e  'n  giù  rìsguarda. 
«•Mira  là  quella  turba  in  un  ridutta 
Da  più  parti /e  ^n  più  parti  e  'n  sé  divisa 
Ed  in  somma  discordia,  or  si  concorde, 
Com'ella  il  cielo  ad  espugnar  s^  avvisa 
Col  valor  de^  giganti  ond  è  condutta. 
Né  di  sé  stessa  par  che  si  ricorde. 
Oh  quante  incontr'  a  Dio  profane  e  lorde 
Lingue  son  mosse!  oh  quante  inique  spade! 
Oh  quanti  monti  un  sovra  T altro  eretto! 
Ove,  ed  a  qual  effetto 

Ne  vanno?  onde  tal  rabbia?  onde  in  lor  cade 
SI  reo,  si  folle  affetto? 

Deh  !  qual  confusion  in  voi  si  vede 

Di  lingue» sì,  ma  più  d^opre  e  di  fede? 
«Tarmerà  Dio  di  folgori  tremendi 

La  forte  destra,  acciò  che  i  sacri  lempj 

Securi  sian  da  questi  iniqui  e  stolti. 

Ecco  io  tornar  già  t'odo,  ecco  già  gli  empj 

Smarriti  al  fiammeggiar  de^  lampi  orrendi  j 

Eccoli  già  percossi  e  'n  fuga  vólti. 

Saran  tra  le  mine  altri  sepolti 

Delle  gran  moU  a  danno  lor  composte; 

Pian  dalle  fiamme  in  polve  altri  conversi;    . 

Altri  n'  andran  dispersi; 

Altri  coir  alme  al  ben  oprar  disposte 

Dallo  stuol  de*  perversi 

Si  ridurran  sotto  tue  fide  scorte , 

E  tu  loro  aprirai  del  ciel  le  porte. 
«Ma,  pria  che  questo  avvenga,  al  tuo  destino 

Tu  medesmo  un  sentier  largo  prepara, 

E  ^nsino  ad  or  t'infiamma  a  nobil  guerra; 

E  perché  possi  ogni  superba  avara 


5i8  RIME  EROICHE 

Voglia  sprezzar^  lìen^  giù  lo  sguardo  chino , 

K  vedrai  quanto  è  angusta  e  vii  la  teira^ 

E  in  quanto  breve  giro  in  lei  si  serra 

La  vostra  gloria  e  la  potenza  umana  ^ 

Che  cosi  par  eh*  ogni  mortale  apprezza. 

Deh!  saran  sempre  avvezze 

Le  vostre  menti  in  seguir  P  ombra  vana 

Del  ben ,  fama  e  ricchezze , 

Ch*  acquistate  in  molf  anni ,  e  che  in  brev'  ora 

LMngordo  tempo  alfin  strugge  e  divora? 

«Vedi  come  la  terra  in  cinque  cerchi 
Distinta  giace,  e  che  ne  son  due  sempre 
Per  algente  pruina  orridi  e  inculti; 
Deserto  è  il  terzo  ancora,  e  che  si  stempri 
Pare,  e  si  sfaccia  negli  ardor  soverchi: 
Restan  sol  quelli  frequentati  e  culti  3 
Ma  sono  air  un  delF  altro  i  fatti  occulti. 
Quante  interposte  in  loro  e  vaste  e  nude 
Solitudini  scorgi ,  e  'n  ogni  parte 
Quasi  macchie  cosparte, 
Lor  come  isole  il  mare  intomo  chiude-, 
E  quel  che  'n  voce  e  'n  carte 
E  oceàn  chiamato,  ed  ampio  e  magno, 
Che  ti  sembra  or,  se  non  un  picciol  stagno? 

«Omai  dunque  dallMme  alle  supreme 
Parti  il  cor  volgi,  e  lieto  al  cielo  aspira, 
Onde  r  animo  nostro  orìgin  prende. 
Che  questo,  il  qual  de*  globi  intomo  gira 
Ordin  meraviglioso ,  unito  insieme 
Per  man  del  Mastro  eterno,  in  sé  t'attende. 
E  questa  che  dal  cielo  il  moto  rende 
Dolce  armonia,  mista  d'acuto  e  grave, 
A  cui  pur  dianzi  chiusi  eran  tuoi  sensi. 
Ti  desti  ^  e  quindi  accensi 


KIME  EROICHE  519 

Tuoi  spirti  sian  di  sacro  ardor  soave , 
Sin  eh'  altro  miri  e  pelisi.  »  — 
Cosi  detto,  ei  disparve:  e  quegli  il  seno 
Restò  di  gioja  e  di  stupor  ripieno. 
Piangano  gli  altri  il  chiaro  Alcide  estinto  y 
Canzon,  tu  canta  lui,  chMn  cielo  è  divo, 
E  vive  in  terra  ancor  nel  gran  nipote: 
Questi  è  ben  tal  che  puote 
Far  che  1  mondo  di  lui  non  paja  privo. 
Né  fian  d'effetto  vuote 
L' alte  speranze  già  da  noi  concette , 
S'egli  è  pur  ver  che  Febo  il  ver  ne  dette. 

CANZONE  XXXVn. 

Per  le  nozze  del  marchese  di  Pesapn  con  D,  lu^ 
vinta  della  Rovere.  Celebra  i  pregi  di  hd,  ed  esalta 
t  illustre  sua  sposa  sopra  C  antica  Lavinia Jl^iuola 
del  re  Latino  e  moglie  Ì  Enea, 

O  principe  più  bello 

Del  Sol  quando  riluce 

Del  celeste  monton  nell'aureo  vello, 

£  miglior  cavaliero 

Dell' immortai  Polluce, 

E  del  pietoso  Enea  maggior  guerriero, 

£  della  gloria  altero 

Che  gU  avi  ebber  n^P  armi , 

Non  ho  degni  di  te*  rime  né  carmi. 
Per  te  la  casta  moglie 

Del  re  del  Lazio  antico 

Cangiate  avrebbe  l'ostinate  voglie, 

Messo  Turno  in  obblio, 

Ed  ogni  primo  antico 


5ao  RIME  EROICHE 

Che  le  fea  caro  il  3uo  terrea  natio  : 

Così  novo  desio 

In  quella  dubbia  impresa 

Di  genero  si  bel  T  avrebbe  accesa. 
Se  ti  vedea  Cammilla, 

Sol  per  lo  strai  cadea 

Che  da*  begli  occhi  tuoi  parte  e  sfavillila 

£  sol  fornir  la  guerra 

La  tua  beltà  potea, 

Pria  non  veduta  fra'  onortali  in  terra  : 

E  U  cor  chMndura  e  serra 

lì  furor  cieco  e  folle  ^ 

Aperto  avresti,  e  fatto  assai  più  molle. 
Guerrier  certo  felice, 

Ma  più  felice  amante, 

Che  quel  che  fare  armato  a  te  non  lice, 

Inerme  far  lo  puoi 

Col  tuo  vago  sembiante 

E  col  dolce  splendor  de*  lumi  tuoi, 

Quai  regi  o  quali  eroi 

Ebber  più  degne  palme, 

O  più  chiare  vittorie  di  tante  alme? 
L'arme  a'  nemici  tolte. 

Le  spoglie  sanguinose. 

L'insegne  al  vento  alteramente  sciolte, 

Fur  trofei  de'  maggiori. 

Pompe  a  molti  odiose. 

Ed  assai  spesso  invidiati  onori; 

Ma  '1  trionfar  de'  cori» 

Sola  è  vera  vittoria, 

E  tua  certa  immortale  e  rara  gloria. 
^    In  carro  trionfale 

Parmi  ch'Amor  ti  guidi, 

Simil  di  fama,  e  di  beUezza  eguale: 


RIME  EROICHE  Sai 

Cento  vergini  elette 

Ne*  più  famosi  lidi,  ^ 

Cento  neV monti  e  cento  in  isolette, 

Punte  dalle  saette, 

Di  guarir  non  son  vaghe  ^ 

Tanto  son  dolci  F amorose  piaghe! 
Fra  tante  e  cosi  eccelse, 

Cosi  belle  ed  illustri, 

Una,  disavanza  IValtre,  egli  ti  scelse: 

Nova  Lavinia,  e  nata  (*), 

Già  quattro  o  cinque  lustri. 

Di  chi  più  degna  è  di  nomarsi  Amata, 
.  Ch*  è  veramente  nata 

Pur  del  medesmo  sangue. 

La  memoria  del  quale  anco  non  langue. 
Canzon,  va  sulF Isauro, 

Dov'  è  la  nobii  coppia , 

Ch'Amore  ed  Imeneo  si  bene  accoppia. 


(*)  Il  veder  questa  istessa  parola  nata  ripetuta  poco 
appresso  per  cagion  di  rima  nel  verso  7.%  ne  &  sospet- 
tare di  corrotta  lezione  neirun  luogo  o  neir altro;  se 
pure  non  fu  questa  una  svista  del  medesimo  Torquato  : 
il  che  ne  par  tanto  più  verisimile,  quanto  che  non 
sappiam  trovare  altra  voce  da  sostituirvi  o  prima  o 
dopo,  senz* alterare  il  senso  del  costrutto.  — (Gli  Edtt.) 


;i3  RIME  EROICHE 

CANZONE  XXXVm. 

In  lode  di  D,  Plncenzo  Gonzaga 
prìncipe  di  Mantova, 

Chi  descriver  desia  le  vaghe  stelle 

£  1  Sol  che  gira  iiiiorao, 

Ma  teme  si  gran  voio;  e  spera  e  tenta  y 

Da  te  cominci,  il  cui  sembiante  adomo 

E  come  questo  e  quelle, 

Alma  reale,  a  vera  gloria  intenta. 

Penna  tìmida  e  lenta, 

Veloce  per  desio  talora  T  yidi: 

E  come  FOcean  trascorre  e  varca 

Nave  gravosa  e  carca 

Che  già  radendo  agli  arenosi  tidi^ 

O  pur  da^  cari  nidi 

Dispiega  augel  le  piume, 

E  cerca  poggio  ernoso  o  verde  bosco 

O  dolce  fonte  o  fiume, 

Trapassa  alfin  le  nubi  e  Faer  fosco; 
Tal  dall'altezza  in  cui  F altrui  fortuna 

Ti  pose,  anzi  '1  valore, 

Le  bianche  vele  ad  euro  e  Tali  io  spando, 

E  cantando  men  vo  F  antico  onore 

Che  giaounai  non  imbruna, 

£  intorno  i  nomi  gloriosi  or  mando, 

E  sopra  il  ciel  volando, 

Ove  figura  ogni  stellante  segno, 

E  risguardando  va  di  sfera  in  sfera 

U  ardita  mente  altera 

Le  tue  sembianze  nel  celeste  regno: 

Se  pur  noa  prendi  a  sdegno 


RIME  EROICHE  5^3 

Ch'in  bei  colori  o  'n  marmi 

Io  te  contempli,  o  pur  t'adombri  o  pinga, 

E  ne'  sonori  carmi 

Di  pure  forme  i  simulacri  io  finga^ 
Ivi  le  scorge  ove  la  chiara  luce 

Nulla  turba  ed  adombra, 

Né  l'arte  vela  del  gran  Mastro  etemo 

Che  qui  le  spiega  quasi  in  nube  o  in  ombra, 

O  dell'idea  traluce 

L'imago  a  pena  al  mio  pensiero  interno. 

Dunque  lassù  le  scemo 

Veracemente,  e  come  raggio  a  raggio 

Si  congiunge  nel  Sol,  in  un  le  unisco  Q; 

Però  cotanto  ardisco. 

Che  non  pavento  di  fortuna  oltraggio: 

Purché  l'alto  viaggio 

Non  precida  la  sorte. 

Io  non  invidio  a  Febo  i  suoi  cavalli, 

Mentre  per  vie  distorte 

Porta  la  face  de'  celesti  balli. 
E  non  invidio  P immortai  Pegaso, 

A  cui  la  fama  antica 

Favoleggiando  affisse  eterne  penne, 

Perché  la  mia  potrà ,  al  tuo  nome  amica , 

Cercar  l'Orto  e  l'Occaso, 

E  '1  Polo  occulto,  e  l'altro  onde  sen  venne 

« 

(^)  11  .Bottarì  e  il  Seghezzi  leggono  :  Dunque  lassù  ti 
scemo  Veracemente ,  e  cóme  raggio  a  raggio  Si  congiunge 
nel  Sol,  (T altrui  unisco.  Alcune  edizioni  più  recenti,  in 
luogo  di  d'altrui  unisco,  hanno  d* altrui  Punisco.  Nel- 
Tun  modo  e  nell^ altro,  pare  a  noi  che  non  ci  sia  co- 
strutto. La  lezione  da  noi  immaginata  contiene  se  non 
altro  un  senso  chiaro  e  consentaneo  al  conlesto.  — 
(  Gli  Edit.  ) 


5^4  RIME  EROICHE 

Colei  che  già  aostenne 

Nel  suo  grembo  reale  il  caro  pondo 

Delle  tue  uiembra  e  la  tua  nobil  salma  ^ 

In  cui  discese  Falma 

In  riva  al  Mincio  a  far  più  bello  il  mondo  ^ 

E  '1  mio  esiglio  giocondo, 

Quando  la  gentil  pianta 

Cantai;  che  non  annida  augei  maligni, 

Bella,  feconda  e  santa, 

Ma  sol  per  sua  natura  aquile  e  cigni. 
Felice  stirpe,  a  cui  si  largo  il  Gelo 

L'aquile  sue  comparte, 

Che  son  native  ornai,  non  peregrine; 

Perdìè  una  voli  ond'Aquilon  si  parte, 

Ed  ingombra  di  gelo 

Le  rive  del  tuo  Mincio  e  di  pruine; 

E  r  altra  nel  confine 

Dond' Austro  move  la  ventosa  pioggia; 

E  r  altre  due  sen  vanno  a  Tile,  a  Battro: 

E  cosi  tutte  quattro 

Le  divide  col  mondo  e  'nsieme  alloggia. 

Né  tanto  cresce  o  poggia 

Pianta  fra  Siri  ed  Indi; 

E  la  vittoria  in  terra  albergo  felse, 

E  da  lei  quinci  e  quindi 

Pendono  scettri  d^oro  e  spoglie  eccebe. 
Ma  questi ,  e  i  duci  fortunati ,  egregi , 
.   Che  se  n'  o'maro  in  guerra , 

E  quei  che  d'ostro  circondar  le  chiome, 

E  la  gemina  laude  e  i  veri  pregi 

Ch'illustrar  già  la  terra, 

Spero  cantar  col  tuo  lodato  nome, 

E  l'ire  vinte  e  dome, 

E  le  voglie  recise  e  tronche  in  erba , 


HIME  EROICHE  5^5 

Che  tutte  son  trofei  nel  saggio  petto  ^ 
Torre  d^alto  intelletto^ 
E  tutte  glorie  delFetade  acerba. 
Oh  se  pietà  mi  serba 
A  quel  che  volgi  e  pensi  ! . . . 
Frattanto  pur  col  mio  pensiero  ascendo 
Dove  non  vanno  i  sensi, 
E  quel  ch^  onora  il  mondo  y  in  cielo  apprendo. 
Canzon,  son  tutti  i  cerchi 

Nelle  parti  del  ciel  pure  e  tranquille 

Intorno  al  sommo  Re  nell^alto  seggio. 

Tutte  le  cose  io  veggio 

Negli  ordini  sembrar  dovrei  partille, 

Luci,  fiamme  e  faville. 

Tu  le  prime  risguarda 

Che  fan  corona  al  primo  e  quasi  tempio: 

Questa  m'illustci  ed  arda, 

Ch^è  principio  degli  altri  e  vera  esempio. 


5)6  RIME  EROICHE 


CANZONE  XXXIX. 

In  morte  di  Barbara   tP  Austria  duchessa  di  Fer- 
rara. Dopo  aver  descritto   il  cordo^io   dei  duca 
Alfonso  per  sì  funesta  perdita  ,  introduce  r  Italia 
a  piangere  le  sue  sciagure,  le  quali  ella  asfea  ab- 
'  hluite  sotto  gli  auspici  di  quell inclita  Sovrana^ 
ma,  lei  spenta ,  ella  depone  ogni  speranza  e  ^ah^ 
bandona   alla   costernazione.    Di  qui  trapassa   il 
poeta  ad  accennare  il  lutto   di  tuli  Europa  air- 
f  annunzio  dell  infausta  no\*ella.   Ma  intanto  che 
tutto    ^   duolo   e   lagrime    quaggiù  ,   t  anima    di 
Barbara  ascende  alla  glona  ed  alla   letizia   ce- 
leste ,  e  prende  a  scherno   le   vanità  di   questa 
miserabile  valle. 

Già  spiegava  F  insegne  oscure  ed  adre 
Morte  nel  freddo  e  tenebroso  volto 
D^  alta  regina ,  e  non  parea  superba  j 
Benché  lo  spirto  abbia  nel  fin  disciolto  ; 
E  renda  il  corpo  alla  sua  antica  madre  ^ 
E  tronchi  il  fiore  ^  e  mieta  il  frutto  in  erba 
Perchè  quel  viso  estinto  in  sé  riserba 
Il  primo  onore  ^  e  maesth  non  fugge 
Da  quel  candor  eh*  impallidito  agghiaccia  j 
Né  la  disperde  o  caccia 
L'ombra  crudel  che  lui  cF intomo  aduggej 
Ma,  come  fra  le  spoglie  e  fra  le  palme 
Sovente  il  vincitor  di  nobil  terra 
I  costumi  de^  vinti  ancor  non  sdegna, 
Par  che  sì  mansueta  in  lei  divegna 
Chi  vinse  il  suo  mortai  con  lunga  guerra, 
E  scosse  lei  di  belle  e  care  salme; 
E,  mentre  fra  le  caste  e  nobili  alme 
La  più  nobile  e  casta  al  cicl  ritorna, 
Morte  spietata  di  pietà  s^  adoma. 


RIME  EROICHE  Si; 

Morte  ogni  duro  core  accende  e  spetra  y 

£  sembra  un  dolce  sonno  in  que^  begli  occhi  ) 

Un  bel  silenzio  in  quella  fredda  lingua^ 

Materia  da  coturni  e  non  da  socchi. 

Ne  fu  scolpita  mai  gelida  pietra 

D^  atto  sì  vivo  che  1  dolor  distingua  j 

E  desti  mille  affetti  e  mille  estingua^ 

Compii  volto  real,  mentr'ella  giace 

£  si  riposa  tra  1  dolente  coro 

Su  la  porpora  e  F  oro 

In  placida  quiete  e  'n  santa  pace: 

E  le  meste  virtù  y  c\i  a  pie  le  stannb , 

Le  fur  compagne  in  terra ^,  e  chi  più  s^angC; 

È  la  più  lagrìmosa  e  la  più  bella. 

E  fra  U  pianto  degli  altri  e  la  procella 

Par  soave  armonia  quant^or  si  piange; 

Pur  tempra  la  sua  lode  il  loro  affaimo: 

E  se  repente  dopo  lei  non  vanno, 

Solo  quella  che)  '1  velo  onora  e  guarda, 

LMncominciato  volo  affrena  e  tarda. 

E  nelT  invitto  Alfonso  arde  e  sfavilla 

Con  varj  modi,  e  ^1  duol  s^  avanza  e  Tempie, 
E  cresce  amore,  e  'nsieme  il  suo  tormento. 
Né  ì  fato  accusa,  o  F aspra  sorte,  o  F empie 
Parche;  né  freme  tra  Cariddi  e  Scilla, 
Né  'n  duro  scoglio  mormorando  il  vento, 
Come  il  dolor  die  trova  al  suo  lamento 
Ogni  varco  rinchiuso,  e  dentro  ferve 
Ove  non  é  chi  Foda  o  chi  risponda: 
Né  la  ragion  v^  affonda , 
Perchè  ogni  voglia  alfin  s^  acqueta  e  serve  ; 
Ma  pur,  membrando  i  tempi  Ueti  e  i  mesti, 
Gli  atti  benigni  e  gravi  e  le  sembianze 
E  quel  lume  del  cielo  in  terra  apparso^ 


/  . 


5a8  EIME  EROICHE 

E  poi  dd  mondo  dil^uato  e  sparso  ^ 
E  '1  desio  de^  figtiuoli  e  le  speranse 
Che  la  gloria  immortal  gP  iufiamini  e  desti 
De  Pufìo  e  T  altro  Alcide ,  alme  celesti  ^ 
E  U  suo  vedovo  albergo  e  Falta  reggia  ^ 
In  gran  tempesta  di  pensieri  ondeggia. 

Ma  P Italia^  di  stridi  il  cielo  empiendo^ 

E  sparsi  i  crini,  e  gli  ocelli  in  lei  conversi , 

Squallida  pianse  e  miserabil  vecchia: 

«  Barbara  %  morta ,  oimè!  qaai  casi  avversi, 

O  qual  percossa  più  mortale  attendo? 

Che  minaccia  Fortuna  ed  apparecchia? 

Ma  se  affanno  e  martir  di  rado  inveodiia, 

Questo  m^ uccida,  e  sia  F estremo  colpo 

Che  mi  trafigga  Palma  e  passi  il  core 

Col  pungente  dolore; 

Che  se  mi  trae  di  vita,  io  non  P incolpo. 

Oimè!  Palma  real  di  puro  velo 

Vedendo  cinta  e  di  leggiadri  «odi. 

Sperai  già  troppo;  or  se  ne  scinge  e  spoglia, 

Perchè  rimanga  in  me  perpetua  doglia. 

Che  de^  veri  miei  pregi  e  d^alte  lodi 

Serbo  amara  memoria,  e  non  la  cdo. 

Benché  sia  fatta  sì  odiosa  al  Gelo, 

E  sotto  al  Sol  turbato,  alPaur^  fosca, 

A  gran  pena  me  stessa  e  lui  conosca. 

«Io  veggio  fraU  in  me,  se  non  inferme. 
Le  membra  afflitte,  e  sou  domata  e  vinta. 
Ed  amo  il  peso  che  più  volte  ho  scosso. 
Archi  e  teatri  e  simulacri  e  terme 
Mirai  distrutti,  e  quella  gloria  esttnla 
Ch'adombrava  P Imperio  allor  commosso. 
Metalli  e  manni  io  più  drizzar  non  posso 
A'  gloriosi;  anzi  tra  '1  mare  e  PAlpe 


RIME  EROICHE  529 

Bttspingo  a  pena,  e  'n  su  gli  alpestri  gioghi 

I  barbarici  gioghi;    * 

£  già  facea  tremare  Abila  e  Calpe, 

Atlante^  Olimpo,  e  tolsi  e  diedi  i  regni! 

Vidi  insegne  e  trofei  giacer ,  deposto 

Alla  statua  d'Augusto  il  gran  diadema! 

La  Spagna  mMnchinava  e  l'India  estrema, 

Le  parti  d'Austro  e  d'Aquilone  opposto; 

£  tranquillai  quell'ire  e  quegli  sdegni  ! 

Onorai  d' alti  prem)  i  chiari  ingegni , 

Cinsi  la  terra  e  quasi  il  mar  profondo 

Di  schiere  e  d'arme,  e  fei  le  mura  al  mondo!... 

•«Ma,  qual  incendio  che  s'infiammi  e  sparga, 
Dagli  aspri  monti  ne'  miei  dolci  campi 
Più  volte  si  yersò  spietato  orgoglio, 
Perchè  una  Tolta  appresso  V  altra  avvampi, 
£  sempre  sia  di  sangue  altrui  più  larga-, 
£  vidi  presa  Roma  e  '1  Campidoglio,   « 
Né  rupe  in  Appennino  o  'n  mare  scoglio 
Da'  Barbari  securo;  e  intomo  intorno 
Piene  tutte  le  piagge  e  tutti  i  lidi 
D' orrida  morte  i'  vidi , 
£  vergognoso  oltraggio  e  grave  '  scorno* 
Ma  'n  questa  mia  gentile  e  vaga  parte. 
Dove  l'Adria  s'allaga  e  '1  re  de'  fiumi, 
La  stirpe  d'Azzo  ebbe  si  il  Cielo  amico, 
Che  difese  l'onore  e  '1  nome  antico. 
La  sua  fé,  le  sue  leggi  e  i  suoi  costumi; 
£  son  di  lei  tante  vestigia  sparte , 
Tante  illustri  memorie  in  vive  carte, 
Onde  vecchia  sperai  (ohe  più  s'apprezza) 
Caduco  onor  di  giovenil  fortezza. 

«  Tu ,  d' Augusti  e  di  re  sorella ,  e  figlia 
D'alta  progenie  che  l'imjierio  accrebbe, 
Tasso.  FoL  IV.  34 


53o  RIME  EROICHE 

E  duo  mondi  domò  •  ma  vinse  a  Cristo , 
Né  per  Cristo  donarli  ancor  F  increbbe  ^ 
,    Speranza  m'aggiungesti  e  maraviglia^ 
1^  ch'obbliava  ogni  mio  vano  acquisto^ 
E,  col  tuo  sangue  al  mio  confuso  e  misto ^ 
Credeva  alzarmi  al  cielo:  or  teco  insieme^ 
Barbara  j  'i  caggio^  e  teco  giaccio^  e  teco 
Ogni  mio  lume  è  cieco. 
Oh  credenza  fallace ,  oh  falsa  speme! 
Per  te  barbaro  nome  amai  pur  dianzi , 
Ch'era  odioso  (or  men  rimembro,  e  torpoj; 
Per  te  stimai  vii  danno  ogni  ruina. 
Or  faccian  sacra  tomba,  alta  regina, 
Ogni  sparso  edificio  al  nobil  corpo, 
Ogni  mole  caduta,  e  i  monti  avanzi 
Quanti  ne  fian ,  quanti  ne  furo  innanzi  : 
E,  se  U  mio  grembo  stretto  e  picdol  sembra, 
Sia  r  Europa  sepolcro  a  queste  membra.  ** 
Cod  disse  r Italia,  e  del  suo  pianto 
Corse  torbido  il  Po  sull'alta  riva, 
E  lagrime  spargea  con  dogliose  urne*, 
E  gran  rimbombo  e  sospiroso  usdva 
Dalla  Parma  e  dal  Taro  e  Mincio  e  Manto: 
E  Barbara  sonar  Paure  diurne. 
Barbara  rison&r  Paure  notturne, 
E  Barbara  fremean  le  selve  e  i  colli. 
Barbara  mormorava  il  mar  vicino. 
Barbara  PAppennino, 

Pur  come  turbo  i  tronchi  offenda  e  crolli, 
E  inaspri  il  verno,  e  cresca  il  nembo ,  o  come 
Si  veggia  senza  il  sole  il  ciel  rimaso: 
E  mugghiava  il  Tirren  che  Ponde  imbianca 
Or  sulla  destra  sponda,  oc  sulla  manca j 
E  piangean  le  sorelle  il  mesto  occaso  j 


RIME  EROICHE  53 1 

Donne  e  donzelle  con  incolte  chiome 
Sull'Amo  sospirar  F amato  nome^ 
E  'n  suon^  qual  non  udì  Gefiso  ed  £bro, 
Barbara  ancor  cliìamò  gemendo  il  Tebro. 
£  le  voci  d'Italia  e  i  mesti  accenti        , 
Oltra  TAlpe  nevose  ancor  s' udirò  ; 
E  la  funebre  pompa  e  le  facelle 
Sol  quelle  simigliar  che  'n  lungo  giro 
Il  gran  re  della  Persia  a  varie  genti 
Già  dispose  fra  V  India  e  '1  varco  E'  Elle  y 
Qual  grande  annunzio  pur  d'alte  novelle. 
Cosi  tosto  affrettò  la  Fama  il  passo, 
Anzi  '1  volo  spiegò  coir  ali  impigre, 
Appo  cui  lenta  è  tigre, 
£  '1  volar  d'ogni  augello  è  tardo  e  basso} 
Mille  sonanti  lingue  ancor  disciolse 
Cesare  invitto,  e  i  gloriosi  regi 
Nell'Occidente  empiè  d'amaro  lutto 3 
Né  Germania  ritenne  il  viso  asciutto, 
Ma  senza  l'or,  senza  ornamenti  e  fregi, 
Vestissi  a  bruno ,  e  duol  con  duolo  accolse  : 
E  come  rimbombò,  mentre  si  dolse, 
L'Istro  e  l'Ercinia  e  vie  più  lunge  Ardenna, 
Scrìver  non  può  questa  mia  stanca  penna. 
Ma  tu,  «alita  dagli  oscuri  abissi 
Di  questo  umano  obblio,  dall' orrìd' ombre 
Fra  cui  s'oscura  ogni  celeste  raggio. 
Di  maraviglia  e  di  piacer  ('ingombre, 
Mirando  i  lumi  erranti  e  i  lumi  fissi 
Sotto  a'  be'  piedi,  e  '1  Sole  e  '1  suo  viaggio 
Che  ne  ritoglie  e  toma  aprile  e  maggio. 
Che  ti  par  strada  obliqua  e  strada  angusta. 
Mentre  vola  il  tuo  spirto  e  ti  conduce 
Al  ciel,  ch'à  pura  luce. 


# 


N 


S3%  RIME  EROICHE 

Ed  inoontrì  per  via  F  anima  augusta 
£  r  altre  coA  belle  e  co^  degne 
Che  già  portare  in  terra  il  grave  incarco 
Di  corone  e  di  scettri ^  e  Weme  ascendi, 
Ed  ambo  gli  emisperj  a  scherno  prendi, 
£  stimi  r Oceano  un  picciol  varco, 
Dove  spiegar  le  gloriose  insegne; 
£  'nfiammi  in  Dio  ciò  che  raffredda  e  spegne 
La  morte  al  mondo;  e  già  del  Be  superno 
Vedi  la  glorja  in  quel  trionfo  etemo. 
Canaon,  se  fama  antica  oggi  non  mente, 
Bebbe  Artemisia,  con  lodato  esempio, 
Il  cenar  freddo  :  il  mio^signor  la  fiamma 
Mandò  nel  casto  petto  e  se  n^ infiamma*, 
£  non  arse  più  bella  in  sacro  tempio. 
Non  dirlo  a  lei ,  che  d^  amor  vero  ardente 
Fra  que'  divini  cori  il  vede  .e  sente; 
Ma  il  narra  alla  sorella:  essa  ti  prenda, 
C  i  iniei  lamenti  e  f  altrui  lodi  intenda. 


CANZONE  XL. 

In  lode  del  cardinale  Albano. 

Alma,  ch'aspetta  il  Cielo,  e  '1  mondo  onora 
E  pregando  ritarda ,  acciò  che  spieghi 
L' ale  da  più  sublime  e  degna  parte , 
Mentre  alle  membra  ancor  t'avvolgi  e  leghi, 
Mille  divine  luci  ad  ora  ad  ora 
Mostri,  a  guisa  di  stelle,  in  te  cosparte; 
E  come  il  Padre  eterno  al  cìel  comparte 
Duo  maggior  lumi,  e  Funo  al  di  sereno , 
L'altro  alla  notte  ombrosa 


RIME  EROICHE  533 

La  pura  luce  sua  non  tiene  ascosa^ 
G>si  Puna  virtù  che  strìnge  il  freno 
Alla  prosperità  ch'ardisce  ed  osa^ 
L'altra  ti  diede  pur  quasi  nell'ombre 
Celeste  e  luminosa^ 
Ch'ogni  temenza  dal  tuo  cor  dìsgombre^ 

E  quella  in  Roma  apparve  in  Vaticano, 
Quasi  'n  sul  mezzo  giorno,  e  vi  refulse, 
£  nell'  altra  città  che  '1  mare  inonda  ; 
E,  finché  fero  turbo  indi  t'avvolse, 
Ricco  vi  fusti  del  sapere  umano 
E  d^ogni  bene  ond'uom  si  rado  abbondai 
E  perchè  ti  portasse  aura  seconda 
Al  primo  grado  in  cui  s'onora  e  stima 
D  valor  de'  soggetti, 
Moderasti  neirauna  i  primi  affetti  | 
E  lasciasti  ragion  seder  in  cima  3 
E  fur  lodati  i  modi  gravi  e  i  detti, 

^  Un  tenore ,  un  colore ,  un  volto  istesso 
Fra  mille  varj  aspetti, 
E  Talto  cor  d^nterne  leggi  impresso. 

Questa  die  luce  al  tempestoso  Egeo 
Della  vita  mortai,  eh' a  noi  perturba 
Dispietata  tempesta  e  fero  vento  ^ 
Né  mai  fra  minacciosa  e  mobil  turba 
Dal  suo  stato  più  bello  altri  cadéo, 
Indegno  più  d'esiglio  o  di  tormento, 
Cui  la  colpa  dia  tema  od  ispavento} 
Né  della  sua  caduta  è  chi  risorga 
Più  glorioso  alfine, 
Benché  si  vanti  pur  d'alte  ruine^ 
E  '1  suo  gran  precipizio  onor  gli  porga 
E  fra  lontane  genti  e  fra  vicine^ 
Non  quel  Greco  che  vinse  in  mare  i  Persi: 


/ 


534  RIME  EROICHE 

Né  par  che  ben  «*  accorga 

Che  riimoccnza  UloslFa  i  casi  avversi. 

adorò  ddFAsia  il  re  supeiix); 
Tu  PiOy  coi  Fumiltade  in  cielo  esalta^ 
E  'n  terra  alzoUo  alla  più  nolnl  aede. 
Ei  più  non  ^olò  la  Grecia  o  Falla 
Citùij  ma  giacque  in  quelTeùlio  acerìbo; 
Tu  vivi  ^  e  r  un  per  te  s' avanza  e  ---^-- 


Nel  suo  nativo  albergo,  e  F altro  ercile 

Della  patema  gloria  in  Roma  andca 

Or  teco  si  raccoglie, 

E  Roma  t*oma  di  purpuree  spoglie: 

Ronuii  ch^al  tuo  valor  fu  sempre  arnica^ 

E  i  tardi  e^  giusti  premj  altrui  non  toglie: 

Ed  ogni  rischio  ornai  passato  e  scorso, 

Non  turba  aura  nemica 

De^  vostri  onori  il  grande  e  lieto  corso. 

O  Roma,  a  te  già  diede  un  re  Corinto, 
Poi  Spagna  Augusti,  e  sempre  in  te  s^ aperse 
Il  valor  peregrino  un^  ampia  strada. 
Né  Grò,  né  Cambise,  o  Dario  o  Serse 
Pose  giogo  sì  dolce  a  rege  avvinto; 
Né  fe^  tanto  col  senno  e  colla  spada, 
Quanto  già  tu,  eh* ove  sormonti  e  cada 
U  Sole  avevi  steso  il  grande  impero; 
Ed  or,  mutata  legge, 
Ond*  i  popoli  erranti  in  te  corregge 
Con  santa  verga  il  successor  di  Piero, 
E  guida  al  ciel  le  mansuete  gregge, 
Quel  buon  costume  antico  ancor  tu  servi  : 
E  '1  Tedesco  e  Flbero 
Assidi  in  alto,  e  regni  insieme  e  servi. 

Né  fiume  o  colle  o  monte  a  noi  distingue, 
Ma  'i  valore  i  Romani;  e  più  non  spegna 


RIME  EROICHE  535 

Impresa  nota  mai  guerrieri  armenti; 
Ed  alma  illustre  che  di  te  sia  degna, 
Perch'ella  parli  altrui  con  molte  Ungue, 
E  lodi  il  tuo  signor  con  varj  accenti,  ^ 
Pur  tua  la  chiami:  o  sia  fra  Fonde  algenti 
Nato  d^Istro  o  di  Reno  o  'a  altra  riva 
Dove  il  Rodano  rode, 
È  tuo,  s^è  valoroso,  e  tu  n*hai  lode. 
Ed  ogni  sua  belPopra  a  te  s'ascriva. 
Tu,  madre  senza  inganno  e  senza  fit>de, 
E  tu  de^  santi  figli  il  ciel  riempi. 
Non  come  falsa  Diva^ 
E  gli  consacri  in  terra  altari  e  tempi. 

Ma  pur,  fra  qhanti  d^ ostro  ammanti  e  fasci, 
Nessun  con  maggior  lume  in  te  risplende 
Del  grande  Albano,  or  eh' è  sereno  il  cielo, 
Or  che  nebbia  noi  turba  e  noi  contende 
Alma  ch'in  terra  n'abbandoni,  e  lasci 
Anima  gloriosa  il  sacro  velo: 
E ,  come  il  Sol  dopo  le  nubi  e  U  gelo 
Awien  che  vie  più  bello  i  rai  cosparga. 
La  virtù  vincitrice, 

Poi  ch'ella  è  combattuta,  è  più  felice, 
E  versa  gloria  più  lucente  e  larga. 
Né  morte  guerra,  come  sembra,  indice; 
Né  vecchiezza  il  molesta  o  rompe  il  sonno; 
Ma  i  giusti  spazj  allarga 
Quegli  che  '1  die,  ch'altri  allungar  non  ponno. 

Canzone,  i  bei  vestigi  altri  ricérca 
D'Alba  vetusta:  e  tu  fra'  sette  colli 
Rimira  un  sacro  veglio 
Che  del  valor  Albano  é  vivo  speglio, 
E  per  signor  e  per  mia  luce  io  volli. 
A  quest'Alba  serena  anch'io  mi  sveglio: 


516  RIME  EROICHE 

Darmi  la  dotta  mano  or  non  ti  apiaocia; 

Ma  s^ ancor  più  t^ estolli, 

Un  bel  silenzio  alfin  Ì*onorìy  e  taccia. 


CANZONE  Xli. 

In  lode  della  Casa  Grillo. 

Come  dall'aureo  Sole  è  sparsa  intomo 
Serena  luce  e  seminati  i  raggi , 
Cosi  la  gloria  da  virtù  deriva, 
E  tutto  illustra,  e  tutto  appare  adomo 
Quanto  ella  appressa,  e  sgombra  i  duri  oltrag^ 
£  '1  fosco  obbuo  dove  il  suo  lume  arriva: 
Né  di  splendor  la  priva 
L*antichiUi,  sM  nomi  oscuri  inrolve; 
Né  la  pallida  invidia  ancor  V  adombra 
Crescente  in  guisa  d'ombra  : 
Maggior,  se  d'Oriente  il  vel  dissolve; 
Minore  a  mezzo  il  corso,  ove  risplenda 
Il  perfetto  valor  ch'ai  sommo  ascenda. 

E  ben  fu  quasi  un  Sol  del  nome  vostro. 
Fra'  suoi  consorti  e  suoi  guerrieri  egregi, 
Grillo,  quel  primo  ed  onorato  Amico; 
Né  vesti  Roma  di  più  nobil  ostro, 
Poi  ch'ebbe  spinto  in  aspro  esiglio  i  regi, 
I  suoi  purpurei  duci  al  tempo  antico  : 
Vero  di  gloria  amico , 
Che  ricercoUa  in  perigliosa  guerra 
Fra  l'onde  tempestose  e  i  feri  venti, 
£  fra  nemiche  genti, 
E  fra  le  navi  che  fuggirò  a  terra. 
Dove  le  bagna  il  mar  V  umido  lembo , 
E  per  salvarle  i  fiumi  aprirò  il  grembo. 


RIME  EROICHE  537 

Yoi)  di  Provenza  avventurosi  lidi; 
E  voi,  de^  fuggitivi  alte  latebre, 
Rodano  ed  Arlij  e  voi,  sicuri  porti, 
Udiste  risonar  con  rocbi  strìdi 
Il  mar  tinto  di  sangue  in  suon  funebre, 
E  miraste  gPincendj  e  F  aspre  morti. 
Tu,  che  gli  abeti  porti 
Or  nel  turbato  campo,  or  nel  tranquillo, 
Sèi  testimonio  ancor  del  suo  valore, 
Ch^i  suoi  con  grande  onore 
Ridusse,  come  Catulo  e  Duilio; 
E  tornò  vincitor  dall^onde  salse, 
Onde  la  chiara  stirpe  in  pre^o  salse. 

Nobile  stirpe,  in  cui  se  Tuno  è  tronco, 
L'altro  Amico  poi  nasce  e  vi  frondeggia, 
Qual  ramo  d^ór  che  di  lòntan  riluce, 
Quanti  ne  sono  intomo  al  verde  tronco, 
Ch^ogni  arbor  di  Liguria  ancor  pareggia, 
E  quanti  frutti  e  fiori  ella  producei 
Alcuno  è  fatto  duce 
Di  cavalieri;  ed  orna  alcuno  e  spalma 
Le  torreggiane  navi,  e  i  negri  legni 
Arma  ne  salsi  regni , 
E  spesso  ha  gloriosa  e  cara  palma; 
Altri  col  fren  della  temuta  legge 
La  possente  città  governa  e  regge/ 

Ma  chi  lodar  potrebbe  il  buon  Lamberto, 
O  chi  seguirlo?  o  quel  ch^alFelmo  impose 
L'aquila  imperiosa,  altero  dono? 
O  di  quel  vostro  agguaglia  il  clìiaro  merto , 
Che  fé   Tonde  vermiglie  e  sanguinose 
Presso  Durazzo,  e  lui  tremante  al  suono? 
Poche  cose  ragiono, 
E  molte  nel  mio  cor  descritte  io  serbo; 


538  RIME  EROICHE 

Che  per  esémpio  sol  ^  arti  leggiadre 
Vi  basta  il  saggio  padre  ^ 
Ch^andò  uelT Oriente  al  re  superbo: 
Né  fia  che  Falte  lodi  il  tempo  estingua 
Del  cor,  del  senno  e  dell'accorta  lingua. 
Canzon,  se  tromba  o  squilla 

Rompe  ad  Angelo  nostro  il  leve  sonno  ; 
Si  ch^egli  s'alzi  col  pensier  sublime, 
Noi  seguir  colle  rime 
(  Se  pur  elle  volar  si  alto  ponno  )  ; 
Ma  i  fratelli  ritrova  e  te  gli  mostra; 
E  di':  Son  bella  della  gloria  vostra. 


CANZONE  XLH. 

In  loda  del  sommo  pontefice  Sisto  V. 

Come  poss'  io  spiegar  del  basso  ingegno 
Le  vele  in  alto?  e  col  mio  tardo  canne 
Cosi  pronto  mostrarme, 
Ch'  i'  solchi  di  tua  lode  il  mar  profondo? 
Girar  dell' Ocean  l'ondoso  regno. 
Io  di  vittoria  indegno? 
Cara  merce  è  il  tuo  nome  e  grave  pondo; 
Però  dico  fra  me:  S'io  passo,  affondo , 
O  rompo  nelle  sirti  e  'n  duro  scoglio. 
Cosi  temendo  mi  rivolgo  indietro, 
D'ardir  privo  e  d' orgoglio, 
E  rimiro  l'arene  e  i  salsi  Udi 
E  '1  mio  torto  sentier;  ma  tu  m'affidi, 
Nocchiero  esperto  e  successor  di  Fietit). 
Oh!  se  per  grazia  di  varcare  impetro; 
Teco  verrò  dove  risplende  il  vello 


RIME  EROICHE  539 

(Benché  in  mare  più  largo) 

Del  puit)  sacro  e  mansueto  agnello, 

Che  tu  sei  Tifi,  e  la  tua  nave  è  Argo. 

Ma,  quasi  monti,  al  cominciar  trapasso 
Cento  opre  tue,  cento  tue  lodi  e  cento. 
Dove  mi  porta  il  vento 
Del  tuo  santo  favor  nelF  ampio  gorgo 
Che  non  ha  riva  o  fondo,  e  quanto  io  scorgo 
Degli  anni  già  trascorsi  indietro  lasso. 
Benché  il  mio  stil  più  hasso 
Sia  del  meno  alto  grado  ove  più  sorgo, 
E  tutte  all^ austro  pur  le  vele  io  porgo, 
O  sovra  i  regi,  o  sovra  i  grandi  Augusti 

"  Da'  merti  alzato  in  più  sublime  sede, 
O  de'  s^ggi?  o  àe^  giusti 
Verace  esempio ,  o  padre ,  o  santo  veglio , 
Delle  sacre  virtù  lucente  speglio. 
Anzi  del  Sol  che  illustra  antica  fede, 
La  qual  V  altra  fermò  che  parte  e  rìede. 
Tu  dispensi  non  sòl  terreni  onori 
E  le  corone  in  terra. 
Ma  le  grazie  del  Cielo  e  i  suoi  tesori 
Con  quella  stessa  man  che  Tapre  e  serra. 

Qual  regno,  qual  poter,  qual  forza  d'auro 
Agguagha  l'alta  podestà  concessa 
DaUa  Parola  stessa 
Vestita  pur  di  nostra  umanitate? 
Dell'imperio  roman  Reno,  Istro,  Eufrate, 
Termini  furo ,  Abila  ,  Calpe  e  Tauro  ; 
Né  sovra  l'Indo  o  '1  Mauro, 
La  've  gli  accende  una  perpetua  state. 
Posero  il  giogo  le  sue  schiere  armate. 
Non  sono  al  tuo  confini  i  fiumi  o  i  mari, 
O  le  paludi  pur  ch'indura  il  verno y 


54o  RIME  EROICHE 

Non  colonne  od  altari; 

Non  monti  alpestri  ed  ermi  e  ^nculte  arene 

Oltre  Menfi  superba ,  oltre  Siene; 

Non  Acheronte  o  Suge  o  lago  Avemo; 

Nbn  la  stellante  sfera  o  '1  cieco  Inferno: 

Non  di  due  mondi  o  Tana  o  T altra  reggia^ 
'     Ma  quello  è  in  ciel  disciolto 

Che  sciogli  in  terra  (oh  piaccia  a  Dio  che  U  veg^ij^ 

E  quel  ch^ avvolgi  qui;  lassuso  è  avvolto. 
Taccia  Roma  i  trionG  e  i  regi  avvinti 

Condotti  in  Campidoglio  appresso  il  carro, 

Ch^ altre  cose  qui  narro, 

Altre  vittorie  io  lodo  ed  altre  palme , 

£  d^  altre  imprese  e  d^  altri  lauri  or  calme. 

Te  duce,  ella  fa  guerra,  e,  i  vizj  estinti, 

O  coir  Idra  già  vinti 

E  coir  Arpie,  trionferà  colf  alme  ^ 

Deposte  in  terra  le  più  gravi  salme, 

Perchè  degno  or  non  è  loco  terreno 

Di  si  vittoriose  e  care  spoglie; 

Ma  in  quel  tempio  sereno 

Fia  quel  trionfo,  e  'n  quel  lucente  chiostro 

Fiammeggiando  il  piropo  e  F  oro  e  F  ostro 

Fra  tanti  marnii  antichi  orna  e  raccoglie; 

Ed  agli  Dei  fallaci  ancor  ritoglie, 

Come  a  te  piace,  o  Sisto:  e  tU;  drizzando 

Gli  obelischi  alla  Croce, 

E  lei  sublime  al  ciel  tre  volte  alzando. 

Fai  tremar  Babilonia  e  '1  re  feroce. 
E  sette  vie,  dove  pietà  non  falle; 

Drizzi  a'  tempj  maggiori,  e  vi  consacri 

Altari  e  simulacri  ] 

E  sentier  più  sicuro  altri  non  segna 

All'eterno  trionfo;  e  non  P insegna: 


RIME  EROICHE  54i 

Già  in  via  Sacra  o  'n  via  Lata ,  o  'n  altro  calle^ 
Monte  adeguando  a  valle, 
Non  si  spiegò  sì  gloriosa  insegna  y 
Come  questa  ond^  il  re  trionfa  e  regna. 
£  se  tale  è  quaggiù,  qual  fìa  nel  cielo    " 
Sovra  il  cerchio  del  Sole  e  gli  altri  giri, 
E  senza  nube  o  velo? 
Ma  per  cercar  la  terra  intomo  intomo, 
Non  pur  là  dove  nasce  e  more  il  giorno, 
Non  fia  cb^opre  si  eccelse  alcun  rimiri, 
£  sì  pietose  lagrime  e  sospiri: 
E  tu  fai  quelle  e  queste,  o  sommo  Padre; 
Tu,  divino  architetto. 
Usando  dentro  e  fuori  arti  leggiadre, 
De^  più  santi  edificj  adomi  il  petto. 
Tal  ch^ Italia  ed  Europa  a  te  divota. 
Come  solca,  si  mostra  appresso  e  lunge; 
£  donde' appena  giunge 
La  vaga  fama  con  veloci  penne ,  \ 

Gente  che  desiosa  a  noi  sen  venne 
Per  infinito  mar  con  vesta  ignota 
Da  gran  parte  remota. 
Il  tuo  gran  seggio,  e  lui  ch'allora  il  tenne, 
Riverente  inchinò  dove  convenne: 
Né  r  aquile  spiegaro  o  quinci  o  quindi , 
Quanto  la  Croce  estendi ,  altero  volo 
Fra  gli  Etiopi  e  gli  Indi 
O  altre  solitarie  estreme  sponde, 
A  cui  sian  quasi  chiostro  il  cielo  e  V  onde  \ 
Ma  dair  ardente  o  dal  gelato  suolo 
Venendo,  e  sotto  dianzi  ascoso  polo. 
Altri  non  vede  cosa  eguale  a  Roma  , 
0  Roma  a  te  sembiante 
E  felice,  o  felice  ancor  ti  noma, 
Già  pari  a  te,  per  opre  altere  e  sante. 


54^     .  RIIIE  EROICHE 

Anzi  ma^or,  sì  ch^4  ristauro  al  danno 
Di  tutto  ciò  ch'alta  mina  iuTolve^ 
E  ^1  tempo  cangia  e  volve 
Co^  sacri  magisteri  onde  s^  avanza 
£  rinnova  sua  gloria  e  sua  speranza 
Vie  più  di  lustro  in  lustro  o  d'anno  in  anno 
E  color  che  verranno , 
Spirar  veggendo  tua  viva  sembianza 
Da'  marmi y  e  i  segni  ancor  d^alta  possanza, 
Diran:  Beato  vecchio ,  onde  s'accrebbe 
L'antica  maestate  e  Fonor  prisco, 
A  chi  tanto  mai  debbe 
Roma,  di  sue  mine  omai  felice, 
Che  rinasce  da  lor  come  fenice?  — ' 
Ma  tu,  signor,  cui  lodo  e  riverisco. 
Se  por  le  mete  alle  mie  lodi  ardisco, 
Mon  alla  gloria  tua,  eh' è  senza  fine, 
Non  sia  (u  grazia  parco 
Pria  che  stanchi  la  voce  e  U  canto  inchine, 
Perch'  il  silenzio  è  porto  appresso  il  varco. 

Canzon,  vedi  alle  stelle  alzarsi  un  tempio, 
De'  peregrini  marmi  opra  e  lavoro, 
In  cui  sudir  molti  anni  i  mastri  egregi: 
Vedi  metallo  ed  oro 
Appresso  gran  palagio  e  sacro  monte. 
Logge,  teatro,  selva  e  chiara  fonte, 
E  statue  antiche  e  nove,  e  novi  pregi, 
E  di  fisima  e  d'onor  lucenti  fregi: 
Qui  dal  peso  talor  grave  respira. 
Ove  di  zelo  avvampi 

Altro  Mosè  nel  monte ,  e  Dio  gV  inspira       ' 
Sua  viva  legge,  e  senza  tuoni  e  lampi. 


V 


RIME  EROICHE  543 

CANZONE  XLin. 

Di/nostra  la  sua  allegrezza  per  la  promozione  delV  eminentìss. 
Scipione  Gonzaga  al  cardinalato. 

Non  è  noVo  Tonor  di  lucid^  ostro 

Nella  tua  stirpe  antica , 

Di  cui  t'adonìi  e  ne  riluci  e  splendi; 

Ma  novo  è  il  merlo  onde  sublime  ascendi^ 

Alma  di  gloria  amica , 

E  U  saper  e  1  valor  che  nMiai  dimostro. 

Nova  materia  di  purgato  inchiostro  * 

Alle  più  dotte  carte 

Danno,  sacro  signor,  F ingegno  e  P  arte, 

Le  paròle,  i  pensier,  Fopre,  i  costumi, 

Quasi  santi  di  gloria  accesi  lumi , 

O  stelle  in  cielo  sparte  ) 

E  son  chiaro  soggetto  i  carmi  a'  carmi , 

Non  pur  T imprese  de^  maggiori  e  Farmi. 
Quelle  ^nastàr  per  fare  il  crine  adorno 

Di  porpora  sovente 

A  molti,  la  cui  forma  ancor  non  langue: 

Te  non  illustra  solo  il  gentil  sangue. 

Ma  più  la  nobil  mente 

Ch'a  noi  dal  cielo  scende  e  fa  ritorno. 

Lodi  altri  pur  quel  che  n^ abbaglia  intomo, 

Or,  gemme  e  pompe  e  fregi, 

Ch^o  più  belli  contemplo  e  cari  pregi, 

£ ,  là  dove  a  gran  pena  il  volgo  sceme , 

DMmmortali  virtù  bellezze  eterne^ 

Che  t^  agguagliano  a^  regi , 

E  ti  fan  caro  al  Cielo  e  caro  al  mondo. 

Ma  troppo  a^  versi  miei  gravoso  pondo. 


S44  &IME  EROICHE 

Ben  se  n^  avidde  Pio ,  che  da^  primi  anoi 

Tal  die  presagio  in  vista 

Il  tuo  valor  che  teco  nacque  e  crebbe; 

Egli,  che  lunge  vide  e  'n  cor  sempre  ebbe 

f^Come  il  ver  fede  acquista  ) 

D^  Oriente  scacciar  gli  empj  tiranni 

Da^  nostri  lidi  e  ristorare  i  danni  ^ 

Sottratte  al  giogo  indegno 

Le  fide  genti,  e  stabilire  il  regno 

De'  suoi  divoti  y  ed  innalzar  la  Croce  y 

Con  provvidenza  e  con  pensier  veloce 

Te  ne  stimò  già  degno  y 

£d  era^  obbietto  d' un  volere  istesso 

L'onor  di  Cristo  e  quello  a  te  promesso. 
E  '1  di  medesmo  in  gran  pubblico  lutto  ^ 

Onorato  ed  acerbo, 

Recise  la  sua  vita  e  la  tua  speme; 

Ma  s'ei  toccar  potea  le  mete  estreme 

11  Barbaro  superbo 

E  '1  suo  regno  crudel  sana  distrutto, 

E  lieta  Italia  e  Roma  e  '1  mondo  tutto. 

Ma  pur  di  novo  poggia 

La  speme  tua,  ch'ai  tuo  valor  s'appoggia 

E  ferma  in  sé ,  pur  come  pianta  suole 

Ch'intorno  è  tronca,  e  poi  verdeggia  al  Sole 

Ed  alla  nova  pioggia , 

E  tutto  ciò  ch'in  Pio  s' estìnse  e  giacque, 

Poi  risorse  in  Gregorio  e  'n  lui  rinacque. 
La  gloria,  la  virtù,  Tartì  più  belle. 

Io  dico,  e  la  speranza 

Che  Sisto  adempie  or  e' ha  di  Pietro  il  manto. 

Non  per  Eaco,  o  per  Mino  o  Radamanto 

La  tua  gloria  s'  avanza 

Laggiù  fra  1'  alme  al  vero  Dio  rubelle } 


RIME  EROICHE  545 

Ma  per  questi  eh'  alzar  sovra  le  stelle 

Ponnp  il  valor  romano 

Là  've  non  giunse  Augusto  od  Àffrìcano, 

Od  altro  pur  magnanimo  e  gentile. 

Qual  fu  giudizio  in  terra  unqua  simile? 

Per  questi  in  Vaticano 

Fra'  più  degni  t'assidi  e  fra'  migliori, 

E  te  medesmo  e  l'onor  proprio  onori. 
Qual  piacer  questo  agguaglia  onde  oggi  Roma 

Cosi  lieta  si  vede? 

E  da'  suoi  colli  e  dalle  rapide  onde 

Delle  canore  trombe  al  suon  risponde, 

Ed  un  di  quei^  ti  crede , 

Da  cui  r Aurica  fu  percossa  e  doma, 

E  con  quel  caro  nome  ancor  ti  noma^ 

E  già  d  opre  e  d'aspetto 

T  oppone  a  quanti  ha  già  ascoltato  é  letto 

Fra  l'antiche  memorie.  Ed  in  te  onoro 

L'ostro  di  cui  ti  copri;  amai  l'alloro 

Pur  coU'istesso  affetto: 

Che  fia,  s'avvien  ch'io  l'arme  ornai  riprenda, 

E  l'alte  insegne  mie  dis[MegIìi  e  stenda? 
Canzon,  mentre  risona  il  Mincio  e  '1  Tebro 

Di  novi  accenti  e  ciliari, 

Non  ritengon  la  fama  o  l'Alpe  o  i  mari. 

Ch'ella  dispiega  l'ale  e  sparge  il  gfddo 

In  ogni  monte  d'Asia  e  'n  ogni  lido; 

E  par  ch'ai  suon  rischiari 

E  sereni  oltre  il  Tauro,  oltre  POronte 

La  figlia  di  Sion  l'oscura  fronte. 


Tasso  ,  FoL  IV.  35 


546  RIME  EROICHE 


CANZONE  XLIV. 


Alla  gloriosa  memoria  di  Barbara  ^Austria 
duchessa  di  Ferrara. 

Cantar  non  posso  ;  e  cf  operar  pavento 
Contrario  affetto  colla  lingua  al  core 
Che  vorria  fare  onore 
A  quella  donna  ch^ora  è  diva  in  cielo; 
Ma  come  potrò  mai  mostrar  di  fore 
Qò  che  spesso  fra  me  ne  parlo  e  sento  ^ 
£  quel  chiaro  concento 
Delie  sue  lodi  chMo  nascondo  e  cdo^ 
S'ella^  che  vede  com'io^ tremo  e  gelo^ 
Sin  dalle  stelle  non  mi  detta  i  versi? 
L'anima  beHa  ancor  non  era  avvinta 
^    Del  laccio  onde  fu  cinta, 

Quando  primiero  in  lui  questi  occhi  apoisi 
Ma  di  sua  propria  mano  il  Mastro  etemo 
U  tessea  per  sua  gloria  a  mezzo  il  verno. 
Era  non  di  rubini  o  di  diamanti 
Quel  che  legar  dovea  Palma  reale, 
Ma  di  fede  immortale 
E  di  celeste  amor  con  dolci  tempre; 
Né  di  pvegio  o  valor  si  trova  eguale, 
Né  strinser  mai  a  bei  legami  e  santi 
Si  gloriosi  amanti, 
In  cui  Tardor  coli' onestà  si  tempre^ 
Né,  dove  si  gioisce  e  vive  sempre. 
L'uno  e  T altro  beato  è  insieme  unito 
Con  affetto  più  caro  in  altro  modo  : 
Nobilissimo  nodo, 
Per  allo  esempio  de*  mortali  ordito, 


RIME  EROICHE  547 

.    Di  cui  rimago  fu  tra  le, più  belle 
Creata  innanzi  al  sole  ed  alle  stelle! 

Alle  fila  lucenti  e  preziose, 
Al  mirabil  contesto  ;  al  bel  lavoro 
Che  vince  ogni  tesoro 
Lo  qual  s'asconda  della  terra  in  seno, 
£  de^  fiumi  e  del  mar  le  gemme  e  Foro, 
Giunta  la  vidi,  e  superar  le  spose 
Più  belle  e  più  famose 
Che  son  fra  V  acque  d' Adria  e  del  Tirreno  : 
E,  d^alta  maraviglia  oppresso  e  pieno, 
Uomo  io  parea  clie  non  usata  luce 
Repente  miri ,  cosi  nobil  donna 
Veggendo  in  treccia  e  'n  gonna, 
E  ceder  Tarme  d' ognMIlustre  duce, 
E  l'alte  palme  e  le  famose  insegne ^  , 

Nò  mai  di  scettro  fur  mani  più  degne. 

Non  si  fermava  il  mio  pensiero  in  terra ,    ^ 
Che  r invitta  sua  stirpe  inchina  e  cole. 
Ma  trapassava  il  sole, 
Dove  son  Palme  degli  antichi  Augusti, 
Quando  una  donna  che  teatri  è  scole 
Empie  del  nome  chiaro  in  pace  e  'n  guerra, 
E  i  suoi  nemici  atterra, 
Ma  leva  al  cielo  i  valorosi  e  i  giusti , 
Tu,  disse,  che  già  meco  un  tempo  fusti, 
E  poi  seguisti  quel  che  '1  senso  alletta,. 
Odi  il  vero  da  me,  che  pria  s'intèse 
Neil' immortai  paese, 
E  parte  mira  questa  in  cielo  eletta. 
Che  della  gloria  etema  è  specchio  ardente, 
Lucido  a  par  d'ogni  divina  mente. 

Come  ella  fii  nella  terrena  vita, 
Che  per  lei  quasi  diventò  celeste, 


3\H  RIME  EROICHE 

Le  più  belle  ed  oneste 

SùÌ>ito  empiè  dì  nobil  maraviglia; 

K  fra  le  spoglie  d^ ostro  e  d^ór  conteste^ 

Fra  le  ]iompe  reali  era  nutrita  ^ 

Ma  pur  in  sé  romita 

Spesso  innalzava  le  divote  ciglia, 

Come  chi  fra  sé  pensa  e  si  consiglia  3 

E  fra  i  chiarì  trofei  dell'avo  invitto 

E  i  novi  scettri  e  le  corone  eccelse  y 

Fra  cui  fortuna  scelse 

V  albergo  e  sollevò  P  imperio  afflitto  y 

L^ormc  seguia  che  santo  piede  imprime 

Colla  piana  umiltà  vie  più  sublime. 

Quando  V anima  santa  al  mondo  venne, 
L'ornò  mirabilmente  il  sommo  Padre 
])elle  doti  leggiadre 
E  de'  bei  doni  e  de'  superni  lumi 
(]he  fan  più  belle  le  immortali  squadre  y 
^c  chi  vicino  a  lui  spiega  le  penne 
Parte  mageior  ne  tenne: 
E  serenando  il  cielo  e  '1  mare  e  i  fiumi, 
Fiorir  facendo  le  campagne  e  i  dumi, 
Verdeggiare  ogni  monte  ed  ogni  bosco , 
Sicure  errar  le  mansuete  gregge. 
Sole  o  con  chi  le  regge, 
E  lasciaro  i  serpenti  il  fiero  tosco: 
Ma  le  ragioni  a  morte  egli  non  tolse. 
Perchè  il  suo  merto  far  piò  chiaro  volse. 

Ma,  poi  che  accrebbe  in  lei  natura  ed  arte 
Il  suo  valore  ed  onestade,  insieme 
Fede  ed  amore  e  speme 
L'alzar  di  terra  a  guisa  di  colomba, 
O  com' aquila  pur  tra  le  supreme 
JNubi  che  mira  di  lontana  parte. 


RIME  EROICHE 

Ma  non  bastan  le  carte 
A  scrìver  quel  che  nel  tuo  cor  rimbomba , 
Quasi  angelico  suon  d^  etema  tromba  : 
E  ben  felice  è  quel  con  cui  s^  accoppia 
Novello  Alfonso  che  F  antico  agguaglia 
Neil'  arti  di  battaglia  , 
Né  fu  congiunta  mai  più  nobil  coppia^ 
Ma  quel  che  giunge  Amor,  Morte  divide, 
E  invidia  al  novo  Peleo  il  suo  Fetide. 
Ciò  detto  avendo ,  la  costante  destra 
Nel  bene  oprare  alle  stellanti  rote 
Colla  fronte  rivolse,  e  cosi  disse: 
Le  sue  stelle  son  fisse; 
Ma  quel  eh' a  lei  mi  die,  mutar  le  puote, 
Mesta  canzone  :  e  poi  da  me  disparve , 
Qual  vera  Dea ,  non  come  vane  larve. 


r/ 


^49 


CANZONE  XLV. 

Si  lagna  colf  aure  della  sua  prigionia  in  S,  Anna^ 
dicendo  che  niuno  ha  pietà  di  lui;  e  quindi  le 
imnia  a  volare  intomo  ed  Principino  di  Toscana, 
e  fargli  note  le  sciagure  del  misero  poeta  ^  accioc- 
ché egli 9  teneramente  commosso,  implori  co'*  suoi 
sguardi  la  mediazione  del  padre  in  favore  di  chi 
potrà  co*  suoi  versi  rendere  immortale  la  gloria 
della  Casa  Medicea. 


O  figlie  della  Terra, 
Compagne  dell'Aurora, 
Aure,  dell'aria  albergatrici  erranti, 
Che  qui,  dove  mi  serra 
Duro  destin,  talora 
Date  audienza  a'  miei  nojosi  pianti  3 


55o  RIME  EROICHE 

O  degli  afflitti  amanti 
Secretane  cortesi, 

Dell^Amor  me^saggiere, 

Fjde  y  caute  e  leggiere  j 

Che  là  portate  i  lor  sospiri  accesi 

E  i  lamenti  e  le  doglie 

Ov^è  chi  gli  ode  e  con  pietà  gli  accoglie; 
loy  che  tanto  più  sono 

D^ogni  amante  infelice, 

Quanto  odio  è  più  d^  amor  pronto  a  far  danno. 

Aure,  in  voi  spargo  il  suono 

Che  del  mio  petto  elice 

Or  giusto  sdegno  ed  or  non  giusto  aiEwno. 

Non  d^un  soave  inganno 

Di  voce  '  lusinghiera , 

Non  d'un  guardo  furtivo. 

Non  d'  un  sembiante  scliivo  , . 

Non  d'una  fronte  rigida  e  severa, 

Non  d^un  guanto  o  d'un  velo 

Che  gigli  copra  e  rose,  i'  mi  querelo: 
Misero!  ma  mi  doglio 
De'  più  nuovi  tormenti 
Ch'abbia  il  regno  dell'odio  e  della  sorte; 
E  veggio  farsi  scoglio 
Pietade  a'  miei  lamenti, 
Tinta  nel  volto  di  pallor  di  morte: 
Né  posso  aprir  le  porte 
Di  questo  vivo  inferno. 
Ove  son  degli  errori 
Gli  Angioli  1  punitori, 
Perch'io  sfoghi  cantando  il  duolo  interno, 
Nuovo  Orfeo,  colla  cetra; 
Tanto  la  mia  Proserpina  s'impetra! 
Aure,  a  cui  parte  alcuna 


RIME  EROICHE  55i 

'  Non  si  chiude ,  e  che  V  ale 

Dispiegate  dall'  uno  all'  altro  polo  j 

Là  've  già  fuor  di  cuna 

Segna  fanciul  reale 

Con  non  sicure  ancor  vestigia  il  suolo,  • 

Drizzate  il  pronto  volo, 

E  mormorar  mie  note 

Col  suon  de'  vostri  spirti 

Tra  fiori  e  lauri  e  mirti 

Del  magnanimo  Cosmo  oda  il  nipote, 

E  pietosi  i  miei  duoli 
D'Amo  alternino  i  cigni  e  gli  usignuoli. 
Quivi  il  mio  nome  intenda 
Dalla  nutrice,  o  s'ella 

Figlia  è  del  sonno ,  o  s'  è  di  sue  compagne , 
Ed  a  formar  l'apprenda 
Con  lingua  alla  mammella 
Usa,  che  ancor  da  lei  non  si  scompagne; 
Né  per  pietà  si  lagne. 
Né  versi  alcuna  stilla 
Sovra  la  mia  sciagura , 
Che  la  sua  gioja  pura 
Non  desio  che  per  me  sia  men  tranquilla; 
Ma  per  segno  cu  pianto 
Sol  mostri  gli  occhi  rugiadosi  alquanto: 
E ,  riguardando  il.  padre , 
Sembri  almen  che  gli  dica  : 
.Signor,  perché  s'invidia  agli  anni  miei 
Chi  r  opre  tue  leggiadre 
Tolga  a  morte  nemica , 
E  'n  fra  gli  eroi  le  sacri  e  i  semidei? 
Chi  degli  avi  i  trofei. 
Le  palme  e  le  corone 
Orni  di  stelle  eterne? 


N 


55i  RIME  EROICHE 

Chi  le  chiome  materne 
RaOigurì  nel  cid,  noyo  Ccmone  (*)7 
Chi  mMnviti  con  carmi 
Dietro  a  chi  per  età  precorre  alT  armi  ?  — 
Canzon^  non  lunge  alia  città  de^  fiori 
Sorge  un  bel  poggio  ameno: 
Ivi  il  fanciullo  è  delle  Grazie  ia  seno. 


(*)  Tutte  le  stampe  da  noi  vedute  hanno  Zenone; 
ma  ne  par  ^lanifesto  che  il  poeta  abbia  voluto  qui  al- 
ludere a  Canone  che  \  idc  assunta  in  ciclo  la  chioma  di 
Berenice.  —  (Gli  Edit.  ) 


MADRIGALI 


MADRIGALE  I. 

In  lodt  della  Méscla,  ove  andai^a  a  diporto 
la  duchessa  Margherùa  di  Ferrara. 

Ha  Ninfe  adorne  e  belle 

La  casta  Mai^herìta,  ed  essa  è  Dea, 

Se  virtù  fa  gli  Dei,  come  solea; 

Però  boschi  y  palagi  e  prati  e  valli  y 

Secchi  ed  ondosi  calli 

Le  fece  il  grande  Alfonso,  e  cinse  intomo 

Navi ,  e  d' erranti  fere  ampio  soggiorno , 

E  giunse  i  porti  e  i  lustri  in  cui  le  serra, 

Perchè  sia  fa  prìcion  campo  di  guerra  , 

E  i  diletti  sian  glorie, 

E  tutte  le  sue  prede  alte  vittorie. 

MADRIGALE  IL 

Sul  medesimo  solito.  Loda  particolarmente  la  duchessa. 

Mésola ,  il  Po  da'  lati  e  '1  mar  a  fronte , 
E  d'intorno  le  mura,  e  dentro  i  boschi, 
E  seggi  ombrosi  e  foschi. 
Fanno  le  tue  bellezze  altere  e  conte, 
E  sono  opre  d'Alfonso,  e  più  non  fece 
Mai  la  natura  e  Parte,  e  far  non  lece; 
Ma  che  la  valle  sembri  un  paradiso , 
La  donna  il  fa  che  n'ha  sembianti  e  viso. 


554  BIME  EROICHE 


MADRIGALE  01. 


Sul  medesimo  saggetto. 

Mentre  sul  lido  estremo 

A  te  cotf  acque  dolci  e  colf  amare 

Vien  quinci  fl  Po,  quindi  risuona  il  mare, 

Uun  riceve  i  tributi , 

L'altro  li  porta,  e  Funo  e  Paltro  a  prora 

A  te  gli  onre  e  rinnova, 

Perchè  le  valli  e  i  boschi  or  non  rifiuti  : 

E  quei  sempre  discende  e  mai  non  riede, 

Rivolgendosi  a  tergo, 

Appresso  il  novo  albergo; 

Questi  parte  ritoma  e 'nc<ȓtra  e  cede, 

E  dk  la  terra  e  Fonda  or  doni  or  prede. 


MADRIGALE  IV. 

Sul  medesimo  soggetto. 

Chi  la  terra  chiamar  vuole  una  stella, 
Siccome  gli  altri  lumi 
Onde  s'adorna  il  ciel,  lucente  e  bella, 
C  hanno  monti  e  campagne  e  mari  e  fiumi 
E  prati  e  valli  e  selve 
E  timidi  animali  e  fere  belve 
E  Ninfe  cacciatrici^  ecco  or  somiglia 
Parte  del  cid  sereno, 
Con  tante  luci  di  bellezza  in  seno, 
Questa  vaga  e  felice  a  meraviglia } 
Ed  or  che  Falta  donna  in  lei  risplende, 
Pur  r  Oriente  e  U  Sol  ci  mostra  e  rende. 


/ 


/ 


RIME  EROICHE  555 


MADRIGALE  V. 

Lutinga  il  tonno  alj^h  del  principe  di  Mantova. 

f 

Aure,  spirate} 'e  voi  con  lucid^onde, 
Acque  e  susuni  or  mormorate,  o  rivi, 
Fuggendo  i  raggi  estivi, 
Perchè  dorma  U  fanciul  tra  fiori  e  fronde. 
Voi  gli  cogliete,  e  voi  spargete  a  prova, 
Leggiadrìssime  Ninfe,  e  gigli  e  rose 
E  narcisi  e  giacinti  a  lui  a  intomo. 
Ed  altri  fior  già  colti  in  valli  ombrose, 
O  'n  pianta  cne  rinverde  e  1  crin  rinnova, 
O  lungo  il  fresco  ed  umido  soggioono. 
O  Grazie,  voi  che  si  F avete  adomo, 
E  gli  Amoretti  che  gli  sono  eguali, 
Faccian  vento  colTali, 
E  gli  augelletti  risonar  le  sponde. 

MADRIGALE  VI. 

In  lode  duna  figUa  di  D.  Gios^anna  Zunka  di  Capua^ 

principessa  di  Conca,  * 

Come  odorato  mirto 
Sorge  con  verdi  fronde, 
E  benigne  ha  le  stelle  e  Taure  e  Fonde, 
Così  nel  casto  seno 
Cresci  £  nobil  madre, 
Di  care  spoglie  adorna  e  di  leggiadre. 
Pargoletta  fanciulla, 
Nutrita  da  Fortuna  in  fasce  e  'n  culla. 


5S6  RIME  EROICHE 


BIADRIGALE  YIL 


A  Pkiok,  dove  nacque  VirgUio, 

Tra  queste  piante  ombrose 
n  gran  Virgilio  nacque, 
E  in  riva  a  queste  chiare  e  ludd* acque; 
E y  se  vi  spira  il  vento. 
Par  che  la  terra  e  *1  ciel  fiicdan  conoentc 
E  quasi  da'  bei  rami  ancor  rimbomba 
La  sampogna  e  la  tromba, 
E  vittoria  il  bd  lago 
E  la  selva  risuona  e  1  fiume  vago. 

MADRIGALE  Vm. 

NeW  istesio  soggetto. 

Qual  è  questa  ch^io  sento 
Dolcissima  aimonia  di  verdi  fronde, 
D^aure,  d^ augelli  e  d^ onde  7 
Qual  suono,  o  quale  spirto 
Fa  cosk mormorar  il  lauro  e  '1  mirto? 
Forse  è  quel  di  Virgilio,  e  'n  questi  rami 
Par  ch'egli  spiri  e  canti  e  viva  ed  ami, 
Ch'i  suoi  pensieri  han  Palme 
Pur  vaghe  di  cantar  vittorie  e  palme. 


RIME  EROICHE  557 

MADRIGALE  IX. 

Invoca  la  protezione  del  prìncipe  D,  Fìncenzo  di  Mantova 

presso  il  duca  di  Ferrara* 

O  nipote  d'Augusto^; 

Se  pìetate  è  nel  cielo  o  fra  gli  eroi^ 

Scaldi  e  commova  ornai  gli  spirti  tuoi  y 

Sì  che  la  voce  del  tuo  cor  si  spiegln 

In  si  soavi  preebi . 

Che  possano  addolcire 

Del  mio  irato  signor  gli  sdegni  e  Tire, 

Ey  fornito  il  mio  scempio, 

Egli  idol  mio  si  faccia  y  io  gli  sia  tempio. 

MADMGALE  X. 

In  lode  di  Vincenzo  Giusti  musico» 

Mentre  in  voci  canore 
I  vaghi  spirti  scioglie 

Giusto,  tempra  in  ciel  Paure,  in  noi  le  voglie 3 
Si  placa  Paura,  e  '1  vento 
Placido  mormorando 

Risuona ,  e  van.  tuoni  e  procelle  in  bando  : 
Un  intemo  concento 
N*  accorda  anco  ne^  petti , 
E  i  membri  acqueta  da^  soverchi  affetti  j 
E  se  pur  desta  amore. 
Gli  dà  misura  e  norma 
Col  suon  veloce  e  tardo,  e  quasi  forma. 


556  RIME  EROICHE 


MADRIGALE  XL 


/n  lode  del  sig,  Federigo  Zuccheri^  c^gregio  pitìan. 

La  bella  tela  eletta , 

In  cui  con  dotta  mano  i  color  parti  ^ 
Ed  ombreggiata  sol  mille  ocdii  alletta , 
Mentre  più  vaga  in  queste  e  'n  quelle  parti 
Di  bei  color  i  avviva, 
A  chiunque  più  la  mira 
Rapisce  con  tal  forza  i  sensi  e.  F  alma^ 
Che  già  spira  F  iouigo ,  à  pù  non  spint 
Ferma  il  pennello;  hai  già  d*  ognun  la  palnu; 
Pittor:  che  se  più  Fopra  adomi  o  curi 
Dando  spirto  aff imago,  altrui  lo  furi. 

MADRIGALE  XIL 

in  morte  di  D,  Marfjkerila  Bentiifo^  Turchi 

Non  è  questo  un  morire, 
Immortai  Margherita, 
Ma  un  passar  anzi  tempo  alT altra  vita: 
Né  delT  ignota  via 
Duol  ti  scolora  o  tema. 
Ma  la  pietà  per  la  partenza  estrema. 
Di  noi  pensosa  e  pia. 
Di  te  lieta  e  sicura. 
T'accomiati  dal  mondo,  anima  pura. 


RIME  SAGRE  E  MORALI 


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SONETTI 


^     » 


SONETTO    I. 


Implora  Pasùsienia  dtWarcangtìo  51  itìckeU. 


yJ  Michele,  o  divino  angel  beato , 
Prima  luce  del  cielo  e  primo  onore, 
In  cui  sé  stesso  espresse  il  gran  Fattore, 
E  dell^opra  il  pensier  vide  agguagliato; 

Deh!  volgi  gli  occhi  al  mio  dolente  stato, 
E  largo  a  me  comparti  il  tuo  favore, 
E  di  periglio  ornai  trammi  e  d^ errore, 
Ch^  a  te  1  guardarmi  e  V  aitarmi  è  dato. 

A  te  commise  Dio  di  me  la  cura: 

Ed  io  consacro  a  te  la  mente  e  1  petto, 
A  te  giungo  le  palme  ed  ergo  il  volto. 

Tu  benigno  gradisci  il  puro  affetto, 
E  fa  che  sotto  le  tue  ali  accolto 
Vita  ne  viva  ognor  lieta  •  sicura. 
TTasso,  FoL  IF.  36 


56a  RIME  SACRE 

SONETTO  U. 
Im^KQ  5L  Francesco  f  perchè  lo  ajud  a  npportare 


I  tuoi  tormaUi. 


Servo  di  Dio^  che  ramor  suo  trafisse 
Con  quelle  piaghe  che  '1  Figliuol  sofferse 
Quando  di  sangue  il  duro  legno  asperse  , 
A  cui  pietà  del  nostro  error  T  affisse; 

Dal  cielo,  onde  ten  glorii  e  quasi  fisse 
Stelle  le  vedi  fiammeggiar  cosperse 
Della  luce  di  lui  chMn  te  F aperse, 
Rimira  or  me  che  la  sua  sferza  afflisse. 

Cojd  duri  a  me  sono  ì  suoi  pungenti 
Colpi,  come  a  te  fur  dolci  le  piaghe, 
Che  Fune  fur  d^amor,  gli  altri  son  dMra. 

Ma  tu  me  gli  addolcisci,  e  tu  mMns^ira 
Tanto  dell' ardor  tuo  chMo  me  n'appaghe^ 
£  chiami  in  Dio  felici  i  miei  tormenti. 

SONETTO  III. 

Dàlia  glia  prigùme  ùwoca  &  Arma  nel  giorno 

a  lei  consacrato. 

Diva,  a  cui  sacro  è  questo  ostello  e  questa 
Magion  ch'agU  egri  dk  si  pio  ricetto, 
Odi  miei  preghi,  e  mira  il  puro  affetto, 
Ed  al  mio  scampo  vien'  pietosa  e  presta; 

E,  fra  la  guerra  intema  e  la  tempesta 
De'  miei  torbidi  sensi,  alFegro  petto 
Porta  nel  tuo  dì  sacro,  in  cui  l'aspetto, 
Lieta  tranquillitate  e  pace  onesta. 

Portala,  che  puoi  farlo,  onde  il  mio  zelo 
In  te  raccenda ,  a  te  rischiari  il  canto , 
E  i  miei  pensieri  a  te  purghi  e  gP  inchiostri 

A  te,  di  cui  nipote  è  '1  Re  del  cielo, 
Figlia  la  madre  3ua,  ch'egli  cotanto 
Volle  esaltar  negU  stellanti  chiostri. 


E  MORALI  563 

SONETTO  IV. 
A  S.  Francetco  neW  aito  di;  ricep§r  le  »UmaU. 

Francesco ,  mentre  ne'  celesti  giri 

Tien'  fissi  gli  occhi  ^  il  tuo  Signor  risguardi , 
E  Fami  e  '1  brami  e  te  nMnfiamml  ed  ardi^ 
E  la  sua  morte  e  1  nostro  error  sospiri; 

Perchè,  qual  aura  che  perpetuo  spiri, 
Ti  passa  al  cor  F  ardente  spirto  e  i  guardi 
Acuti  pur  come  saette  o  dardi, 
E  senti  in  te  medesmo  i  suoi  martiri. 

Ma  cosi  dolce  punge  e  dolce  avvampa 
Il  tuo  dolce  Signor,  ch'ogni  diletto 
À  lato  a  que'  tormenti  amaro  stime; 

E  prendi  allor  (  meraviglioso  aflfetto  !  ) 
Delle  sue  piaghe  F  amorosa  stampa , 
Come  salsi  colui  che  'n  te  Pimprìriie. 

SONETTO  V. 
AUa  Congregazione  d^  Monaci  di  S.  Benedetto. 

Nobil  porto  del  mondo  e  di  fortuna, 
Di  sacri  e  dolci  studi  alta  quiete, 
Silenzj  amici,  e  vaghe  chiostre  e  liete. 
Là  dove  è  T  óra  e  F  ombra  occulta  e  bruna; 

Templi,  ove  a  suon  di  squilla  altri  s'aduna. 
Degni  vie  più  d'ardii  e  teatri  e  mete. 
In  cui  talor  si  sparge  e  'n  dui  si  miete 
Quel  che  ne  può  nudrir  Falma  digiuna; 

Usci  di  voi  chi  fra  gli  acuti  scogli 
Della  nave  di  Pietro  antica  e  carca 
Tenne  F  alto  governo  in  gran  tempesta. 

A  voi ,  deposte  l' arme  e  i  feri  orgogli , 

Venner  gli  Augusti;  e  'n  voi  s'faa  pace  onesta, 
Non  pur  sicura,  e  quindi  al  ciel  si  varca. 


564  RIME  SACR£ 

SONETTO  VL 
Ndh  notti  dd  muoo  Wt^aU, 

in  A  mirabìl  notte  a 'mezzo  il  verno 

*  ly  angelici  concenti  il  ciel  sereno 
Sonare  udissi,  e  «Talto  affetto  òr  pieno 
Par  chMo  gli  ascolti  col  mio  senso  interno. 

£  1  celeste  Figliuol  del  Padre  etemo' 
Si  degnò  diventar  figlio  terreno 
Di  mortai  madre;  e  del  suo  nobil  seno 
Nacque  in  vii  loco,  e  pur  non  Tebbe  a  schema 

E  questa  notte  Cristo  anco  rinasce 

Fra  r umiltà:  chi  gli  appareccUa  albergo 
Degno  di  lui  che  portò  pace  al  mondo? 

Gliel  dia  T anima  mia,  ch^a  lui  sol  tei^o 
Fra  questo  e  quel  desir  eh*  in  lei  si  pasce; 
£  presepio  gli  sia,  ma  puro  e  mondo. 

^  SONETTO  VII. 

SyOo  $te$9o  «oggetto  a  &  OkwM. 

In  onesta  sacra  notte,  in  cui  non  osa 
L  alma  spiar  cagion  sovra  natura, 
Dio  si  fece  uomo,  il  gran  Fattor  fattura, 
Servo  il  Signor  fra  gente  aspra  e  ritrosa. 

0  del  celeste  Re  Vergine  sposa, 

Che,  mentre  in  carne  di  mortai  figura 
Ce  1  rappresenti  con  pietosa  cura, 
Maria  somigli  santa  e  gloriosa; 

£lla  già  il  fece  9  ed  ogni  di  tu  formi 

£  produci  i  suoi  membri ,  ed  io  li  veggio 
Nel  presepio ,  nel  tempio  e  nella  croce. 

Né  premer  queste  piume,  or  che  non  dormi; 
Debbo  ozioso  e  lento;  e  teco  f  cliieggio 
Colla  mente  adorarlo  e  colla  voce. 


E  MORALI  565 

SONETTO  Vili. 

Buponde  ad  un  sonetto  della  j%.  Margherita  Sarocchif 
disprex%ando  Ponor  del  mondo. 

Luce,  d^onor^  ch^  abbaglia  e  par  ch^oflfenda 
Mentre  invaghisce  e  parte  e  fa  ritorno^ 
Più  non  desìo  che  ^n  questo  uman  soggiorno 
Me  con  fako  splendore  illustre  renda. 

Ma,  temendo  che  'l,di  s^ affretti  e  scenda 
Precipitando I  il  mio  pensier  distorno; 
E  temo  r  altra  morte  e  Y  altro  scorno ,       ^ 
E  bramo  far  d^ogni  mio  fallo  emenda. 

Così  talora  al  mondo  anch'io  mMnvolo, 
E  spargo  per  dolore  un  caldo  fiume, 
E  coscienza  il  cor  mi,  punge  ed  unge. 

Oh  pur  là  dove  splende  etemo  lume 
Richiamar  possa  quel  volgare  stuolo, 
Da  cui  te,  donna,  il  tuo  valor  disgiunge! 

SONETTO  IX. 
Alla  santUsima  Qroce  nel  venerdì  Manto. 

Croce  del  Figlio,  in  cui  rimase  estinta 
L'ira  del  Padre  e  '1  nostro  fallo  immondo } 
Croce,  che  sostenesti  il  degno  pondo. 
Di  sangue  prezioso  aspersa  e  tinta  ; 

Per  te  fu  Tempia  reggia  aperta  e  vinta, 
E  Palme  tratte  dalForror  profondo. 
Quando  egli  affisso  trionfò  del  mondo,  » 
C'hala  tua  nobil  forma  in  sé  distinta. 

Trofeo  di  spoglie  gloriose  e  belle. 
Segno  d'alta  vittoria,  i  segni  eccelsi 
Cedanti  pur  che  fanno  il  cielo  adomo  j 

ChMl  Re  de^  regi,  il  qual  creò  le  stelle, 
In  te,  che  seco  di  portare  io  scucisi. 
Vita  la  morte  fa,  gloria  lo  scorno. 


5G6  RIME  SACRE 

SONETTO  X. 
A  S.  Gwttanni  etHOigeUtta. 

Uscito  in  guisa  cT  aquila  volante 

Dal  chiarissimo  tuon  eh'  alto  rimbomba  ^ 
Mirasti  e  'n  sulT  occaso  e  *n  sulla  tomba 
E  di  giustizia  il  Sol  nel  suo  levante  : 

E  la  tua  santa  man  del  vero  Amante 
Lo  spirto  figurò  quasi  colomba , 
E  quella  voce  qual  sonora  tromba 
Che  venne  a  preparar  le  strade  avante; 

E  la  gloria  sul  monte  a  noi  descrìsse , 
E  '1  monte  e  la  sua  cena  e  la  colonna 
E  la  corona  e  1  sacro  e  fero  legno. 

Ma  della  grazia  etema  un  picciol  segno 
Fu  ciascun  altro  a  queU'Amor  che  disse: 
Ecco  tua  madre,  ecco  il  tuo  figlio,  o  donna. 

SONETTO  XI. 
Contigua  U  Jt^.  Ercole  Forano  ad  abbandonar  Pamore. 

Mentre  non  anco  è  1  porto  a  te  spanto 
Di  questo  Egeo,  ch'Amor  turba  e  raggira^ 
E  piana  è  V  onda ,  e  U  vento  amico  spira  ^ 
Yaran,  le  vele  accogli,  e  toma  al  lito; 

Che  se  desio  di  nova  preda  ardito, 
O  dolce  canto  oltre  t'  alletta  e  tira , 
Vedrai  di  questo  mar  F orgoglio  e  Pira 
Fra  mille  morti  timido  e  smarrito. 

Oh  quante,  ch^or  nel  sen  placido  asconde, 
Fremer  Cariddi  allora  e  Scille  udrai  ! 
Né  già  mercè,  cantando,  ivi  s'impetra. 

Qual  misero  Arione  anch'io  la  cetra 
Ebbi  nella  tempesta,  e,  se  cantai^ 
Non  vidi  al  canto  mio  delfin^  tra  Fonde. 


E  MORALI  567 

SONETTO  XII. 

Alla  sandsnma  F^gine^  la  quaU  ndracolosanunU  lo  risanò 

e  quasi  risuscitò  in  un  punto. 

Egro  io  languiva,  e  d^alto  sonno  avvinta 
Ogni  mia  possa  avea  cT intorno  al  core; 
E  pien  d^  orrido  gelo  e  pien  d^  ardore 
Giacca  con  guancia  di  pallor  dipinta: 

Quando  di  luce  incoronata  e  cìnta , 
E  sfavillando  del  divino  ardore, 
Maria,  pronta  scendesti  al  mio  dolore, 
Perchè  non  fosse  Talma  oppressa  e  vinta. 

E  Benedetto  fra  que^  raggi  e  lampi 
Vidi  alla  destra  tua;  nel  sacro  velo 
Scolastica  splendea  dall'altra  parte. 

Or  sacro  questp  core  e  queste  carte, 

Mentre  più  bella  io  ti  contemplo  in  cielo, 
Regina,  a  te  che  mi  risani  e  scampi. 

SONETTO  XIII. 

Al  padre  Francesco  Panigarola,  pregandolo  nella  sua  infimutà 

a  tnandargU  un  sacerdote, 

Francesco,  inferma  entro  le  membra  inferme 
Ho  Palma,,  e  1  tuo  pavento  e  mio  nemico. 
Che  pur  di  novo  assale  ài  modo  antico 
Armato  e  forte  me  stanco  ed  inerme.  . 

Or  clii  da  chiostre  solitarie  ed  erme 
Con  mansueto  spirto  e  con  pudico 
Mio  ne  verrà,  ma  più  di  Cristo  amico*. 
Ch'armi  e  forze  mi  dia  più  salde  e  ferme? 

Tu  nel  gran  rìschio,  in  cui  gelata  ho  Palma, 
Manda  chi  Pune  accresca,  e  P altre  porte, 
Dalle  tue  schiere  pronto  al  nostro  scampo. 

Che  ben  sai  come  incerto  è  questo  campo 
Di  spiritai  battaglia,  ove  con  morte 
Ha  spesso  il  vincìtor  corona  e  palma. 


568  RIME  ShJCRE 

SONETTO  XIV. 

Prtga  Iddio  cfu  gU  mtotiri  U  Mouiero^  da  ràonua^ 

ttua  pntnn  ctiftit* 

Padre  del  ciel,  or  ch^atra  nube  il  calle 
Destro  m' asconde ,  e  vìe  fallaci  io  stampo 
Per  questo  paludoso  instabil  campo 
Della  terrena  e  lagrìmosa  valle , 

Reggi  i  iQiei  torti  passi,  ondMo  non  falle, 
£  di  tua  santa  grazia  il  dolce  lampo 
In  me  risplenda,  e  di  securo  scampo 
Mostra  il  sentiero  a  cui  voltai  le  spalle. 

Deh!  pria  ch'il  verno  queste  chiome  asperga 
Di  bianca  neve,  o  di  si  bfeve  giorno 
Copran  tenebre  eteme  il  debil  lume, 

Dammi  chMo  faccia  al  tuo  cammin  ritorno, 
Quasi  vestito  di  celesti  piume. 
Signore,  e  tu  mi  pasci  e  tu  m* alberga. 

SONETTO  XV. 

Deterùfe  la  sig.  CUUa  Famue  ndPatto  ch'dU  rwoise 
aivoiamente  gli  occhi  al  delo. 

Rivolse  Clelia  sospirando  al  cielo 

Gli  occhi  sereni,  e,  nel  mutar  sembiante, 
Simigliar  fiamme  le  bellezze  sante 
Sovra  il  nostro  indurato  e  freddo  gelo^ 

E  parve  dir  con  amoroso  zelo  : 
Perchè  più  tardo  peregrina  errante 
Di  far  a  te  ritorno,  o  primo  Amante, 
Lasciando  il  mio  caduco  e  fragil  velo?  — 

E  co'  sospiri  e  co'  soavi  detti 
Quasi  rapito  fu  lo  spirto  vago 
Da  quel  terrestre  nel  celeste  tempio. 

Chi  vide  mai  quaggiù  più  bella  imago 
Tf  angelica  beltà?  più  chiaro  esempio 
D'avere  a  scherno  il  mondo  e  i  suoi  diletti? 


CANZONI 


CANZONE  I. 


Alla  santissima  Croce  nel  venerdì  santo. 


jA.Iina  inferma  e  dolente^ 

Che  sì  diverse  cose  intendi  e  miri^ 

La  terra  e  Fonda  e  i  bei  celesti  giri^ 

Ed  or  leone,  or  drago, 

Or  centauro  di  fiamme  e  d^ór  lucente, 

Or  tauro,  or  orsa,  or  altra  luce  ardente, 

E  pur  vaneggi  d^una  in  altra  imago; 

Ne'  bei  celesti  regni 

Drizza  a  più  certi  segni 

U  tuo  pensier,  eh'  è  del  tuo  mal  presago. 

Oggi  ch'indi  riluce 

Languido  lume  e  lagrimosa  luce. 
Mira  del  Re  superno, 

Mira,  alma  peccatrice,  alma  pentita. 

Il  trofeo  d'empia  morte  e  di  pia  vita: 

Il  trofeo  che  risplende 

Sovra  quel  foco  e  quel  cristallo  etemo; 

U  trofeo  ch'ei  drizzò  del  cieco  Inferno. 

Mira  il  trofeo  sul  monte  ov'  egli  ascende , 

Mirai  sparso  di  sangue; 

Mira  il  Signor  che  langue 

Nell'alta  croce  incoronato  e  pende. 

Ora  ch'il  Sol- n'adduce 

Languido  lume  e  lagrimosa  luce. 


5jo  R»IE  SACRE 

Oggi  che  piange  il  Sole, 

Oggi  eh  il  Cielo  e  il  Mondo  ampio  e  Natura 

Piangono  in  veste  tenebrosa  e  oscura^ 

Anima,  chi  non  piange? 

Chi  non  sospira  e  non  si  lagna  e  dole? 

Anima,  quai  singulti  o  quai  parole,  . 

Qual  Etna  di  sospira  quai  Po,  quai  Gange  ' 

Di  lagrimoso  umore 

Bastano  al  suo  dolore? 

Qual  cor  di  marmo,  ahi!  non  si  spetra  e  frange? 

Ahi,  ahi!  clii  più  riduce 

Languido  lume  e  lagrìmosa  luce? 
Alma,  al  pensier  rimbomba 

Il  sonoro  martel  co^  duri  colpi, 

Onde  te  stessa  e  il  tuo  peccato  incolpi! 

Odi  com^  è  trafitto 

Quel  che  fu,  come  agnel,  puro,  e  colomba! 

Tu ,  cagion  di  sua  croce  e  di  sua  tomba , 

Odil  gemendo  omai  languido  e  afflitto 

E  sanguigno  e  spirante  : 

Odi  pie  voci  e  sante; 

Odile,  e  di  lor  serba  al  cor  lo  scrìtto, 

Ch^a  morir  seco  induce 

Languido  lume  e  lagrìmosa  luce. 
Alma ,  seco  moriamo  , 

Seco  in  croce  af&gendo  i  falli  nostri, 

Per  tornar  seco  agli  stellanti  chiostri. 

Alma,  se  non  germoglia 

O  di  cedro  o  dì  palma  il  tronco  o  U  ramo, 

Come  la  croce  a  noi  figli  d'Adamo, 

Il  suo  frutto,  il  suo  fior,  la  verde  foglia 

Non  è  sembiante  al  germe 

Di  nostre  anime  inferme; 

Ma  grazia  e  merto  avvien  chMndi  si  coglia: 


/ 


E  MORALI  571 

Di  tal  pianta  il  produce 

Languido  lume  e  lagrìmosa  luce. 
Questa .  questa  è  la  serpe 

Che  'n  loco  s*  innalzò  selvaggio  ed  ermo^ 

Ond^ebbe  già  salute  il  volgo  infermo: 

Cosi  dal  legno  sacro, 

Che  della  nostra  vita  è  viva  sterpe, 

Risana  il  mal  che  più  si  spande  e  serpe. 

Deh!  qual  di  puro  sangue  ampio  lavacro, 

Ànima,  vuol  cne  lavi 

Le  tue  colpe  si  gravi, 

Oggi  cIiMnsieme  col  mio  duol  consacro 

Al  glorioso  duce 

Languido  lume  e  lagrìmosa  iuce  7 
Deh  !  quanto  il  fallo  abbonda 

Oggi  ch'il  pianto  nostro  è  troppo  scarso! 

Ma  che?  Pietà  s^ avanza,  e  il  sangue  è  sparso! 

Ahi!  cor,  che  non  ti  stampi 

Tutto  di  quelle  piaghe?  e  in  vece  d'onda 

n  sangue  fia  che  di  sua  grazia  inonda. 

Ahi!  cor,  perchè  non  t'apri  e  non  avvampi? 

Almen,  quante  le  stille. 

Tante  sian  le  faville 

Che  fan  là  croce  al  mio  pensiero  e  i  lampi, 

Mentre  .ch^a  lui  traluce 

Languido  lume  e  lagrìmosa  luce. 
Poggiam  là  Ve  conduce 

Languido  lume  e  lagrìmosa  luce. 


5;!  RIME  SkCXE 


CANZONE  n. 

Pel  batledmo  del  $econdogemto  del  duea  di  M€nUov€U 

Quai  figure  ^  quali  ombre  antiche  ^  o  s^;m  , 
Quali  imagìni  vide  ardenti  e  belle 
n  Gentile  o  F  Ebreo  tra  fiamme  e  lampi , 
Qnai  promesse  celesti  a^  lieti  regni 
Fatte  son  ne^  cerulei  e  largiti  campi ^ 
0  voi  che  rimirate  in  cid  le  stelle^ 
E  predicete  i  nembi  e  le  procelle , 
Come  questi  chMo  veggio 
Compartir  tante  grazie?  e  grazie  io  chi^^gìo 
D^  antico  error,  di  vecchio  mal  novelle 
Sul  Mincio  ov^ora  T  seggio  ^ 
Ora  che  si  rifì  di  spirto  e  d^  acque 
n  fandul  che  soggetto  a  morte  nacque 
Nel  suo  terreno  stato,  e,  comMo  scemo, 
Già  rinasce  immortale  al  regno  etemo. 

All'alta  luce,  che  rischiara  e  splende, 

Infermo  è  F occhio  umano,  e  frale  il  guardo, 

E  per  soverchio  di  splendor  i  adombra , 

Come  d'aquila  ei  sia  ch^in  alto  intende; 

Che  di  giustizia  il  Sol  disperde  e  sgombra 

Quanto  ebbe  di  fallace  e  di  bugiardo 

Secol  antico,  al-  ver  dubbioso  e  tardo: 

Qfiesta  luce  ne  illustri. 

Ascosa  già  tant'anni  e  tanti  lustri, 

Ch^ogni  altro  lume  è  oscuro,  e,  sUo  ben  guardo, 

Non  fa  le  menti  illustri. 

Ma  qual  re  dell^ Occaso,  o  qual  guerriero 

Per  lui  promette  nel  celeste  impero. 

Che  soma  (or  eh* egli  è  volto  all'Occidente) 

Ben  tre  volte  Satan  ancor  possente? 


E  MORALI  573 

Chi  ^1  volge  all' Occidente  y  in  del  mirando 
Quella  serena  parte  onaesce  il  giorno? 
O  qual  sacrata  man  tre  volte  il  segna , 
Tre  volte  Fange,  onda  il  Signor  lottando 
Rassembrì;  e  'uvitto  lottator  divegna^ 
Talché  il  nemico  invan  gli  giri  intomQ 
Nelle  terrene  latte,  e  n'abbia  scorno, 
Ove  più  fero  assale, 
E  vinta  miri  ogni  sua  possa  e  frale , 
£  coronato  il  vincitor  adomo 
Di  corona  immortale?  ^ 

£  chi  tre  volte  poi ,  segnato  in  fronte , 
Il  sommerge  nel  chiaro  e  sacro  fonte, 
Perdi'  egli  muoja ,  e  con  Gesù  risorga , 
£  l'alta  gloria  sua  vicino  ei  scovffLÌ 

In  cosi  periglioso  e  fero  assalto, 
In  cui  s' accampa  P  avversario  antico 
Con  mill'arti,  mill'armi  e  mille  inganni, 
Vesta  ardito  fanciul  virtù  dall'alto. 
Fede,  speme  ed  amor,  di  pace  amico 
£  di  costanza  in  superar  gli  affanni, 
£  sprezzator  del  mondo  e  de'  suoi  danni: 
Arme  dal  ciel  discese 
Alla  stirpe  real,  per  alte  imprese, 
Perchè  faccia  spiegar  gli  alteri  vanni 
Nelle  giuste  contese  3 
Ne  pareggi  con  lor  gigante  ignudo 
De'  nipoti  d'Enea  dipinto  scudo. 
Né  quel  cli^^  Roma  antica  accobe  in  grembo , 
Quasi  caduto  da  celeste  nembo: 

Né  s'altri  giammai  furo  onde  si  vante 
Famoso  duce,  e  'n  lor  tutto  sfaville 
n  magnanimo  cor  di  santo  zelo: 
Ceda  chi  porse  aita  al  vecchio  Atlante, 


574  KUfE  SACRE 

Cooie  fa  detto ,  in  sostener  ti  cielo  y 
Non  che  Teseo  e  1  compagno  o  ì  fero  Achilie. 
Frattanto  al  viver  sno  Fore  tranquille 
Siano  j  e  i  giorni  felici  j 
E  benigne  le  stelle^  e  i  cieli  amidi 
£  la  grazia  divina  in  lui  si  stille, 
Qual  pioggia  in  colli  aprici  j 
E  di  sua  chiara  luce  il  dolce  raggio 
Alto  di  gire  al  del  calle  o  viaggio 
Segni  e  dimostri,  e  1  desti,  e  scorga  il  passo 
Per  le  sublimi  vie  non  tardo  o  lasso. 
Tra  bella  e  sacra  pompa 

Movi  or,  movi,  canzon,  lodando  al  tempio, 
E  di\*  Basta  la  fede  al  novo  esempio, 
Mentra  io  prego,  e  con  voi  pregando  adoro, 
Bench^io  parie  non  sia  del  vostro  cotx>. 


CANZONE  m. 

Alla  beatissima  F'crgine  di  Loreto,  Tanta  devozione 
inspùò  al  Tasso  il  santuario  di  Loreto  ^  e  talpen^ 
timenio  de*  suoi  gfovenili  errori^  cVegU  dettò  que- 
sta sublime  canzone,  dalla  quale  apparisce  non 
pure  la  sua  molta  pietà ,  ma  anche  il  proponi- 
mento eh*  ei  fece  di  non  più  esercitar  la  sua  penna 
SPI  materie  profane. 

Ecco,  fra  le  tempeste  e  i  fieri  venti 
Di  questo  grande  e  spazioso  nflire, 
O  santa  Stella ,  il  tuo  splendor  m^  ha  scorto , 
Che  illustra  e  scalda  pur  Y  umane  menti , 
Ove  il  tuo  lume  scintillando  appare, 
E  porge  al  dubbio  cor  dolce  conforto 
In  terribil  procella  ov^ altri  è  morto, 


E  MORAlLI  575 

E  dimostra  co^  raggi 

I  securì  viaggi, 

E  Questo  lido  e  quello  ^  e  1  polo  e  'i  porto 

Della  vita  mortai  ck^a  pena  varca  ^ 

Anzi  sovente  affonda 

In  mezzo  Tonda  —  alma  gravosa  e  carca. 
Il  tuo  splendor  m^afBda^  o  chiara  Stella} 

Stella^  onde  nacque  la  serena  luce; 

Luce  di  non  creato  e  sommo  Sole; 

Sol  che  non  seppe  occaso,  e  me  rappelia 

Teco  (ja^  lunghi  errori,  e  mi  conduce 

Air  alta  rupe  ov'in  marmorea  mole 

L^umil  tua  casa  il  mondo  onora  e  cole. 

Grave  di  colpe  e  d^onte^ 

Già  veggio  il  sacro  monte, 

Talché  del  peso  ancor  Palma  si  dole, 

E  sotto  doppio  incarco  è  tarda  e  lenta  ^ 

Né  contra  il  cielo  imporre 

Superba  torre  —  a^  P^gg^  ardisce  o  tenta. 
Quanti  diversi  monti,  e  quale  altezza 

Di  saper  vano  e  di  possanza  inferma 

Soglion  pur  invaghir  i  folli  e  gli  empi! 

Anima  vaga,  al  precipizio  avvezza 

Angelico  ed  umano,  or  ti  conferma 

Con  questi  più  sicuri  e  sand  esempi; 

Qui  va  piangendo  i  tuoi  passati  tempi, 

Quando  con  fragil  possa 

Pensavi  Olimpo  ed  Ossa, 

E  di  lagrime  pie  lo  cor  adempi: 

Di  virtute  in  virtù  sublime  ed  alta 

Più  che  di  colle  in  colle 

Via  qui  n^ estolle,. —  e  T umiltà  n'esalta. 
Qui  gli  Angeli  innalzaro  il  santo  albergo 

Che  già  Maria  col  saiito  Figlio  accolse, 


576  EDIE  SACRE 

E  1  port&r  sovra  i  nembi  e  sovra  Tacque. 
Mìracol  grande!  a  cui  sollevo  ed  ergo 
La  mente,  eh* altro  ohbietto  a  terra  volse ^ 
Mentre  da'  suoi  pensier  oppressa  giacque. 
Questo  è  quel  monte  ch'onorar  ti  f»acque 
Delle  tue  sante  mura. 
Vergine  casta  e  pura 

Anzi  il  tuo  parto^  e  poscia^  e  quando  ei  nacque, 
Perchè  Atlante  gP  invidi  y  avendo  a  scorno 
Suoi  favolosi  pregi  9 

Del  Re  de'  regi  —  e  tuo  Fumil  soggiorno. 
O  voi,  chMn  altra  età  le  piagge  apriche 
£  i  più  gelidi  monti  e  i  salsi  lidi 
Peregrini  cercaste,  e  '1  mar  profondo , 
Colossi  ed  altre  maravigUe  antiche; 
Onde  la  fama  avrà  perpetui  gridi, 
Sepolcri  e  mura  aUor  non  ebbe  il  moudo; 
Né  miracolo  primo,  ower  secondo 
A  questo  ch^io  rimiro. 
Parte  fra  me  sospiro, 
£  di  lagrime  appena  il  viso  inondo. 
Qudle  fur  d'  uom  superbo ,  opre  son  queste, 
Ov'io  fisso  le  ciglia 
Per  maraviglia,  —  'd^ umiltà  celeste. 
Felici  monti,  onde  la  viva  pietra 
Sì  rozza  fu  recisa ,  e  questi  ancora 
Ov'il  marmo  di  fuor  la  cinge  e  copre, 
Perchè  tal  grazia  ella  dal  Cielo  impetra, 
Anzi  da  lei,  che  tutto  il  Cielo  onora, 
Mentre  la  sua  pietà  rivela  e  scopre, 
G  han  via  men  pregio  i  magisteri  e  1  opre 
Di  Fidia,  o  di  chi  mova 
La  mano  ardita  a  prova, 
E,  dando  vita  al  sasso,  il  ferro  adopre; 


E  MORALI  577 

E  felice  il  color ^  lo  stile  e  farle 

Del  beato  pittore  x 

Ck^  umilia  il  core  —  e  move  interna  parte. 

E  tragge  a  rimirar  la  santa  imago 

Dall'  estremo  Occidente  a  stuolo  a  stuolo 

Peregrinando  con  tranquilla  oliva 

Quei  che  dianzi  bevean  Flbero  e  '1  Tago, 

E  da'  regni  soggetti  al  freddo  polo 

Di  là  dalT  Istro  y  e  da  più  algente  riva  : 

E  mille  voti  alla  celeste  Diva, 

Che  scaccia  i  nostri  mali, 

Solvou  gli  egri  mortali, 

Il  cui  pregar  per  grazia  al  cielo  arriva: 

E  i  magnanimi  duci  a  Dio  più  cari 

Offrono  argento  ed  auro, 

Sacro  tesauro,  —  a'  tuoi  devoti  altari, 

Quinci  di  ricchi  doni  intorno  splende 
E  di  spoglie  ritolte  a  morte  avara 
U  tempio,  e  di  trofei  del  vinto  Inferno. 
Gregorio  ancor  più  adomo  e  bello  il  rende , 
Mentre  la  sua  virtute  in  ciel  prepara        ' 
Alla  sua  gloria  eterna  un  seggio  etemo: 
Gregorio,  a  cui  già  die  Fallo  governo 
Della  nave  ch'ei  regge, 
E  delle  fide  gregge, 
E  le  chiavi  del  cielo  il  Re  superno; 
Gregorio  e  buono  e  grande  e  saggio  e  santo, 
Qual  vide  antica  Roma 
Colla  gran  soma  —  già  del  grave  manto. 

Ma  tu,  che  vedi  sovra  i  monti  in  terra 
L'immagine  esfaltata.  e  te  sublime 
Sovra  ogni  altezza  de'  celesti  Cori, 
Reggi  la  penna  che  vaneggia  ed  erra, 
E  prendi  in  grado  le  cangiate  rime: 
Tasso,  FoL  IF.  37 


1 


578  RIME  SACRE 

E  non  sdegnare,  ove  talor  t* onori 
n  tardo  stile,  chMo  nel  cor  Cadoii^ 
Perch^  oda  in  altii  modi 
Le  tue  divine  lodi, 
E  d'angelici  spirti  i  ^anti  onori 5 
Né  manchi  il  snon,  come  agli  accenti  nostri, 
All'eterna  armonia 

In  dir  Maria  —  negli  stellanti  chiostri. 
Vergine,  se  con  labbra  ancora  immonde, 
E  di  mele  e  d' assenzio  infuse  e  sparse  y 
Di  lodare  il  tuo  nome  indegno  io  sono, 
Di  canto  in  vece  il  pianto  io  chiedo  e  Fonde 
Dell'amorose  lagrime  non  scarse. 
Caro  della  tua  grazia  e  santo  dono, 
Che  sovente  impetrò  pace  e  perdono. 
Vagliami  lagrimando 
Quel  ch'io  sperai  cantando 3 
Vagliami  de'  lamenti  il  mesto  suono: 
Vedi  che  fra'  peccati  e^ro  rimango, 
Qual  destrier  che  si  volve 
Nell'alta  polve  —  o  nel  tenace  fango. 
O  Regina  del  ciel,  vergine  e  madre. 
Col  mio  pianto  mi  purga, 
Si  eh'  io  per  te  risurga 
Dal  fondo  di  mie  colpe  oscure  ed  adre^ 
E  saglia  ove  tua  gloria  alfin  rimiri 
D'esto  limo  terreno 
Su  nel  sereno  —  de'  lucenti  giri. 


*  —, 


E  MORALI  579 

CANZONE  IV. 

Sopra  la  Cappèlla  del  Presepio  fatta  costruire 
da  papa  Sisto  V  in  S,  Maria  Maggiore. 

Mira  devotamente,  alma  pentita , 
Un  tempio  augusto  e  grande, 
£  le  nove  opre  in  lui  del  novo  Sisto, 
Che  d^ogni  parte  a  contemplar  nMnvita, 
Ove  il  Sol  raggi  spande, 
Ed  egli  le  sue  grazie,  anzi  di  Cristo 
Cli^oggi  è  nato,  oggi  apparso  ed  oggi  è  visto, 
Divina  imago  dMnvisibil  padre 
Che  seco  fece  e  col  suo  spirto  il  mondo. 
Quel  ch^  apparse  a  Mosè,  qual  viva  fiamma 
Che  luce  e  non  infiamma; 
Quel  ch'Egitto  percosse,  e  'n  mar  profondo 
Aperse  a'  fidi  il  passo  /  e  V  empie  squadre 
Lasciò  sommerse  al  fondo  3 
Quel  d'eserciti  Dio  che  dona  e  toglie 
^  Le  vittorie  e  le  spoglie  3 
Quel  Re  di  gloria  e  Re  del  ciel  superno 
Oggi  si  mostra  qui  nel  Figlio  etemo. 

E  con  divinità  mirabil'  tempre 
Inumanità  contesta 

Unisce,  e  quel  ch'appare,  o  cela  a'  sensi, 
Solo  egli  sa  comMl  congiunga  e  '1  tempre: 
Ma  '1  volo  han  corto  a  questa 
Opra  sublime  i  miei  pensieri  accensi, 
Od  altra  mente  ch'invaghisca  e  pensi, 
Mentre  maravigliando  a'  santi  gin 
Piena  di  riverenza  e  di  spavento 
Vinta  natura  si  conosce  e  vede 


Wo  RIME  SACRE 

Dair  animosa  fede 

Coir  ingegno  immortai  che  meno  è  lento  : 

E  qual  cristallo  in  cui  non  passi  o  spili 

O  pioggia  od  aura  o  vento  ^ 

Tal  a  quel  raggio  sol  d'  etemo  amore 

S'apre  il  virgineo  fiore j 

E  perchè  arroge  al  mondo  empio  e  protervo^ 

Vergine  è  madre,  e  U  Re  somiglia  il  servo. 
Pensiero  j  aperto  è  il  cielo ,  e  mille  e  mille 

Corone  e  fiamme  e  lampi 

D^angeUco  splendor  Than  fatto  adorno; 

Ma  dalle  parti  lucide  e  tranquìUe 

Di  que^  celesti  campi 

Sparsi  d^on  bel  candor  che  vince  il  giorno  ^ 

E  da  quell^  armonia  che  gira  intomo , 

La  rozza  turba  a  contemplare  inchina^ 

Desta  alla  nova  luce  e  desta  al  canto; 

E  queir  umile  albergo  ov'  è  nascosa 

Già  nella  notte  ombrosa , 

Che  stende  riverente  il  sacro  manto, 

Degli  angeli  e  del  cielo  alta  Regina, 

Col  Vecchiarello  a  canto; 

E  1  parto  adora ,  che  promesso  fue , 

Tra  r asinelio  e  ì  bue; 

E  vedrai ,  dove  un  loco  angusto  il  serra , 

Miracolo  a^  celesti  eguale  in  terra: 
O  maggior,  come  credo;  e  veggio,  o  parmi, 

Ch^ogni  divina  mente, 

Ogni  sfera  celeste  ancor  F onori, 

Per  lui  deposte  già  T insegne  e  Farmi 

Nell^  ultimo  Oriente 

E  nell^ avversa  parte,  e  queti  i  cori 

Che  di  Marte  accendean  fiamme  e  furori. 

E  non  è  sol  fra  se  la  terra  amica, 


^ 


E  MORALI  58  ( 

Serrando  a  Giano  favoloso  il  tempio  j 

Ma  fra  la  terra  e  1  cielo  è  stabil  pace  ^ 

Nato  uomo  e  Dio  verace , 

Che^  offrendo  sé  medesmo  al  fero  scempio^ 

Sosterrà  pena  sol  di  colpa  antica  ^ 

E  può  domar  quell^  empio 

Ch  ordì  per  nostra  morte  il  primo  inganno, 

Fatto  di  noi  tiranno, 

E,  qual  trofeo  lasciando  il  preso  incarco, 

Aprir  del  Cielo  e  d'Acheronte  il  varco. 
Già  divien  muto  Apollo,  e  T antro  e  Tonde, 

E  gli  Dei  falsi  e  vani , 

La  cui  morte  nel  canto  egli  predisse; 

Né  Dafne  nella  quercia  altrui  risponde 

Più  con  accenti  umani. 

Ma  quel  fine  ha  lo  spirto,  ond^ella  visse, 

Ch^agli  idoli  superbi  il  Ciel  prescrìsse  ; 

E  giace  Amón  nella  deserta  arena. 

Ove  tempesta  face  Austro  spirando, 

Pur  come  soglia  in  procelloso  Egeo; 

Co^  tempj  di  Mitréo 

Giace  il  gran  carro;  ove  legò  domando 

Berecintia  i  leoni,  or  non  gK  affrena; 

Giacciono  o  sono  in  bando 

I  Coribanti  ancor  di  Creta  e  d^Ida 

Che  rimbombò  di  strìda  ; 

£  dagli  altari  suoi  dolente  fugge 

Api  ed  Anubi,  e  più  non  latra  o  mugge. 
E  '1  vero  ch'adombrar  le  prìme  carte, 

Sparge  luce  novella. 

Luce  eh' è  luce  dell' etema  luce. 

Correte,  o  genti,  da  lontana  parte 
,  Colla  serena  stella 

Ch'a  ritrovare  il  Signor  vostro  è  duce; 


58a  RIME  SACRE 

Ed  oflfrìle  co^  regi^  a  cui  riluce, 
Come  a  Dio,  come  a  re  che  il  fine  attende , 
Mirra  odorata,  e  ^nsieme  incenso  ed  oro; 
Co^  pastori  il  lodate,  e  U  vostro  affetto 
Non  vinca  un  rozzo  petto; 
E  con  gli  angeli  fate  i  balli  e  ^1  coro, 
E  con  qual  mente  più  sMllustra  e  'ntende, 
Coronate  fra  loro: 
Ch'alle  schiere  celesti,  alle  terrene 
Egual  gioja  conviene: 

E  d*  uom ,  ch^  è  vero  Dìo ,  ¥  amore  e  1  zelo 
Oggi  esalta  la  terra,  umilia  il  Cielo. 
Sisto,  la  nostra  mente  al  ciel  solleva 
Colle  imagini  sante  e  i  sensi  etemi 
Purgati ,  e  V  alma  dal  terreno  e  grave 
Desta  al  maraviglioso  ed  alto  suono; 
Però  quasi  umil  dono 
T'offre  canzone  il  core,  e  spera  e  pavé, 
Ed  invaghisce  di  que'  Cori  etemi 
Air  armonia  soave  ; 

Anzi  sé  stesso  pur  gli  sacra,  e  molce 
Al  suon  canoro  e  dolce, 
Poi  ch'odori  non  ho  ch'io  sparga  o  incenda, 
O  statue  o  spoglie  d'or  ch'ai  tempio  appenda. 


E  MORALI  583 


CANZONE   V. 


Parafrasi  dcUinno  Stabat  Mater  ec. 

Stava  appresso  la  croce 

La  Madre  lagrimosa, 

Mentre  il  Figliuol  pendea  sulF aspro  monte: 

E  con  querula  voce^ 

Dolente  e  sospirosa , 

Mirava  il  fianco  e  la  sanguigna  fronte  ^ 

Gr indegni  oltraggi  e  Fonte, 

E  V  aspre  piaghe  e  U  sangue 

Del  suo  caro  Figliuolo; 

E  le  trafisse  il  duolo 

U anima,  che  s^ affligge  e  plora  e  langue. 

Oh  quanto  è  afflitta  Madre, 

Con  guance  umide  ed  adre  ! 
NeV' lamenti  e  nel  lutto 

Parea  tremula  canna, 

Mirando  del  Figliuol  T  acerbe  pene. 

Chi  terna  '1  volto  asciutto 

Nel  dolor  che  F affanna^ 

O  nella  morte  ch^  ei  per  noi  sostiene  7 

Chi  nel  suo  duol  s^  astiene 

Da  lagrime  e  sospiri 

Là  dove  Maria  piange, 

E  Gesù  muore ,  e  i  ange , 

E  soffre ,  anzi  la  morte ,  aspri  martiri  ? 

DoY^  ella  sparge  il  pianto , 

Ei  versa  il  sangue  intanto. 
Vide,  vide  Maria 

n  Figliuol  ne^  tormenti,  « 

Tutto  di  sangue  e  di  sudor  vermiglio  3 


/ 


584  lUME  SACRE 

Vide  la  Madre  pia^ 

Per  colpa  d^  empie  genti  ^ 

Lacero ,  sconsolato  e  morto  il  Figlio , 

(]on  tenebroso  ciglio; 

Udì  con  quai  parole 

Bende  lo  spirto  al  Gelo: 

Parte  squarciossi  il  velo  y 

Tremò  la  terra  ^  impallidissi  il  Sole^ 

E  'n  tenebre  notturne 

S^aprìr  sepolcri  ed  urpe. 
Madre,  fonte  d'amore, 

Ove  ogni  odio  s'ammorza, 

Che  su  dal  ciel  tanta  dolcezza  stille, 

Fa  chMo  del  tuo  dolore 

Senta  nel  cor  la  forza. 

Le  bgrime  spargendo  a  mille  a  mille; 

Fa  ch'in  chiare  faville 

Tutto  il  mio  cor  si  sfaccia, 

E  per  amor  si  stempre, 

Lm  solo  amando  e  sempre: 

Pur  eh'  il  mio  foco  a  lui  rìsplenda  e  piaccia  , 

Figi  neU' alma  vaga 

Ogni  sua  dolce  piaga. 
Del  tuo  Figliuol  piagato. 

Che  morir  per  me  volse. 

Parti  meco  ogni  pena,  ogni  ferita; 

Fa  ch'io  non  sembri  ingrato 

A  lui  che  mi  disciolse 

Dalla  catena  da  Satan  ordita  : 

Mentre  avrò  ^irto  e  vita, 

Fa^  ch'il  duol  sia  verace, 

E  '1  mio  pianto  sia  vero. 

Perch'io  di  cor  sincero 

Sia  teco  appo  la  croce,  e  tuo  seguace; 


E  MORALI  585 

E  fa  ch^io  t^  accompagni , 

Maria,  dove  ti  lagni. 
Fra  vergini  più  chiare , 

O  chiarissima  lampa, 

Maria ,  sii ,  prego ,  a  me  pietosa  e  dolce  ! 

Delle  sue  piaghe  amare 

La  dolcissima  stampa 

M^  imprima  il  Re  che  1  ciel  col  ciglio  folce; 

E  '1  duol  che  m*ange  e  molce, 

D^  amore  ebro  ed  acceso  ^ 

E  la  sua  stessa  morte 

In  me  soffra  e  comporte 

Nel  giorno  estremo  alfin  da  te  difeso; 

E  mi  sia  guardia  e  scampo 

La  Croce  in  duro  campo. 
Canzon  mia,  perchè  muoja  il  corpo  infermo, 

Si  doni  il  cielo  all'alma, 

E  gloria  etema  e  palma. 


SCIOLTI 

Descrive  la  Ferace  ^  e  le  paragona  GesU  Cristo, 

m 

Dio,  fra  gli  altri  dipinti  e  vaghi  augelli. 
Quel  dì  che  prima  dispiegar  le  penne 
Per  P  aria  vaga  al  suon  delT  alta*  voce , 
Fé'  la  fenice  ancor,  come  si  narra, 
L' immortai  rinascente  unico  augello, 
Se  pur  degna  di  fede  è  vecchia  fama  : 
E  in  si  mutabil  forma  il  Padre  etemo 
Figurar  volle,  quasi  in  raro  esempio, 
L'immortale  e  rinato  unico  figlio 
Che  rinascer  dovea,  come  prescrisse 


I 


586  RIME  SACRE 

Quando  ei  ne  generò  F  eterno  parto. 

Loco  è  nel  più  remoto  ultimo  clima 

Dell'odoralo  e  lucido  Oriente ^ 

Là  dove  F  aurea  porta  al  ciel  disserra 

Uscendo  il  Sol  che  porta  in  fronte  il  verno  : 

Né  questo  loco  è  già  vicino  alFOrto 

Estivo  ;  o  pur  air  Orto  ove  si  mostra 

U  Sol  cinto  dì  nubi  a  mezzo  il  verno; 

Ma  solo  a  quello  ond^  ei  n^  appare  ed  esce 

Quando  i  eiomi  e  le  notti  insieme  agguaglia. 

Ivi  si  stende  negli  aperti  campi 

Un  larghissimo  pian^  né  valle  o  poggio 

In  queir  ampiezza  sua  declina  o  sorge; 

Ma  quel  loco  è  creduto  alzare  al  cielo 

Sovra  i  nostri  famosi  orridi  monti 

Sei  volte  e  sei  la  verde  ombrosa  fronte: 

E  quivi  senza  luce  al  Sole  é  sacra 

Opaca  selva  ^  e  con  perpetuo  onové^ 

Di  non  caduche  fronde  è  verde  il  bosco 

Che  r  ondoso  Ocean  circonda  intomo. 

E  quando  delf  incendio  i  segni  adusti 

Nel  ciel  lasciò^  nel  carreggiar,  Fetonte, 

Sicuro  il  loco  fu  da  quelle  fiamme  ; 

E  quando  giacque  in  gran  diluvio  il  mondo 

Sommerso ,  ei  superò  F  orribili  acque. 

Né  giungon  quivi  mai  pallidi  morbi, 

O  pur  F  egra  vecchiezza  ,  o  F  empia  morte , 

Non  cupidigia,  o  fame  infeme  d^oro>, 

Non  scellerata  colpa,  o  fero  Marte, 

O  pur  insano  amor  di  morte  iniqua^ 

"Sono  F  ire  lontane ,  e  '1  duolo  «  e  1  lutto , 

E  povertà  d^ orridi  panni  involta, 

E  1  mal  desti  pensieri,  e  le  pungenti 

Spinose  cure^  e  la  penuria  angusta: 


E  MORALI  587 

Quivi  tempesta  ;  o  di  turbato  vento 

Orrida  forza  il  suo  furor  non  mostra '^ 

Ne  sovra  i  campi  mai  F  oscure  nubi 

Stendono  il  negro  e  tenebroso  velo^ 

Né  d^alto  cade  impetuosa  pioggia} 

Ma  in  mezzo  mormorando  un  vivo  fonte 

Lucido  sorge  e  trasparente  e  puro^ 

E  d^ acque  dolci  e  cristalline  abbonda^ 

E  ciascun  mese  egli  si  versa  e  spande, 

Talché  dodici  volte  il  bosco  irriga: 

Quivi  alza  rami  da  sublime  tronco 

Arbor  'frondoso ,  e  non  caduchi  e  dolci 

Pendono  i  pomi  fra  le  verdi  fronde. 

Tra  queste  piante-  e  in  quella  selva  alberga 

Appresso  il  fonte  Punica  Fenice , 

Che  dalla  morte  sua  rinasce  e  vive  y 

Augello  eguale  alle  celesti  forme , 

Che  vivace  le  stelle  adegua^  e  '1  tempo 

Consuma  e  vince  con  rifatte  membra. 

E,  come  sia  del  Sol  gradita  ancella^ 

Ha  questo  da  natura  officio  e  dono, 

Che^  quando  in  cielo  ad  apparir  comincia 

Sparsa  di  rose  la  novella  aurora,  ' 

E  dal  ciel  caccia  le  minute  stelle, 

Egli  tre  volte  e  quattro  in  mezzo  alf  acque 

Sommerge  il  corpo,  e  pur  tre  volte  e  quattro 

Liba  ^del  dolce  umor  del  vivo  gorgoj 

Poscia  a  volo  s^  innalza ,  e  siede  in  cima 

Deir  arbore  frondosa',  e  quinci  intorno 

La  selva  tutta  signoreggia  e  mira  : 

Ed  al  nascer  del  Sol  ivi  converso. 

Del  Sol  già  nato  aspetta  i  raggi  e  il  lume} 

Ma  poiché  Paura  m  quel  lucido  auro 

Onde  fiammeggia  il  Sol,  risplcnde  e  spira, 


588  RIME  SACRE 

A  sparger  già  comincia  in  dolci 
U  sacro  canto,  e  la  novella  luce 
Colla  mirabil  voce  affretta  e  chiama , 
A  cui  voce  di  Cinto,  o  di  Parnaso 
Dolce  armoma  non  si  pareggia  in  parte  y 
Né  di  Mercurio  la  canora  cetra 
L'assembra,  né  morendo  il  bianco  cigno. 
Ma,  iM)i  che  Febo  del  celeste  Olimpo 
Trascorse  i  luminosi  aperti  campi, 
£  per  queir  ampio  cerchio  intomo  é  vòlto  j 
Egli,  tre  volte  ripercosse  al  petto 
L'ali  d'oro  e  dipinte,  al  Sole  applaude 
Con  non  errante  suon  la  notte  e  '1  giorno} 
Ed  il  medesmo  ancor  parte  e  distingue 
L'ore  veloci,  e,  quell'accesa  fronte 
Venerata  tre  volte,  alfin  si  tace. 
Pur,  come  sia  del  sacro  oscuro  bosco 
E  di  quei  tenebrosi  ed  alti  orrori 
Sacerdote  solingo,  a  lui  son  conti 
I  secreti  del  Cielo  e  di  natura, 
Però  di  riverenza  e  d'onor  degno. 
Ma  poi  fomiti  cento  e  cento  lustri, 
Nella  vetusta  età  più  grave  e  tarda. 
Egli ,  che  già  passare  a  volo  i  nembi 
Poteva  e  le  sonore  alte  procelle. 
Per  rinnovar  la  stanca  vita  e  '1  tempo. 
Chiuso  e  ristretto  pur  da  spazj  angusti  ^ 
Fugge  del  bosco  usato  il  dolce  albergo, 
E ,  di  rinascer  vago ,  i  lochi  sacri 
Addietro  lascia,  e  vola  al  nostro  mondo, 
Ove  ha  i  suoi  regni  la  importuna  morte: 
E  già  drizza  inveccliiato  il  lento  volo 
In  quella  di  Soria  famosa  parte 
A  cui  diede  egti  di  Fenice  il  nome; 


E  MORALI  589 

£  di  selve  diserte  ivi  ricerca 

Per  non  calcate  vie  secreta  stanza , 

£  si  ricovra  neir  occulto  bosco  : 

£d  allor  coglie  delF  aereo  giogo 

Forte  palma  sublime,  a  cui  pur  anco 

Comparte  di  Fenice  il  caro  nome, 

Cui  romper  non  potria  con  fieri  denti 

Serpe  squamosa ,  o  pur  augel  rapace , 

Od  altra  ingiuriosa  orrida  belva; 

£  chiusi  allor  nelle  spelonche  i  venti 

Taccion  fra  cavernosi  orridi  chiostri, 

Per  non  turbar  co'  lor  torbidi  spirti 

Del  bel  aer  purpureo  il  dolce  aspetto  ; 

Né  condensato  turbo  i  vani  campi 

Del  ciel  ricopre ,  ed  al  felice  augello 

Toglie  la  vista  de^  soavi  raggi. 

Quinci  il  nido  si  fa,  sia  nido  o  tomba 

Quello  in  cui  pere,  acciò  rinasca  e  viva 

U  augel  eh'  è  ai  sé  stesso  e  padre  e  figlio , 

£  sé  medesmo  egli  produce  e  crea. 

Quinci  raccoglie  dalla  ricca  selva 

I  dolci  succhi  e'  più  soavi  odori 

Che  scelga  il  Tino ,  V  Arabo  felice  , 

O  1  Pigmeo  favoloso ,  o  Y  Indo  adusto , 

O  che  produca  pur  nel  molle  grembo 

De^  Sabéi  fortunati  aprica  terra; 

£  quinci  Taura  di  spirante  amomo 

Colle  sue  canne  il  balsamo  raguna; 

Né  cassia  manca ,  o  ¥  odorato  acanto  , 

Né  deir incenso  lagrìmose  stille; 

£  di  tenero  nardo  i  novi  germi, 

£  di  mirra  v'aggiunge  i  cari  paschi. 

Quando  repente  il  varìabil  corpo 

£  le  già  quete  membra  alloga  e  posa 


5go  &IME  SACRE 

Nd  vilal  letto  del  felice  nido, 
E  nel  fako  sepolcro  ardente  lume 
Al  suo  nascer  prepara  anzi  la  morte. 
Sparge  poi  colla  bocca  i  dolci  succhi 
Intorno  I  e  sovra  alle  sue  proprie  membra 
Ivi  r esequie  sue  si  fa  morendo: 
£  debol  già  con  lusinghieri  accenti 
Saluta  il  Sole,  anzi  T adora  e  placa, 
E  mesce  umil  pregliiera  all'umil  canto, 
Chiedendo  i  cari  incendj ,  onde  risorga 
Col  novo  acquisto  di  perduta  forza. 
Fra  varj  odori  poi  Palma  spirante 
Raccomanda  al  sepolcro,  e  non  paventa 
L*  ardita  fede  di  si  caro  pegno. 
Parte  di  vital  morte  il  corpo  estinto 
S^ accende,  e  Fardor  suo  fiamme  produce^ 
E  del  lume  lontan  concepe  il  foco, 
Ond'egli  ferve  oltra  misura  e  flagra, 
Lieto  del  suo  morir,  perchè  veloce 
Al  rinascer  di  novo  egli  s^  affretta. 
Splende  quasi  di  stelle  ardente  il  rogo, 
E  consuma  il  già  lasso  e  pigro  veglio; 
hsi  luna  il  ccfrso  suo  raffrena  e  tarda; 
E  par  che  tema  in  quel  mirabil  parto 
Natura  faticosa  e  stanca  madre. 
Che  non  si  perda  T immortale  augello, 
Ma  di  gemina  vita  in  mezzo  il  foco 
Posto  il  dubbio  confin  distingue  e  parte. 
Nelle  ceneri  aduste  alfin  converso. 
Le  sue  ceneri  accolte  egli  raduna 
In  massa  condensale;  e  quasi  in  vece 
È  r  occulta  virtù  d^otenio  seme. 
E  quinci  prima  F animai  rinasce, 
E  in  forma  d^uovo  si  raccoglie  in  giro; 


E  MORALI  591 

Poi  si  riforma  nel  prìmier  sembiante  ^ 
E  dalle  nove  sue  squarciate  spoglie 
Alfin  germoglia  F  immortai  Fenice. 
Gik  la  rozza  fanciulla  a  poco  a  poco 
Si  comincia  a  vestir  di  vaga  piuma  j 
Qual  farfalla  talvolta  a^  sassi  avvinta 
Con  debil  filo  suót  cangiar  le  penne. 
Ma  non  ha  per  lei  cibo  il  nostro  mondo  ^ 
Né  di  nutrirla  alcun  si  può  dar  vanto; 
Ma  celes^  rugiade  intanto  liba 
Dall^ auree  stelle  e  dalP argentea  luna, 
Cadute  in  cristallina  e  dolce  pioggia. 
Queste  raccoglie  j  e  fra  ben  mille  odori , 
Sin  che  dimostri  il  suo  maturo  aspetto 
Nelle  cresciute  membra,  indi  si  pasce; 
Ma  quando  giovinetta  omai  fiorisce, 
Fa,  volando,  ritomo  al  primo  albergo: 
E  quel  disavanza  del  suo  corpo  estinto 
E  dell'aduste  e  incenerite  spoglie 
Unge  di  caro  ed  odorato  stìcco, 
In  cui  balsamo  solve,  incenso  e  mirra; 
E  con  pietosa  bocca  indi.  V  informa , 
E  tondo  il  fa,  siccome  palla  o  sfera, 
E,  portandol  co'  piedi,  al  lucido  Orto 
Si  rivolge  del  sole,  e  U  volo  affretta, 
E  r  accompagna  innumerabil  turba 
D'augei  sospesi,  e  lunga  squadra  e  densa, 
Anzi  esercito  grande  intomo  intomo 
Fa  quasi  nube ,  e  ^1  volator  circonda  : 
Ne  di  tanti  guerrierì  alcuno  ardisce 
Al  peregrino  duce  andar  incontra. 
Ma  deir  ardente  1^  le  strade  adora. 
Non  il  fero  falcone  ardita  guerra 
Gli  move,  o  quel  che  i  fólgori  tonanti 


Sgs  RIME  SACRE 

(Come  è  favola  antica)  al  ciel  ministra. 

Qoal  le  sue  barbaresche  orride  torme 

Scorgea  dal  fiume  Tigre  il  re  de'  Parti, 

Di  preziose  gemme  e  d^  aurea  pompa 

Altero  y  e  di  corona  il  crine  adomo , 

Purpureo  il  manto,  ch^è  dijHnto  e  sparso 

DalTago  di  Sona  d^  perle  e  d^oro, 

£  col  fren  d^oro  al  suo  destrier  spumante 

Regger  soleva  il  polveroso  corso 

Per  le  città  d^ Assiria  alto  e  superbo, 

Ov'ebbe  fortunato  ed  ampio  impero; 

Tale  ancor  va  maraviglioso  in  vista 

Uaugel  rinato,  e  con  reale  onore 

£  real  portamento  i  vanni  spiega. 

Il  color  è  purpureo,  onde  somiglia 

n  papavero  lento,  allor  che  al  cielo 

Le  sue  spoglie  spai^endo  al  Sol  ross^gia: 

Di  questo  quasi  velo  a  lui  risplende 

U  colio,  la  cervice,  il  capo  e  U  tergo. 

Sporge  la  coda,  che  di  lucid^oro 

Rassembra,  e  d'ostro  è  poi  macchiata  e  tinta. 

Nelle  sue  penne  ancora  orna  e  dipinge. 

Pur  come  in  rugiadosa  e  curva  nube, 

JJbtco  celeste:  in  lui  si  varia  o  mesce 

Verdeggiante  smeraldo  a'  bei  vermigli 

£d  agli  altri  cerulei  e  bianchi  fiorì. 

Ha  due  grand' ocelli  eguali  a  due  giacinti^ 

£  riluce  da  lor  vivace  fiamma  ; 

£  pur  gemma  somiglia  il  rostro  adunco. 

La  testa  gli  circonda  egual  corona, 

Ck)me  la  cinge  al  Sol  co'  raggi  ardenti. 

Son  le  gambe  squamose,  e  d^ór  distinte 

L^ unghie  rosate,  e  la  sua  forma  illustre 

Fra  quella  del  pavon  mista  somiglia 


E  MORALI  593 

E  delFaugel  chMn  riva  al  .Fasi  annida. 
Grande  è  cosi ,  che  a  pena  augello  o  fera 
Nata  in  Arabia  sua  grandezza  agguaglia^ 
Pur  non  è  tarda,  ma  veloce  e  pronta, 
E  con  reale  onor  nel  ratto  volo 
La  regia  maestate  altrui  dimostra.    . 
Del  verde  Egitto  una  cittade  antica 
Ne'  secoli  prìmieri  al  Sol  fu  sacra  : 
Quivi  scorger  solea  famoso  tempio 
Di  ben  cento  colonne  altiere  e  grandi, 
Già  svelte  dal  tebano  orrido  monte; 
E  quivi,  come  è  fama,  il  ricco  fascio 
Ripor  solea  sovra  i  fumanti  altari, 
E  ^1  caro  peso,  destinato  al  foco. 
Alle  fiamme  credea  tre  volte  e  quattro. 
Adorando  del  Sol  T  ardente  imago. 
Fiammeggia  il  seme  acceso,  e  '1  sacro  fumo 
Con  odorate  nubi  ondeggia  e  spira, 
Tal  ch'egli  aggiunge  agli  stagnanti  campi 
Di  Pelusio,  e,  spargendo  odori  intorno, 
Di  sé  riempie  gli  Etiopi  e  gl'Indi. 
Maravigliando  alla  mirabil  vista, 
Tragge  l'Egitto,  e  '1  pellegrino  augello 
Lieto  saluta,  e  festeggiando  onora: 
Bepente  è  la  sua  forma  in  sacri  marmi 
Scolpita,  e  in  lor  segnato  è  '1  nome  e  '1  giorno, 
O  fortunato,  o  di  te  padre  e  figlio. 
Felice  augello,  e  di  te  stesso  erede, 
Nutrito  e  nutritor,  cui  non  distingue 
Il  vario  sesso,  e  lunga  età  vetusta 
Non  m^nda ,  come  gli  altri ,  al  fine  estremo  ! 
Né  Venere  corrompe  il  suo  diletto, 
Non  cangia  indebolito,  e  invan  dissolve; 
Lui  di  Venere  in  vece  é  lieta  morte, 
Ta»so,  Voi  IV.  •  38 


Sgi  RIME  SACRE 

Onde  rinasci  poi  Pistesso  ed  altri , 

E  colla  morte  immortal  vita  acquisti. 

Tu  y  poiché  la  vecchiezza  i  mari  e  i  monti 

Cangiato  ha  qaasi  e  variato  il  mondo , 

Perpetuo  ti  conservii  e  quasi  etemo, 

A  te  medesmo  ognor  pari  e  sembiante; 

E  tu  sei  pur  del  raggirar  de?  tempi , 

E  de^  secoli  tanti  in  lui  trascorà, 

Di  tante  cose  e  di  tante  opre  illustri         ^ 

Sol  testimonio ,  o  fortunato  augello  : 

E  felice  vie  più,  perchè  a  noi  mostra 

Quasi  in  figura  di  colori  e  d*auro 

U unico  Figlio  del  suo  Padre  Iddio, 

Dio  come  è  M  Padre,  a  lui  sembiante  e  pari  : 

E  la  natura  col  tuo  raro  esempio 

Insegna  pur  alF  animosa  mente 

(  S^  ella  dubita  mai  )  com^ei  risoi^ 

Dalla  sua  morte  e  dal  sepolcro  etemo; 

E  benché  nostra  pura  e  nvitta  fede 

Abbia  lume  più  chiaro,  onde  cMllustrì, 

Te  non  disprezza,  e  con  perpetuo  onore 

n  tuo  bel  nome  al  tuo  Faltor  consacra, 

Gh^é  sommo  Sole,  ond^  ha  sua  luce  il  Sola 


E  MORALI  5g5. 


OTTAVE 


Lagrime  di  Maria  Vergine. 

Piangete  di  Maria  Tamaro  pianto, 
Che  difiUUò  dagli  occhi  alto  dolore, 
.Alme  y  vestite  ancor  di  fragil  manto , 
In  lagrime  lavando  il  vostro  errore: 
Piangete  meco  in  lacrimoso  canto 
L*  aspro  martir  che  Te  -trafisse  il  core 
Tre  volte  e  quattro ,  e  ciò  cli'allor  soflerse, 
Sentite  or  voi;  della  sua  grazia  asperse. 

Chiaro  Sol,  che  rotando  esci  del  Gange , 

.   D'alta  corona  di  bei  raggi  adorno, 
Piangi  dolente  or  con  Maria  che  piange, 
E  piovoso  ne  porta  e  scuro  il  giorno. 
Tu  piangi  il  duol  che  la  scolora  ed'  aoge, 
O  Luna ,  cinta  di  procelle  intomo  : 
E  voi  spargete  ancor  di  pianto  un  nembo, 
Pallide  Stelle,  all'ampia  terra  in  grembo. 

Colla  Madre  di  Dio  tu  piangi,  o  madre 
De^  miseri  mortali,  egra  Natura; 
E  Fopre  tue  più  belle  e  più  leggiadre 
Piafìgan  teco ,  gemendo  in  vista  oscura  : 
Piangan  le  notti  tenebrose  ed  adre 
Oltre  Fusate:  e  quei  chMl  sasso  indura, 
E  U  vento  e  U  gelo  inaspra,  orridi  monti, 
Spargano  lagrimosi  e  larglù  fonti. 

E  corra  al  mesto  suon  de'  nostri  carmi 
Lagrime  il  mar  cJalT  una  all'  altra  sponda  : 
E,  perch'io  possa  appieno  al  ciel  lagnarmi. 
Sia  lutto  e  duol  quanto  la  terra  innonda. 
Piangan  colle  pitture  a  prova  i  aiarmi, 


/ 


5^  RIME  SACRE 

Del  cor  men  duri  ove  1  peccato  abbonda  y 
E  Popre  (Tarte  muta^  alte  colonne  j 
Sembrin  le  statue  lagrìmose  donne. 

Tu^  Regina  del  ciel,  ch^a  noi  ti  mostri 
Umida  i  lumi  e  Tuna  e  P altra  gota. 
Fa  di  lagrime  dono  agli  occhi  nostri,  ^ 

Ed  ambe  Fumé  in  lor  trasfondi  e  vóta^ 
Perchè^  piangendo,  agli  stellanti  chiostri 
Teco  innalzi  il  pensier  Palma  devota: 
Parte  del  Tebro  in  sulla  verde  riva 
U  tuo  santo  dolor  formi  e  descriva. 

Già  U  suo  Figlio  immortale  avea  riprese 
Le  membra,  che  sentir  di  morte  il  gelo, 
Co*  segni  ancor  delle  mortali  offese^ 
Ma,  più  del  Sol  lucente,  in  bianco  velo, 
E  come  vincitor  d* eccelse  imprese. 
Era  tornato  fiammeggiando  al  cielo, 
Àncisa  Morte,  e  vinto  il  cieco  InferaO) 
E  Palme  pie  rendute  al  regno  eterno. 

Ella  medesma ,  che  1  crudele  assalto 

Dar  vide  al  dolce  Figlio,  e  ^n  mente  il  serilKi, 

£  vide  tinta  di  sanguigno  smalto 

La  lancia  onde  sentì  la  doglia  acerba , 

Lucido  il  mirò  poi  levarsi  in  alto, 

E  trionfar  di  morte  empia  e  superba, 

Sovra  le  nubi  ergendo  e  sovra  i  venti 

n  suo  trofeo  fra  mille  schise  ardenti. 

Or,  tutta  in  sé  raccolta,  alfin  rimembra 
Quanti  per  lui  sofferse  aspri  martiri 
Dal  dì  ch^  egli  vesti  P  umane  membra, 
E  quante  sparse  lagrime  e  sospiri. 
E  'n  questo  suo  pensiero  altrui  rassembra 
Freddo  smalto  ch'umor  distilli  e  spiri. 
Ben  mostra  a  noi  quel  che  contempli  e  pensi, 
Chi  la  dipinse  e  cotonila  a^  sensi. 


E  MORALI  5g7 

E  prima  le  sowien  ch^  il  nobil  pondo 
Senza  fatica  espose  e  senza  duolo, 
Nel  fosco  della  notte  orror  profondo. 
Fra -'duo  pigri  animali  in  umil  suolo  ^ 
Quando  il  suo  Re  produsse  al  cieco  mondo  ^ 
£  vide  ignota  stella  il  nostro  polo 
A'  peregrini  regi  in  Oriente 
Segnar  co'  vaghi  rai  la  via  lucente. 

Rimembra  rumìi  cuna  e  i  rozzi  panni 
E  U  dolce  lamentar  del  picciol  Figlio, 
E  U  suo  pargoleggiar  ne^  teneri  anni, 
Quando  angelo  era  pur  d^  alto  consiglio  ; 
E  U  sospetto  d'Erode,  e  i  primi  affanni 
Della  sua  fuga  e  del  suo  gran  periglio, 
E  per  notturne  vie  Falte  tenebre 
D'  Egitto ,  ove  trovò  fide  latebre. 

Poscia  il  perduto  suo  Figliuol  le  riede 
A  mente ,  e  quel  dolor  eh'  allora  aprilla  j 
E  ne'  begli  occhi  la  pietà  si  vede. 
Che  dolorose  lagrime  distilla. 
Duolo  a  duol  y  lutto  a  lutto  in  lei  succede  ; 
Ferro  e  face  è  il  martir  ch'arde  e  sfavilla: 
E  mostra  ben  ne'  lacrimosi  sguardi 
Quante  ella  abbia  nel  core  e  fiamme  e  dardL 

Alla  colonna  il  pensa,  e  stille  a  prova 
Ella  versa  di  pianto,  egli  di  sangue: 
E,  immaginando,  il  suo  martir  rinnova, 
Martir  dell'alma  che  s'affligge  e  langue. 
Pensa  poi  come  in  croce  estinto  ei  giova, 
Anzi  vita  ne  dà:  mirabil  angue. 
Ch'unge  del  nostro  error  l'antica  piaga. 
Cosi  pensando  in  lagrimar  s'appaga. 

E  fra  se  di  suo  cambio  ancor  s  attrista. 
Donna  chiamata;  e  si  lamenta  e  duole 


598  RIME  SACRE 

Che  perde  un  Dio  figliuolo,  un  uomo  acquista 
E  ripensando  alP  oscurato  sole , 
Al  ciel  ch^ apparve  tenebroso  in  vista, 
Al  vacillar  della  terrena  mole, 
Piange  col  mondo  il  suo  Fattore  insieme, 
Che  disse  in  croce  le  parole  estreme. 
Par  nel  volto  del  Sol  minore  eclissi, 

Cirin  quel  della  sua  Madre  afflìtta  ed  egra; 
O  in  quel  del  FigUo,  in  cui  '1  divino  unirsi 
Col  mortai ,  che  si  parte ,  e  noi  rìntegra. 
Ma  sua  di?initate  allor  coprissi 
Colla  nube  di  morte  orricla  e  negra, 
£,  ricoperta  la  divina  luce, 
A  lagrimar  le  donne  e  '1  cielo  induce. 
Sembra  poi  ch^il  pensiero  al  di  rivolga 

Che  r  ebbe  esangue ,  anzi  sanguigno ,  in  seao 
Con  mille  piaghe,  e  'n  ricordar  si  dolga. 
Impallidito  il  bel  volto  sereno, 
E  ^n  duo  fiumi  i  begli  occhi  aflor  disciolga, 
Alle  querele  sue  tentando  il  freno, 
E  i  pie  membrando,  e  questa' mano  e» quella 
Che  fece  il  sole  ed  ogni  ardente  stella. 
Sparso  nel  dolce  seno  ond^egli  nacque, 
Di  lagrime  e  d^ odori  e  'n  lino  avvolto, 
Maria  poscia  il  contempla,  e  come  ei  giacque 
Nel  grembo  della  terra  alfiu  sepolto. 
Questo  pensier  d^  amare  e  tepide  acque 
Alla  Vergine  inonda  i  lumi  e  '1  volto  j 
Però  questa  del  cielo  alta  Reina 
GU  occhi  nel  suo  dolore  a  terra  inchiaa. 
Lìi  dove  intanto  le  tartaree  porte 

jRompe  il  Ke  vincitore^,  e  doma  e  spoglia 

I  cicchi  regni  delP oscura  Morte, 

Pria  che  gli  antichi  spirti  il  cielo  accoglia, 


E  MORALI  5g9 

Cqtne  apparisse  il  glorioso  e  forte 

Con  lucente  immortale  e  liete  spoglia , 

Né  stily  né  penna  mai^  né  lingua  esprime  ^^ 

Né  r  intende  pensier  santo  e  sublime. 
Qual  interno  pittor  giammai  dipinse 

Nel  cor^  che  di  suo  spirto  é  vivo  tempio  ^ 

La  sua  vittoria ,  onde  la  morte  estinse  j 

Non  pur  le  pene  e  '1  sanguinoso  scempio? 

E  chi  di  lei^  che  nel  Signor  sMncinse^ 

Potè  ri  tra  r^  quasi  da  vero  esempio, 

Le  lagrime,  i  pensieri  e  i  santi  affetti, 

E  com' esser . traslata  al  cielo  aspetti? 
ÀIzìam  or,  con  Maria,  d^ amore  acceso  '  ^ 

Il  pensier  nostro,  come  fiamma  o  strale, 

Seguendo  alto  Signor  chMn  cielo  asceso 

Siede  a  destra  col  Padre,  al  Padre  eguale 3 

Né  di  terreno  aflfetto  il  grave  peso 

Tardi  la  mente  che  sMnnalza  e  sale: 

Alziamo  il  pianto;  e  sovra  '1  cielo  ascenda 

Sol  per  &ua  grazia,  ed  ella  in  grado  il  prenda. 
Ed  in  santa  dolcezza  Amor  converta 

Quel  che  d^  amaro  il  nostro  fallo  asperge. 

Piangea  la  Madre  allor,  quasi  deserta 

Valle  di  pianto,  ove  '1  dolor  sommerge 3 

Piangea  per  gran  desio,  sicura  e  certa 

Già  della  gloria  ov'ei  ne  chiama  ed  erge, 

Ove  di  stelle  alta  corona  e  veste 

Avrà  di  Sole ,  in  maestà  celeste. 
E  piangea  stanca  pur  nel  corso  umano, 

E  col  peso  mortai ,  ch^  é  grave  salma , 
,  lyiesta  e  solinga,  e  già  nel  ciel  sovrano 

Bramosa  di  salir  la  nobil  alma. 

Ancisi  intanto  da  furore  insano, 

Aveano  i  fidi  suoi  corona  e  palma. 


6oo  RIME  SACRE 

Pìangea  gli  altrui  martiri  e  M  proprio  scampo  ^ 
Nella  vita  eh' a  morte  è  duro  campo. 

E  piangendo  diceva  :  Oh  com'  è  lunga 
La  mia  dimora,  ansi  Fesiglio  in  terra! 
Deh  !  sarà  mai  eh'  a  te  ritomi  e  giunga  y 
Pur  come  da  tempesta  o  d'aspra  guerra? 
Bramo  esser  teco,  o  Figlio;  a  te  mi  giunga 
QueUa  santa  pietà  che  1  del  disserra: 
Se  non  son  clella  Madre  i  pr^hi  indegni. 
Chiamami  pur  dove  trionfi  e  xeffXL 

Deh!  non  soffrir  che  si  consumi  ed  arda 
Tra  speranze  e  desini  il  cor  penoso. 
Odi  b  Madre y  che  si  lagna,  e  tarda; 
Odi  la  Madre  pia.  Figlio  pietoso. 
E  se  già  lieta  io  fui  dove  si  guarda, 
Quasi  per  ombra,  il  tuo  divino  ascoso, 
Quante  avrò  gioje  in  ciel  sMo  ti  riveggio 
Coronato  di  gloria  in  alto  seggio? 

Mostrati,  o  Re  di  gloria,  o  Figlio,  ornai, 
Tu  che  servo  apparisti  in  tomba  e  'n  cuna, 
E  fa  contenta  a   chiarì  e  dolci  rai 
La  vista  mia ,  eh'  amaro  duolo  imbruna. 
Tra  gli  occhi  cari  e  i  miei,  c'han  pianto  assai, 
Non  s'interponga  o  sole  o  stella  o  luna: 
Cedete  al  mio  desir,.  pianeti  e  cieli, 
Perch'  alla  Madre  il  Figlio  alfin  si  sveU.  — 

Cosi  dicea  nel  lutto.  E  voi  portaste, 
Angeli ,  al  Figlio  il  suon  devoto  e  sacro , 
E  le  lagrime  sue  pietose  e  caste, 
Bench'  uopo  a  voi  non  sia  pianto  o  lavacro. 
Or,  se  mai  d'altrui  duol  pietà  mostraste. 
Portate  queste  mie,  eh' a  lei  consacro: 
E  '1  lagnmoso  dono,  o  Spirti  aiiiici. 
Offrite ,  o.  sempre  lieti  e  'u  ciel  felicL 


E  MORALI  60 1 

OTTAVE 

Lagrime  di  Gesù  Cnsto. 

Voi,  che  sovente  il  Re  d'eterno  regno 
Alla  colonna  e  'n  sulla  croce  esangue 
Qui  contemplate,  e  '1  duro  iniquo  sdegno 
Ond^  aspramente  egli  è  percosso  e  langue,      , 
D'  alU  corona  di  martirj  indegno 
Clii  si  dimostra y  e  nega  il  sangue  al  sangue? 
Deh!  clii  le  vene  mai  n'ebbe  piò  scarse, 
Che  temesse  versarlo  ov'ei  lo  sparse? 

Pietro  non  già,  che  fé'  la  piaga  all'empio, 
E  le  ferite  e  'i  ferìtor  prevenne , 
E  pur  in  sé  medesmo  il  fero  scempio 
In  croce  dopo  'i  suo  Signor  sostenne: 
Non  chi  prima  segui  pietoso  esempio. 
Che,  perdonando.  Cristo  in  morte  dienne: 
Non  Giacopo,  non  Paolo,  o  mille  e  mille, 
Che  fiumi  fean,  non  pur  sanguigne  stille. 

Se  vogliam  dunque  or  simigliarci  a  Cristo, 
Versando  il  sangue  dall'umane  membra. 
Chi  piange  seco ,  e  seco  '1  pianto  ha  misto , 
Mentr'egli  piange,  e  il  pio  Signor  rassembra? 
Non  sei,  tardo  pensiero,  ancora  avvisto 
Ch'ei  nostra  umanitate  a  noi  rimembra? 
Deh!  concediamo  i  pianti  ai  pianti  amari: 
E  l'uom  pietà  da  Dio,  piangendo,  impari. 

Udiste  il  grido  che  nel  ciel  risuona. 
Pregando  il  Padre  in  dolorosi  accenti: 
E  s' invitta  virtù,  ch'altrui  perdona. 
Sicura  nella  morte  e  nei  tormenti,- 
Ci  manca  a  gloriosa  alta  corona, 


6ù%  RIBfE  SACRE 

E  non  è  chi  morire  ardisca   o   tenti, 
No»  ci  manchi  pietate^  e  non  sia  prìra 
Dei  largo  umor  ch'io  bgrìme  deriva. 

Il  Re  nella  spietata  e  dura  morte  ^ 

Di  cui  si  duol  natura  e  1  Ciel  si  sdegna; 
Magnanima  virtù  costante  e  forte 
Colla  sua  voce  a'  suoi  fedeli  insegna: 
Pietà  mostra  ;  piangendo:  ahi  Cde  scorte 
Di  seguir  lui  che  già  trionfa  e  regna! 
Seguiam  Cristo  con  ambe  al  ciel  sereno: 
Chi  non  è  forte ,  sia  pietoso  almeno. 

Ma  chi  piange?  e  che  piange?  alme  pietose, 
Pensate  meco  :  è  V  uom  che  ducisi  e  piange 
Ma  Tuomo  è  Dio,  che  '1  suo  €Ìivino  ascose 
Nel  suo  mortai,  che  s^ addolora  ed  ange. 
Uuom  freme,  e  freme  Dio  eh' a  sé  n'impose 
Il  peso,  e  non  avvien  elisegli  si  cange; 
Ma  fa  li  caduco  eterno,  ond'ei  s^ adora, 
Talché  al  piangei*  dell*  uom  Dìo  stesso  or  plora- 

Quel  che  Ubrò  la  terra,  e  tanti  intorno 
Cieli  etenii  e  lucenti  a  lei  sospese; 
E  diede  il  Sol ,  eh'  è  suo  gran  lume ,  al  giomo, 
E  nella  notte  altrui  splendori  accese; 
Quel  che^  ael  far  suo  magistero  adorno, 
Piacque  a  sé  stesso  e  sé  medesmo  intese; 
Di  sua  gloria  contento  e  di  sua  luce , 
Or  ,  fatto  umano ,  a  lacrimar  s^  induce. 

Quel  eh*  è  bontà  sovrana  e  sommo  amore, 
Né  cerca  fuor  di  sé  gioja  o  diletto, 
Or  piange  e  stilla  in  lagrimoso  umore 
Di  nostra  umanitate  il  puro  affetto. 
Deh!  qual  alpestro  sasso  intomo  al  core 
S'accoglie?  e  com'è  '1  gelo  in  lui  ristretto? 
Se  diaspro  non  è  eh'  ivi  s' impetra , 
Fonte  di  pianto  abbia  percossa  pietra. 


E  MORALI  6o3 

Ma  che  piange  primiero  il  Re  de^  Regi? 
Piange  T umanità  quand'egli  nasce; 
Ed  ornando  umiltà  d'eterni  pregi, 
Pur  com'  uom  piange  e  stride  in  cuna  e  'n  fasce. 
E  s' altri  gli  aurei  alberghi  e  gli  aurei  fregi , 
Per  seguir  lui,  vien  ch'abbandoni  e  lasce. 
Gare  lagrime  sparga  in  dolci  tempre, 
E  col  pianto  di  Cristo  il  suo  contempre. 

Che  piange  il  pio  Signor?  piange  un  sepolto, 
E  più  l'altrui  che  la  sua  morte  aceroa: 
Piange  l' amico  suo  da'  nodi  avvolto , 
A  cui  libera  vita  il  Ciel  riserba  : 
Freme  l'ardente  spirto  e  bagna  il  volto: 
Or  non  si  piegherà  m'ente  superba, 
Che,  sdegnando  l'umana  umil  natura, 
Sé  stessa  inaspra,  e  contra  '1  duol  s'indura? 

Tu ,  che  ti  vanti  pur  d' alma  tranquilla , 
E  se'  duro  vie  più  di  quercia  o  d'elee, 
O  di  qualunque  al  ferro  arde  e  sfavilla 
Con  varj  colpi  ripercossa  selce; 
Pietoso  amore  a  noi  dal  cielo  instilla 
Il  Re  del  cielo ,  e  per  suo  dono  ei  dielce  : 
Perchè  altero  ten  vai  col  viso  asciutto, 
S'al  buon  servo  di  Cristo  è  gloria  il  lutto? 

Se  fece  al  fido  amico  onor  supremo 
Di  lagrime .  pietosa  il  Re  celeste. 
Chi  nega  d'onorarlo  al  giorno  estremo, 
Quand'ei  si  spoglia  la  corporea  veste? 
Alii!  di  vera  pietate  o  privo  o  scemo,  _ 

Or  chi  sarà  ch'in  te  Paòcenda  e  deste. 
Se  non  se  il  pianto  ond'il  Signor  c'invita 
À  lagrimar  la  morte  e  pria  la  vita? 

Che  piange  quel  che  fece  il  cielo  e  '1  mondo? 
Piange  altera  città,  che,  stanca  alfine, 


6o4  RIME  SACRE 

Vinta  cadéo  sotto  1  gravoso  pondo 
Delle  sue  minacciose  alte  ruinej 
Ma  Tuom  pianto  si  leva,  e  d^atro  fondo 
Di  gran  sepolcro  innalza  il  viso  e  1  crine: 
La  città  lagrìmata  è  sparsa  a  terra  ^ 
Precipitando  in  ostinata  guerra. 

Ma  Funo  e  F  altra  alfine  in  ciel  risorge , 
Fatta  sicura  da  contraria  possa. 
Umio  e  F altra  s'eterna:  e  s'altri  scorge , 
O  se  cerca  quaggiù  mine  ed  ossa, 
Erra  col  volgo  errante,  e  non  s' accolse 
Che  toma  F  alma  al  cielo  ond'  ella  è  mossa  ^ 
£  ch^ivi  splende  ancor  perpaina  norma 
Di  città  non  caduta*,  e  vera  forma. 

Oh  di  quai  pietre  fa  novo  restauro 
Alle  cadute  mura  il  Fabro  eterno, 
Gerasalem  celeste  !  E  F  Indo  e  U  Mauro 
Elegge  a  prova,  e  non  ha  gente  a  scherno. 
Oh  quaU  omai  d^alte  colonne  e  d^auro 
Opre  meravigUose  in  te  discerno, 
Perch^  io  disprezzi  ancor  teatri  e  terme , 
In  parti  quasi  soUtarie  ed  erme! 

Ma  s'è  tanta  virtù  nel  pianto  amaro, 
Ond'  egli  il  volto ,  lagrimando ,  asperse  ; 
Se  dalF  oscura  tomba  al  ciel  più  chiaro 
Il  sepolto,  per  lui,  già  gli  occhi  aperse; 
E  per  lui,  quanto  atterra  il  tempo  avaro, 
O  consuman  le  fiamme  e  Farmi  avverse. 
Risorge  al  cielo,  e  vie  più  adorno  e  grande. 
Felici  quelli  a  cui  si  versa  e  spande! 

Or  tu ,  che  fosti  eletta  al  grande  impero 
Della  terra  e  del  ciel,  Roma  vetusta. 
Caduta  spesso  dal  tuo  seggio  altero 
Sotto  vii  giogo  d' empia  gente  ingiusta  ^ 


E  MORALI  6o5 

Risorta  poi,  col  successor  di  Piero , 
In  maggior  gloria  della  gloria  augusta  j 
Ripensa  onde  cadesti,  e  ch^or  t^^stoUi, 
Coronata  di  tempj  in  sette  colli. 

E  ben  chiaro  vedrai  che  1  sangue  sparso 
Di  tre  Decj  in  lor  fero  orribil  voto, 
E  quel  di  Scipio  e  di  Marcel  fu  scarso 
Al  tuo  peccar  ch^era  a  te  stessa  ignoto. 
Ma  poi  che  '1  vero  lume  è  in  terra  apparso, 
Non  dico  il  sangue,  il  lagrimar  devoto 
Di  que^  fedeli  a  cui  U  tuo  risciiio  increbbe. 
Più  ti  difese,  e  più  Fonor  t^ accrebbe.* 

Lagrimosa  pietà  di  ben  nate  alme 
Te  difese  non  sol  d^ estranea  gente, 
Ma  f  acquistò  corone  e  sacre  palme, 
E  ti  fe^  lieta  trionfar  sovente. 
Deh  !  leva  al  ciel  con  gli  occhi  ambe  le  palme , 
E  U  pianto  di  Gesù  ti  reca  a  mente. 
Sicché  tu  pianga ,  e  dal  suo  duolo  apprenda 
Santa  virtù  che  fera  colpa  emenda. 

Se  beato  è  chi  piange,  in  largo  pianto 
Si  strugga  il  tuo  più  denso  e  duro  gelo  3 
E  Tamor  tuo  profan  si  volga  in  santo, 
E  r  odio  intemo  in  amoroso  zelo. 
Già  di  fortezza  avesti  e  gloria  e  vantoj 
Abbilo  or  di  pietà  chMnnalza  al  cielo: 
Sembra  Roma  celeste  agli  occhi  nostri, 
Com'è  Fidea  negli  stellanti  chiostri. 


FINE  DEL  VOLUME  QUARTO. 


NOTE 

AGGIUNTE  ED  EMENDAZIONI 


Fac.  i56,  sov.  XXXIV. 


N. 


ella  I.  R.  Biblioteca  di  Brera  si  conserva  questo 
sonetto  scritto  di  pròprio  pugno  dal  Tasso,  è  varia  in 
alcuni  versi  dalla  nostra  stampa  come  siegue  : 

T.    3.  E  '*n  tal  voce  risuoha  i  «noi  lamenti 

V.  4-  Ch^ogni  odio  placa ,  et  addolcisce  ogni  ira, 
V.    5.  Chi  U  crederla  ?  %\  volge  e  si  raggira 
V.     7.  Nulla  fc,  QuU^amor,  fal^i  i  tormenti 
V.    8.  Sono ,  e  falso  è  V  affetto  ond^  ei  sospira. 

V.  i3.  Cii^a  i  suoi  Gdi  seguaci  in  premio  niega. 

Fac,  204,  sov,  CXXX, 

Stimiamo  di  far  cosa  grata  agli  studiosi  trascrivendo 
qui  appresso  tutto  questo  medesimo  sonetto,  secondo  la 
lezione,  Tortogi'afia  ed  il  punteggiamento  (o  meglio  di- 
remo il  nessun  punteggiamento)  delf autografo  che  si 
conserva  nella  I.  R.  Biblioteca  di  Brera. 

X 

AUor  che  ne'  miri  spirti  intepidissi 
Quel  cV  accendevi  tu  celeste  foco 
Pigro  divenni  augel  di  valle  e  roco 
E  vile  e  grave  a  me  medcsmo  vissi 

Nulla  poscia  d^Amor  cantai  né  scrissi 
E  s"*  alcun  detto  pur  formai  per  gioco 
Scorno  n^ebbi  e  non  pregio  e  basso  e  fioco 
Garrir  non  chiaro  e  nobil  canne  udissi 

Quasi  cetra  son  io  che  'n  vario  suono 
Hora  diletta  hor  noja  altrui  si  come 
Vien  ch^o  maestra  o  indotta  man  la  tocchi 

Dolce  e  la  lingua  mia  sol  nel  tuo  nome 

,    E  solo  allor  che  canto  i  tuoi  begF  occhi 
Mi  detta  Amor  quel  che  di  lor  ragiono. 


/ 


6o8  NOTE 

Fac.  %oS,  iojr.  CXXXI. 

Questo  sonetto  ti  legge  oome  sieguc  nel  già   citato 
autografo  dell*!.  R.  Biblioteca  di  Brera. 

Sorge  lo  Mfegao  e  in  long»  tdiìcn  e  folta 

Peosicr  di  gloria  e  di  Tiriate  aceogUe 

£  aeoo  U  ragion  la  ipada  to^ie 

In  Incide  anni  di  diamanlte  inrolta 
£coo  la  torba  ifmrraria  e  stolta 

Spana  cader  de  le  mie  ingorde  TOj^lie 

E.  i  senti  domi  e  di  nemiohe  spoglie 

Leggiadra  pooipa  ansi  il  Irìonm  accolta 
BdU  negletta  ad  arie  atti  soaW 

Finta  pieik  sdegno  tenace  e  dnro 

Parole  bor  dolci  hor  di  severo  anono 
Hor  Texzosi  sembianti  bor  mesti  e  gran 

De  rinimica  mia  Panni  già  foro 

Et  i  troCù  dì  mia  vittoria  bor  sodo. 

Fdc.  aig,  son.  CLX 

Le  varianti  dì  questo  sonetto  che  si  riscontrano  nH- 
Tautografo  deii*I.  R.  Biblioteca  di  Brera,  sono  le  se- 
guenti: 

T.    4*  Oocolta  Ta  sotto  nn  Tettir^  negletto 

T.    é.  Cbe  ^n  Tiriate  .  .  •  • 

T.    7.  Onesta  è  colei  cbe  con  dolci  arti  prende 
T.    S.  Niiralme  et  apre  ogni  più  diinso  petto 
T«    9.  £  ben  Teggio  bor  .••••... 

T.  IO.  Move 

T.  II.  Cbe  produce  in  attrai  sonno  ed  oblio 

t.  i3.  Che  sol  dentro  il  tao  regno  Amor  s^ impara 

T.  i4«  Voler  per  forto  ciò  c^  haver  può  in  dono. 

Fjc.  3i3,  r.  6  e  seg. 

.......  A  voi  già  non  9*  agguaglia 

Ooella  vergine  antica, 

1f  orte ,  quanto  pudica , 

CVandò  sette  anni  dallo  stuolo  errante 

Per  questi  mari,  e  fa  crudel  nemica. 

Cosi  tutte  r  edizioni  per  noi  vedute,  e  dietro  ad  esse 
ancor  questa  nostra.  Ma  (lasciamo  stare  che  il  dire  de- 
tcrminatamente dallo  stuolo  f  senjsa  che  si  sia  accennato 


AGGIUNTE  ED  EMENDAZIONI  609 

di  che  stuolo  si  parli,  è  maniera  niente  lodeyole,  —  e 
che  la  proposizione  fa  eruditi  nemica  è  mancante  del 
termine  delibazione)  non  ci  rimembra  che  vi  sia  stata 
gi£^mai  una  vergine  la  quale  andasse  emonie  sette  anni 

Cer  questi  mari,  U  contesto  però  non  lascia  verun  dub- 
io  che  qui  s^  allude  a  CamiUa,  figliuola  di  Metabo,  acer- 
rima nemica  de*  Trojani.  Ora  siccome  i  Tix)jani  andarono 
sette  anni  errando  per  mare  e  per  terra,  così  crediamo 
che  sia  succeduto  ne*  versi  arrecati  im  orribile  guasto, 
e  che  scabbia  a  leggere  in  questa  o  simile  guisa: 


A  Toi  già  non  s^  agguaglia 

Quella  vergine  antica, 

]*orte,  quanto  pudica, 

Ch'halle  stuolo  trojan,  sette  auni  erraule 

Per  questi  mari,  fu  crudel  nemica. 

Fac,  Zìi,  str,  ult, 

Luci,  più  bel  destro 
Non  vidi  acceso  mai 
Ad  altri  cosi  puri  onesti  rai: 
Né  si  mirabil  giro 
Fa  la  vergine  Astréa, 
Volgendo  intorno,  o  Gintìa  o  Citeréa:  ec. 

Così  abbiamo  noi  stamnato,  allontanandoci  alcun  poco 
dair edizione  del  Bott^.  la  qual  l6gge  (ne  par  senza 
senso)  in  questo  modo: 

Luci,  più  bel  desiro 
Non  Me  acceso  mai 
Ad  altri  cosi  puri  onesti  rai; 
Né  si  mirabil  giro 
Fé  la  veiigine  Astrea 
Volgendo  intomo  o  Cintia,  o  Citcrea:  ec. 

Nondimeno  considerando  che  T  astronomia  tolemaica 
(che  è  quella  de*  nostri  antichi  poeti  e  che  ancor  si  so^ 
steneva  a*  tempi  del  Tasso),  anmiettendo  la  terra  nel 
centro  del  mondo,  credea  die  intomo  ad  essa  girassero  i 
diversi  cieli  de*  pianeti  e  poi  il  cielo  delle  stelle  fisse, 
e  quindi  risultando  che^  secondo  quelle  opinioni,  doveva 
Astréa  (che  è  1^  costellazione  della  Vergine  nel  zodiaco) 
volgersi   intomo  alla  Luna  ed  a  Venere,  ne  nasce  il 

Tasso,  FoL  IV.  Sq 


6io  NOTE 

dubbio  che  il  nostro  poeta  dettasse  rultìiiio  verso  ddl^ 
suddetta  starna  in  quest* altra  forma: 

V 

Né  n  mirabtl  giro 

Fa  la  Teiigine  Astrai 

Volgendo  intocno  «  Cìntìa  o  Citeiéa. 

Fac.  337,  r.  8. 

Quanto  è  più  interno  il  verno  orrido  a^enley 

Noi  abbiamo  seguito  in  questo  verso  la  concorde  le- 
zione di  tutte  le  stampe  che  avevamo  sotToccido,  noa 
ci  parendo  difficile  il  difenderla;  ma  potrdib* esser  pisv 
che  il  Tasso  avesse  scritto  in  ootal  modo: 

Quanto  è  più  mteiuo  il  ▼emo  orrido  algeiiteu 

Fac*  353,' jTiiPXiG.  XIII ^  r.  crrr. 

Sao  miracolo  é  questo; 

Io  sol  r  cica  T^  qipresso^  di^ è  ^  mio  core. 

Chi  ha  stampe  più  corrette  che  non  son  qodk  di 
noi  riscontrate,  o,  che  sarfa  meglio,  qualche  boonna- 
noscrìtto^  vegga  un  poco  se  quest* ultimo  verso  non  sa- 
nasse come  siegue: 

lo  sol  r  esca  V  appresto,  ch^  è  *i  nuo  core. 

Fac.  364. 

Qui  termina  la  scelta  de*  madrigali  amoroà  da  sci 
fatta  suU*edizionLpiii  com{)iute  deU^opere  del  Tassa  Giih 
dichiam  però  degni  che  vi  sieno  aggiunti  i  due  .seguenti, 
pubblicati  la  prima  volta  Tanno  i8ai  dall^ egregio  si- 
gnor Giuseppe  Beraardoni  per  le  nosse  di  Carlo  l^ramer 
e  Teresa  oerra. 


AGGIUNTE  ED  EMENDAZIONI  6i  i 

MADRIGALE  XXXV. 

In  lode  di  bellissima  e  rispeUabilissima  donna. 

Xi'alma  vostra  bdtate^ 

Della  divina  esempio 

£  di  gloria  immortale  è  vìvo  tempio. 

Pensier  terreno  ardire 

Non  ha  di  farle  offesa} 
\  Né  basso  o  vii  desire, 

Né  6amma  impura  è  da'  begli  occhi  accesa  3 
^  Ma  in  pure  voglie  oneste 

Amor  s*  infiamma  9  e  poi  divien  celeste. 

Chi  volge  il  vago  sguardo 

A  la  beltà  divina, 
I  Com'oro  in  fiamma  i  suoi  pensieri  affina; 

E  '1  core  a  voi  devoto 
P  Sensi,  voglie  e  costumi 

t  Purga  a  sì  dolci  lumi , 

E  riverente  or  si  consacra  in  voto, 
I  E  di  sé  stesso  face 

Tempio  ed  altare  e  simulacro  e  face. 

^  MADMGALE  XXXVL 

« 

Descri%fe  il  potere  delia  bella  di  Fillide, 

'  È  lieta  primavera 

Ove  Filli  si  mostri 

Negli  ombrosi,  fioriti  e  verdi  chiostri j 

Pajon  Ferbe  smeraldi,  e  gemme  i  fiori, 

Cristalli  i  fiumi  e  i  fonti; 

Son  coronati  i  monti 

Di  verdi  mirti  e  di  frondosi  allori. 

Ma  dove  ella  sen  fugge 

U  lieto  e  1  verde  si  consuma  e  strugge. 


6ia  NOTE 

Fac,  I(/S6,  cjnz.  XXI, 


notato  a  pie  della  pagina  Ifi^  che   la   prima 

ftro&  di  questa  canzone  manca  del  verso  ottavo  in  tutte 
le  stampe  che  avevamo  potuto  esaminare;  e  per  modo 
di  congettura  ardimmo  propome  uno  da  supplirvi.  Es- 
sendoci ora  venuta  alle  mani  T edizione  del  Vasalini  (Fer- 
rara, 1589),  vi  troviamo  che  il  verso  mancante  è  questo: 

Che  di  troliéi  più  che  di  piante  abbonda  ;  ce 

La  medesima  stampa,  dopo  la  seconda  strofa,  ha  que- 
st' altra,  la  quale  non  si  legge  nella  edizione  del  Bottari, 
né  in  quella  del  Segfaezzi,  né  in  varie  altre  anco  re- 
centissime: 

Vieni,  Ineoéo:  dal  tuo  ventre  aspetta 
ffoTÌ  la  terra  e  H  del  Divi  ed  croi; 
Né  mai  più  nobil  alme  in  un  ||[innpéstL 
Oh  quanto  altrui  più  cara  e  più  dUetta 
Spiccerà  la  gran  quercia  i  rami  anoi^ 
Se  di  il  nobH  verga  or  tu  Tinnetti! 
Si  Uxk  il  leool  d^auroi  e  sol  da  questi 
Avrà  il  mondo  fl  suo  cibo,  e  certa  e  Tcra 
Voce  piena  n^udrà  d^ahi  conaigU 
Nc^  duobi  e  ne^  perìgli. 
E  dritto  è  ben  cne  nella  quercia  altera 
L^  aquila  albergo  pigli  : 
Sacra  a  Giove  è  la  quercia;  e  sacra  a  Giove 
L^  aquila  al  proprio  nido  or  lieta  more. 

Nel  riportar  questa  strofe  ci  siamo  ingegnati  di  pur- 
garla dai  parcccni  errori  che  sono  nella  stampa  onde 
1  abbiam  tolta. 

Chi  possiede  T  edizioni  del  Bottari  e  del  Seghezzi  tro- 
verà mancare  in  questa  canzone,  oltre  al  verso  8  della 
prima  stix>fa,  ed  oltre  alla  strofa  intera  pur  ora  arre- 
cata, ancor  la  penultima,  la  quale  incomincia  «=  Solida 
o  felice  spaso ^  il  auto  cinto  *«,  e  scorgerà  nel  resto 
(massime  nelF edizione  del  Seghezzi)  tali  altre  negligen- 
ze, che  è  ìina  compassione. 

Nella  nostra  stampa  (crediam  bene  d* avvertire)  dopo 
un  certo  numero  d^  esemplari  si  spiccò  via  V  accento  aal 
primo  E  del  verso  8  a  carte  468  ;  né  sarebbe  gran  fatto 
che  altri  accenti  simili  avessero  avuta  Tegual  sorte» 
tanta  è  la  fragilità  della  loro  appiccatura. 


AGGIUNTE  ED  EMENDAZIONI 


6i3 


Fac,  Sfa,  jm.  a. 

L^ aldina  del  i58a  legge: 

Ma  soura  mitre,  e  scintilar  corone 
S**  innalza  ad  un  gaerrier  Parme  honorate, 
Che,  scado  d^ Italia,  e  spada,  e  scampa | 
Per  cui  poteua  a^  prischi  honor  suprèmo 
Di  nouo  ella  aspirar,  ec 

Ognun  vede  che  qui  il  terzo  verso  è  zoppo,  — '  che 
la  rima  del  primo  non  trova  riscontro  .nel  quatto  >  come 
richiede  T abitudine  di  tali  strofe,  —  e  soprattutto  che 
non  c^è  nodo  alcuno  d^idee.  Così  pure  han  T  edizioni 
del  Bottarì  e  del  Seghezzi,  salvo  cne  v^è  ridotto  alla 
giusta  misura  il  terzo  verso,  •—  a  scampa  è  debitamente 
sostituito  scampo  f  •—  e  inoltre  vi  si  legge  scintillar  con 
buona  ortografia  in  luogo  di  scintilar:  la  qual  minuzia 
è  qui  degna  di  considerazione,  perocché  quello  scintilar 
con  sola  una  /  conduce  assai  piit  fiicilmente,  che  far  non 
potrebbe  la  medesima  parola  accozzata  con  esattezza  or- 
tografica, a  scoprir  Terrore  di  chi  stampò  o  trascrisse. 
Il  primo  ad  i^rvedersi  di  tal  errore  crediamo  che  fosse 
raoate  Angelo  Mazzoleni;  e  la  correzione  da  lui  pro- 
posta nelle  Rime  oneste  è  quella  che  abbiam  noi  seguita. 


INDICE 


A" 


lettori ».  Fac.    v 

Prefazione  delPab.  Serassi n  kxvii 

Dedicatoria  del  cav.  Vincenzo  Monti >»xxxvu 

Aminta,  favola  boschereccia »      3 

Intermedj n     71 

Amore  fuggitivo.  .  .  .  • »     73 


POESIE  PASTOEALI 

Il  rogo  di  Corinna n  8a 

La  festa  campestre »  io5 

DIALOGHI 

Dialogo  I  in  lode  di  D.  Margherita  Gonzaga  du- 
chessa di  Ferrara n  ii3 

Dialogo  II  sullo  stesso  soggetto n  118 

Dialogo  III  Convito  di  pastori >»  121 

Dialogo  IV  Arezia  Ninfe n  lag 


RIME  AMOROSE 

SOirXTTI 

Ahi!  quale  angue  infernale  in  onesto  seno.  ...»  2o3 

AUor  che  ne^  miei  spirti  intepidissi "  ixA 

Amai  vicino;  or  ardo,  e  le  faville n  214 

Amando,  ardendo,  alla  mia  donna  i*  chiesi  ...»  186 

Amore  idma  è  del  mondo.  Amore  è  mente  .  .  .  "  149 

Amor^  colei  che  versinella  amai, ^  i4^ 

Amor  col  raggio  di  beltà  s^  accende, »  aoq 

Amor  non  è  cne  si  descriva  o  conte, *»  aio 


/ 


6i6 

Amor,  se  fia  giammai  che  dolce  io  tocchi  .  .  FVxr.    '" 

Anima  errante,  a  cpiel  sereno  intomo >»    85 

Anna,  il  cor  vostro,  voi  non  mi  togliete    ,  .  .  .  ^    5i 

Aprite  gli  occhi,  o  gente  egra  mortaue, •»     4^ 

Ardeano  i  tetti  ;  e  *1  fumo  e  le  faville ^  ^^J 

Armo  di  ghiaccio,  e  inaspro  il  core  e  1  petto;    *•   i>9 
Arsi  gran  tempo,  e  del  mio  foco  indegno  .  .  •  .  "  200 

A*  servigi  d^Amor  ministro  eletto "   176 

Aura,  ch^or  quinci  scherzi,  or  quindi  vole   .  .  .  »  2i4 
Avean  gli  atti  leggiadri  e  *1  vago  aspetto    .  ...»   166 

Barbara  maraviglia,  a*  tempi  nostri *  233 

Bella  donna  i  colori^  ond^  ella  vuole »   fi 

Bella  è  la  donna  mia,  se  del  bel  crine «»  i4' 

Beila  guerriera  mia,  se  *ì  vostro  orgoglio  .  .   .  .  t  19K 

Benché  Fortuna  al  desir  mio  rubella m  190 

Ben  veggio  avvinta  al  lido  ornata  nave, »  in- 
cantai già  lieto  ;  e  ricercai  nel  canto  ..!....■»  224 

Cercate  i  fonti  e  le  scerete  vene ^  19^ 

Chiaro  cristallo  alla  mia  donna  oflfersi v»  176 

Chi  è  costei  eh*  in  si  mentito  aspetto >»  ^'9 

Chi  U  pelago  d^Amor  a  solcar  viene, »  i|o 

C!hi  serrar  pensa  a*  pensier  vili  il  core,  ...».*  195 
Colei  che  sovra  ogni  altra  amo  ed  onoro   .  •  .  .  *>  1 4o 

Come  il  nocchier  dagl*  infiammati  lampi »  146 

Come  la  Ninfa  sua  fugace  e  schiva, »  ibi 

Come  vento  eh*  in  sé  respiri  e  tomi n  206 

Cortese  albergatrice ,  ancor  T  imago «*  161 

Costei  eh*  asconde  un  cor  superbo  ed  empio  .  .  »  146 
Costei,  che  sulla  fronte  ha  sparsa  al  vento  ...  »  191 
Cmdel,  potesti  a  dura  fune  avvinte n  ììòÀy 

Dal  vostro  sen,  qual  fuggitivo  audace n  aiS 

Diaria  un  tempo  nudrimmi;  e  cibo  e  vita  .  »  .  n  217 
Deh  !  perchè  amar  chi  voi  con  pari  affetto  ...»  227 
Della  vostra  bellezza  il  mio  pensiero  .......»»  f^i 

Deir  onor  simulacro  è  *1  nome  vostro , »  240 

Del  più  bel  maiTno  che  nascesse  in  monte,  ...»  ^34 

Del  puro  lume ,  onde  i  celesti  giri- »  169 

Dianzi,  al  vostro  languir,  parea  sospesa »  16) 

Di  che  stame  ordirò  la  vaga  rete  .  ^ n  lóò 


6i7 

Di  nettare  amoroso  ebro  la  mente, Fac. 

Dipinto  avevi  Tòr  de^  biondi  crini, n 

Di  qual  erba  di  Ponto,  o  di  qual  angue    ....*§  i58 

Donai  me  stesso;  e,  se  sprezzasse  il  dono,    .  .  .  *»  iq5 

D^ondc  ne  vieni,  o  cor  timido  e  solo, »  loo 

Donna,  crudel  fortuna  a  me  ben  vieta *»  172 

Donna  gentil,  che  U  tuo  principio  avesti.  ....  »  a38 

Donna,  per  cui  trionfa  Amore  e  regna, "  a34 

Dopo  così  spietato  e  lungo  scempio,  ......."  i83 

Dove  nessun  teatro  o  loggia  ingombra »»  206 

Era  aspro  e  duro,  e  sofFerir  sì  lunge "  184 

Era  delFetà  mia  nel  lieto  aprile »  i4o 

Era  la  notte,  e  sotto  il  manto  adomo »  221 

Eran  velati  i  crespi  e  biondi  crini, "  220 

Erba  felice ,  che  già  in  sorte  avesti "  i  yS 

È  vostra  colpa,  Donna,  o  mia  sventura»    ....  »  209 

Facelle  son  d^  immortai  luce  ai*denti »  226 

Fiumi  e  mari  e  montagne  e  piagge  apriche ...»  289 

Fra  due  Vittorie  era  d  onor  contesa; »  227 

Fra  mille  strali,  onde  Fortuna  impiaga »  180 

Fuggite,  egre  mie  cure,  aspri  martiri, »  174 

,  Geloso  amante  apro  miir  occhi  e  giro »  i4S 

Giacca  la  mia  virtù  vinta  e  smarrita  .....«.'>   i4i 

Giaceva  esposto  il  peregrino  Ulisse »  i63 

Già  difendesti  con  ramose  braccia, "214 

Già  il  can  micidiale  e  la  neméa. »  164 

Già  solevi  parer  vermiglia  rosa »  222 

Giovine  incauto,  e  non  avvezzo  tmcora ...,...»  167 

I  begli  occhi  ove  prima  Amor  m^ apparse,  ...»  i5a 

I  chiari  lumi  onde  ^1  divino  Amore »  210 

I  freddi  e  muti  pesci  usaìi  omai »  193 

In  queste  dolci  ed  amorose  rime »2io 

In  questo  mar  che  sparge  un  puro  argento  ...»  287 

lo  mi  credea  sotto  un  leggiadro  velo »  167 

lo  non  cedo  in  amar.  Donna  gentile,.  .......  197 

lo  veggio  in  cielo  scintillar  le  stelle »  178 

lo  veggio,  o  parmi,  quando  in  voi  m** affiso,  .  .  »  191 
Io  vidi  im  tempo  di  pietoso  affetto »  i44 

Tassu,  Voi  IV.  39* 


6i8 

La  bella  fiamma  che  m*  ardeva  il  core,  .  .  .  Fac,   i6e 

L^alma,  vaga^di  luce  e  di  belleua, ▼*    i85 

La  man,  cir avvolta  in  odorate  spoglie n   198 

L*aiira  che  dolci  spirti  e  dolci  odori n  lo"^ 

Laura,  che  fra  le  Muse  e  nelP eletto y*  tì35 

Laura,  del  vostro  lauro  in  queste  carte n  !2o8 

L^aura  soave,  al  cui  spirar  respira ««ai? 

L^inccndio,  onde  tai  raggi  usck  già  fore    ....«»  3i5 

Mal  gradite  mie  rime  invano  spese *t  tqr) 

M''aprc  talor  Madonna  il  suo  celeste "  vc>i 

Mentre  adoma  costei  di  fiori  e  d*erba »  iBH 

Mentre  al  tuo  giogo  io  mi  sottrassi.  Amore,  .  .  «9  201 

Mentre  ancor  non  m* abbaglia  il  dolce  lume,  .  .  n  ^33 

Mentile  Madonna  s*  appoggiò  pensosa n  1^% 

Men(i*e  ne"*  cari  balli  in  loco  adomo *»  f-q 

Mentre  $chei*zava  saettando  intomo ^  \iS^ 

Mentre  soggetto  al  tuo  spietato  regno •»  303 

Negli  anni  acerbi  tuoi  purpurea  rosa «»  i5) 

Ninfa,  onde  lieto  è  di  Diana  il  coro, •»   1  ?3 

Non  fi*a  parole  e  baci  invido  muro "  %"% 

Non  ho  SI  caro  il  laccio  ond*al  consorte "  177 

Non  pili  crespo  oro,  o  d^ ambra  tersa  e  pura,  .  •*  200 

Non  potea  dotta  man  rìtrarci  in  parte ^  i63 

Non  sarà  mai  eh**  impressa  in  me  non  reste  .  .  .  *»  i83 
Non  son  à  vaghi  i  fiori  onde  natura  ...  T  ...  »  lAS 
Nudo  era  il  viso,  a  cui  s^ agguaglia  invano    •  .  .  •»  221 

O  bella  man,  che  nel  felice  giorno, «*  211 

O  chiara  luce  di  celeste  raggio, •«  239 

O  degna  per  cui  sfarmi  un  nuovo  Àldde  ....*«  22^ 

Odi,  Filli,  che  tuona:  odi  che^n  gelo »  t5o 

Odi,  Filli,  che  tuona;  e  Taer  nero >»    ùi 

O  felice  eloquenza,  avvinta  in  carmi, ^  22(1 

Onde,  per  consolarne  i  miei  dolori, 99  i'*3 

O  nemica  d*Amor,  che  sì  ti  rendi n  180 

O  più  cnidel  d^ogni  altra,  e  pur  men  cruda  .  .  •*  188 

Or  che  Paura  mia  dolce  altrove  spira »»  14** 

Or  che  rìede  madonna  al  bel  soggiorno,    .  ...»  216 

Palustri  valli,  ed  arenosi  lidi, "  i^ 


6i9 

Pargoletto  animai  di  spirto  umano Fac,  i53 

Passa  la  nave  mia,  che  porta  il  core, n  196 

Pensier,  che,  mentre  di  formarmi  tenti i>  172 

Perch* altri  cerchi,  peregrino  errante,    ^  .'..».«  190 

Perchè  Fortuna  ria  spieghi  le  vele  .  .  i n  178 

Perchè  tormenti  il  tornlfentoso  petto, »  212 

Perch^io  Laura  pur  segua,  e  nel  mio  pianto  .  .  »9  2t3 

Per  figurar  Madonna  al  senso  in  temo  ^ n  184 

Per  temprarne  al  bel  seno,  al  chiaro  viso,  ...»  204 

Per  tre  .sublimi  vie  sopra  le  stelle, t»  23i 

Qual  da  cristallo  lampeggiar  si  vede >»  212 

Qual  neve,  che  su*  colli  ameni  fiocchi, »  i52 

Qualor  Madonna  i  miei  lamenti  accofflie »  i45 

Quando  avran  queste  luci  e  queste  chiome  ..."  i8q 

Quando  PÀlba  si  leva  e  si  rimira n  22$ 

Quando  vedrò  nel  verno  il  crine  sparso n  189 

Quanto  in  me  di  feroce  e  di  severo n  202 

Quanto  più  nelP  amarvi  io  son  costante, »  187 

Quel  d^  eterna  beltà  raggio  lucente    ........  n  182 

Quel  d)  che  la  mia  donna  a  me  s' offerse  ....  »  220 

Quel  labbro  che  le  rose  han  colorito *»  i54 

Quella  candida  via  sparsa  di  stelle n  170 

Quella  secreta  carta,  ove  l'interno >»  199 

Quel  prigioniero  augcl,  che  dolci  e  scorte  ....  »  196 

Quel  puro  ardor  che  dai  lucenti  giri "  216 

Quel  vago  raggio  che  lampeggia  e  splende   ...»  23o 

Quest'amor  eh' è  traslato  al  novo  maggio,  ...»  21 3 

Questa  è  pur  quella  che  percote  e  fìeue »  178 

Questa  leggiadra  e  gloriosa  donna , »  237 

Questa  nebbia  sì  bella  e  sì  vermiglia »  228 

Questa  rara  bellezza  opra  è  dell'alma »  174 

Queste  or  cortesi  ed  amorose  lodi »  2o3 

Questi,  che  ai  cori  altrui  cantando  spira    .  .  .  .  »^  iv56 

Questi,  che  indarno  ad  alta  meta  aspira »  ivi 

Qui  dove  i  sacri  e  verdeggianti  allori »  160 

Re  degli  altri,  superbo,  altero  fiume, »  192 

Riede  la  stagion  lieta;  e 'n  vane  forme "  ^'9 

Sabina,  in  cui  s'onora  il  nome  prisco, ^  238 

Saggio  pittore,  hai  colorita  in  parte i  »  ^36 


6ao 

Sdamate,  ir  ita  mia,  perchè  itel  core Fac.  iir 

Sfarina  lo  sdegno,  e  *n  lunga  schiera  e  folta  .  .  **  aoT 

Sceglieva  il  Mar  perle,  rubini  ed  oro "   iq» 

Scota,  suirOcedno,  o  dove  nacque *«  2!^ 

Sdegno,  debil  guerrier,  campione  audace 9  ....'»  201 

Secco  era  quasi  T  odorato  alloro y»  i\\ 

Se  d^Amor  queste  son  reti  e  legami, •*   168 

S*  egli  avverrà  eh**  alta  memoria  antica *>  239 

Scegli  è  pur  ver  ch^Aroor  nel  vostro  petto  .   .  .  "   i5i 

Se  la  saetta.  Amor,  ch^al  lato  manco "  \^\ 

Se  U  nobil  corpo,  ove  in  soavi  tempre ▼*   16-1 

Se  mi  doglio  talor  ch^invan  io  tento "   1^ 

Se  mi  trasporta  a  forca  ovMo  non  voglio    .  •  .  .  »  l'-q 

Sentiva  io  già  correr  di  morte  il  gelo n   14^ 

Se  Pirro,  allor  che  diede  morte  acerba r»  2>3 

Se  tu  d** ombre  notturne  amico  e  vago, t>  vy 

Siccome  torna  onde  si  parte  il  Sole, »  20-^ 

Si  specchiava  Leonora,  e  *1  dolce  rìso vv  33a 

Sta  vasi  Amor,  quasi  in  suo  regno,  assiso    .  .  .  .  n  j43 

Sul r  ampia  fronte  il  crespo  oro  lucente "218 

Suore  del  grand^ Alfonso,  il  terzo  giro **  164 

Tolse  barbara  gente  il  pregio  a  Roma *»  a3) 

Tra  U  bianco  viso,  eU  molle  e  casto  petto  .  ,  ,  y  l'^i^ 

Tra  r  empie  fiamme  agU  occhi  miei  lucente  .  .  .  ^  ai) 

Tre  gran  donne  vid^io,  chMn  esser  belle  •  .  .  .  n  ijj 

Tu  parti,  o  rondinella,  e  poi  ritomi ''  >97 

Tu  vedi.  Amor,  come  trapassi  e  vole 9,  lìji 

Umida  nube  se  dispiega  e  stende »»  281 

Uom  di  non  pure  fiamme  acceso  il  core»   ....•»  225 

Vaghe  colombe,  che,  giungendo  i  rostri,  .  .  .  .  y  ik^ 

Vago  fanciul,  che  dalF  ardor  sovente "   i(k> 

Vecchio  ed  alato  Dio ,  nato  col  Sole »   i  )8 

Vedrò  dagli  anni,  in  mia  vendetta,  ancora   .  .  .  ««   188 
Veggio,  quando  tal  vista  Amor  m^ impetra,  .  .  .  ««   \\\ 

Vere  fur  queste  gioje  e  questi  ardori »  i3o 

Vergine  illustre,  la  beltà  che  accende r^  i(>3 

Vissi  ;  e  la  prima  etate  amore  e  speme "  *  i  > 

Viviamo,  amiamci,  o  mia  gradita  Jeile; n   1  >  > 

Voi  clic  passate,  e  su  la  destra  sponda »  229 


6ai/ 

Voi  9  che  pur  numerate  i  nostri  amorì,  .  .  .  Fac,  ao5 
Vuol  eh* io  Fami  costei;  ma  duro  freno **  i47 

CAlfZ051 

Amor,  tu  vedi  (e  non  hai  duòlo  o  sdegno) .  .  .  «>  241 

Bella  Guerriera  mia,  ben  io  vorrei »  ^og*^' 

Chi  di  mordaci  ingiuriose  voci n  289 

Delle  pìh  fresche  rose  omai  la  chioma, <»  3i8 

Di  pregar  lasso  e  di  cantar  già  stanco, n  ^Sg 

Donna  gentile,  io  veggio, »  3or 

Donna ,  la  vostra  fama  e  '1  mio  pensiero n  364 

Donne  cortesi  e  belle, •  ^ K  .  ,  n  382 

Donne,  voi  che  superbe n  3i5 

Fama,  che  i  nomi  gloriosi  intomo ...»  a8o 

Già  basso  colle  umde ^,  n  3o6 

Già  il  lieto  anno  novello 3  .  1»  285 

Illustre  Donna,  e  pih  del  ciel  serena, *»  323 

Io  mi  sedea  tutto  soletto  un  giorno »  254 

Mentre  eh*  a  venerar  movon  le  genti »  292 

Net  mar  de^  vostri  onori, n  32o 

O  bel  colle,  onde  lite »  261 

O  con  le  Grazie  eletta  e  con  gli  Amori, "  269 

O  d^alta  donna  pargoletta  ancella,  .  .  ,  .  x.v  •  •  *>  ^73 

O  felice  onorato  almo  terreno »>  266 

O  nelFamor  che  mesci »  256 

Or  che  lunge  da  me  si  gira  il  sole »  244 

• 

Perchè  la  vita  è  breve, »  297 

Perchè  r  ingegno  perde >»  3o3 

Piante,  frondose  piante, »  3i3 

,Qiial  più  rara  e  gentile »  246 

Quel  generoso  mio  guerriero  intemo, »  249 


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6a3 
Orechin ,  che  sulla  reggia Fac,  35o 

=        Ha  gigli  e  rose,  ed  ha  rubini  ed  oro, »  SSg 

:  -^     Li*  alma  vostra  beliate, «Gii 

Lia  natura  v*annò,  bella  guerriera; n  35q 

Lianguidetta  beltà  vinceva  Amore, n  34o 

Lasciar,  nel  ghiaccio  o  nell^  ardore,  il  guanto   .  n  36o 

Mentre  in  grembo  alla  madre  Amore  un  giorno  n  349 
-  -  «     Mentre,  mia  stella ,  miri n  347 

^         Non  è  d*Ai-abìa  peregrina  pianta f»  356 

Non  è  onesta  la  mano »  347 

Non  è  SI  bello  il  rinverdir  d^un  faggio,  ......  355 

Non  fonte  o  fiume  od  aura .  .  .  •, »  357 

Occhi  miei  lassi,  mentre  ch^io  vi  giro n  36k 

Ore,  fermate  il  volo, »  35a 

Perchè  di  gemme  t^inooroni  e  d^oro, »  35k 

Questa  lieve  zaniara  •••..; »  34g 

Questa  pianta  odorata  e  verginella, »  363 

Questo  a  puro  e  lieto  e  dolce  raggio n  36o 

Roche  son  già  le  cetre  e  muti  i  cigni *§  363 

Sete  specchi  di  gloria,  in  cui  traluce »  Mi 

Sian  vomeri  II  mio  stile  e  F  aureo  strale  #  ....»»  355 

Tirsi  morir  volea, »  348 

RIME  EROICHE 

I 

sounri 

Ahi!  le  fiamme  d* Europa,  accese  in  questi  ,  .  .  n  36q 

Alban,  Y  ossa  paterne  anco  non  serra »  370 

Alma  grande  a  Alcide,  io  so  che  miri n  375 

Alta  città,  più  del  tuo  verde  monte *»  385 

Ardizio,  come  spesso  aquila  altera »  38a 


6ii 

Santa  Pietà,  eh*  in  cido Fac.  ^176 

Tu,  eh* agguagliar  ti  vanti n  3g|6 

Vaghe  Ninfe  del  Po,  Ninfe  sorelle, n  Bay 

OTTAVI 

Io  son  la  Gelosia,  eh* or  mi  rivelo, «  33i 

Questa,  che  tanto  il  cieco  volgo  apprena,  .  .  .  •»  334 

DIILOGU 

Io  qui,  Mgnor,  ne  vegno, »  33g 

Se  coli*  età  fiorita "  336 

Tu,  ch-i  più  diiusì  affetti »  343 

scanso  voinco 
Darà  fin  presta  morte  al  mio  dolore, *>  34^ 

MADRIGALI 

r 

Colla  saetta  dalia  punta  dToro, »  3S4 

Con  qual  focil  meraviglioso.  Amore, "  353 

Deirarboscel  e* ha  si  femoso  nome, ^  362 

De*  vostri  occhi  sereni  il  dolce  umore, »  363 

Dolcemente  dormiva  la  mia  Glori, *»  35i 

D*  onde  toglieste  il  foco »  358 

Donna  beila  e  gentil,  del  vostro  petto »  357 

Donna,  chi  vi  colora **  35o 

Donna  gentil,  mentr'io  vi  miro  e  canto,  .  .  •^.  "  354 

Donna,  quella  saetta,  ^ «>  353 

Donna,  sovra  tutte  altre  a  voi  conviensi,  ....*»  3 5H 
Dov^è  del  mio  servaggio  il  premio.  Amore?  .  .  »  364 

]Bcco  mormorar  T  onoe, * **  35a 

£  lieta  primavera n  611 


6t23 
Grechili  9  che  sulla  reggia Fac.  35o 

Ha  gigli  e  rose,  ed  ha  rubini  ed  oro, »  SSg 

L*alma  vostra  beliate, »  6i  i 

La  natura  v*arniò,  bella  guerriera; n  35q 

Languidetta  beltà  vinceva  Amore, n  Zifi 

Lasciar,  nel  ghiaccio  o  nell"*  ardore,  il  guanto   •  «>  36o 

Mentre  in  grembo  alla  madre  Amore  un  giorno  •»  349 
Mentre,  mia  stella,  miri »  347 

Non  è  d'Aitibia  peregrina  pianta >»  356 

Non  è  questa  la  mano »  347 

Non  è  SI  bello  il  rinverdir  d^un  faggio,  ......  355 

Non  fonte  o  fiume  od  aura  •  •  •  -, ^  357 


'f 


Occhi  miei  lassi,  mentre  ch^io  vi  giro >»  36k 

Ore,  fermate  il  volo, »  35a 

Perchè  di  gemme  t'incoroni  e  d^'oro, »  35k 

Questa  lieve  zanzara »  349 

Questa  pianta  odorata  e  verginella, »  362 

Questo  a  puro  e  lieto  e  dolce  raggio »  36o 

Roche  son  già  le  cetre  e  muti  i  cigni n  363 

Sete  specchi  ^i  gloria,  in  cui  traluce »  Mi 

Sian  vomeri  il  mio  stile  e  F  aureo  strale  #  ....  »  355 

Tirsi  morir  volea, »  34B 

1 


RIME  EROICHE 
sounri 

Ahi!  le  fiamme  d'Europa,  accese  in  questi  ...»  36q 

Alban,  Tossa  paterne  anco  non  serra »  378 

Alma  grande  d'Alcide,  io  so  che  miri »  375 

Alta  città,  più  del  tuo  verde  monte »  3o5 

Ardizio,  come  spesso  aquila  altera *>  38a 


6^4 

Cadesti,  Alfonso,  e  ruinoso  il  ponte Fot,  384 

Carlo,  questi  sei  tu;  che  del  bel  volto »  38i 

Chi  colle  fiamme  qui  di  Flegetonte *»  36l{ 

Chi  può  temprar.  Consalvo,  il  gran  disdegno    .  «  389 

Di  pensier'*  grave  e  d*anni,  e  Wermo  il  fianco,  n  389 
Di  sostener,  qual  novo  Atlante,  il  mondo  ....  »  37Ì 

Divi  Augusti  ed  eroi,  paesi  e  regni n  36? 

Donna,  al  pudico  tuo  grembo  fecondo »  376 

Dopo  Romulo  e  Cosso,  a  Giove  offerse n  379 

Fabio,  io  lunge  credea  col  basso  ingegno  .  •  .  .  n  393 
Fertil  pianta  die  svdta  è  da  radici, n  3» 

Gemma  dell^  Occidente,  ansi  del  mondo;    ....  n  391 

Giace  il  Verato  qui,  Ac  *n  real  veste »  3^4 

Giace  Ippolito  qui:  la  toga  d** ostro f>  372 

Insegna  a  te  la  tua  gran  patria  Roma n  383 

Langue  Vincenzo,  e  seco  Amor,  che  seco  ....■»  371 

L*  arme  e  *1  duce  cantai  che  per  pietate »  379 

L^ invitto  Alfonso,  ove  il  suo  merto  è  d^gno»  •  .  n  390 
L*  ombra  superba  del  crudel  Peh'de, »  373 

Me  novello  Ission  rapida  aggii*a r»  3*a 

Mentre  fulmina  il  Trace,  e  1  monti  e  i  campi   .  »  38^ 
Mirar  due  meste  luci  in  dentro  ascose, »»  388 

Non  fu  sì  chiara,  per  le  fiamme  ardenti **  391 

O  di  valor  non  già,  ma  sol  secondo »  374 

O  testimoni  del  valore  illustri , t  3>i 

O  tu  che  passi,  e  *1  guardo  ai  marmi  gin  ....»»  371 

Per  assalire  il  mio  Signor  la  Morte «>  384 

Perchè  la  lunga  etate  i  lumi  estemi, n  38o 

Poiché  ^n  vostro  terrep  vii  lasso  alberga v,  370 

Quando  nel  eie!  tra  mille  aurate  sedi, -^  369 

Quanto  già  X  altra  Elisa  al  duro  amante *«  39 1 

Quel  che  TEiuropa  col  mirabil  ponte r»  377 


625 

Quest'arca  fu  di  preziosi  odori, Fac.  38o 

Questa  del  puro  ciel  felice  imago »  SgS 

Questa  d^  Italia  bella  e  nobil  figlia o  894 

Ridolfo  e  Enrico,  a*  quali  il  Signor  diede  ....  »  388 

Scipio!  o  pietate  è  morta,  od  è  bandita *»  370 

Scrissi  di  vera  impresa  e  d^eroi  veri, •»  378 

Signor,  eh* immortai  laude  aveste  in  guerra,  .  .  n  SgS 

Signor,  nel  precipizio  ove  mi  spinse »  376 

Sotto  il  giogo,  ove  Amor  teco  mi  strìnse,.  ...»  375 
Spento  è  il  Sol  di  bellezza:  or  questi  abissi ...»  387 
Spirto  immortai,  che  saggio  e'nsieme  ardito  .  .  » -377 
Stiglian,  quel  canto  onde  ad  Orfeo  «imfle  ....  »  3go 

Terra,  che'l  Serio  bagna  e*l  Brèsilbo  inonda,  .  n  386 
Tolse  alle  fianune  il  glorioso  Auj^to n  368 

Vasco,  le  cui  felici  ardite  antenne n  383 

Virtù,  fra  questi  colli  alberga,  e'n  prima  ....>•  385 
Vostro  dono  è  s^io  spiro,  e  dolce  raggio  ....  »  383 

cAirzoifi 

Al  cader  d'un  bel  ramo  che  si  svelse, n  ^lò 

Alma,  eh*' aspetta  il  Cielo,  e*l  mondo  onora   .  .  »  532 

Cantar  non  posso,  e  d'operar  pavento »  546 

Cm*o  agli  egri  mortali  il  lucido  auro, n  487 

Celeste  Musa,  or  che  dal  oiel  discende »  4^o 

Chi  descrìver  desia  le  vaghe  stelle n  522 

Chi  vide  il  Sol  lucente  e  puro  il  giorno,  ....«»  4^7 

Ciò  che  Morte  rallenta.  Amor  restringi, n  fyjZ 

Come  dair  aureo  Sole  è  sparsa  intomo .:...."  536 

Come  nel  fare  il  cielo  il  Fabro  etemo "  4qi 

Come  poss'  io  spiegar  del  basso  ingegno »  5^8 

Com'  il  Sole  a  scoprìr  T  etema  luce , n  ^\o 

Crescan  le  palme  al  Mincio  e  i  novi  allori    ...»  4^4 

Da  gran  lode  immortai  del  Re  superno    ......  4^^ 

Deggio  forse  lodar  Taui-ato  albergo »  4^^ 


6i6 

Ecco  già  d*Orieiite  i  raggi  ìribra I^ac.  447 

Già  il  notturno  sereno t»  46q 

Già  s*era  intomo  4  la  novella  udita    .........  5i\ 

Già  spiegava  T  insegne  oscure  ed  adre »  536 

Italia  mia,  che  FÀppennin  disgiunge, »  45i 

Italia  mia,  che  le  più  estranie  genti »  414 

Lascia,  Imenèo,  Parnaso,  e  qui  discendi .....  i»  466 
Lascia,  Musa,  le  cetre  e  le  piirlande 9  5io 

Musa,  discendi  ornai  dal  verde  monte n  431 

Musa,  tu  che  dal  cielo  il  nome  prendi» o  443 

Nasd,  e,  del  cast^%  fortunato  ventre    ....... 

Nella  stagion  che  pi^  sdegnoso  il  delo •• 

Non  è  novo  Tonor  di  lucid** ostro «  543 

O  del  grand*  Appennino »  5o8 

Odo  sonar  d*  Italia  intomo  i  monti  .........  483 

O  figlie  della  Terra, »  54q 

O  figlie  di  Renata,  .* n  5b) 

O  magnanimo  figlio «  So3 

O  prìncipe  piti  bello «  $19 

Qual  de*  tuoi  duci  o  de*  tuoi  fatti  illustri ,  ...»  4^  ^ 

Qual  di  pianta  gentil  felice  verga  .  .  « »  435 

Quando  rìtardo  a*  mìei  pensieri  il  corso,   .  .  .  .  ^  4:16 
Questa  fatica  estrema  al  tardo  ingegno n  ^o5 

Santa  Virtù,  che  dalPorror  profondo, n  3g5 

S*era  fermo  Imenèo  tra  Ferto  monte •»  400 

Spiega  r ombroso  velo, n  475 

Spirto  gentil,  eh*  i  più  lodati  esempj „  439 

Talvolta  sovra  Pelio,  Olimpo  ed  Ossa »  463 

Terra  gentil,  eh*  inonda »  4^8 

Tu  che  segui  la  pace,  e  fai  d* intomo 9  459 


6^7 

MADRIOAM    . 

Àure»  spirate;  e  toi  con  lucid^onde,  .  .  •  .  .  Fac.  555 

Chi  la  terra  chiamar  vuole  una  stelkt  • "  ^^ 

Come  odorato  mirto »  555 

Ha  Ninft  adorne  e  belle »  553 

La  bella  tela  eletta , >»  558 

Mentre  in  voci  canore »  557 

Mentre  sul  lido  estremo »  554 

Mdsola,  il  Po  da*  lati  e  '1  mar  a  fronte,  ....  »  553 

Non  è  questo  un  morire , >*, n  558 

O  nipote  d*  Augusto -^'f •»  557 

Qual  è  questa  eh*  io  sento »  556 

Tra  queste  piante  ombrose n    m 

RIME  SACRE  E  MORALI 

SOKBTTI 

Croce  del  Figlio,  in  cui  rimase  estinta »  565 

Diva,  a  cui  sacro  è  questo  ostello  e  questa  ...»  56a 

Egro  io  languiva,  e  d*alto  sonno  avvinta  .  .  .  .  m  5Q7 

Francesco,  inferma  entro  le  membra  inferme .  .  »>     M 
Francesco ,  mentre  ne*  celesti  giri »  563 

In  ouesta  sacra  notte,  in  cui  non  osa n  564 

In  SI  mirabil  notte  a  mezzo  il  verno »     m 

Luce  d*onor,  eh* abbaglia  e  par  ch*ofiknda  ...»  565 


6aff 

Mentre  non  anco  i  "1  porto  a  te  sparito  .  .  .  Fac.  566 

Nobil  porto  dd  mondo  e  di  fortuna, .  .- n  563 

O  Uichek»  o  divino  ai^el  beato, s»  56i 

Padre  del  dd  t  or  di*  atra  nube  il  calle  .  ....  »  568 

Rivolse  Odia  sospirando  al  delo «    ivi 

Servo  di  Dio ,  die  T  amor  suo  trafisse n  S62 

Uscito  in  guisa  d*  aquila  volante »  566 

cAjnom 

Alma  inferma  e  ddlci|te, n  569 

Ecco,  fra  le  tempeste  e  i  fieri  venti »  574 

Mira  devotamente,  alma  pentita, n  579 

Quai  figure ,  quali  ombre  antiche,  o  s^[nì, ...  *  Sjiè 

» 
Stava  appresso  la  croce 1»  583 

SCIOLTI 

Dio,  fra  gli  altri  dipinti  e  vaghi  augelli ,./..>»  5S5 

OTTAVE 

« 

Piangete  di  Maria  Tamaro  pianto »  595 

Voi,  che  sovente  il  Re  d'eterno  regno •>  601 

Note ,  aliante  ed  emendazioni n  607 


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FES  2  4  t955